Assicurazione obbligatoria e validità temporale: l'impatto della Gelli sul comparto assicurativo
23 Marzo 2017
Premessa
Il disposto della legge Gelli-Bianco (l. 8 marzo 2017 n. 24), che riallaccia la trama interrotta dai precedenti interventi legislativi facendo ordine in una normativa confusa e spesso contradditoria, si propone di mutare radicalmente l'assetto della responsabilità medica nel nostro paese, introducendo alcune novità significative, in grado di imprimere un potente contraccolpo sia sul piano giuridico, che in ambito assicurativo. Cercheremo di analizzare i punti salienti della riforma che attengono a quest'ultimo settore, partendo dal presupposto che proprio la crisi dell'assicurazione della responsabilità medica, che ha interessato il nostro Paese nell'ultimo ventennio, abbia costituito uno degli elementi più significativi del fenomeno sociale complesso e poliedrico che ha ispirato l'intervento del legislatore. Si è molto discusso dei motivi che hanno provocato l'abbandono del mercato italiano della RC Medica da parte di un gran numero di assicuratori e della scarsa sostenibilità tecnica che si colloca alla base di tale decisione; questo fenomeno, a dire il vero, non rappresenta un fatto nuovo nello scenario internazionale. Nel corso degli ultimi decenni anche in altri Paesi si è registrato un marcato aumento del numero dei sinistri denunciati per malpratica medica ed un incremento dell'importo medio dei risarcimenti richiesti. Questo ha comportato l'abbandono degli assicuratori locali e l'aumento indiscriminato dei premi di polizza, rendendo necessario l'intervento dello Stato al fine di ristabilire un equilibrio tra le parti in gioco. Nel Regno Unito ed in Francia, ad esempio, si è assistito all'affermarsi di un'interpretazione della responsabilità medica con caratteri sempre più marcati di strict liability o responsabilitè quasi sans faute (equivalenti alla nostra responsabilità oggettiva) che, combinata con elementi tipici della giurisprudenza locale, come l'ampiezza dei termini di decadenza e l'elevato ammontare dei risarcimenti per i danni alla persona, ha comportato un netto peggioramento degli andamenti tecnici delle coperture assicurative ed il conseguente aumento dei premi di polizza. Il profondo impatto generato da questo fenomeno su un settore altamente qualificato e socialmente rilevante com'è quello della sanità pubblica, ha quindi determinato l'intervento del legislatore, con provvedimenti volti a ridurre i termini di prescrizione e porre un freno all'ammontare dei risarcimenti riconosciuti per i cosiddetti non economic damages (i danni non patrimoniali), grazie ai quali è stato possibile ricondurre la responsabilità medica a livelli decisamente più gestibili nella maggior parte degli Stati interessati. Anche nel nostro Paese si è potuto individuare un aumento generale della propensione alla litigiosità, mutuato da una sempre più marcata vocazione giuridica verso un concetto di responsabilità oggettiva, o comunque di tipo contrattuale, in capo al medico ed alla struttura, tale da determinare un più agevole ricorso alle Corti di Giustizia da parte dei reclamanti ed un conseguente peggioramento della posizione del medico e del suo assicuratore. Questo fenomeno si è acuito a causa dell'aumento generalizzato dell'ammontare dei risarcimenti riconosciuti per il danno alla persona, in particolare per quanto attiene al conteggio dei danni non patrimoniali. Un fenomeno di tale portata, tuttavia, affonda le radici anche in una serie di ragioni di ordine socioeconomico. Tra queste si colloca certamente l'aumento delle aspettative del pubblico di fronte agli spettacolari progressi compiuti dalla scienza medica, con conseguenze assai negative in caso di attese non soddisfatte; si pensi al caso di una nascita, a lungo desiderata, in una società segnata dalla continua flessione del numero di nuovi nati, unitamente alla sfavorevole congiuntura economica che spinge le famiglie a cercare ristoro per le spese necessarie alle cure ed al mantenimento di chi abbia subito gravi lesioni. È evidente come da un fenomeno tanto ampio sia derivata una cospicua elaborazione giurisprudenziale. Basti pensare che le massime in materia di responsabilità medica inserite nell'archivio Italgiure della Corte di Cassazione sono state 60 nel periodo compreso tra il 1942 ed il 1990 e ben 201 dal 2001 al 2011. Anche sul piano politico, sulle tracce di analoghe esperienze fatte all'estero, gli interventi del legislatore hanno a più riprese cercato di ricondurre la gestione della responsabilità medica in un alveo più governabile, affrontandone i nodi più significativi. È questo il caso del d.l. n. 158/2012, convertito con modificazioni nella l. n. 189/2012, nota come legge Balduzzi. In contrasto con l'interpretazione giurisprudenziale più diffusa, diretta all'individuazione della fonte dell'obbligazione del medico (anche se dipendente di una struttura) nel contratto d'opera professionale, la legge Balduzzi è intervenuta sulla definizione della natura della responsabilità medica con un rinvio non certo cristallino all'art. 2043 c.c., cardine della responsabilità extracontrattuale. Inoltre, e questa volta nel solco di un'ampia giurisprudenza di legittimità (ex multis: Cass. civ., 24 gennaio 2007 n. 1511), ha riconosciuto la necessità di individuare un parametro oggettivo nelle linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica, per determinare l'esistenza dell'illecito da parte del sanitario e ponendo un primo ed importante pilastro nel cosiddetto processo di depenalizzazione della responsabilità medica: «L'esercente la professione sanitaria che nello svolgimento della propria attività si attiene a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica non risponde penalmente per colpa lieve». Accogliendo poi le istanze già osservate in altri paesi sulla necessità di calmierare l'elevato ammontare dei risarcimenti ed allo scopo di favorire un approccio univoco nella determinazione del quantum, la legge Balduzzi dispone che la liquidazione del danno biologico si compia applicando le tabelle di cui agli artt. 138 e 139 cod. ass. Una menzione a parte merita l'istituzione dell'obbligo di stipulare una polizza di assicurazione. Tale onere, in teoria, è entrato in vigore per tutte le categorie di professionisti il 15 agosto 2013, così come previsto dalla cosiddetta Riforma delle Professioni, di cui al d.P.R. n. 137/2012: «il professionista è tenuto a stipulare idonea assicurazione per i danni derivanti al cliente dall'esercizio dell'attività professionale». Questa riforma è giunta anche a completamento dell'iter del d.l. 13 agosto 2011, n. 138, convertito con modificazioni dalla l. 14 settembre 2011, n. 148, recante ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo. L'intendimento del legislatore è quello di tutelare i clienti di tutti i professionisti iscritti ai rispettivi Ordini, per i danni colposamente provocati per inadempienza, negligenza, imprudenza o imperizia, nell'esecuzione della prestazione professionale richiesta. Sul professionista grava inoltre l'obbligo di informare immediatamente i propri clienti sull'esistenza della copertura e sulle condizioni della polizza stipulata, inclusi massimali, scoperti, franchigie ed altre pattuizioni specifiche. Non adempiere a tale disposizione costituisce illecito disciplinare deontologico, che sarà valutato dall'Ordine professionale di competenza. Unici esclusi dall'obbligo previsto dalla Riforma delle Professioni sono gli iscritti all'Ordine degli avvocati, per i quali farà da riferimento la successiva riforma forense e, sotto certi aspetti,anche i medici. L'obbligo di stipulare un'assicurazione per la responsabilità civile è stato posto in carico ai medici liberi professionisti proprio dalla Legge Balduzzi, con entrata in vigore prevista per il 15 agosto 2013 e poi prorogata al 14 agosto 2014. Tale disposto non era invece previsto per i medici dipendenti del Servizio Sanitario Nazionale, per i quali la struttura sanitaria di appartenenza era tenuta a stipulare una polizza limitata alla sola copertura della colpa lieve. Per essi, quindi, si poneva l'esigenza, ma non vi era obbligo specifico, di contrarre un'assicurazione a copertura della colpa grave. Inoltre, in attesa dei relativi decreti attuativi, molti Ordini professionali suggerivano che la mancata stipula della polizza non fosse sanzionabile come violazione degli obblighi disciplinari e che dunque non vi sarebbe stata ancora la necessità di contrarre un'assicurazione, neppure per i medici liberi professionisti. Anche il Consiglio di Stato (Cons. St., sez. II, 17 dicembre 2014 n. 2383) ha ritenuto non operante la normativa entrata in vigore il 15 agosto 2014 sull'assicurazione RC professionale per i medici e tutti i professionisti della salute, «fino a quando non sarà avvenuta la pubblicazione ed esaurita la vacatio legis del d.P.R. previsto dal capoverso dell'art. 3 del d.l. 13 settembre 2012, n. 158, convertito, con modificazioni, dalla l. 8 novembre 2012, n. 189, che disciplinerà le procedure e i requisiti minimi ed uniformi per l'idoneità dei contratti assicurativi». All'art. 3, comma c-bis, infine, il disegno di legge Balduzzi prevedeva inizialmente l'obbligo di dotarsi di adeguata copertura di responsabilità civile «per i danni subiti dai pazienti e cagionati dalla condotta colposa degli operatori sanitari o da condotte colpose degli amministratori della struttura per carenze organizzative o di presidi» per tutte le strutture sanitarie, sia che fossero pubbliche o private. Questo articolo è stato però stralciato dal testo definitivo del decreto, e pertanto non è mai stato attuato. Risulta dunque evidente come fosse divenuto necessario un intervento volto ad ordinare un sistema troppo vagamente e variamente regolato. Assicurazione obbligatoria
Al comma 1 dell'art. 10, la legge Gelli impone ora inequivocabilmente a tutte le strutture sanitarie e sociosanitarie, pubbliche e private, di essere provviste di adeguata copertura assicurativa, o di altre analoghe misure, per l'assicurazione della responsabilità civile verso terzi e prestatori d'opera, anche a copertura dei danni cagionati dal personale operante a qualunque titolo, inclusi gli operatori sanitari praticanti in regime di libera professione intramuraria o in convenzione con il Servizio Sanitario Nazionale, nonché attraverso la telemedicina. Quest'obbligo permette finalmente di adeguare la nostra normativa a quella in vigore nella maggior parte dei paesi dell'Unione Europea, ma si è levato dal comparto assicurativo qualche dubbio circa l'espressione «analoghe misure». Appare evidente, infatti, come venga qui fatto riferimento a quelle strutture, soprattutto pubbliche, che operano in regime di autoassicurazione. In realtà, non di autoassicurazione ma di non assicurazione si dovrebbe parlare, perché in questo frangente gli enti della Pubblica Amministrazione gestiscono in proprio un'attività che sarebbe altrimenti soggetta a precise regole, dettate dalle competenti Autorità per garantire la copertura finanziaria ed il rispetto dei diritti, sia dell'assicurato che del paziente-consumatore. Le compagnie di assicurazione, infatti, devono osservare disposizioni di legge espressamente create all'interno di un universo economico molto strutturato, i cui cardini, basati sulle normative internazionali note come Solvency, definiscono i meccanismi tecnici legati all'apposizione delle riserve ed al margine di solvibilità indispensabile per continuare ad operare. Si tratta di procedure assai rigide, che non hanno nulla a che vedere con la contabilità “per cassa” adottata dagli enti statali, senza contare che questi ultimi gestiscono il rischio clinico con denari pubblici, con gravi riflessi sul piano della responsabilità amministrativa, mentre gli assicuratori operano con capitali privati. Tale attività svolta dagli ospedali, insomma, non sarebbe tecnicamente definibile come analoga ad una copertura assicurativa. I sinistri da responsabilità medica, inoltre, sono caratterizzati da un lungo sviluppo, tanto che gli importi riservati al momento della loro rubricazione subiscono variazioni molto sensibili fino al momento del loro effettivo pagamento: si tratta dell'effetto “a lunga coda” di questo tipo di eventi, che necessitano di molti anni per chiudere il loro ciclo vitale. Le compagnie di assicurazione, quindi, devono tener conto di come ciascun sinistro si svilupperà fino al momento in cui verrà effettivamente pagato e mettere a riserva il capitale necessario, o al momento opportuno non avranno abbastanza denaro per fronteggiare tutti i sinistri maturati per ogni rischio sottoscritto. Un ente pubblico, invece, ragiona sulla base di una contabilità che non tiene conto di questo sviluppo, ma degli importi pagati e riservati anno per anno. Le previsioni di spesa siffatte sarebbero letali per una compagnia di assicurazioni, oltre ad essere pericolose per i conti pubblici; le riserve considerate dagli ospedali potrebbero risultare gravemente insufficienti rispetto agli importi che sarebbero effettivamente liquidati a distanza di anni. Ciò genera malintesi tra le parti in gioco e costituisce il motivo per cui gli ospedali ritengono sempre di pagare un prezzo eccessivo per le loro polizze: maggiore è la durata di vita del sinistro e più forte sarà il disallineamento tra quello che l'ospedale pensa e l'assicuratore sa di dover pagare.
Secondo quanto previsto dalla legge Gelli-Bianco tutte le strutture, siano esse pubbliche o private, sono ora tenute ad acquistare una polizza di assicurazione o a munirsi di uno strumento equivalente, per coprire la responsabilità propria e per fatto del personale a qualunque titolo operante al loro interno, fatta eccezione solo per coloro che svolgono la propria attività in regime libero-professionale, avvalendosi della struttura stessa nell'adempimento di un'obbligazione contrattuale assunta direttamente con il paziente. Dunque, se un professionista della sanità svolge la propria mansione come dipendente, o in regime intramurario, è la struttura a prendersi carico dei danni eventualmente causati a pazienti e terzi, assai similmente a quanto accade in altri paesi d'Europa per applicazione della cosiddetta vicarious liability. Tutti gli altri, inclusi coloro che dovessero servirsi della struttura assicurata per curare od operare un proprio paziente privato, dovranno munirsi di una polizza separata, ossia di una copertura di responsabilità civile professionale individuale. La natura della responsabilità oggetto della copertura è definita all'art. 7 della legge come contrattuale, ex artt. 1218 e 1228 c.c., per le strutture pubbliche e private, mentre il professionista sanitario dipendente risponderà ai sensi dell'art. 2043 c.c., a meno che non stia adempiendo ad un'obbligazione direttamente assunta con il paziente. Non sarà quindi più possibile, per le strutture private, rispondere in seconda battuta, o in secondo rischio, rispetto alle polizze di responsabilità contratte dal personale dipendente. Tale prassi, fino ad ora piuttosto comune, ancorché tecnicamente discutibile o addirittura inaccettabile per molti operatori, ha consentito a tanti ospedali privati di ottenere sconti considerevoli sui premi di polizza da parte di quegli assicuratori che vedevano nell'esistenza di una copertura sottostante un certo alleggerimento del rischio corso. È dunque prevedibile che i costi assicurativi di queste strutture aumentino in maniera significativa nei prossimi mesi, il che si porrebbe in contraddizione con l'intento di calmierare i premi complessivi del settore, dichiarato dagli estensori della legge. In ogni caso, per conoscere i requisiti minimi, i massimali e le condizioni di copertura che devono essere previsti dalle polizze di assicurazione obbligatorie, bisognerà attendere che venga emanato, entro centoventi giorni dalla data di entrata in vigore della legge, un apposito decreto, a cura del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro della salute e con il Ministro dell'economia e delle finanze, e dopo aver ascoltato tutte le parti in causa, dall'IVASS, all'ANIA, alle Associazioni che rappresentano le strutture sanitarie e sociosanitarie private, alle Federazioni degli ordini e dei collegi delle professioni sanitarie, etc., incluse le associazioni di tutela dei cittadini e dei pazienti. È anche prevista l'individuazione di classi di rischio diverse, a seconda della gravità di esposizione di ciascuna categoria di professionisti sanitari, alle quali verrebbero fatti corrispondere massimali minimi differenziati. Sembra complessa, però, l'armonizzazione delle parti in gioco in soli quattro mesi. La legge, inoltre, impone che col medesimo decreto vengano stabilite le condizioni generali di operatività per l'assunzione diretta del rischio, «nonché la previsione nel bilancio delle strutture di un fondo rischi e di un fondo costituito dalla messa a riserva per competenza dei risarcimenti relativi ai sinistri denunciati». In pratica, le strutture che volessero ancora operare in autoassicurazione dovranno gestire il rischio come lo farebbe una compagnia di assicurazioni e non più attraverso una contabilità di tipo tradizionale.
Per contro, al comma 5 dell'art. 10, la legge Gelli-Bianco fa espresso riferimento all'emanazione, entro novanta giorni dalla sua entrata in vigore e sempre a cura del Ministro dello sviluppo economico e del Ministro della salute, di un decreto che definisca proprio i criteri e le modalità per lo svolgimento delle funzioni di controllo esercitate dall'IVASS sulle compagnie di assicurazione esercenti il ramo della responsabilità medica. Chiaro indicatore, quest'ultimo, di quanto il Legislatore si preoccupi di poter contare su un sistema assicurativo in salute e rispettoso delle regole, capace di supportare in modo adeguato lo svolgimento dell'attività sanitaria nel nostro paese.
Al comma 4 dell'art. 10, infine, la legge impone alle strutture assicurate di rendere noti sul loro sito internet gli estremi completi delle polizze che le proteggono. Tale disposto si colloca sulla medesima linea logica dell'obbligo, posto in capo a tutti i professionisti già a partire dalla Riforma delle Professioni, di comunicare ai clienti i dati salienti delle coperture di responsabilità acquistate ed è certamente strumentale all'osservanza del disposto del successivo art. 12 della legge, che introduce l'azione diretta del danneggiato nei confronti degli assicuratori ai quali il rischio è stato trasferito. Polizza di assicurazione per colpa grave
Qualora il professionista sanitario fosse un dipendente ed avesse commesso il danno con dolo o colpa grave, la struttura o l'assicuratore che avessero provveduto a risarcire il danno possono agire in rivalsa nei suoi confronti, ai sensi del disposto dell'art. 1916 c.c. Nel caso in cui si trattasse di un dipendente del Servizio Sanitario Nazionale, anche se operante in regime di convenzione o di libera professione intramuraria, ci troveremmo di fronte ad una responsabilità di tipo amministrativo, che verrebbe esercitata presso la Corte dei Conti.
Si tratta di una novità rispetto alla prima stesura della proposta di legge, che escludeva la giurisdizione del tribunale amministrativo affidando tutti i procedimenti, inclusi quelli riguardanti i dipendenti pubblici, al giudice ordinario. Lo stralcio di questa disposizione dal testo definitivo della legge è stato evidentemente mutuato dal timore di un intervento della Corte Costituzionale, poiché si sarebbe venuta a creare una disparità di trattamento nell'ambito della giustizia amministrativa, essendo quella dei professionisti sanitari l'unica categoria di dipendenti pubblici sottratta alla giurisdizione della Corte dei Conti. In ogni caso, a meno che il professionista non venga citato in solido con la struttura o come parte del giudizio, il regresso nei suoi confronti potrà essere esercitato solo a risarcimento avvenuto, entro e non oltre un anno dalla data del relativo pagamento. Per garantire l'efficacia della rivalsa, la legge impone quindi a ciascun dipendente di struttura sanitaria o sociosanitaria, pubbliche o private, di stipulare una polizza di assicurazione per Colpa Grave. A tale proposito, al comma 5 dell'art. 9, è previsto un limite massimo per l'importo dell'eventuale condanna, sia essa per responsabilità amministrativa che esperita ai sensi dell'art. 1916 c.c. Tale limite è pari a tre volte la retribuzione lorda o comunque l'introito percepito dal sanitario nell'anno di inizio della condotta che ha causato l'evento, od in quello immediatamente precedente ad esso. È questa una novità piuttosto rimarchevole, in grado di favorire un approccio più coerente ed omogeneo nella determinazione del risarcimento e di calmierarne l'ammontare, soprattutto per quanto attiene la responsabilità professionale dei medici che non dipendono dal servizio pubblico. Di solito, infatti, i risarcimenti delle polizze per colpa grave da responsabilità amministrativa non sono particolarmente elevati, per effetto del cosiddetto potere riduttivo dell'addebito esercitato dalla Corte dei Conti ai sensi dell'art. 83 del r.d. n. 2440/1923. È questo il potere riconosciuto al giudice contabile di «porre a carico dei responsabili tutto o parte del danno accertato o del valore perduto» ed è inteso come una sorta di facoltà di grazia, la cui ratio deriva dalla riconosciuta complessità dell'organizzazione amministrativa pubblica. Con rarissime eccezioni, infatti, si tende ad escludere che l'intera responsabilità di un fatto possa essere addebitata ad un solo convenuto e viene dunque concesso al giudice amministrativo il potere di ridurre la quantità di danno da porre a carico del responsabile. Al contrario, l'importo spettante ad un assicuratore che si avvalesse del proprio diritto di surroga nei confronti del dipendente di una clinica privata, specialmente di fronte ad un massimale capiente garantito dalla relativa polizza di assicurazione, potrebbe essere anche molto cospicuo ed in questo caso la nuova normativa potrebbe davvero fare la differenza. È però anche possibile che la prospettiva di una riduzione generalizzata dell'ammontare recuperabile dagli assicuratori in sede di rivalsa comporti un ulteriore inasprimento dei premi di polizza delle strutture.
Riassumendo, ora vi è l'obbligo di dotarsi di una copertura assicurativa o di analogo strumento da parte di tutte le strutture, che risponderanno direttamente anche per il fatto dei loro dipendenti, per tutte le fattispecie di colpa lieve. I dipendenti, invece, hanno l'onere di assicurarsi per consentire alle strutture stesse, ai loro assicuratori ed all'Erario di esercitare il proprio diritto di regresso, per quanto risarcito a terzi in conseguenza di un fatto commesso con colpa grave. Dal canto loro, i liberi professionisti dovranno contrarre una polizza di responsabilità civile professionale, a copertura dei danni di natura contrattuale eventualmente causati ai loro pazienti.
Si rileva come non sia previsto alcun obbligo di sottoscrivere tali polizze per gli assicuratori che esercitino il ramo della RC medica, il che può comportare un certo squilibrio a sfavore dell'esercente la professione sanitaria, tenuto (ad eccezione dei casi di autoassicurazione delle strutture) ad acquistare una polizza assicurativa da un soggetto che non sarebbe a sua volta obbligato a contrarre. Tale sbilanciamento risulta ancora più significativo alla luce del disposto del già citato art. 12 della legge, che consentirà al danneggiato di esperire nei confronti dell'assicuratore un'azione diretta analoga a quella in vigore per l'assicurazione obbligatoria della RC Auto. Di grande rilievo sotto il profilo assicurativo è anche l'art. 11 della legge, «Estensione della garanzia assicurativa», che riguarda la validità temporale della copertura. La disposizione stabilisce infatti che ciascuna polizza, sia questa relativa alla struttura oppure al professionista sanitario, debba prevedere una retroattività di dieci anni. In pratica, saranno considerate valide tutte le denunce di sinistro (ma sarebbe più esatto parlare di richieste di risarcimento) presentate all'assicuratore durante il corso di validità della polizza, purché relative ad eventi verificatisi entro il termine di dieci anni prima della decorrenza della polizza stessa. Inoltre, per quei professionisti o per le strutture che cessassero la propria attività e non fossero quindi più coperti dalla continuità assicurativa, dovrà essere previsto un periodo di ultrattività di 10 anni (sunset clause), a protezione anche degli eventuali eredi e senza possibilità di disdetta. Non se ne fa esplicita menzione e la terminologia utilizzata non è tecnicamente corretta, ma è qui abbastanza riconoscibile il funzionamento del dispositivo di polizza noto come claims made, che in Italia è stato oggetto di una lunga disputa giurisprudenziale, approdata all'ormai notissima sentenza della Suprema Corte (Cass. civ., Sez. Un., 6 maggio 2016 n. 9140), i cui punti salienti vale forse qui la pena di richiamare. Le Sezioni Unite, infatti, pur dichiarando la clausola legittima, hanno affidato al giudice di merito il compito di decretarne l'eventuale «nullità per difetto di meritevolezza», a causa delle limitazioni previste dal suo spettro temporale di azione. In poche parole, qualora il contratto fosse ritenuto di particolare nocumento per il danneggiato, per effetto di un periodo di retroattività giudicato insufficiente rispetto alla tipologia del rischio, il giudice di prima istanza potrà «intervenire anche in senso modificativo o integrativo sullo statuto negoziale, qualora ciò sia necessario per garantire l'equo contemperamento degli interessi delle parti e prevenire o reprimere l'abuso del diritto». Poiché il vero centro dell'interesse che si intende tutelare è il soggetto che ha subito il torto, ben al di là del semplice tornaconto dell'assicurato-consumatore, è dunque lecito che il tribunale imprima, per così dire, una spinta centripeta in grado di modificare radicalmente l'assetto del contratto, applicando un dispositivo anche del tutto diverso da quello previsto originariamente. Nonostante le intenzioni, la sentenza non è quindi servita a sciogliere completamente i nodi che caratterizzavano l'adozione di questa forma di assicurazione, il che costituiva un problema nella misura in cui la stessa fosse considerata un fatto irrinunciabile da parte degli operatori del settore assicurativo. Per costoro, infatti, è praticamente impossibile reperire supporto riassicurativo su polizze di responsabilità medica che non funzionino in base alla clausola claims made, a causa della difficoltà a controllare il cosiddetto reserve risk che caratterizza questo ramo a lunghissima coda. Ora, però, l'esplicita presa di posizione della legge Gelli-Bianco, con la precisa indicazione di un limite di retroattività decennale da prevedere obbligatoriamente, fuga in una sola mossa qualsiasi dubbio interpretativo riguardo all'ammissibilità di questo dispositivo. Resta tuttavia aperta la questione della sostenibilità economica di una copertura dalla validità temporale tanto ampia. Per poter mantenere a livelli accettabili il proprio margine di solvibilità, elemento preminente per la loro sopravvivenza, gli assicuratori sono infatti costretti ad impiegare capitali tanto più cospicui quanto più ampia è la finestra temporale che caratterizza il loro impegno economico, il che si riverbera direttamente sui premi di polizza. Per passare da una retroattività di due anni ad una di dieci, ad esempio, l'aumento di premio varia grandemente a seconda della specialità, ma di solito non è inferiore al doppio, senza tener conto dell'ulteriore incremento da applicare per coprire il periodo di ultrattività.
È quindi prevedibile che le compagnie di assicurazione si vedano ora costrette ad aumentare i premi di polizza, proprio per fronteggiare l'aumento dell'esposizione rappresentato dall'allargamento dell'orizzonte temporale della copertura, con buona pace del Legislatore e delle sue dichiarate intenzioni di giungere ad una generalizzata riduzione dei costi assicurativi della responsabilità medica. In conclusione
Dal punto di vista assicurativo la legge Gelli-Bianco prevede, come visto, spunti e novità di grande interesse, che non mancheranno di influenzare le decisioni e l'attività di tutti gli operatori del comparto. La nuova normativa, infatti, ha il merito di fare più ordine e chiarezza sulle tante ambiguità che hanno caratterizzato analoghi interventi legislativi compiuti negli anni passati, contribuendo ad allineare il nostro ordinamento a quello dei paesi europei più avanzati. D'altra parte, però, è arduo prevedere se sarà effettivamente possibile invertire il processo di disimpegno di tanti assicuratori locali, attirando un numero più ampio di sottoscrittori del rischio clinico nel nostro mercato. Permangono infatti molti dubbi sugli effetti di alcuni dispositivi introdotti, come la validità temporale dei contratti, molto ampia se paragonata agli standard del nostro mercato e quindi costosa sul piano dell'allocazione dei premi di polizza. Sotto questo profilo, anche la ridefinizione delle responsabilità tra i soggetti coinvolti ed il conseguente spostamento dell'asse di ciascuna copertura obbligatoria rispetto all'esposizione al rischio potrebbe causare, come si è visto, un inasprimento dei costi assicurativi. Infine, sarà difficile valutare nel breve termine l'impatto dei nuovi provvedimenti su un ramo che per natura si caratterizza per la lunghissima coda dei sinistri che lo interessano ed è possibile che lo squilibrio normativo, causato dall'obbligo a contrarre posto in capo ad una sola delle parti o dal perdurare del fenomeno dell'autoassicurazione, impongano la necessità di ulteriori interventi del Legislatore.
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