Circolazione di veicoli (responsabilità da)

Giuseppe Sileci
11 Giugno 2015

L'art. 2054 c.c. disciplina una particolare fattispecie di illecito aquiliano, stabilendo che il proprietario ed il conducente di una autovettura debbano rispondere dei danni che siano stati causati a persone o cose dalla circolazione del veicolo
Inquadramento

*** BUSSOLA IN FASE DI AGGIORNAMENTO AUTORALE DI PROSSIMA PUBBLICAZIONE ***

L'art. 2054 c.c. disciplina una particolare fattispecie di illecito aquiliano, stabilendo che il proprietario ed il conducente di una autovettura debbano rispondere dei danni che siano stati causati a persone o cose dalla circolazione del veicolo, se il primo non prova che questa è avvenuta contro la sua volontà e se il secondo non prova di avere fatto tutto il possibile per evitare il sinistro.

Elemento oggettivo

Perché la norma possa trovare applicazione, occorre innanzitutto che l'evento pregiudizievole sia conseguenza della circolazione stradale.

Non è sufficiente, tuttavia, l'atto della circolazione, essendo necessario che questa avvenga su una strada pubblica o ad essa equiparata. In particolare, secondo un consolidato orientamento, è strada equiparata ad una pubblica quella aperta ad un numero indeterminato di persone (Cass. civ., sez. III, sent., 3 aprile 2013, n. 8086); quindi anche la circolazione all'interno di un'area privata è astrattamente suscettibile di essere regolata dall'art. 2054 c.c., per ciò che concerne la disciplina risarcitoria, purché essa sia aperta all'uso pubblico, ossia che l'accesso ad essa sia consentito ad un numero indeterminato di persone, anche se non titolari di diritti sulla stessa (Trib. Roma 5 giugno 2012, in Guida al diritto 2012, 35, 94).

Alla luce dei superiori principi, è stata equiparata alla strada pubblica:

a) l'area di parcheggio destinata agli utenti di un ipermercato (Cass. civ., sez. III, sent., 23 luglio 2009, n. 17279);

b) l'area interna di un circolo golfistico, perché caratterizzata da spostamenti sistematici di pedoni, veicoli addetti alla manutenzione e golf-cars (Trib. Milano 26 maggio 1994, in Riv. Dir. Sport. 1995, 649);

c) l'area interna di uno stabilimento industriale, non aperta al pubblico ma trafficata da autotreni impegnati in operazioni di carico e scarico delle merci (Trib. Roma 19 settembre 1984 in Riv. Giur. Circol. e Trasp. 1985, 83);

d) l'area privata di un cantiere di costruzioni autostradali (Trib. Napoli 9 maggio 1980 in Riv. Giur. Circol. e Trasp. 1980,985);

e) l'area destinata alla distribuzione di carburante (Cass. civ., sez. III, sent., 3 marzo 2011, n. 5111);

f) la strada interpoderale che sia destinata a soddisfare le esigenze di una comunità indifferenziata, restando escluse da tale nozione solo le strade riservate all'uso esclusivo di privati proprietari (Cass. pen., sez. IV, sent., 14 ottobre 1999, n. 3169).

Viceversa, è stata negata la applicabilità dell'art. 2054 c.c. quando la circolazione è avvenuta: a) nel cortile interno di un fabbricato che fosse adibito al servizio esclusivo dei condomini (Cass. civ., sez. III, sent., 6 giugno 2006, n. 13254);

b) nell'area sita all'interno di uno stabilimento industriale nella quale si possa accedere solo in funzione della attività che in detta area è svolta (Trib. Milano 10 marzo 1986 in Arch. Giur. Circol. 1986, 875);

c) nell'area privata di un condominio, se non sia stato provato che questa area risulti accessibile – per una qualsiasi ragione – ad un numero indeterminato di soggetti (Trib. Milano 9 aprile 1984 in Assicurazioni, 1984, II, 244).

È principio altrettanto pacifico, oramai, che nel concetto di circolazione rientra anche la sosta, purché il danno non sia stato provocato da un fatto idoneo ad interrompere il nesso della sua derivazione causale dalla circolazione stradale, degradandola a mera occasione del sinistro (Cass. civ., sez. III, 5 marzo 2013, n. 5398; Cass. civ., sez. III, sent., 14 febbraio 2012, n. 2092; Cass. civ., sez. III, sent., 13 luglio 2011, n. 15392; Cass. civ., sez. III, sent., 11 febbraio 2010, n. 3108). In tal senso, la Corte Suprema ha esteso la applicabilità dell'art. 2054 c.c. anche al caso in cui a determinare il danno a terzi siano state le fiamme di un incendio sprigionatesi su un'auto in sosta, a meno che non sia data la prova che l'incendio sia stato dolosamente appiccato (Cass. civ., sez. III, sent., 20 luglio 2010, n. 16895) ed anche a quei danni cagionati dal compimento, da parte del conducente, di operazioni prodromiche alla messa in marcia del veicolo, come la apertura e/o chiusura della portiera (Cass. civ., sez. III, sent., 21 settembre 2005, n. 18618; Cass. civ., sez. III, sent., 27 aprile 2005, n. 8785; Cass. civ., sez. III, sent., 5 luglio 2004, n. 12284; Cass. civ., sez. III, sent., 6 giugno 2002, n. 8216 in un caso in cui, però la portiera è stata aperta da un terzo trasportato, il quale risponde ai sensi dell'art. 2043 c.c. in solido con il conducente dell'autovettura).

La norma in esame si applica tutte le volte in cui il danno sia stato provocato da un veicolo senza guide di rotaie. Ai sensi dell'art. 46 d.lgs. 30 aprile 1992, n. 285 (nuovo codice della strada), sono veicoli tutte le macchine di qualsiasi specie che circolano sulle strade e che sono guidate dall'uomo.

Tra queste vi sono anche i veicoli a braccia, ossia quelli spinti o trainati dall'uomo a piedi ovvero quelli azionati dalla forza muscolare dello stesso conducente (quando avviene sulla pubblica via, quindi, anche l'uso di pattini a rotelle potrebbe costituire circolazione ai sensi dell'art. 2054 c.c.).

Nella nozione di veicolo è senz'altro annoverato il velocipede (Cass. pen., sez. IV, sent., 7 febbraio 1991) ma è stato considerato tale anche il carrello di un supermercato (Pret. Pistoia 30 dicembre 1983, in Giust. Civ. 1984, I, 1674); inoltre la giurisprudenza ha applicato l'art. 2054 c.c. quando a causare il sinistro sia stato un quadriciclo (Trib. Monza 30 novembre 2007, in Arch. giur. circol. e sinistri 2009, 7-8, 635), una escavatrice meccanica (Cass. civ., sez. III, sent., 7 luglio 2006, n. 15521; Cass. civ., sez. III, sent., 27 febbraio 1980, n. 1378), un carrello elevatore (Trib. Roma 5 giugno 2012, n. 11665, in Guida al Diritto 2012, 35, 94; Cass. civ., sez. II, sent., 19 gennaio 2007, n. 1254) ma non quando l'incidente sia stato provocato da un mezzo meccanico (nella specie un carrello elevatore) che non sia abilitato a circolare su strada (App. Lecce 14 maggio 1990, in Riv. It. Leasing 1990, 434).

Infine, perché possa applicarsi il secondo comma dell'art. 2054 c.c. occorre che tra i veicoli coinvolti nel sinistro vi sia stato uno scontro, ossia che vi sia stata una materiale collisione e/o un urto (Cass. civ., sez. III, sent., 24 maggio 2006, n. 12370; Cass. civ., sez. III, sent., 23 luglio 2002, n. 10751; Trib. Modena 26 novembre 2012, n. 1795, in Giur. Locale, Modena 2013; Trib. Bari 10 maggio 2012, in Giur. Mer. 2012, 7-8, 1574; Trib. Catanzaro 18 maggio 2011; Trib. Roma 4 gennaio 2010, n. 411, in Guida al Diritto 2010, 13, 74).

Tuttavia, la giurisprudenza ha precisato che la norma si applica quando, pur non essendovi stato urto con uno dei veicoli coinvolti nel sinistro, sia stato accertato in concreto il nesso causale tra la condotta del conducente alla guida del veicolo rimasto estraneo allo scontro ed il sinistro: in questi casi, potrà farsi ricorso alla presunzione di cui all'art. 2054 comma 2 c.c. quando si dovrà graduare il concorso di colpa tra i vari corresponsabili (Cass. civ., sez. III, sent., 9 marzo 2012 n. 3704; Trib. Piacenza 27 gennaio 2011, n. 48, in Giur. Merito 2011, 3, 711; Trib. Roma 19 aprile 2005).

La Suprema Corte ha anche chiarito che non occorre, per la applicazione dell'art. 2054 comma 2 c.c., che nello scontro siano rimaste coinvolte necessariamente due autovetture, ben potendo operare la presunzione di cui alla disposizione in commento anche quando, ad esempio, la collisione sia avvenuta tra una autovettura ed una bicicletta (Cass. civ., sez. III, sent., 5 maggio 2009, n. 10304); e non occorre neppure che i due veicoli siano entrambi in movimento, ben potendo esserlo uno soltanto dei due (Trib. Roma 20 marzo 2006).

L'art. 2054 c.c., che è norma di carattere generale, si applica anche al trasportato, il quale ha diritto di agire sia nei confronti del conducente e del proprietario del veicolo ove egli viaggiava al momento dell'incidente sia nei confronti del proprietario e del conducente del veicolo antagonista, a nulla rilevando il titolo del trasporto, ben potendo invocarsi la norma in questione anche nel caso in cui si sia in presenza di trasporto a titolo di cortesia (Cass. civ., sez. III, sent., 7 ottobre 2010, n. 20810; Cass. civ., sez. III, sent.,31 marzo 2008, n. 8292; Cass. civ., sez. III, sent., 28 novembre 2007, n. 24749; Cass. civ., sez. III, sent., 20 febbraio 2007, n. 3937; Cass. civ., sez. III, sent., 1 giugno 2006, n. 13130; Cass. civ., sez. III, sent., 13 aprile 2004, n. 7005; Cass. civ., sez. III, sent., 3 marzo 2004, n. 4353; Cass. civ., sez. III,sent., 26 ottobre 1998, n. 10629; Trib. Nola 12 gennaio 2012 in Giur. Mer. 2012, 9, 1845; Trib. Novara 23 marzo 2011; Trib. Bari 6 ottobre 2007, n. 2272 in Giusrisprudenzabarese.it).

È stato affermato che il trasportato ha ugualmente diritto al risarcimento del danno anche qualora abbia accettato si salire a bordo di una autovettura il cui conducente fosse in stato di ebbrezza, qualora all'esito della attività istruttoria non fossero emersi elementi atti a denotare la apparenza evidente della alterazione connessa al consumo di alcol (Trib. Poggio Mirteto 9 gennaio 2008 in il Merito 2008, 9, 36).

Tuttavia, se il trasportato è anche proprietario dell'autoveicolo sul quale egli viaggiava al momento dell'incidente, la giurisprudenza ha ritenuto che al predetto debba applicarsi la presunzione di concorso di colpa prevista dall'art. 2054 c.c., che può essere superata solo dimostrando che il conducente del mezzo ove egli si trovava si era uniformato alle norme sulla circolazione stradale ed a quelle di comune prudenza (Cass. civ., sez. III, sent., 18 gennaio 2006, n. 834).

Infine, se il trasportato non ha fatto uso delle cinture di sicurezza, il conducente risponde ugualmente dei danni subiti dal primo essendo suo preciso dovere assicurarsi che la marcia del veicolo avvenga in assoluta sicurezza e nel rispetto delle normali norme di prudenza (Cass. civ., sez. III, sent., 15 maggio 2012, n. 7533; Cass. civ., sez. III, sent., 11 marzo 2004, n. 4993).

Elemento soggettivo

La disposizione in commento, come detto, imputa la responsabilità di un sinistro a determinati soggetti che si trovino in una relazione particolare con il veicolo.

Innanzitutto la norma prende in esame la posizione del conducente, il quale è sempre obbligato a risarcire il danno prodotto a persone o cose dalla circolazione del veicolo, se non prova di avere fatto tutto il possibile per evitarlo.

Secondo costante giurisprudenza, il comma 1 dell'art. 2054 c.c. stabilisce una responsabilità presuntiva, nel senso che la colpa del conducente si presume sino a prova contraria (in tal senso Cass. civ., sez. III, sent., 5 marzo 2013, n. 5399; Cass. civ., sez. III, sent., 13 febbraio 2013, n. 3542; Cass. civ., sez. III, sent., 6 settembre 2012, n. 14959; Cass. civ., sez. III, sent., 13 marzo 2012, n. 3966; Cass. civ., sez. III, sent., 11 giugno 2010, n. 14064. Ed anche Trib. Roma 5 giugno 2012, n. 11663, in Guida al diritto 2012, 32, 81; Trib. Trento 11 ottobre 2011, n. 832, in Guida al diritto 2012, 5, 52) a meno che questi non dia la prova di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno.

Il secondo comma, invece, disciplina l'ipotesi particolare del sinistro stradale nel quale siano rimasti coinvolti due veicoli: nel caso di scontro, infatti, si presume che ciascuno dei due conducenti abbia concorso ugualmente a produrre il danno.

La norma ha carattere sussidiario perché, per costante giurisprudenza, alla sua applicazione il giudice deve ricorrere quando non sia stato possibile accertare in concreto il grado di colpa di ciascuno dei conducenti che siano rimasti coinvolti nell'incidente (Cass. civ., sez. III, sent., 23 maggio 2013, n. 12667; Cass. civ., sez. III, sent., 14 marzo 2013, n. 6483; Cass. civ., sez. III, sent., 10 dicembre 2012, n. 22381; Cass. civ., sez. III, sent., 26 gennaio 2012, n. 1144; Cass. civ., sez. III, sent., 5 dicembre 2011, n. 26004; Cass. civ., sez. III, sent., 12 aprile 2011, n. 8409.

Più incerta, invece, è la giurisprudenza quando definisce in cosa debba consistere la prova liberatoria.

In linea di principio ed a mente del comma 1 dell'art. 2054 c.c., il conducente – che voglia vincere la presunzione di colpa – ha l'onere di dimostrare di avere fatto tutto il possibile per evitare il danno, anche qualora il sinistro sia stato provocato dalla condotta colposa dello stesso danneggiato.

In questo senso la Suprema Corte ha escluso che sia sufficiente, ai fini del superamento della presunzione di cui all'art. 2054 comma 1 c.c., l'accertamento del comportamento colposo del pedone, occorrendo sempre che il conducente dia la prova, per andare esente da responsabilità, non solo di essersi attenuto alle normali regole di condotta imposte dal codice della strada ma di avere agito con una maggiore diligenza, dimostrando di avere fatto tutto il possibile per evitare il danno (Cass. civ., sez. III, sent., 5 marzo 2013, n. 5399).

In particolare, è stato affermato che per vincere la presunzione ex art. 2054 comma 1 c.c. non basta che il veicolo procedesse alla velocità consentita nel centro abitato in condizioni ottimali, ma occorre che il conducente dia la prova di avere costantemente adeguato la velocità alle circostanze del caso concreto (Cass. civ., sez. III, sent., 13 febbraio 2013, n. 3542). Né sarebbe sufficiente, per vincere la presunzione, che il sinistro sia stato preceduto dallo scoppio di un pneumatico, perché questo evento non esonera il conducente dall'onere di provare sia che lo scoppio non sia dovuto a difetto di manutenzione sia che la perdita di controllo del mezzo in seguito al detto scoppio sia stato inevitabile e non abbia consentito alcuna manovra di emergenza (Cass. civ., sez. III. sent., 6 settembre 2012, n. 14959; Cass. civ., sez. III, sent., 11 giugno 2010, n. 14068, la quale ha chiarito che lo scoppio del pneumatico è imputabile al conducente quando esso è dipeso da cause note o ragionevolmente prevedibili quali: la qualità e lo stato del fondo stradale, lo stato di usura dei copertoni, la temperatura particolarmente elevata o la velocità in relazione alle caratteristiche del veicolo).

Tuttavia, anche qualora il conducente non sia stato in grado di fornire la prova di avere fatto tutto il possibile per evitare il danno, non è comunque preclusa l'indagine in ordine al concorso di colpa del pedone, con la conseguenza che se ne debba affermare la concorrente responsabilità ai sensi dell'art. 1227 comma 1 c.c. ove siano accertate la pericolosità e la imprudenza della sua condotta (Cass. civ., sez. III, sent., 13 marzo 2012, n. 3966; Trib. Roma 5 giugno 2012, n. 11663, in Guida al diritto 2012, 32, 81. Ma sembrerebbe in senso parzialmente difforme Cass. civ., sez. III, sent., 11 giugno 2010, n. 14064 secondo la quale è pur sempre onere del conducente dimostrare che la causa esclusiva dell'investimento di un pedone sia stata la condotta di quest'ultimo, consistente nella sua improvvisa ed imprevedibile apparizione sulla traiettoria di marcia del veicolo, mentre Trib. Trento 11 febbraio 2011, n. 832, in Guida al diritto 2012, 5, 52, pur ribadendo che l'onere della prova liberatoria grava sul conducente, ha chiarito che questa può essere fornita direttamente, ossia dimostrando di avere osservato una condotta di guida perfettamente conforme alle norme che regolano la circolazione stradale ed ispirata al grado di prudenza e diligenza richiesto dal caso concreto, o indirettamente se risulti con certezza, dalle modalità del fatto, che non vi fosse alcuna possibilità per il conducente di evitare l'incidente perché, ad esempio, il pedone ha compiuto un movimento inatteso e repentino).

Nel caso di scontro tra veicoli, invece, si registrano due orientamenti: uno, meno rigoroso, secondo il quale la presunzione ex art. 2054 comma 2 c.c. è superata dall'accertamento in concreto della condotta colposa di uno dei due conducenti che abbia avuto efficacia causale assorbente nella produzione dell'evento (Cass. civ., sez. VI, sent., 16 settembre 2013, n. 21130; Cass. civ., sez. III, sent., 2 agosto 2013, n. 18497; Cass. civ. sez. III, sent., 10 dicembre 2012, n. 22381), e l'altro, più rigido, secondo il quale l'accertamento della colpa esclusiva di uno dei conducenti non libera l'altro dalla presunzione di concorrente responsabilità se non ha fornito la prova di avere fatto tutto il possibile per evitare il danno (Cass. civ., sez. VI, sent., 22 febbraio 2013, n. 4646; Cass. civ., sez. III, sent., 13 febbraio 2013, n. 3543; Cass. civ., sez. III, sent., 13 dicembre 2012, n. 22910; Cass. civ., sez. III, sent., 6 settembre 2012, n. 14961; Cass. civ., sez. III, sent., 12 giugno 2012, n. 9528).

Alla responsabilità del conducente si accompagna sempre quella del proprietario del veicolo o, in sua vece, dell'usufruttuario o dell'acquirente con patto di riservato dominio: costoro, infatti, sono obbligati in solido con il conducente, se non provano che la circolazione del veicolo è avvenuta contro la loro volontà.

Prima di illustrare le caratteristiche e la natura della responsabilità del proprietario, è opportuno soffermarsi brevemente sulla fattispecie del veicolo che sia stato concesso in leasing.

Nel regime giuridico antecedente il nuovo codice della strada (d.lgs. 30 aprile 1992, n. 285), la giurisprudenza, facendo applicazione del comma 3 dell'art. 2054 c.c., imputava al concedente e non all'utilizzatore le conseguenze dannose derivanti dalla circolazione del veicolo: si riteneva, cioè, che la elencazione dei soggetti solidalmente obbligati con il conducente fosse tassativa e che essa, nelle ipotesi di scissione tra proprietà e disponibilità del veicolo, non potesse ampliarsi ricomprendendovi anche l'utilizzatore in leasing, con la ulteriore conseguenza che di questi danni avrebbe dovuto risponderne solo la società che, in quanto proprietaria del veicolo, lo aveva concesso in leasing (Cass. civ., sez. III, sent., 9 dicembre 1992, n. 13015; Trib. Milano 13 luglio 1995, in Gius. 1995, 3591; Trib. Torino 8 agosto 1995, in Resp. Civ. Prev. 1996, 282). Merita, però, di essere ricordata una decisione con la quale era stata esclusa la legittimazione passiva del proprietario, che fosse solo formalmente intestatario del veicolo dato in leasing e coinvolto in un incidente stradale, quando le condizioni del contratto di leasing prevedevano che l'utilizzatore fosse obbligato ad assicurarsi per la responsabilità civile derivante dalla circolazione del veicolo e fosse obbligato a manlevare la società concedente: in tal caso, solo l'utilizzatore avrebbe dovuto rispondere del danno perché equiparato all'usufruttuario (Trib. Casale Monferrato 23 maggio 1997, in Giur. Mer. 1998, 15).

L'incertezza è stata risolta dal legislatore che, emanando il nuovo codice della strada, ha espressamente previsto la responsabilità dell'utilizzatore del veicolo e non anche quella della società che lo abbia concesso in leasing (art. 91 comma 2 d.lgs. 30 aprile 1992, n. 285). Ha infine chiarito la giurisprudenza che la responsabilità dell'utilizzatore è esclusiva, vertendosi in ipotesi di responsabilità alternativa e non concorrente (Cass. civ., sez. III, sent., 8 maggio 2007, n. 10424; Cass. civ., sez. III, sent., 25 maggio 2004, n. 10034; Trib. Milano 29 novembre 2010, n. 13674) e che la nuova disposizione non ha natura retroattiva e non si applica ai sinistri stradali verificatisi prima della sua entrata in vigore (Cass. civ., sez. III, sent., 24 gennaio 2012, n. 947).

Passando a trattare la responsabilità del proprietario (o dell'usufruttuario e dell'acquirente con patto di riservato dominio), occorre innanzitutto stabilire se trattasi di responsabilità per colpa od oggettiva.

La norma prevede che il proprietario risponde sempre dei danni arrecati a terzi dalla circolazione dell'autoveicolo, se non prova che la circolazione è avvenuta contro la sua volontà.

Secondo un consolidato orientamento, l'art. 2054 comma 3 c.c. prevede una responsabilità senza colpa per fatto altrui (Cass. civ., sez. III, sent., 13 dicembre 2010, n. 25127; Cass. civ., sez. III, sent., 28 settembre 2009, n. 20744; Cass. civ., sez. III, sent., 19 ottobre 2006; Trib. Gela 28 maggio 2007, in Il merito 2007, n. spec. 4, 26) dalla quale il proprietario si libera solo se riesce a provare che la circolazione è avvenuta contro la sua volontà, ossia se dimostra di avere adottato un concreto ed idoneo comportamento ostativo, specificamente inteso ad impedire la circolazione del veicolo mediante l'adozione di specifiche cautele (Cass. civ., sez. III, sent., 14 luglio 2011 n. 15478; Cass. civ., sez. III, sent., 7 luglio 2006, n. 15521; Trib. Bari 6 settembre 2012, n. 2767 in Gurisprudenzabarese.it 2013). Ha anche precisato la Suprema Corte che la estensione della responsabilità al proprietario del veicolo, ex art. 2054 comma 3 c.c., opera sia nel caso in cui la colpa del conducente sia affermata in concreto sia nel caso in cui sia riconosciuta in maniera presuntiva (Cass. civ., sez. III, sent., 29 settembre 2005, n. 19144).

Il proprietario, l'usufruttuario e l'acquirente con patto di riservato dominio rispondono anche dei danni che siano stati arrecati a terzi da vizi di costruzione o da difetto di manutenzione del veicolo. Si tratta di una ipotesi di responsabilità oggettiva che può essere vinta solo se si prova la interruzione del nesso causale, ossia se si dimostra che a cagionare il danno è stato un fattore esterno dotato di autonoma ed esclusiva efficienza causale (Cass. civ., sez. III, sent., 9 marzo 2004, n. 4754). Ovviamente, nel caso in cui sia affermata la responsabilità ai sensi dell'ultimo comma dell'art. 2054 c.c., rimane impregiudicato il diritto del proprietario e degli altri soggetti individuati dalla norma di agire in garanzia nei confronti del costruttore (Trib. Bari 17 ottobre 2013).

Questioni processuali

L'art. 2054 c.c. ha dato luogo anche ad alcuni problemi interpretativi di natura processuale.

La Suprema Corte ha riconosciuto la legittimazione ad agire del cessionario, giacché il credito di natura risarcitoria è sempre suscettibile di cessione, anche quando abbia ad oggetto il ristoro del danno di natura non patrimoniale: quest'ultimo, infatti, non si può inquadrare tra i diritti strettamente personali la cui cessione è vietata dall'art. 1260 c.c. (Cass. civ., sez. III, sent., 3 ottobre 2013, n. 22601; Cass. civ., sez. III, sent., 10 gennaio 2012,nn. 51 e 52).

La legittimazione attiva è stata riconosciuta anche al conducente non proprietario che, per ragioni contingenti, abbia la detenzione del veicolo rimasto coinvolto nell'incidente e che abbia anticipato i costi delle riparazioni: occorre, però, che l'attore fornisca la prova sia della esistenza di un titolo che lo obbliga a tenere indenne il proprietario del veicolo sia dell'adempimento dell'obbligazione indennitaria (Cass. civ., sez. III, sent., 27 luglio 2012, n. 13380; Cass. civ., sez. III, sent., 14 luglio 2011, n. 15458)

Si è posto anche il problema di stabilire se sia capace di testimoniare il conducente di uno dei veicoli coinvolti nel sinistro, in particolar modo quando si controverte in materia di danni materiali e l'azione sia stata promossa dal proprietario del veicolo danneggiato.

La Suprema Corte ha escluso che il conducente sia titolare di un interesse personale, concreto ed attuale ad intervenire nel giudizio promosso dal proprietario quando il danneggiante, evocato in giudizio, non abbia proposto a sua volta domanda riconvenzionale, e conseguentemente ha ritenuto ammissibile la escussione del conducente (Cass. civ., sez. III, sent., 25 maggio 1993, n. 5858).

La giurisprudenza di merito non sempre ha seguito l'indirizzo della Cassazione perché alcuni giudici hanno escluso la capacità a testimoniare del conducente (Pret. Torino 27 giugno 1996, in Arch. giur. circol. e sinistri 1996, 647; Pret. Catania 26 febbraio 1996 in Arch. giur. circol. e sinistri 1996, 310 in un caso in cui, però, il conducente aveva subito danni ed aveva dichiarato di non volere agire per i risarcimento) ed altri l'hanno ammessa (GdP Torino 13 novembre 2006; GdP Milano 25 settembre 2006, in Il Civilista 2009, 11, 21).

Recentemente, e più in generale, la Suprema Corte ha precisato che la vittima di un sinistro stradale è sempre incapace di testimoniare, anche qualora essa sia stata integralmente ristorata del danno (Cass. civ., sez. III, sent., 14 febbraio 2013, n. 3642).

Sempre in materia di prova, non può ascriversi efficacia probatoria al modulo CID quando i fatti ivi descritti siano incompatibili con le modalità del sinistro accertate nel giudizio (Cass. civ., sez. III, sent., 25 giugno 2013, n. 15881) e comunque la constatazione amichevole di incidente stradale, pur se sottoscritta da entrambe le parti, non è vincolante per il giudice, che la valuterà liberamente (Trib. Roma 5 giugno 2006).

Infine, altra questione processuale riguarda l'ipotesi in cui il trasportato proponga l'azione giudiziaria nei confronti del conducente del veicolo antagonista e non anche nei confronti del proprio vettore: secondo la giurisprudenza, in questa scelta processuale non può ravvisarsi una rinuncia tacita alla solidarietà (Cass. civ., sez. III, sent., 8 novembre 2012, n. 19298) e neppure una remissione tacita del debito nei confronti del corresponsabile del danno non citato in giudizio (Cass. civ., sez. III, sent., 2 luglio 2010, n. 15737). Parimenti, non si verifica alcuna remissione di debito e non si verte in ipotesi di rinuncia alla solidarietà anche nel caso in cui il danneggiato abbia promosso l'azione giudiziaria per il conseguimento dell'intero risarcimento assieme ad uno dei conducenti coinvolti nel sinistro e con il medesimo difensore (Cass. civ., sez. III, sent., 12 settembre 2005, n. 18090): la volontà di rimettere un debito, infatti, non può presumersi ma deve emergere da un comportamento concludente che riveli in modo univoco l'intenzione del creditore di non esercitare le proprie ragioni creditorie.

Prescrizione

Il diritto al risarcimento del danno si prescrive in 2 anni dal giorno in cui il fatto si è verificato (art. 2947 comma 2 c.c.).

Tuttavia, se il fatto è considerato dalla legge come reato e se per il reato è previsto un termine più lungo, questo si applica anche all'azione civile; se il reato si è estinto per causa diversa dalla prescrizione o è intervenuta sentenza irrevocabile nel giudizio penale, il diritto al risarcimento del danno si prescrive in 2 anni, che cominciano a decorrere dalla data di estinzione del reato o dalla data in cui la sentenza penale è divenuta irrevocabile.

Il termine più lungo previsto per la prescrizione del reato si applica anche nel caso in cui il processo penale non sia iniziato per mancanza di querela, purché il giudice civile accerti, incidenter tantum e con gli strumenti probatori ed i criteri propri del procedimento civile, la sussistenza di una fattispecie che integri tutti gli estremi di un fatto reato in tutti i suoi elementi costitutivi, soggettivi ed oggettivi (Cass. civ., S.U.,sent., 18 novembre 2008, n. 27337; Cass. civ., sez. III, sent., 23 settembre 2010, n. 20111).

Secondo un consolidato orientamento della Cassazione, l'estinzione del reato per la morte del reo faceva decorrere il termine biennale dal momento dell'evento e non già da quello in cui l'estinzione fosse stata dichiarata ovvero dal momento in cui il danneggiato ne avesse avuto notizia (Cass. civ., sez. III, sent., 13 dicembre 2010, n. 25126).

Tuttavia le Sezioni Unite hanno mutato orientamento, precisando che il termine di prescrizione più breve inizia a decorrere dal momento in cui sia divenuta irrevocabile la sentenza penale dichiarativa di quella estinzione (Cass. civ., S.U., sent., 5 aprile 2013, n. 8348).

Se, dopo il fatto illecito, il termine di prescrizione previsto per il reato è modificato dal legislatore, continua ad applicarsi quello del momento in cui è stato commesso l'illecito (Cass. civ., sez. III, sent., 27 luglio 2012, n. 13407).

Infine, sebbene l'interruzione della prescrizione operata nei confronti di uno dei responsabili solidali abbia efficacia nei confronti degli altri (Cass. civ., sez. III, sent., 2 febbraio 2006), questo effetto non si verifica quando l'atto introduttivo del giudizio sia stato notificato nei confronti di alcuni dei condebitori e l'attore accerti, solo in seguito alla chiamata in causa da parte dei convenuti, l'esistenza di altri responsabili solidali: in questo caso l'eventuale termine di prescrizione più lungo decorre non dal fatto ma dalla chiamata in causa (Cass. civ., sez. III, sent., 7 aprile 2010, n. 8234).