Anestesista e sua responsabilità

Angelica Scozia
18 Aprile 2014

L'anestesista-rianimatore è figura professionale inquadrabile nell'ambito del rapporto di lavoro dipendente della struttura pubblica o privata oppure quale libero esercente l'attività medica. L'ampia gamma di competenze cui è chiamato ad assolvere questo professionista necessita di una panoramica che, pur non esaustiva, individui i principali compiti e ambiti di competenza soprattutto nell'ambito dell'équipe medica.

Nozione

L'anestesista-rianimatore è il medico specializzato nel proteggere l'organismo del paziente dall'aggressione chirurgica e nell'annullare il dolore. Il suo compito consiste nel controllo e recupero delle funzioni vitali del paziente prima, durante e dopo l'intervento chirurgico.

L'anestesista è chiamato ad intervenire sia in operazioni chirurgiche programmate sia in situazioni di emergenza e/o urgenza in cui il fattore tempo è spesso determinante per la tutela del bene vita.

Il professionista sceglie la terapia anestesiologica (generale o loco-regionale) che garantisca al paziente maggiori vantaggi e minimi rischi a seconda del tipo di operazione chirurgica o diagnostica, in base al suo stato di salute e, ove possibile, tenendo conto di quanto appreso durante la visita specialistica prima dell'intervento.

L'anestesista, inoltre, coordina gli infermieri di anestesia, dando le indicazioni per la preparazione del paziente, e, somministrata l'anestesia e posizionato il paziente sul tavolo operatorio, lo assiste fino al risveglio, scegliendo la terapia antalgica per il periodo post-operatorio.

Oltre a tali compiti, l'anestesista somministra la terapia del dolore di secondo livello, ovvero di fase acuta o di lunga durata, in pazienti affetti da malattie neoplastiche o patologie croniche e degenerative; la legge 15 marzo 2010, n. 38 – finora poco applicata in Italia – ha segnato un importante passo avanti nelle cure palliative, tra cui rientra la terapia analgesica, introducendo, tra l'altro, l'obbligo di registrare il dolore del malato nella cartella clinica (art. 7).

Infine, l'introduzione della legge 22 dicembre 2017, n. 219 sulle Disposizioni Anticipate di Trattamento ha ulteriormente ampliato i compiti del medico, tra cui l'anestesista, che è chiamato a rispettare la volontà della persona non solo sulle cure palliative ma anche sulla sedazione profonda continua in associazione alla terapia del dolore in presenza di sofferenze refrattarie ai trattamenti sanitari (art. 2).

Per individuare la responsabilità professionale dell'anestesista-rianimatore e valutarne l'operato secondo i parametri della colpa medica è necessario ricondurre la varietà dei suoi compiti ad alcune fattispecie ricorrenti, tenendo conto che da un lato la sua prestazione assume una connotazione autonoma, e, dall'altro, operando in collaborazione con altri specialisti, dal chirurgo al cardiologo, è spesso difficile individuare le sue specifiche responsabilità e graduarle rispetto alle condotte degli altri medici dell'équipe.

Elemento oggettivo

L'elemento oggettivo della responsabilità dell'anestesista consiste nella lesione del diritto alla vita, alla salute ed alla dignità ed autodeterminazione della persona, tutelati dalla Costituzione e dalla CEDU, contemperati dalla necessità di salvare la vita del paziente in caso di urgenza e/o emergenza, e nella tenuta cartella anestesiologica, che in caso di inadeguata o incompleta compilazione comporta importanti ricadute in termini di onere della prova (v. infra).

I casi di danno del bene salute o vita sono spesso riferibili a situazioni in cui il professionista determina un pregiudizio temporaneo (ad esempio disfonia o frattura dentale al momento dell'intubazione o estubazione del paziente sottoposto ad anestesia) o irreversibile al paziente o ne provoca il decesso, essendo a lui affidato il monitoraggio delle funzioni vitali del malato (ad esempio cuore, circolazione sanguigna e ossigenazione).

Il danno alla autodeterminazione del paziente si riferisce alla violazione del diritto ad esprimere il consenso libero ed informato sui trattamenti, anestesiologici e non, a cui sottoporsi, cui corrisponde il dovere di informazione completa e comprensibile da parte del medico; in tale contesto l'anestesista riveste un ruolo fondamentale ai fini della rappresentazione dei rischi connessi all'anestesia nonché ai fini della tracciabilità delle scelte anestesiologiche in caso di situazioni di emergenza/urgenza.

L'anestesista è tenuto alla compilazione della Scheda Anestesiologica Perioperatoria, di cui è responsabile, che deve rispondere ai criteri di chiarezza, accuratezza, veridicità, pertinenza, rintracciabilità e completezza al fine di consentire l'esercizio di diritti nonché la tutela di interessi legittimi della persona assistita.

Elemento soggettivo

La prestazione dell'anestesista è riconducibile - in tutto o in parte - alle prestazioni mediche svolte in équipe, che comportano la valutazione e la graduazione delle rispettive responsabilità dei partecipanti all'intervento chirurgico: tale indagine ha importanti riflessi sulla corresponsabilità sia dei professionisti sia della struttura ospedaliera, pubblica o privata, ed anche sugli aspetti assicurativi, per la ripartizione delle percentuali di responsabilità in caso di regresso interno (sul punto si rimanda a GIULIA ANNA MESSINA,Responsabilità civile del medico in équipe, 19 agosto 2019 in Ridare.it).

Ciascun professionista dell'équipe, pur dovendo vigilare sull'operato dei colleghi, risponde del corretto adempimento dei doveri inerenti i compiti affidatigli, nel limite del noto principio dell' “affidamento”; sfugge a tale principio solo la responsabilità del capo-équipe, il cui potere-dovere di controllo finisce per coinvolgere tutta l'attività svolta durante l'operazione medico-chirurgica compresa l'attività dell'anestesista, fino al decorso post-operatorio (ad esclusione della fase antecedente a quella operatoria).

Le scelte terapeutiche e/o diagnostiche dell'anestesista sono sottoposte al vaglio delle Linee Guida: il suo comportamento, infatti, deve uniformarsi alle buone prassi e raccomandazioni elaborate dagli enti pubblici e dalle società scientifiche (si vedano ad esempio le Linee Guida e Buone Pratiche Cliniche della SIAARTI – Società Italiana Anestesia Analgesia Rianimazione Terapia Intensiva oppure le Linee Guida Regionali, pubblicate da ciascuna A.S.L.).

La responsabilità soggettiva del curante, infatti, sorge qualora egli abbia compiuto scelte difformi alle Linee Guida, tenendo necessariamente in conto l'analisi del caso concreto dal quale non può prescindersi e ciò soprattutto nel campo della medicina di urgenza ed emergenza praticata dall'anestesista.

Nesso di causalità

Oltre alla prova della condotta colposa dell'anestesista, occorre anche la prova del nesso causale tra la condotta e l'evento: in particolare si distingue tra la condotta colposa “attiva”, tale da determinare con certezza l'evento dannoso e quella “passiva” od omissiva, tale da determinare con probabilità l'evento dannoso.

La causalità omissiva, fondata su un giudizio ipotetico o prognostico, va valutata in relazione all'autonomia dell'anestesista nella scelta del trattamento terapeutico nel rispetto delle Linee Guida: il rispetto di esse, secondo quanto disciplinato dal “Decreto Balduzzi” n. 158 del 13 settembre 2012, vale ad escludere la responsabilità del professionista.

Sul tema è intervenuta la legge “Gelli-Bianco” n. 24 dell'8 marzo 2017, superando l'orientamento giurisprudenziale iniziato con la sentenza della Corte di Cassazione 22 gennaio 1999, n. 589, che ha stabilito un lato la responsabilità extracontrattuale del medico, ferma restando la responsabilità contrattuale in caso di obbligazione assunta direttamente con il paziente, e la responsabilità contrattuale della struttura sanitaria.

Il sistema del doppio binario del titolo di responsabilità ha ricadute importanti sull'onere della prova secondo le regole che governano la responsabilità da inadempimento.

Da ultimo la recente giurisprudenza della Corte di Cassazione (si vedano in proposito le sentenze Cass. civ., 26 luglio 2017 n. 18392 e Cass. civ., 7 dicembre 2017 n. 29315) ha individuato un duplice ciclo causale, l'uno relativo all'evento dannoso - che deve essere provato dal danneggiato, e uno relativo alla impossibilità ad adempiere - che deve essere provato dal danneggiante.

Il paziente, in sostanza, è onerato della prova del nesso causale tra il danno (ovvero l'insorgenza o l'aggravamento della patologia) e la condotta del sanitario, mentre il professionista è tenuto a provare la causa imprevedibile o inevitabile che ha reso impossibile la sua prestazione.

Il recente orientamento della Corte di Cassazione si avvicina alla novella legislativa in tema di responsabilità sanitaria, equilibrando le posizioni delle parti in causa, pur ribandendo il criterio del “più probabile che non” a favore del danneggiato nonché il principio della “vicinanza della prova” a carico del professionista.

In tale quadro normativo e giurisprudenziale assumono valenza centrale le Linee Guida, la cui violazione tende a rendere oggettiva la colpa medica, purché il danneggiato le abbia richiamate (e provate, vedi infra) ed il medico se ne sia – anche immotivatamente - discostato.

Appare quindi evidente l'importanza di valutare la situazione concreta, soprattutto nel caso in cui l'anestesista debba risolvere problemi diagnostici e terapeutici in presenza di un quadro patologico complesso e possibile di diversificati esiti, cui si aggiunge l'urgenza della scelta anestesiologica, in relazione al comportamento degli altri medici, presenti all'intervento o intervenuti successivamente, che può – ma non sempre - interrompere il nesso causale.

Onere della prova

L'onere che incombe al danneggiato è la prova del comportamento colposo dell'anestesista presente all'intervento chirurgico e del nesso causale; spetta al professionista dimostrare di avere eseguito correttamente la sua prestazione, oscillante tra il rispettare le esigenze del paziente di trovarsi in condizioni idonee all'intervento, evidenziate dal chirurgo, ed escludere, ad esempio, deleterie conseguenze cardiorespiratorie e metaboliche del piano anestesiologico.

La cartella clinica riveste un ruolo fondamentale per la ricostruzione del nesso di causalità, è il documento principale attraverso cui accertare gli eventi clinici e la correttezza dell'iter diagnostico, terapeutico e curativo.

Ai sensi del d.P.R. n. 128 del 1969, art. 7, il medico è responsabile della tenuta della cartella clinica per tutta la durata del ricovero del paziente: oltre alla compilazione della cartella, il medico è tenuto alla sua conservazione sino alla consegna della stessa all'archivio centrale della struttura sanitaria che, da tale momento, è tenuta a custodirla per un tempo illimitato.

Per quanto concerne l'attività dell'anestesista, il documento di riferimento è la Scheda Anestesiologica perioperatoria, da redigere secondo le raccomandazioni di compilazione (secondo la SIAARTI i requisiti di contenuto del cartellino anestesiologico devono rispondere a criteri di chiarezza, accuratezza, veridicità, pertinenza, rintracciabilità e completezza).

La conservazione della cartella, dopo le dimissioni del paziente, è onere proprio della struttura e, in caso di smarrimento o di parti mancanti, il medico si trova in una posizione simmetrica rispetto a quella del paziente, rischiando di essere pregiudicato dalla impossibilità di documentare le attività svolte e regolarmente annotate nella cartella.

Per scongiurare tale pericolo, il medico citato in giudizio ha l'onere di produrre la copia della cartella clinica non potendo, in caso contrario, pretendere che siano imputate alla struttura eventuali lacune o mancanze della copia da questa prodotta; l'inadeguata compilazione della cartella clinica espone il professionista, ritenuto responsabile per colpa grave, all'azione di rivalsa della struttura.

Infine, si profilano situazioni diverse in ambito probatorio a seconda che l'intervento chirurgico sia routinario, oppure avvenga in situazione di emergenza e/o urgenza: non sempre, infatti, è possibile ricostruire i passaggi avvenuti in sala operatoria a causa della difficoltà di tracciare gli interventi di tutti gli operatori che si avvicendano nell'assistenza al paziente.

In tale caso su chi ricade la prova? E nel caso in cui essa non sia raggiunta, quale parte soccombe, il danneggiato o il medico? Oppure a struttura?

ONERE DELLA PROVA: ORIENTAMENTI A CONFRONTO

Parziale mancanza della cartella clinica, mancanza di prova liberatoria dei medici per insorgenza di infezione quale causa del decesso: il pregiudizio per il medico non opera qualora la incompleta cartella clinica sia addebitabile alla struttura sanitaria, purchè il sanitario ne faccia richiesta all'inizio della causa

Cass. civ., sez. III, 13 luglio 2018, n. 18567

L'incompletezza della cartella clinica non grava sul paziente, pur mancando la prova del nesso causale, purchè il comportamento del medico sia astrattamente idoneo a cagionare il danno secondo un criterio probabilistico

Cass. civ., sez. III, 08 novembre 2016, n. 22639

In caso di difettosa tenuta della cartella clinica si può ricorrere a presunzioni in tema di onere della prova, non potendo tradursi in un pregiudizio per il paziente l'inadempimento di un obbligo gravante sul medico

Cass. civ., sez. III, 31 marzo 2016, n. 6209

Aspetti processuali

La responsabilità medica va accertata con idonea CTU medico-legale che identifichi la condotta del professionista, il nesso causale ed il danno che sia diretta conseguenza dell'evento: il quesito al consulente assume quindi importanza fondamentale soprattutto nei casi di responsabilità dell'équipe medica e di richiesta, eventuale, di accertamento delle singole condotte degli operatori sanitari coinvolti nell'operazione chirurgica.

A tale proposito lo studio del quesito è diventato centrale proprio per le necessità di identificare le fasi dell'intervento, i suoi protagonisti e le lacune e/o carenze della cartella clinica e della scheda anestesiologica ed è auspicabile un continuo confronto con i medici-legali al fine di rappresentare il quadro normativo in cui le parti si muovono nel rispetto del principio dell'onere della prova, in modo che la CTU non diventi l'unico strumento a cui ricorrere al fine di fare valere le responsabilità dei medici e della struttura sanitaria.

Profili penalistici

La recentissima massima della Corte Costituzionale del 25 settembre 2019 sulla non punibilità ai sensi dell'art. 580 c.p. – a determinate condizioni – di chi agevola l'esecuzione del proposto di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi, di un paziente tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale in una situazione di patologia irreversibile, apre nuovi scenari possibili sulle cause di non punibilità dei medici anestesisti chiamati a somministrare la terapia del dolore e le cure palliative fino alla sedazione profonda: i casi mediatici, infatti, non tengono conto delle situazioni quotidiane che i professionisti sono chiamati ad affrontare in quella che viene definita “non-vita” e “non-morte” di molte persone che affrontano la malattia soltanto grazie alle ormai avanzate tecniche rianimatorie e farmacologiche.

Sulla responsabilità penale dell'anestesista si segnala la sentenza di Cass. pen., sez. IV, del 13 aprile 2018, n.33405 che fa il punto sull'art.590-sexies c.p. (interpretato dalla sentenza della Corte di Cassazione SSUU del 21 dicembre 2017, n. 8770): il caso riguardava il decesso di un bambino a seguito di intervento chirurgico, poiché l'anestesista aveva perforato le cupole pleuriche nei plurimi tentativi di incanulare le vene del collo (tentativi praticati in misura superiore a quelli previsti dalla casistica clinica). Condannata l'anestesista in primo grado, assolta in secondo grado, la Corte di Cassazione non entra nel merito dell'applicazione dell'art. 590-sexi es c.p.c, mancando le linee guida codificate in conformità a quanto richiesto dall'art. 5 della legge 24 del 2017, segnalando tuttavia che la Corte d'Appello che non aveva affrontato la problematicità relativa alla conformità dell'operato del medico alle leges artis ed al grado di colpa.

Si segnalano altresì le sentenze Cass. pen., sez. IV, del 11 maggio 2016, n. 26491 e Cass. pen., 10 marzo 2016, n. 15493 sulla sussistenza del nesso causale in due casi, uno in ambito di urgenza e l'altro in ambito di emergenza: nel primo, sottovalutata l'urgenza di un'operazione chirurgica da parte del pediatra, si innesca una responsabilità determinante dell'anestesista che vale ad interrompere il nesso causale della prima condotta; nel secondo, sorte complicanze cardiache per asistolia, l'anestesista – non avendo monitorato i tracciati di elettrocardiogramma – provoca gravi danni cerebrali per ritardo nell'esecuzione del massaggio cardiaco e viene ritenuto sussistente il rapporto di causalità tra l'omissione e l'evento.

Casistica

CASISTICA

Ritardato intervento dell'anestesista nel caso di arresto cardio-respiratorio ed anossia celebrale cui conseguiva demenza del paziente, pur con l'intervento tempestivo del cardiologo in fase di emergenza: necessità di una CTU percipiente

In un caso di arresto cardio-circolatorio in un intervento di angioplastica il cardiologo praticava le manovre di emergenza di ventilazione non invasiva e successivamente interveniva l'anestesista somministrando farmaci e intubando il paziente; tuttavia ne derivava una demenza da encefalopatia post anossica. Essendo incerti in cartella clinica gli orari di intervento dei medici, occorre fare ricorso ad una consulenza tecnica percipiente, quale fonte oggettiva di prova, in base alla quale il giudicante è tenuto a dare atto dei risultati conseguiti e di quelli non conseguibili su basi tecnico-scientifiche (Cass. civ., sez. III, 10 aprile 2019, n. 9984). (La Corte d'Appello di Torino con sentenza 20 maggio 2016 n. 842 rigettava l'appello promosso dal tutore del danneggiato, mancando la prova della responsabilità dell'ente convenuto, avendo i dipendenti agito nel rispetto dei criteri di competenza e prudenza ravvisabili nel caso di specie che non ravvisava la presenza di un anestesista durante tutto l'intervento per l'improbabilità della complicanza sorta ma anche perché il cardiologo era intervenuto con procedure non dissimili dall'anestesista nella prima fase di emergenza, richiedendo l'intubazione una fase preparatoria della strumentazione e una valutazione preliminare quale manovra invasiva).

Va motivata l'adesione alle risultanze degli accertamenti in sede penale rispetto alla CTU effettuata in sede civile in un caso di trattamento di crisi epilettica da parte dell'anestesista

La valutazione delle relazioni tecniche formatesi nel processo penale e nel processo civile sulla ricostruzione della causa di ipossia (per edema comparso in modo imprevedibile o per tardiva ventilazione del paziente) richiede che il giudicante indichi le ragioni per le quali si aderisce all'una o all'altra in un caso di trattamento di una crisi convulsiva avvenuta e trattata in sala operatoria che tuttavia aveva determinato un danno cerebrale. determinante una invalidità totale (Cass. civ., sez. III, 20 novembre 2018, n. 29844).

L'allegazione della rilevanza causale del ritardo nel trasporto del paziente in struttura pubblica è generica e non vale ad assolvere l'onere probatorio di cui all' art. 1218 c.c.

In un caso di ricovero presso una struttura privata per asportazione di una neoformazione surrenalica, in sala operatoria non si era dato luogo all'intervento per broncospasmo del paziente a causa di un'incauta intubazione dell'anestesista, a cui seguiva il trasferimento presso il reparto di rianimazione in un ospedale pubblico, effettuato con ritardo, che cagionava il processo che portava al decesso del paziente. Evidenziato nella perizia penale che il broncospasmo era dovuto ad una reazione allergica, in primo e secondo grado venivano respinte le richieste risarcitorie; la Corte di Cassazione respinge le domande, posto che la Corte d'Appello aveva ritenuto non raggiunta la prova del nesso causale secondo il criterio del “più probabile che non” (Cass. civ., sez. III, 13 luglio 2018, n. 18542).

lLa responsabilità dell'ente concorre con quella del chirurgo e dell'anestesista in caso di lesioni verificatesi per errato posizionamento della paziente sul lettino operatorio

Sussiste la responsabilità della struttura e dei medici intervenuti in una operazione di protesi discale per lesioni cutanee gravi determinate dal malposizionamento della paziente sul lettino operatorio: mancando la prova delle linee guida sui rispettivi compiti è onere del chirurgo e dell'anestesista controllare il corretto posizionamento della paziente; infatti il chirurgo presiede al posizionamento del paziente per una buona esposizione dal campo operatorio, mentre l'anestesista gestisce il capo del paziente e verifica il posizionamento ai propri fini (vie respiratorie e rianimazione d'urgenza). Sussista anche la responsabilità della struttura in relazione alle complicanze da posizionamento per omessa vigilanza sulla condotta e formazione del personale anche infermieristico (o in mancanza di prova liberatoria) Trib. Milano, 16 febbraio 2018 n. 1658.

L'incertezza sull'esistenza di un nesso di causa tra la condotta del medico e il danno subito dal paziente per la lacunosa compilazione della cartella clinica ricade sulla struttura sanitaria

In un caso di intervento chirurgico di riduzione di frattura scomposta su un minore, con minimo rischio anestesiologico, si verificava un grave episodio di desaturazione con arresto cardiaco ed anossia, causa di uno stato di come vegetativo irreversibile. L'episodio viene ricondotto ad una errata intubazione mentre per la struttura ad un evento imprevedibile, la iperattività delle vie aeree legata alle manovre di intubazione. A causa delle gravi lacune presenti nella cartella clinica e nella relazione complementare anestesiologica è risultato impossibile individuare la causa del danno: ne consegue che non essendovi elementi per ricondurre l'evento ad una evenienza imprevedibile e costituendo l'incompletezza della cartella clinica uno sbarramento insormontabile, il giudicante ha condannato la struttura sanitaria (Trib. Milano, 14 aprile 2016, n. 4694).

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