Impugnazione principale

05 Aprile 2016

Il codice di procedura civile è improntato all'esigenza di mantenere unito il giudizio di impugnazione e di evitare che la possibile molteplicità dei gravami conduca ad una proliferazione dei procedimenti, con conseguente dispersione di tempi e di attività nonché con il rischio di pronunce contrastanti.
Inquadramento

Il codice di procedura civile è improntato all'esigenza di mantenere unito il giudizio di impugnazione e di evitare che la possibile molteplicità dei gravami conduca ad una proliferazione dei procedimenti, con conseguente dispersione di tempi e di attività nonché con il rischio di pronunce contrastanti.

Questa esigenza ha imposto:

- la norma per la quale tutte le impugnazioni proposte separatamente contro la stessa sentenza debbono essere riunite, anche d'ufficio, in un solo processo (

art. 335

c.p.c.

); ne costituisce applicazione l'

art. 350, comma

3

,

c.p.c.

, per il quale nella prima udienza di trattazione il giudice provvede alla riunione degli appelli proposti contro la medesima sentenza;

- il divieto (con alcuni limiti), per chi ha proposto l'impugnazione, di proporne altre, nello stesso processo, così essendosi consumato, con l'atto compiuto, il suo diritto di impugnazione (

Cass

.

civ.,

sez. III, 6 giugno 2007, n. 13062

, con esplicita affermazione per cui trattasi di principio di applicazione generale, al di là del disposto dell'

art. 358

c.p.c.

;

Cass

.

civ.,

sez. III, 22 maggio 2007, n. 11870

;

Cass.

civ.,

sez. II, 9 giugno 2000, n. 7887

);

- il divieto di impugnare, con uno stesso atto, e salvo casi eccezionali, più decisioni, dovendosi mantenere la coerenza di sviluppo di ciascun procedimento (

Cass.

civ.,

25 marzo 1999, n. 2845

;

Cass.

civ.,

1 dicembre 1998, n. 12140

);

- le disposizioni di cui agli

artt. 340

e

361

c.p.c.

, che coordinano, in un unico procedimento di impugnazione, i gravami proponibili avverso la sentenza non definitiva e la sentenza definitiva, nello stesso processo;

- le norme di cui agli artt. 331, 350, comma 2, 371-bis c.p.c. che, per i casi di litisconsorzio necessario (sostanziale, processuale o per dipendenza di cause), impongono l'integrazione del contraddittorio, in modo che la decisione possa costituire giudicato anche nei confronti di coloro cui non era stata notificata l'impugnazione e gli stessi possano, se vogliono, difendersi e, a loro volta, proporre gravame, nello stesso giudizio

- le norme di cui agli

artt.

332

e

350, comma

2

,

c.p.c.

che, per i casi di litisconsorzio facoltativo, impongono di notificare l'impugnazione anche alle parti litisconsorti contro le quali l'impugnazione non è proposta, al fine di far loro conoscere formalmente che il processo prosegue nell'ulteriore grado di giudizio e di porli in condizioni di esercitare tempestivamente, in esso, eventuali ragioni di gravame

- le norme di cui agli

artt. 333,

334,

343,

370,

371

c.p.c.

che regolano le forme e i modi con i quali, all'impugnazione di una delle parti, le altre possono reagire con una impugnazione propria, nonché i rapporti che sorgono tra tutte queste impugnazioni, a seconda della loro natura, del soggetto dal quale provengono e della tempestività.

Nel contesto dei principi così stabiliti dal diritto vigente si pone l'argomento avente ad oggetto l'impugnazione che viene correntemente denominata come principale.

L'impugnazione principale

L'aggettivo “principale” indica, in genere, una posizione di maggior rilievo rispetto a un'altra situazione che, dal confronto, ne risulta secondaria o accessoria. Questo è il caso del rapporto di connessione tra domande in giudizio e relative cause, delle quali l'una costituisce la materia del decidere determinante mentre, l'altra, ad essa si aggiunge o accede, a completamento della descrizione del rapporto controverso tra le parti. A proposito delle impugnazioni, la denominazione di “principale” assume un significato diverso: indica, più semplicemente, l'impugnazione che è proposta per prima. Questa, una volta notificata, determina la costituzione del rapporto processuale e la pendenza del giudizio di gravame. Le altre impugnazioni, provenienti dalle altre parti in causa, si inseriscono in questo giudizio, già radicato, come “incidenti” nel suo percorso: ragione per la quale tali impugnazioni sono indicate, dallo stesso codice di rito, con l'appellativo “incidentali”. L'impugnazione principale si contrappone, dunque, alle impugnazioni incidentali.

In evidenza

Nel vigente sistema processuale l'impugnazione proposta per prima determina la costituzione del processo, nel quale debbono confluire le eventuali impugnazioni di altri soccombenti, in modo che sia mantenuta l'unità del procedimento e sia possibile la decisione simultanea; ne consegue che, nel caso di appello, le impugnazioni successive alla prima assumono necessariamente carattere incidentale, siano esse impugnazioni incidentali tipiche (ovvero, proposte contro l'appellante principale), siano esse, invece, impugnazioni incidentali autonome, dirette a tutelare un interesse del proponente non nascente dall'impugnazione principale, e da far valere nei confronti di questi, ma per un capo diverso e autonomo della sentenza impugnata (

Cass.

civ.,

sez. III, 11 ottobre 2006, n. 21745

. Conformi,

Cass.

civ.,

29 gennaio 2015, n. 1671

;

Cass.

civ.,

sez. I, 14 novembre 2001, n. 14167

)

Pluralità di impugnazioni principali

Nel sistema del codice, una sola è l'impugnazione principale. Accade, però, non di rado che, avverso la stessa sentenza, siano proposte impugnazioni autonome, con inosservanza della norma che vuole per esse le forme e i tempi delle impugnazioni incidentali. Nel contrasto dottrinario circa la nullità di questi gravami, autonomi tra loro, la giurisprudenza ha affermato che il coordinamento degli

artt. 333

e

335

c.p.c.

consente di ritenere ammissibili queste impugnazioni autonome purchè siano state rispettate alcune condizioni:

In talune occasioni la Corte di cassazione si è richiamata, in proposito, al principio di conservazione delle impugnazioni.

Cause con due sole parti

Nei procedimenti tra due sole parti, la proposizione dell'impugnazione, ad opera del soccombente, determina le seguenti conseguenze:

  • consuma, come si è accennato, il diritto di impugnazione per la parte che la propone, la quale non può più presentarne un'altra, neppure nella forma dell'impugnazione incidentale, se totalmente vittoriosa (

    Cass.

    civ.,

    sez. II, 9 giugno 2000, n. 7887

    );
  • onera la controparte a proporre, se vi ha interesse, l'impugnazione incidentale, a pena di decadenza, entro il termine per essa previsto.

Occorre, però, distinguere.

La parte totalmente vittoriosa non ha interesse a proporre una impugnazione incidentale, che sarebbe inammissibile. L'altrui impugnazione gli consente di riproporre, nel giudizio che ne segue, le questioni assorbite o risolte diversamente da quanto aveva sostenuto, senza alcuna necessità di un suo gravame. Se, pur avendo ottenuto una decisione favorevole, la parte vittoriosa ha visto accogliere la sua domanda in base ad una causa petendi diversa da quella ipotizzata o con applicazione di principi che ritiene lesivi dei suoi interessi, essa versa in situazione di soccombenza virtuale, che la legittima all'impugnazione incidentale, per evitare il giudicato sul punto. Nel caso di soccombenza reciproca, ciascuna delle parti può proporre impugnazione, secondo il meccanismo stabilito per l'impugnazione principale e l'impugnazione incidentale.

In evidenza

La parte vittoriosa non può proporre impugnazione incidentale, che presuppone la soccombenza, ma può chiedere al giudice del gravame di fornire, fermo restando il dispositivo, una soluzione giuridicamente più corretta, risollevando, in caso di appello, le medesime questioni ex

art. 346

c.p.c.

ovvero, dinanzi alla Corte di cassazione, il potere di correzione della motivazione ex

art. 384

c.p.c.

(

Cass.

civ.,

sez. I, 30 luglio 2015, n. 16171

;

Cass.

civ.,

sez. lav., 23 aprile 2003, n. 6491

).

La parte vittoriosa in primo grado non è tenuta a proporre appello incidentale – difettando il presupposto della soccombenza – relativamente ad errati presupposti di fatto sui quali si sia fondata la sentenza che abbia comunque accolto la sua domanda in forza di causa petendi non diversa da quella prospettata. Infatti, solo nel caso in cui si verifichi tale divergenza, la parte che ha proposto la domanda, pur accolta, deve ritenersi virtualmente soccombente, essendo stati rigettati i presupposti della domanda stessa, per sostenere i quali essa è tenuta a proporre ricorso incidentale, allo scopo di evitare la formazione del giudicato. Viceversa, le parti della sentenza che riguardano questioni prive di autonomia rispetto alla situazione di cui si chiede la tutela, e non aventi valore di presupposti indispensabili per la decisione, non sono suscettibili di passare in giudicato. Ne consegue che, in relazione agli stessi, la parte vittoriosa non ha interesse a proporre appello incidentale (

Cass.

civ.,

sez. I, 7 aprile 1999, n. 3349

)

Cause con pluralità di parti

La natura principale dell'impugnazione assume tutta la sua importanza nel caso in cui più siano le parti del processo. Ciascuna di esse, nei limiti della propria soccombenza, è legittimata ad impugnare la sentenza pregiudizievole, contro tutte le altre parti od alcune di esse. In proposito, l'impugnazione principale risponde alla funzione di costituire il punto di riferimento di una coordinazione di norme che regola il concorso reciproco tra i gravami, conservando l'unicità del processo.

Il primo effetto determinato dall'impugnazione principale si verifica nei confronti della stessa parte impugnante. Nelle cause scindibili, la proposizione dell'impugnazione contro una delle parti fa decorrere il termine per presentarla anche contro le altre parti (

art. 326, comma

2,

c.p.c.

): la ratio della norma è di circoscrivere nel tempo l'incertezza concernente la volontà di queste altre parti di contestare, anche esse, la decisione con una formale impugnazione. A questo scopo, se nel momento del giudizio di gravame le impugnazioni nei confronti di costoro non sono ancora precluse, il giudice ordina la notificazione dell'impugnazione principale per far decorrere i termini di loro proposizione.

Nelle cause inscindibili, posto che tutte le parti devono essere chiamate a parteciparvi (salvo il diritto a restare contumaci), l'impugnazione principale contro una delle parti, o alcune soltanto delle parti, radica il processo. La parte è costretta ad integrare la notifica del suo atto a tutte le altre, in modo che il contraddittorio sia ad esse esteso. L'

art. 331

c.p.c.

dispone in proposito che, se la decisione non è stata impugnata nei confronti di tutte le parti, il giudice ordina l'integrazione del contraddittorio, fissando il termine a provvedervi e, se occorre, l'udienza di comparizione. Dal momento che il giudizio non può svolgersi se non con riferimento a tutti i litisconsorti necessari, la mancata integrazione comporta la dichiarazione di inammissibilità dell'impugnazione proposta.

In evidenza

In un giudizio svoltosi con pluralità di parti in cause scindibili ai sensi dell'

art. 332

c.p.c.

, cioè cause cumulate nello stesso processo per un mero rapporto di connessione, la notificazione dell'impugnazione e la sua conoscenza assolvono alla funzione di litis denuntiatio, così da permettere l'attuazione della concentrazione nel tempo di tutti i gravami contro la stessa sentenza (

Cass.

civ.,

sez. III, 16 febbraio 2012, n. 2208

).

L'omessa citazione in grado di appello di taluno dei litisconsorti necessari non produce di per sé l'inammissibilità dell'impugnazione, ma fa sorgere soltanto l'obbligo, per il giudice, di disporre e, per le parti, di eseguire l'integrazione del contraddittorio nel termine perentorio stabilito dal primo (

Cass

.

civ.,

sez. V, 27 maggio 2015, n. 10934

; Cass. civ., sez. I, 6 dicembre 2006, n. 26156).

La notifica dell'impugnazione relativa a cause inscindibili – sia nell'ipotesi di litisconsorzio necessario sostanziale che processuale – eseguita nei confronti di uno solo del litisconsorti nei termini di legge, introduce validamente il giudizio nei confronti di tutte le altre parti, ancorchè l'atto di impugnazione sia stato, a queste, tardivamente notificato. In tal caso, infatti, l'atto tardivo riveste la funzione di notificazione per integrazione del contraddittorio ex

art. 331

c.p.c.

, e l'iniziativa della parte, sopravvenuta prima ancora dell'ordine del giudice, assolve alla medesima funzione (

Cass

.

civ.,

sez. I, 12 giugno 2009, n. 13753

;

Cass.

civ.,

sez. III, 19 dicembre 2014, n. 26902

;

Cass.

civ.,

sez. lav. 31 luglio 2013, n. 18364

).

Rapporti tra impugnazione principale e impugnazioni incidentali

Le impugnazioni incidentali, se ritualmente proposte, sono idonee a sorreggere il processo di gravame anche se viene meno, per qualsiasi ragione, l'impugnazione principale; sono vere e proprie impugnazioni, come quella principale, ma assumono la forma di quella incidentale solo per volontà di legge. Il venir meno dell'impugnazione principale non comporta conseguentemente la decadenza di quella incidentale.

Una regola diversa si applica con riferimento alle impugnazioni incidentali tardive, che l'

art. 334

c.p.c.

consente in taluni casi, nonostante l'avvenuta scadenza dei termini, con stretto collegamento all'impugnazione principale: esse perdono efficacia quando l'impugnazione principale è dichiarata inammissibile. La disposizione trova la sua ratio nel fatto per cui l'impugnazione incidentale tardiva costituisce una sorta di eccezione alla regola per la quale tutti i gravami devono essere rispettosi dei termini di proposizione imposti dal codice di rito; eccezione giustificata unicamente dalla ricorrenza dei particolari casi indicati dalla norma citata (litisconsorzio necessario; parte contro la quale è proposta l'impugnazione principale). La detta disposizione è interpretata dalla giurisprudenza restrittivamente: non si applica nel caso di rinuncia all'impugnazione principale e neppure nei casi diversi da quelli che comportano l'inammissibilità di questa per mancata osservanza dei termini di proposizione o delle altre condizioni cui tale inammissibilità consegue.

In evidenza

L'

art. 334, comma

2

,

c.p.c.

, in base al quale l'impugnazione incidentale tardiva perde efficacia se è dichiarata inammissibile quella principale, si applica nei soli casi di inammissibilità dell'impugnazione in senso proprio, tra i quali rientrano l'inosservanza dell'onere di specificazione dei motivi di appello, imposto dall'

art. 342

c.p.c.

, e la proposizione di domanda nuova, preclusa dall'

art. 345

c.p.c.

(

Cass.

civ.,

sez. III, 12 settembre 2014, n. 19284

;

Cass.

civ.,

sez. II, 5 settembre 2008, n. 22385

).

L'appello incidentale tardivo perde efficacia se l'impugnazione principale viene dichiarata improponibile, improcedibile o inammissibile per mancata osservanza del termine per impugnare ovvero degli adempimenti richiesti a tal fine dalla legge processuale e non, invece, se alla declaratoria di inammissibilità dell'impugnazione principale si pervenga attraverso l'esame di una condizione dell'azione (legitimatio ad causam e interesse all'impugnazione) o di una questione che – in ragione di un litisconsorzio necessario originario di natura sostanziale o processuale in ipotesi di cause tra loro dipendenti – sia suscettibile di provocare effetti ed avere ricadute sull'appellante incidentale tardivo, richiedendo l'

art. 111

Cost

.

la puntuale osservanza del contraddittorio e del diritto di difesa delle parti, la cui posizione sia connessa a quella oggetto dell'impugnazione principale (

Cass.

civ.,

sez. lav., 11 giugno 2010, n. 14084

).

In tema di ricorso per cassazione, la norma dell'

art. 334, comma

2

,

c.p.c.

– secondo cui, ove l'impugnazione principale sia dichiarata inammissibile, l'impugnazione incidentale tardiva perde efficacia – non trova applicazione nell'ipotesi di rinuncia all'impugnazione principale; poiché, infatti, la parte destinataria della rinuncia non ha alcun potere di opporsi all'iniziativa dell'avversario, l'ipotetica assimilazione di tale ipotesi a quelle dell'inammissibilità e dell'improcedibilità dell'impugnazione principale finirebbe per rimettere l'esito dell'impugnazione incidentale tardiva all'esclusiva volontà dell'impugnazione principale (

Cass

. civ.,

sez

.

U

, 19 aprile 2011, n. 8925

)

L'appello incidentale tardivo perde ogni efficacia, ai sensi dell'

art. 334, comma

2

,

c.p.c.

, quando quello principale è dichiarato inammissibile, ancorchè il giudice d'appello esamini e decida una istanza di correzione di errore materiale, avanzata dall'appellante principale, esulando tale istanza dagli specifici motivi di impugnazione (

Cass.

civ.,

sez. III, 12 settembre 2014, n. 19284

)

Riferimenti

BONSIGNORI, Impugnazioni civili in generale, in Dig. disc. priv., sez. civ., IX, Torino, 1993, 334 ss.;

CALAMANDREI, Vizi della sentenza e mezzi di gravame, in Studi di diritto processuale, I, Padova, 1930, 193 ss.;

CERINO CANOVA, Le impugnazioni civili, Padova, 1973, 94 ss.

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