Riserva di impugnazioneFonte: Cod. Proc. Civ. Articolo 340
26 Giugno 2019
Inquadramento
La possibilità di impugnare immediatamente (entro i termini di cui agli artt. 325 e 327 c.p.c.) le sentenze non definitive ha fatto venir meno il principio di unitarietà del processo di impugnazione, in quanto l'esercizio di tale facoltà determina la simultanea pendenza, in gradi diversi, di due processi riguardanti la stessa domanda giudiziale. Il giudice dell'impugnazione, tuttavia, non può pronunciarsi su questioni non decise con la sentenza non definitiva, rimanendo i suoi poteri confinati entro l'ambito oggettivo determinato dal gravame. Nell'attuale sistema processuale, quindi, la parte soccombente ha la facoltà di scegliere se esercitare immediatamente il suo diritto di impugnazione, nei consueti termini di decadenza, o riservarsi di impugnare la sentenza non definitiva assieme alla sentenza definitiva o ad altra sentenza successiva, non definitiva, fermo restando che la riserva implica una scelta irrevocabile, nel senso che, se la parte abbia optato, mediante la riserva, per l'impugnazione differita, non può più presentare appello o ricorso per cassazione immediato. La riserva di impugnazione ha un ambito di applicazione limitato, non essendo prevista per tutti i mezzi di impugnazione, ma solo per l'appello (art. 340 c.p.c.) e per il ricorso per cassazione (art. 361 c.p.c.). Non è utilizzabile, invece, per l'impugnazione del lodo arbitrale non definitivo, in ordine al quale vige una disciplina specifica. Secondo l'art. 827, comma 3 c.p.c., infatti, è immediatamente impugnabile solo il lodo che abbia deciso parzialmente il merito, attesa l'esecutività che la decisione (con la quale è stato concluso il giudizio su una o più domande) può assumere in tale ipotesi, mentre il lodo che abbia deciso solo questioni preliminari, anche di merito, senza definire, sia pure parzialmente, il giudizio arbitrale, è impugnabile solo unitamente al lodo definitivo. Sentenza non definitiva: nozione
Al fine di circoscrivere ulteriormente il campo di applicazione della riserva di impugnazione, è importante individuare i casi in cui possono essere emesse sentenze non definitive e verificare il regime di impugnazione delle stesse sia con riferimento all'appello che in ordine al ricorso per cassazione. Occorre precisare, tuttavia, che il problema dell'identificazione delle sentenze non definitive rileva solo allo scopo di valutare la validità dell'eventuale riserva di impugnazione e, dunque, la proponibilità del gravame differito, e non sul piano dell'ammissibilità dell'impugnazione immediatamente proposta, che resta sempre consentita.
a) Appello Per quanto concerne l'appello, alcune ipotesi di sentenze non definitive sono indicate espressamente dall'art. 340 c.p.c. Tra queste vi sono le sentenze di condanna generica, con le quali il giudice si limita all'accertamento dell'esistenza del diritto (pronuncia sull'an), disponendo con separata ordinanza la prosecuzione del giudizio per la determinazione del quantum (art. 278, comma 1, c.p.c.). Sono contemplate, poi, le sentenze con le quali il giudice, oltre a pronunciare sull'an, condanna ad una provvisionale la parte soccombente, nei limiti della quantità per cui ritiene già raggiunta la prova, e dispone la prosecuzione del giudizio per la quantificazione definitiva del quantum (art. 278, comma 2, c.p.c.). Espressamente richiamate dalla norma sono anche le sentenze previste dall'art. 279, comma 2, n. 4 c.p.c., con le quali, senza definire il giudizio, il giudice decide questioni di giurisdizione o di competenza, ovvero questioni pregiudiziali o preliminari di merito, disponendo, con separata ordinanza, la prosecuzione del giudizio. Oltre alle ipotesi specificatamente previste, la riserva di appello ha trovato applicazione, a seguito dell'intervento giurisprudenziale, anche al di fuori della previsione dell'art. 340 c.p.c., dovendosi considerare non definitiva, agli effetti della riserva di impugnazione differita, la sentenza con la quale, in ipotesi di domande cumulate tra gli stessi soggetti, il giudice decida una o più delle domande proposte, con prosecuzione del procedimento per le altre, senza disporre la separazione ai sensi dell'art. 279, comma 2, n. 5 c.p.c., e senza provvedere sulle spese in ordine alla domanda o alle domande decise, ma rinviandone la liquidazione all'ulteriore corso del giudizio. Tale criterio di identificazione delle sentenze non definitive – basato su elementi di carattere formale, quali l'assenza del provvedimento di separazione e di regolamento delle spese – viene esteso da un indirizzo giurisprudenziale ormai prevalente anche alle pronunce declinatorie della giurisdizione e ha il merito di manifestare chiaramente alla parte interessata il carattere non definitivo della sentenza, mettendola nella condizione di potere scegliere se presentare un'impugnazione immediata o proporre la riserva di impugnazione differita. Al criterio formale si è contrapposto un criterio di tipo sostanziale, ormai superato, secondo il quale la definitività o meno di una sentenza deve essere desunta dal contenuto della stessa e dagli effetti che esplica nel corso del processo nel quale viene emessa. Secondo quest'ultimo orientamento, quindi, nel caso di cumulo di domande tra gli stessi soggetti, sono sentenze non definitive solo quelle che non contengono, rispetto alla domanda, una decisione completa che esaurisce l'oggetto della controversia, ma richiedono un'ulteriore integrazione, a prescindere da un eventuale provvedimento di separazione o dalla pronuncia sulle spese. Le sentenze sono sempre definitive nei casi di cumulo di domande fra soggetti diversi (con conseguente necessità di impugnazione immediata della sentenza che statuisca in maniera esaustiva su alcune di queste domande, non esplicando alcun effetto l'eventuale riserva di gravame), salvo che non ricorra un'ipotesi di “litisconsorzio unitario” (più azioni connesse per identità di petitum e di causa petendi).
b) Ricorso per cassazione L'art. 361 c.p.c. (nella versione modificata dal d.lgs. n. 40/2006) disciplina la riserva facoltativa di ricorso per cassazione e indica, al pari dell'art. 340 c.p.c., fra le sentenze non definitive, in ordine alle quali è ammesso il ricorso immediato, quelle previste dall'art. 378 c.p.c., nonché «quelle che decidono una o alcune delle domande senza definire l'intero giudizio». Il riferimento è sempre alle sentenze non definitive di condanna generica di cui all'art. 378 c.p.c. e, secondo l'orientamento prevalente (criterio formale), a quelle che decidono su una o alcune delle domande cumulate (cd. parziali su domande), disponendo la prosecuzione del giudizio per le altre, senza aver emanato un provvedimento formale di separazione delle cause, ai sensi dell'art. 279, comma 2, c.p.c., e senza provvedere sulle spese con riferimento alle domande già decise. A differenza dell'appello, invece, sono espressamente escluse dall'applicazione della disposizione di cui all'art. 361 c.p.c., e quindi non immediatamente impugnabili, le sentenze «che decidono su questioni insorte senza definire, neppure parzialmente, il giudizio», posto che il ricorso per cassazione avverso tali sentenze è proponibile ai sensi dell'art. 360, comma 3, c.p.c., senza necessità di riserva, unitamente alla sentenza che definisce integralmente o parzialmente il giudizio. L'esclusione del ricorso immediato contro le sentenze che decidono “questioni”, oltre ad essere finalizzata a limitare l'accesso al ricorso per cassazione, si spiega con il fatto che tali sentenze non sono in grado di determinare una soccombenza materiale e, quindi, di produrre un immediato pregiudizio nella sfera giuridica della parte soccombente. Occorre, quindi, distinguere le sentenze non definitive “su questioni” da quelle parziali su domande, atteso che solo le prime sono sottratte all'impugnazione immediata e, conseguentemente, all'onere della riserva, nell'ipotesi in cui la parte voglia optare per l'impugnazione differita. Le sentenze contemplate dall'art. 360, comma 3, c.p.c. sono quelle rese ai sensi dell'art. 279, comma 2, n. 4 c.p.c., con le quali non viene definito il giudizio, ma solo questioni pregiudiziali di rito (es. sussistenza della giurisdizione) o questioni preliminari di merito, indicate ai nn. 1 e 2 dello stesso art. 279, comma 2 c.p.c. (es. rigetto dell'eccezione di prescrizione). Recentemente la Corte di cassazione a Sezioni Unite ha cambiato il proprio precedente orientamento, affermando l'immediata impugnabilità per cassazione delle sentenze emesse dal giudice d'appello ex art. 353 e 354 c.p.c. (es. dichiarazione della sussistenza della giurisdizione che il giudice di primo grado aveva erroneamente ritenuto insussistente o annullamento della pronuncia di primo grado che aveva erroneamente dichiarato l'estinzione del processo) e, quindi, l'esclusione di tali sentenze dal divieto previsto dall'art. 360, comma 3, c.p.c. Di conseguenza, in questi casi non si guarda al contenuto della decisione (e quindi, se la sentenza di appello si sia limitata a risolvere mere questioni), essendo la stessa immediatamente impugnabile (o assoggettata all'onere della riserva, nel caso di impugnazione differita) per il solo fatto che ha definito il relativo grado di giudizio. L'immediata ricorribilità per cassazione è stata riconosciuta anche alle sentenze d'appello che confermino una sentenza non definitiva su questioni, emessa in primo grado ed immediatamente impugnata ex art. 340 c.p.c., dovendosi ritenere che il termine “giudizio”, indicato nell'art. 360, comma 3, c.p.c. («sentenze che decidono questioni insorte senza definire, neppure parzialmente, il giudizio»), faccia riferimento al procedimento devoluto al giudice di appello e non al processo complessivamente pendente. La sentenza d'appello, infatti, è nella specie immediatamente ricorribile per cassazione proprio perché definisce il giudizio di cui è stato investito il giudice di secondo grado.
Impugnazione differita e riserva
La facoltà di riservare l'appello o il ricorso per cassazione – e, quindi, di differire l'impugnazione – spetta alla parte soccombente, mentre analoga facoltà di scelta non può essere riconosciuto a colui che, all'esito della sentenza non definitiva, sia risultato integralmente vincitore. Per stabilire quale sia la parte soccombente occorre avere riguardo, non tanto al contenuto della domanda presentata in giudizio, quanto al modo in cui è stata risolta la questione oggetto della sentenza non definitiva (soccombenza teorica). Qualora la parte soccombente proponga la riserva (ex art. 340 c.p.c. o ex art. 361 c.p.c.), l'impugnazione della sentenza non definitiva, per il principio di unitarietà del relativo procedimento, è assoggettata alla medesima disciplina prevista per la sentenza definitiva. Di conseguenza, i termini per proporre impugnazione decorrono, anche per la sentenza non definitiva, dalla notifica o dalla pubblicazione della sentenza definitiva. Secondo un più recente orientamento giurisprudenziale, in caso di pluralità di soccombenti la riserva d'impugnazione formulata da uno solo di essi non giova agli altri.
a) Forma della riserva La riserva di impugnazione non richiede particolari requisiti, nel senso che può essere formulata anche in modo generico, ma deve essere espressa e non equivoca. Ciò implica che la manifestazione di tale scelta può consistere anche nella semplice dichiarazione di riservare l'impugnazione della sentenza non definitiva, senza ulteriori precisazioni, purchè consenta di desumere chiaramente la volontà del dichiarante di differire l'impugnazione della sentenza non definitiva. Pertanto, qualora la riserva di impugnazione non sia stata validamente formulata, la parte soccombente non decade dal potere di impugnare immediatamente la pronuncia, nel rispetto dei termini ordinari di impugnazione, essendogli preclusa solo l'impugnazione differita. La dichiarazione contenente la riserva di impugnazione, inoltre, non richiede una procura speciale, in quanto rientra nei poteri del procuratore della parte costituita, e può essere formulata, anche dal sostituto del difensore. La riserva d'appello va formulata, ai sensi dell'art. 129 disp. att. c.p.c.: 1) all'udienza del giudice istruttore con dichiarazione orale da inserirsi nel processo verbale o con dichiarazione scritta su foglio a parte da allegarsi al processo verbale; oppure 2) con atto notificato ai procuratori delle altre parti costituite, a norma dell'art. 170, commi 1 e 3, c.p.c., o personalmente alla parte, in caso di sua contumacia. La stessa forma è prevista per la riserva di ricorso per cassazione, disciplinata dall'art. 133 disp. att. c.p.c. che rinvia sul punto all'art. 129 disp. att. c.p.c. Qualora la riserva di impugnazione differita sia inserita in una memoria autorizzata, è necessaria la notifica della stessa ai procuratori delle parti costituite o alla parte personalmente, se non costituita, in quanto l'art. 129 disp. att. c.p.c. esige la conoscibilità della riserva di gravame, non essendo sufficiente il mero deposito della memoria, non allegata al verbale d'udienza.
b) Termini della riserva La dichiarazione di riserva d'appello o di ricorso per cassazione va formulata, a pena di decadenza, entro i termini per impugnare di cui agli artt. 325 e 327 c.p.c. e, in ogni caso, non oltre la prima udienza successiva alla comunicazione della sentenza non definitiva, anche se si tratta di sentenza di mero rinvio. Si tratta di termini perentori, per cui gli stessi non possono essere in nessun caso prorogati o differiti, salvo che non ricorrano le condizioni per la rimessione in termini ai sensi dell'art. 153 c.p.c. I due limiti temporali sopra indicati devono essere coordinati tra loro, nel senso che se la prima udienza successiva alla comunicazione della sentenza costituisce la prima scadenza temporale, la riserva deve essere formulata a tale udienza, avendo tale termine carattere acceleratorio e non facoltativo. Diversamente, se il termine per impugnare scade prima della predetta udienza, la riserva va manifestata prima, entro il termine per impugnare. Il dies a quo per individuare il minor termine, ai fini della tempestiva formulazione della riserva, è, nel rito ordinario, la data di pubblicazione della sentenza non definitiva, mentre nel caso di sentenza emessa ai sensi dell'art. 281-sexies c.p.c. occorre fare riferimento alla data in cui la sentenza non definitiva è stata pronunciata. Nel rito del lavoro, invece, il termine iniziale è quello del deposito della sentenza, che, tuttavia, avviene, di regola, contestualmente alla lettura (art. 429 c.p.c.), per cui, qualora dopo la lettura del dispositivo della sentenza non definitiva si dia luogo immediatamente alla prima udienza istruttoria, la parte soccombente, deve inserire a verbale la propria dichiarazione di riserva di impugnazione, pena la decadenza dalla facoltà di proporre impugnazione differita. Effetti della riserva o della mancata formulazione della riserva
Se la parte soccombente ha formulato la riserva, l'impugnazione avverso la sentenza non definitiva, come si è già detto, dev'essere proposta unitamente a quella contro la sentenza che definisce il giudizio o a quella presentata contro un'altra (eventuale) successiva sentenza non definitiva. La parte che ha formulato la riserva, quindi, stante l'effetto vincolante di tale scelta che non è revocabile, non può più proporre immediatamente l'appello o il ricorso per cassazione. L'inammissibilità dell'impugnazione immediata (rilevabile d'ufficio dal giudice del gravame), tuttavia, non preclude la riproposizione dell'impugnazione della sentenza non definitiva unitamente alla sentenza definitiva. L'effetto principale della riserva è, dunque, la mancata decadenza dalla facoltà di impugnare, nonostante il decorso dei termini di cui agli artt. 325 e 327 c.p.c. Di contro, qualora la riserva non sia stata formulata entro il termine previsto, la parte decade dalla facoltà di differire l'appello o il ricorso per cassazione, pur conservando la facoltà di proporre immediatamente l'impugnazione. Se la sentenza non definitiva non viene impugnata immediatamente, né viene formulata riserva di impugnazione, la decisione diviene irrevocabile dando luogo al formarsi del giudicato interno sulla pronuncia parziale. Pertanto, ove le questioni già decise con la sentenza non definitiva siano state risolte in modo diverso con la sentenza definitiva, il giudice dell'impugnazione deve rilevare d'ufficio la violazione del giudicato interno derivante dalla sentenza non definitiva, non immediatamente impugnata né fatta oggetto di riserva di impugnazione differita. L'impugnazione immediata della sentenza non definitiva, proposta da una parte, non solo preclude la formulazione della riserva ad opera delle altre parti (parimenti soccombenti), ma comporta altresì la perdita di efficacia della riserva eventualmente già proposta dall'altra parte (cfr. art. 341, comma 3, c.p.c. e art. 361, comma 3, c.p.c.). In tal caso, dopo la notifica dell'impugnazione principale, la parte che aveva proposto riserva deve, a pena di decadenza, proporre impugnazione in via incidentale, senza alcuna possibilità di giovarsi della riserva di gravame in precedenza formulata. La sentenza con la quale il giudice dell'impugnazione riforma la decisione non definitiva non travolge solo quest'ultima, ma può influire sull'ulteriore corso del giudizio e, quindi, anche sulla sentenza definitiva, in quanto, in virtù dell'effetto espansivo (art. 336 c.p.c.), la riforma della sentenza non definitiva, pronunciata in appello, estende i suoi effetti ai provvedimenti e agli atti dipendenti dalla sentenza riformata. Per evitare gli inconvenienti che da ciò possono derivare, l'art. 279, comma 4, c.p.c. prevede che il giudice, su istanza concorde delle parti, qualora ritenga che i provvedimenti sull'ulteriore corso del giudizio siano dipendenti da quelli contenuti nella sentenza (non definitiva) impugnata, può disporre con ordinanza non impugnabile che l'esecuzione o la prosecuzione dell'ulteriore istruttoria sia sospesa sino alla definizione del giudizio di appello. In tal caso, la causa dovrà essere riassunta ai sensi dell'art. 125-bis disp. att. c.p.c. entro sei mesi dalla comunicazione della sentenza che definisce il giudizio sull'appello immediato. Allo stesso modo, l'art. 129-bis disp. att. c.p.c. disciplina l'ipotesi in cui sia stato proposto ricorso per cassazione immediato contro la sentenza d'appello che abbia riformato una delle sentenze previste dall'art. 279, comma 2, n. 4 c.p.c. Infine, nel caso di estinzione del processo in prosecuzione, l'art. 129, ult. comma, disp. att. c.p.c. (richiamato, per il ricorso per cassazione, dall'art. 133 disp. att. c.p.c.) prevede il passaggio in giudicato della sentenza di merito oggetto della riserva d'appello dal giorno in cui diventa irrevocabile l'ordinanza o passa in giudicato la sentenza che pronuncia l'estinzione. Da tale data inizia a decorrere il termine previsto dall'art. 325 c.p.c. per impugnare la sentenza (non definitiva) già notificata e il termine di decadenza di cui all'art. 327 c.p.c., se la predetta sentenza non è stata notificata. La disposizione richiamata prende in considerazione solo le sentenze non definitive di merito, in quanto queste sono non solo le uniche in grado di acquisire un'efficacia che sopravviva all'estinzione del processo, ma anche le uniche rispetto alle quali persiste un interesse ad impugnare, mentre le sentenze non definitive di rito, invece, restano travolte dall'estinzione del processo.
Scioglimento della riserva
Dopo la pubblicazione della sentenza definitiva, la parte che abbia formulato riserva di impugnazione della sentenza non definitiva non ha l'onere di impugnare entrambe le sentenze, posto che la finalità dell'istituto della riserva è solo quella di salvaguardare il principio dell'unitarietà del processo di impugnazione, non prevedendo le norme che disciplinano la materia alcun altro elemento di collegamento – formale o sostanziale – tra le distinte impugnazioni. Ciò è confermato dalla disposizione contenuta nell'art. 129 disp. att. c.p.c. (richiamato dall'art. 133 disp. att. c.p.c. per il ricorso per cassazione), in forza della quale si evince che la caducazione degli effetti procrastinatori della riserva ed il determinarsi del dies a quo per l'impugnazione della sentenza non definitiva non sono ontologicamente connessi alla pronuncia della sentenza definitiva e, quindi, alla sua impugnazione. Pertanto, l'ammissibilità dell'appello differito avverso la sentenza non definitiva, in ordine alla quale è stata formulata riserva di impugnazione, non è subordinata all'ammissibilità dell'appello proposto nei confronti della sentenza definitiva, essendo il differimento dell'impugnazione proponibile avverso la sentenza non definitiva e l'onere di proporla unitamente a quella contro la successiva sentenza definitiva (o altra non definitiva immediatamente impugnata) gli unici criteri di collegamento previsti tra i predetti mezzi di gravame.
La tempestiva formulazione della riserva, se consente alla parte di differire la presentazione del gravame, non implica anche la manifestazione della volontà di impugnare, che, pertanto, dovrà essere formulata in modo espresso e specifico all'atto di proposizione dell'impugnazione contro la sentenza non definitiva, non essendo sufficiente la sola impugnazione della sentenza definitiva. É stato tuttavia precisato che, allorquando l'appellante, pur specificando di indirizzare il proprio gravame contro la sentenza definitiva, investa, di fatto, con i motivi di censura, anche la precedente sentenza non definitiva (già oggetto di riserva di impugnazione), deve ritenersi che l'impugnazione sia diretta contro entrambe le pronunce, a nulla rilevando la suddetta limitazione formale che, essendo in contrasto con la concreta intenzione espressa mediante il contenuto sostanziale delle argomentazioni svolte, va ritenuta frutto di un errore materiale. Riferimenti
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