Davide Turroni
Davide Turroni
20 Dicembre 2017

«Pregiudiziale di rito» è la questione che verte sull'osservanza di una regola processuale, la cui violazione non consente più al giudice di decidere la causa nel merito.
Inquadramento

Il processo è retto da regole strutturali che definiscono i suoi connotati e ne tracciano il percorso; e da regole di controllo che presidiano le prime, stabilendo modi e tempi per verificarne il rispetto. Le regole di controllo si attivano quando sorge il dubbio che la regola strutturale sia stata disattesa: ci dicono come governare questo dubbio, cioè con quali iniziative, da parte di chi e con quali tempi. La questione, a sua volta, è la formale manifestazione del dubbio su un aspetto rilevante per il giudizio; e quando investe una regola del processo – sia essa strutturale o di controllo – prende il nome più specifico di «questione attinente al processo» o «di rito».

Nell'ampia cerchia delle questioni di rito spiccano le «questioni pregiudiziali attinenti al processo» o «pregiudiziali di rito». É una categoria dotata di autonoma rilevanza giuridica che la legge processuale menziona espressamente, soprattutto in due articoli di grande importanza sistematica nell'impianto del codice di procedura civile: l'art. 187 e l'art. 279 c.p.c.. Da questi articoli ricaviamo che «pregiudiziale di rito» è la questione che verte sull'osservanza di una regola processuale, la cui violazione non consente più al giudice di decidere la causa nel merito.

Questione pregiudiziale di rito. Individuazione e problemi

Il primo problema che pongono le pregiudiziali di rito è quello di individuarle.

Il compito è relativamente semplice per alcune questioni, la cui rispondenza al tipo considerato è pacifica. Così per la questione di giurisdizione, che l'art. 187 c.p.c. riconduce espressamente alle pregiudiziali di rito; così pure la questione sulla competenza e sull'estinzione del processo.

Meno semplice qualificare altre questioni.

Talora la difficoltà dipende dalla tecnica espressiva del legislatore, che può essere scadente o volutamente ambigua. Generano così incertezza le cause di inammissibilità previste dagli artt. 360-bis e 348-bis c.p.c., che, consistendo nella manifesta infondatezza della domanda, dipendono da una valutazione – pur sommaria – sul merito dell'impugnazione. Nel senso che la pregiudiziale sull'ammissibilità ex art. 360-bis, n. 1, c.p.c. è questione di rito, v. peraltro Cass. civ., Sez. Un., 21 marzo 2017, n. 7155, in discontinuità con la sua precedente posizione.

Altre volteil problema prescinde dal testo normativo o lo trascende. Così non è pacifica la natura, sostanziale o processuale, delle questioni di legittimazione, di interesse ad agire; relative al difetto assoluto di giurisdizione nei confronti della P.A.; alla exceptio iudicati. Peraltro, l'opinione dominante in giurisprudenza è nel senso della loro natura processuale (v. Cass. civ., Sez. Un., 16 febbraio 2016, n. 2951 quanto alla legittimazione ad causam; Cass. civ., Sez. Un., 16 gennaio 2015, n. 647 sul difetto assoluto di giurisdizione a favore della P.A.; Cass. civ., Sez. Un., 25 maggio 2001, n. 226 quanto alla exceptio iudicati.

Quando una questione di rito è «pregiudiziale»

Sono certamente «pregiudiziali» le questioni che, se fondate, provocano il rigetto della domanda senza offrire alcun rimedio. In simili casi il difetto denunciato è irreversibile e il giudice che lo accerta non può fare altro che chiudere il processo davanti a sé.

Ad esempio

L'estinzione del processo, il difetto di giurisdizione a favore del giudice straniero; e «al netto» dei dubbi già segnalati, il difetto assoluto di giurisdizione a causa dei poteri della P.A., il difetto di legittimazione o di interesse ad agire.

Sono pure pregiudiziali in senso proprio le questioni che, se fondate, impongono la definizione del giudizio a causa dei poteri di un altro giudice; ma che diversamente da quelle del primo tipo, consentono alla causa di transitare dal primo al secondo giudice.

Ad esempio

La questione sulla competenza, posto che l'incompetenza ammette la continuazione del processo davanti al giudice dichiarato competente (art. 50 c.p.c.); la questione sul difetto di giurisdizione a favore del giudice speciale, che, sebbene a rigore non consenta una translatio iudicii in senso proprio, ammette che davanti al giudice ad quem si conservino gli effetti sostanziali e processuali della prima domanda (v. artt. 59, l. 18 giugno 2009, n. 69; e 11 cod. proc. amm.).

Nel caso del cumulo di domande «pregiudiziale di rito» è pure la questione idonea a condurre alla definizione definire il giudizio sulla singola domanda e non sull'intero giudizio.

Questioni di rito «quasi-pregiudiziali»

Non sono invece qualificabili come «pregiudiziali di rito» le questioni che solo indirettamente conducono al rigetto della domanda. Pur relative a un vizio capace di impedire una valida decisione sul merito, esse si appuntano su un vizio rimediabile davanti allo stesso giudice originariamente adito. In questi casi il rigetto in rito interviene in un secondo momento e solo se l'interessato non rimedia al vizio nei debiti tempi e modi.

Ad esempio

Un caso tipico è la nullità dell'atto introduttivo. Sorta la questione, il giudice che la ritiene fondata non può respingere direttamente la domanda ma deve assegnare all'attore un termine per rinnovare o integrare l'atto (art. 164 c.p.c.). Il carattere «pregiudiziale di rito» non le si addice: essendo sanabile, la questione non è ancora «idonea a definire il giudizio» né in assoluto né davanti al giudice adito. In tal senso Cass. civ., 27 marzo 2009, n. 7536 osserva che «in virtù dell'art. 307, comma 3, c.p.c., l'estinzione del processo ... non si determina, perciò, direttamente per effetto del solo rilievo della nullità dell'atto di riassunzione».

Forme decisorie della pregiudiziale di rito

L'art. 279, cpv., c.p.c. prevede che la questione pregiudiziale di rito sia decisa con sentenza: secondo il «segno» della decisione – cioè a seconda che la questione risulti fondata o non fondata – la sentenza può essere definitiva o non definitiva (sul punto v. D. Turroni, Sentenze non definitive e parziali, in www.ilProcessocivile.it).

La regola stabilita dall'art. 279 c.p.c. patisce tuttavia importanti deroghe. Con la l. n. 69/2009, la pronuncia sulla questione di competenza ha assunto forma di ordinanza. Forma di ordinanza (già nel testo originario del codice) ha pure la pronuncia sull'estinzione emessa dal giudice istruttore, ai sensi del ricordato art. 307 c.p.c..

Quanto alla pronuncia sulla competenza,

In evidenza

Le Sezioni Unite escludono che la forma di ordinanza dispensi dagli incombenti propri della fase decisoria. E precisano che l'ordinanza affermativa della competenza, ma emessa senza il previo svolgimento della fase decisoria, non ha natura decisoria, non è impugnabile né consuma il potere del giudice di pronunciarsi definitivamente sul punto; a meno che «...sia il giudice medesimo a qualificare come decisoria la declaratoria di competenza ...e solo se lo faccia in termini di assoluta oggettiva inequivocità ed incontrovertibilità».

Quanto alla pregiudiziale sulla estinzione del processo l'art. 307 c.p.c. sottrae l'ordinanza del g.i. ai mezzi di impugnazione previsti per le sentenze; e assoggetta a reclamo la sola ordinanza che dichiara l'estinzione. La disciplina varia tuttavia secondo la composizione dell'organo giudicante.

In evidenza

La giurisprudenza esclude l'applicazione analogica dell'art. 307 c.p.c. alle cause davanti al giudice monocratico; e richiede in questi casi che la questione sia decisa con sentenza in esito a una normale fase decisoria v. inter plura Cass. civ., 23 marzo 2017, n. 7614; Trib. Cagliari, 13 luglio 2016.

Quanto al processo sommario di cognizione prevale nettamente l'indirizzo contrario a estendere la tecnica degli artt. 187 e 279 c.p.c.: la pronuncia sulle pregiudiziali di rito è data con ordinanza appellabile ex art. 702-ter, comma 5, c.p.c. soltanto se definitiva (se non dell'intero giudizio almeno di una singola domanda); in caso contrario la decisione è resa con un'ordinanza non decisoria e non appellabile: in tal senso v. Cass. civ., 24 agosto 2016, n. 17321, in corso di pubbl. sul Foro it., 2017, I, con nota contraria di Turroni, La celerità come ideologia. Il processo sommario di cognizione e le decisioni non definitive.

Differenza tra questione pregiudiziale ed astratta controvertibilità

L'iter che conduce alla decisione della pregiudiziale di rito è lo stesso tracciato per le preliminari di merito, sul quale v. D. Turroni, Questioni preliminari, in www.ilProcessocivile.it. Innanzitutto occorre selezionare dal complesso degli elementi, che in astratto assumono rilievo nella decisione della causa, la cerchia più ristretta di quelli che hanno formato oggetto di questione, intesa nel senso chiarito sopra. La distinzione assume notevole rilevanza alla luce dell'art. 101 c.p.c., che vieta al giudice di decidere le questioni rilevabili d'ufficio prima di averle sottoposte al contraddittorio delle parti: v. per una recente applicazione Cass. civ., 7 febbraio 2017, n. 3220. La giurisprudenza non sembra tuttavia rispettosa di questa regola, quando afferma che la decisione sul merito «implica» l'accertamento della giurisdizione ad ogni effetto, anche quando la relativa questione non è mai stata sollevata.

Decisione immediata e non della pregiudiziale di rito: art. 187, commi 2 e 3, c.p.c.

Va sottolineata l'importanza dell'art. 187 c.p.c., che nei commi 2 e 3 attribuisce al «giudice istruttore» pieno potere di scelta sui tempi di decisione: gli consente infatti di attivare subito la fase decisoria, oppure di attendere che l'intera materia del contenzioso sia istruita così da decidere tutto in una volta sola. La scelta è normalmente governata da valutazioni di economia processuale; nel senso che il giudice di regola opta per la decisione immediata quando la questione appare fondata; per la decisione differita nel caso contrario. Bisogna tuttavia dare conto di quella dottrina minoritaria, la quale, con un'interpretazione sostanzialmente abrogativa dell'art. 187, comma 3, c.p.c., sostiene che l'insorgere della questione pregiudiziale di rito impone al giudice la sua decisione immediata: in tal senso v. Cipriani, In memoria dell'udienza collegiale, in Foro it., 1994, I, 1894 s.; Proto Pisani, Il codice di procedura civile del 1940 fra pubblico e privato, in Foro it., 2000, V, 83 ss..

Un governo efficiente dell'art. 187 c.p.c. deve comunque infine tener conto dell'art. 281-sexies c.p.c., che ha un modello decisorio particolarmente spedito e ormai di generale applicazione – dalla originaria applicazione alle sole cause davanti al tribunale monocratico, è stato gradualmente esteso all'appello e ai giudizi del primo grado davanti all'organo collegiale.

L'art. 187, comma 3, c.p.c. non si applica alle «quasi-pregiudiziali» di rito

In coerenza con quanto osservato precedentemente, l'art. 187, comma 3, c.p.c. ha un ambito di operatività limitato alle questioni pregiudiziali di rito in senso proprio; non può invece estendersi nemmeno in via analogica alle questioni relative a vizi processuali rimediabili davanti allo stesso giudice. Simili questioni esigono una decisione anticipata e non si conciliano con la possibilità di «accantonarle» per deciderle a istruttoria conclusa «insieme col merito».

Rilevabilità d'ufficio e non

Anche le pregiudiziali di rito, come quelle di merito, sono ripartite tra questioni rilevabili d'ufficio e non. Se la legge nulla dispone, soccorre un criterio generalmente condiviso: i vizi processuali non sanabili, dai quali dipende il potere del giudice di decidere validamente la causa nel merito, sono di regola rilevabili d'ufficio; a meno che l'eccezione di parte sia specificamente imposta dalla legge: v. Grasso, La regola della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato e le nullità da ultra e da extra petizione, in Riv. dir. proc., 416 ss.. Questa regola non vale per i soli vizi cd. «extraformali»; ma si estende alla violazione dei requisiti formali dell'atto, se e quando siano insanabili e provochino direttamente il rigetto in rito della domanda.

Questioni pregiudiziali di rito e giudicato

La pronuncia su questione pregiudiziale di rito è, per lo più, ritenuta inidonea a spiegare effetti vincolanti al di fuori del processo in cui è resa. V. in tal senso ad es. Cass. civ., 13 gennaio 2015, n. 341; Cass. civ., 24 novembre 2004, n. 2221; Trib. Torino, 25 ottobre 2016, in Giur. it., 1606 ss., con nota di Turroni, Il giudicato sulle questioni pregiudiziali di rito e il problema della sua efficacia “esterna”, in Giur. it., 2017, 1608 ss., dove riferimenti.

In realtà il problema non ha una soluzione unitaria (v. per tutti Menchini, Il giudicato civile, Torino, 1988,230). Mentre le pronunce sul processo rese dal giudice di merito sono tendenzialmente inidonee a spiegare efficacia in altri processi, la tendenza si inverte per le pronunce della Cassazione. Alcune di esse hanno senz'altro efficacia «extraprocessuale, in quanto è la stessa legge a prevederla per quelle sulla competenza e sulla giurisdizione (artt. 310, cpv., c.p.c. e 59 l. n. 69/2009); secondo una certa linea interpretativa, anzi, questa attitudine è comune alla generalità delle pronunce della Suprema Corte (per una dimostrazione v. TURRONI, La sentenza civile, cit. infra, 196 ss. spec. 221 ss.).

Pregiudiziali di rito, ordine delle questioni e decisione implicita

L'art. 187, comma 3, c.p.c. chiarisce che la questione pregiudiziale di rito non osta alla trattazione della causa nel merito; ma non dice che il giudice possa decidereil merito prima di essersi pronunciato sulle pregiudiziali di rito. Al contrario, risponde alla logica delle «regole di controllo» far precedere la decisione sull'ammissibilità della domanda a qualunque accertamento sulla fondatezza. In tempi recenti questo criterio è stato tuttavia messo in discussione.

In evidenza

A partire da Cass. civ., Sez. Un., 9 ottobre 2008, n. 24883, la Cassazione afferma che il giudice può «saltare» le pregiudiziali di rito e respingere la domanda direttamente nel merito, se il rigetto si fonda su una ragione già «liquida» cioè di immediata soluzione.

La «ragione più liquida» evocata dalla Cassazione è, verosimilmente, quella relativa a una questione preliminare di merito – anche se il riferimento non brilla per chiarezza. Per una applicazione v. ad es. Cass. civ., Sez. Un., 8 maggio 2014, n. 9936, che ha invocato il primato della «ragione più liquida» per respingere direttamente la domanda nel merito senza decidere l'eccezione di difetto di giurisdizione.

Da segnalare il collegamento che la giurisprudenza istituisce fra questo canone e la tecnica del «giudicato implicito» (sul quale rinviamo a L. Di Cola, Giudicato, in www.ilProcessocivile.it): la priorità del rito sul merito è sovente invocata per ridurre la portata del giudicato implicito, nel senso che quest'ultimo non si forma se il giudice ha fondato il rigetto nel merito su una «ragione più liquida» (in tal senso v. lo stesso leading case di Sez. Un. 24883/2008 cit.).

Ordine di priorità fra pregiudiziali di rito

Il rapporto tra singole questioni pregiudiziali di rito è problematico già in partenza, perché manca un criterio «logico-intuitivo» atto a governarne le relazioni, come quello che caratterizza il rapporto tra decisione sul rito e sul merito. Ne risulta una notevole varietà di criteri e una consistente serie di dubbi; dove la soluzione che persuade di più è quella di escludere, almeno in linea generale, l'esistenza di un ordine di precedenza fisso e giuridicamente presidiato.

Il problema assume rilievo anche in rapporto al «giudicato implicito» di cui abbiamo detto sopra. Se si afferma un possibile ordine di precedenza fra pregiudiziali di rito, il meccanismo della decisione implicita tenderà a proporsi anche in questo ambito: in tal senso v. infatti le Sez. Un. 24883/2008 cit., le quali affermano che la decisione esplicita sulla competenza implicherebbe l'accertamento idoneo al giudicato sulla giurisdizione.

Orientamenti a confronto

ORDINE DI DECISIONE DEI REQUISITI PER LA DECISIONE SUL MERITO: ORIENTAMENTI A CONFRONTO

NON ESISTE ALCUN ORDINE DI PRIORITÀ

Cass. civ, Sez. Un., 14 dicembre 2014, n. 26242, spec. par. 5.14.3.

ESISTE UN ORDINE DI PRIORITÀ

Le questioni sulla regolare instaurazione del contraddittorio hanno la priorità sulla questione di giurisdizione

Cass. civ., Sez. Un., 12 dicembre 2012, n. 22776, con riferimento alla violazione del litisconsorzio necessario; Cass. civ., Sez. Un., 4 febbraio 2016, n. 2201, con riferimento alla nullità della notifica dell'atto introduttivo. Contra Cass. civ., Sez. Un., 12 marzo 2008, n. 10462, nel senso della priorità della questione di giurisdizione su quella relativa alla integrità del contraddittorio.

La questione di giurisdizione ha la priorità sulla questione di competenza

Cass. civ., Sez. Un., 10 gennaio 2003, n. 261; Cass. civ., Sez. Un., 9 ottobre 2008, n. 24883; Cass. civ., Sez. Un., 5 gennaio 2016, n. 29

La questione di compromesso in arbitri è preliminare rispetto a quella sulla giurisdizione internazionale (con riferimento al Regolamento Bruxelles I bis, v. espressamente in tal senso il recital n. 12)

Cass. civ., Sez. Un., 6 luglio 2016, n. 13725; Cass. civ., Sez. Un., 25 ottobre 2013, n. 24153

Le questioni relative ai presupposti processuali hanno la precedenza su quelle relative alle condizioni dell'azione

Cass. civ., Sez. Un., 17 ottobre 2003, n. 15538; Cons. Stato, 1 aprile 2016, n. 1296

La questione sulla litispendenza ha la priorità su quella di competenza

Cass. civ., Sez. Un., 31 luglio 2014, n. 17443

Riferimenti
  • Dalfino, Questioni di diritto e giudicato, Torino, 2008;
  • Marinucci, sub art. 279, in Comoglio et al., Commentario del codice di procedura civile, III, 2, Milanofiori Assago, 2012, 86 ss.;
  • Motto, L'ordine di decisione delle questioni pregiudiziali di rito nel processo civile di primo grado, in Riv. dir. proc., 2017, 617 e ss.;
  • Turroni, La sentenza civile sul processo, Torino, 2006.
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