Il procedimento per decreto si applica in relazione ai reati di scarsa gravità, per i quali il pubblico ministero ritiene che si debba applicare soltanto una pena pecuniaria. Si pubblica la bussola aggiornata.
Inquadramento
Si tratta di un procedimento la cui semplificazione consiste nell'omissione sia della fase preliminare che della fase dibattimentale. Il rito si sostanzia in un passaggio diretto dalle indagini preliminari alla condanna, emessa in assenza di un contraddittorio fra le parti.
Il contraddittorio, però, non è del tutto pretermesso, bensì reso soltanto eventuale e differito. Infatti, l'imputato, raggiunto dal decreto penale di condanna, ha la facoltà di proporre opposizione entro quindici giorni dalla sua notificazione (art. 461 c.p.p.). In tal caso, il decreto viene revocato e il procedimento penale prosegue nelle forme del giudizio immediato, salvo che l'opponente non chieda un rito premiale (art. 464 c.p.p.). Decorso inutilmente il termine previsto per l'opposizione, il decreto penale diventa irrevocabile e costituisce titolo esecutivo (art. 650, comma 1, c.p.p.).
Il procedimento
Il procedimento per decreto può essere azionato solo su richiesta del pubblico ministero (art. 459, comma 1, c.p.p.), che non deve essere preceduta dalla notificazione dell'avviso di conclusione delle indagini preliminari.
Essendo atto di esercizio dell'azione penale, la richiesta deve contenere l'imputazione e la compiuta identificazione dell'imputato.
La richiesta va indirizzata al giudice per le indagini preliminari e deve contenere la motivazione della richiesta e l'indicazione dell'entità della pena da applicare; a tal proposito, l'art. 459, comma 2, c.p.p. prevede che il pubblico ministero possa chiedere l'applicazione di una pena ridotta fino alla metà rispetto al minimo edittale.
Il decreto penale di condanna può essere emesso sia per i reati procedibili d'ufficio che per quelli procedibili a querela, purché validamente presentata, nelle sole ipotesi in cui il pubblico ministero ritenga di dover applicare una pena pecuniaria, anche se determinata in sostituzione di una pena detentiva.
In evidenza
Nella sua formulazione originaria, il primo comma dell'art. 459 c.p.p. prevedeva che per i reati procedibili a querela il pubblico ministero potesse presentare richiesta di emissione del decreto penale di condanna a condizione che il querelante non avesse dichiarato in querela di opporsi all'emissione del provvedimento monitorio. La Corte costituzionale, con la sentenza n. 23 del 2015, ha dichiarato incostituzionale la disposizione in esame nella parte in cui prevede la facoltà del querelante di opporsi, in caso di reati perseguibili a querela, alla definizione del procedimento con l'emissione di decreto penale di condanna. In sintesi, la Corte ritiene che, una volta ampliato il campo dei reati per i quali è possibile definire il procedimento con il decreto penale di condanna comprendendovi anche i reati procedibili a querela (con il dichiarato scopo di favorire sempre più il ricorso ai riti alternativi di tipo premiale per assicurare la deflazione del carico penale necessaria per l'effettivo funzionamento del rito accusatorio), l'attribuzione di una mera facoltà al querelante, consistente nell'opposizione alla definizione del procedimento mediante il decreto penale di condanna, introduce un evidente elemento di irrazionalità. Ciò in quanto: a) distingue irragionevolmente la posizione del querelante rispetto a quella della persona offesa dal reato per i reati perseguibili d'ufficio; b) non corrisponde ad alcun interesse meritevole di tutela del querelante stesso; c) reca un significativo vulnus all'esigenza di rapida definizione del processo; d) si pone in contrasto sistematico con le esigenze di deflazione proprie dei riti alternativi premiali; e) è intrinsecamente contraddittoria rispetto alla mancata previsione di una analoga facoltà di opposizione alla definizione del processo mediante l'applicazione della pena su richiesta delle parti, in quanto tale rito speciale può essere una modalità di definizione del giudizio nonostante l'esercizio, da parte del querelante, del suo potere interdittivo.
La richiesta del pubblico ministero deve essere avanzata entro il termine di un anno dall'iscrizione del nome dell'indagato nel registro delle notizie di reato.
In evidenza
L'emissione del decreto penale di condanna oltre il termine previsto dal primo comma dell'art. 459 c.p.p. non comporta la nullità del decreto stesso perché tale termine è ordinatorio e il suo mancato rispetto provoca una mera irritualità (Cass. pen., sez. un., 6 marzo 1992, n. 3).
Unitamente alla richiesta, il pubblico ministero deve trasmettere il fascicolo delle indagini preliminari in modo da consentire al giudice sia di accertare la sussistenza dei presupposti di ammissibilità del rito che di valutare il merito della richiesta.
Preliminarmente, il giudice deve verificare se sussistano i presupposti per un proscioglimento immediato dell'imputato, perché in tal caso dovrà emettere una sentenza ex art. 129 c.p.p. (art. 459, comma 3, c.p.p.).
In evidenza
Il giudice per le indagini preliminari può prosciogliere la persona nei cui confronti il pubblico ministero abbia richiesto l'emissione di decreto penale di condanna solo per una delle ipotesi tassativamente indicate nell'art. 129 c.p.p., e non anche per mancanza, insufficienza o contraddittorietà della prova ai sensi dell'art. 530, comma 2, c.p.p., alle quali, prima del dibattimento - non essendo stata la prova ancora assunta - l'art. 129 c.p.p. non consente si attribuisca valore processuale (Cass. pen., sez. un., 9 giugno 1995, n. 18).
In evidenza
La sentenza di proscioglimento, emessa dal giudice per le indagini preliminari investito della richiesta di decreto penale di condanna, può essere impugnata solo con ricorso per cassazione (Cass. pen., sez. un., 30 settembre 2010, n. 43055).
Se non deve pronunciare tale sentenza, il giudice può rigettare la richiesta e restituire gli atti al pubblico ministero se ritiene che non ricorrano i presupposti del rito o che la pena richiesta (la cui entità non può essere modificata dal giudice ex art. 460, comma 2, c.p.p., salva l'ipotesi di cui all'art. 459, comma 1-bis, c.p.p.) non sia congrua, oppure quando risulta la necessità di applicare una misura di sicurezza personale (art. 459, comma 5, c.p.p.) o quando dagli atti emerge una circostanza aggravante che non sia stata contestata.
In evidenza
La Corte costituzionale, con la sentenza n. 16 del 2022, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 34, comma 2, c.p.p., nella parte in cui non prevede che il giudice per le indagini preliminari, che ha rigettato la richiesta di decreto penale di condanna per mancata contestazione di una circostanza aggravante, sia incompatibile a pronunciare sulla nuova richiesta di decreto penale formulata dal pubblico ministero in conformità ai rilievi del giudice stesso. La Corte osserva che, da un lato, il rigetto della richiesta di decreto penale per mancata contestazione di una circostanza aggravante comporta una valutazione di merito sulla res iudicanda, essendo insito, in tale provvedimento, il riconoscimento che, alla luce delle risultanze degli atti di indagine, non solo il fatto per cui si procede sussiste ed è addebitabile all'imputato (in caso contrario, il giudice rigetterebbe la richiesta per tale motivo), ma che è altresì aggravato da una circostanza trascurata dal pubblico ministero. Dall'altro lato, poi, il rigetto della richiesta di decreto penale determina, per espressa previsione del codice di rito (art. 459, comma 3, c.p.p.), la restituzione degli atti al pubblico ministero e, con essa, secondo un costante indirizzo della giurisprudenza di legittimità, la regressione del procedimento nella fase delle indagini preliminari (fase che si era chiusa con la precedente richiesta di decreto penale, che costituisce uno dei modi di esercizio dell'azione penale): tant'è che il pubblico ministero viene pienamente reintegrato nelle proprie attribuzioni, potendo anche optare per una eventuale richiesta di archiviazione, senza che vi osti il principio di irretrattabilità dell'azione penale (tra le altre, Cass. pen., sez. III, 14 dicembre 2017, n. 14012; Cass. pen., sez. II, 20 marzo 2019, n. 13680). Di conseguenza, anche in questo caso, la successiva riproposizione della richiesta di decreto penale apre una nuova fase di giudizio che, sebbene omologa alla precedente, resta da essa distinta e nella quale, pertanto, la valutazione “contenutistica” insita nel provvedimento di rigetto della prima richiesta esplica la propria efficacia pregiudicante.
In evidenza
La Suprema Corte ritiene non abnorme, e quindi non ricorribile per cassazione, il provvedimento con cui il giudice per le indagini preliminari, investito della richiesta di emissione di decreto penale di condanna, restituisca gli atti al pubblico ministero perché valuti la possibilità di chiedere l'archiviazione del procedimento per particolare tenuità del fatto ai sensi dell'art. 131-bis c.p. (Cass. pen., sez. un., 18 gennaio 2018, n. 20569). La Corte ha precisato che l'invito a verificare il carattere particolarmente tenue dell'illecito contestato nell'imputazione non implica alcuna invasione delle competenze dell'organo requirente, ma appartiene all'attività di qualificazione giuridica propria del giudice.
La restituzione degli atti al pubblico ministero comporta la regressione del procedimento nella fase delle indagini preliminari (fase che si era chiusa con la precedente richiesta di decreto penale, che costituisce uno dei modi di esercizio dell'azione penale); il pubblico ministero viene quindi pienamente reintegrato nelle proprie attribuzioni, potendo anche optare per una eventuale richiesta di archiviazione, senza che vi osti il principio di irretrattabilità dell'azione penale.
Se, invece, valuta sussistenti tutti i presupposti del rito e ritiene congrua la pena proposta, il giudice emette decreto penale di condanna alla pena richiesta dal pubblico ministero. Il giudice è tenuto ad applicare la pena indicata dall'accusa senza poterla modificare. Solo quando viene richiesta una pena pecuniaria in sostituzione di una pena detentiva, al giudice è demandato anche il compito di quantificala seguendo uno specifico modello bifasico: prima individua il valore giornaliero al quale può essere assoggettato l'imputato (che in ogni caso non può essere inferiore a 5 euro e superiore a 250 euro), ossia la quota del suo reddito giornaliero che può essere impiegata per il pagamento della pena pecuniaria, tenendo conto delle sue complessive condizioni economiche, patrimoniali e di vita e di quelle del suo nucleo familiare; poi moltiplica tale valore per i giorni di pena detentiva, che, essendo sostituita dalla pena pecuniaria, non può essere superiore ad un anno (art. 53, commi 1 e 2, l. n. 689/1981); inoltre, il pagamento della pena pecuniaria irrogata in sostituzione della pena detentiva può essere rateizzato (art. 459, comma 1-bis, c.p.p.).
Sempre entro il limite di un anno, la pena detentiva può essere sostituita anche con il lavoro di pubblica utilità di cui all'art. 56-bis l. n. 689/1981. In tal caso, l'indagato, prima dell'esercizio dell'azione penale, ne deve fare richiesta al pubblico ministero, presentando il programma di trattamento elaborato dall'ufficio di esecuzione penale esterna con la relativa dichiarazione di disponibilità dell'ente (art. 459, comma 1-bis, c.p.p.). La previsione presuppone che l'indagato sia a conoscenza del procedimento a suo carico ed è dettata dalla necessità di coordinare le caratteristiche del procedimento monitorio (nel quale non vi è un momento di confronto fra le parti e il giudice) con quelle del lavoro di pubblica utilità (che richiede la non opposizione dell'imputato e un programma di lavoro elaborato da un ente accreditato e disponibile).
Anche dopo l'emissione del decreto penale di condanna a pena pecuniaria sostitutiva di una pena detentiva è possibile ottenere la sostituzione con il lavoro di pubblica utilità senza dover necessariamente formulare l'atto di opposizione, che comporterebbe la revoca del decreto e l'accesso ad un rito speciale. A tal fine, l'imputato, personalmente o tramite un procuratore speciale, deve formulare un'apposita istanza entro quindici giorni dalla notificazione del decreto penale di condanna. Con l'istanza, può chiedere un termine di sessanta giorni per depositare la dichiarazione di disponibilità dell'ente o dell'associazione e il programma dell'ufficio di esecuzione penale esterna. Trascorso detto termine, il giudice che ha emesso il decreto penale di condanna può operare la sostituzione della pena detentiva con il lavoro di pubblica utilità. In difetto dei presupposti, il giudice respinge la richiesta e dichiara esecutivo il decreto.
Se, invece, oltre alla richiesta di sostituzione della pena è stato presentato anche l'atto di opposizione, il giudice, nel rigettare la richiesta di sostituzione, revoca il decreto penale di condanna e provvede ai sensi dell'art. 464 c.p.p.
Il contenuto del decreto penale di condanna
L'art. 460 c.p.p. prevede che il decreto penale debba contenere:
le generalità dell'imputato o le altre indicazioni personali che valgano a identificarlo;
le generalità della persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria, laddove necessarie;
l'enunciazione del fatto, delle circostanze e delle disposizioni di legge violate;
la concisa esposizione dei motivi di fatto e di diritto su cui la decisione è fondata;
il dispositivo, con l'indicazione specifica della riduzione di un quinto della pena pecuniaria in caso di pagamento nei termini con rinuncia all'opposizione;
l'avviso all'imputato e alla persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria della facoltà di proporre opposizione entro quindici giorni dalla notificazione del decreto e, contestualmente, richiedere il giudizio immediato, il giudizio abbreviato, l'applicazione della pena a norma dell'art. 444 c.p.p. o la sospensione del procedimento con messa alla prova (l'avviso circa quest'ultima opzione è stato introdotto dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 201 del 2016). L'omissione dell'avviso in parola integra una nullità ai sensi dell'art. 178, lett. c), c.p.p.);
l'avvertimento all'imputato e alla persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria che, in caso di mancata opposizione, il decreto diviene esecutivo;
l'avviso all'imputato e alla persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria della facoltà di nominare un difensore;
la nomina di un difensore d'ufficio (se l'imputato non ne ha nominato uno di fiducia durante le indagini preliminari);
la data in cui è stato emesso;
la sottoscrizione del giudice e dell'ausiliario che lo assiste;
l'avviso all'imputato della facoltà di accedere ai programmi di giustizia riparativa;
l'avviso che può essere effettuato il pagamento della pena pecuniaria in misura ridotta di un quinto, nel termine di quindici giorni dalla notificazione del decreto, con rinuncia all'opposizione.
Il corredo di avvisi e avvertimenti di cui sopra, la cui omissione integra una nullità ai sensi dell'art. 178, lett. c), c.p.p., fa comprendere come il decreto penale assolva anche alla funzione di surrogato dell'informazione di garanzia. Del resto, se le indagini si sono svolte senza il compimento di uno degli “atti garantiti” di cui all'art. 369 c.p.p., l'imputato viene a conoscenza del procedimento che lo riguarda solo con la notificazione del provvedimento di condanna.
La notificazione del decreto penale di condanna
Il decreto penale di condanna, unitamente al precetto, deve essere notificato al condannato, al difensore di ufficio o al difensore di fiducia eventualmente nominato e alla persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria, se presente; inoltre, copia del decreto deve essere trasmesso a cura della cancelleria del giudice che l'ha emesso anche al pubblico ministero proponente (art. 460, comma 3, c.p.p.).
Come già anticipato, la notificazione del decreto penale ha una importanza peculiare, considerato che riveste anche la funzione di comunicazione all'imputato dell'esercizio dell'azione penale.
È assolutamente necessario, pertanto, assicurarsi che l'imputato abbia avuto effettiva conoscenza dell'emissione del decreto di condanna. Per questo motivo il legislatore ha introdotto una peculiare disciplina volta a scongiurare il rischio che l'imputato (o il civilmente obbligato per la pena pecuniaria) scopra di essere stato condannato quando ormai sono scaduti i termini per presentare opposizione.
In primo luogo, è stata esclusa, in quanto ritenuta troppo rischiosa, la notificazione con il rito degli irreperibili (art. 159 c.p.p.). Stabilisce, infatti, l'art. 460, comma 4, c.p.p. che il giudice, se non è possibile eseguire la notificazione per irreperibilità dell'imputato, deve revocare il provvedimento e restituire gli atti al pubblico ministero affinché proceda nelle forme ordinarie o con altro rito speciale.
In evidenza
La Corte costituzionale, con sentenza n. 504 del 2000, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 460, comma 4, c.p.p., nella parte in cui non prevede la revoca del decreto penale di condanna e la restituzione degli atti al pubblico ministero anche nel caso in cui non sia possibile la notificazione nel domicilio dichiarato a norma dell'art. 161 c.p.p. La Consulta osserva che, se la ratio che sorregge la specifica disciplina di cui all'art. 460, comma 4, c.p.p. è quella di ancorare il regime della notificazione alla conoscenza effettiva del decreto penale, in modo che il destinatario dell'atto sia posto in condizione di esercitare concretamente la scelta tra opposizione e acquiescenza, e se, in attuazione di questa ratio, il legislatore ha ritenuto che l'opzione tra acquiescenza e opposizione, a causa delle rilevanti conseguenze che ne derivano, non può essere demandata esclusivamente al difensore, stabilendo di conseguenza l'incompatibilità tra il decreto penale di condanna e la irreperibilità dell'imputato, non vi è ragione per cui la revoca del decreto penale non debba essere prevista anche nel caso in cui, essendo inidonea o insufficiente la dichiarazione di domicilio, la notificazione dovrebbe essere eseguita mediante consegna al difensore a norma dell'art. 161, comma 4, c.p.p.. Anche in tale ipotesi, infatti, l'impossibilità di eseguire la notificazione al domicilio dichiarato dall'imputato comporta l'alta probabilità che questi non abbia conoscenza effettiva del decreto e che l'eventuale proposizione dell'opposizione sia rimessa esclusivamente alla valutazione e alla iniziativa del difensore.
A tali rimedi preventivi, il legislatore ha affiancato anche un rimedio esperibile successivamente all'emissione del decreto penale di condanna. Infatti, qualora l'interessato dimostri di non aver avuto effettiva e tempestiva conoscenza del provvedimento di condanna per ragioni non imputabili a sua colpa, può essere rimesso in termini per proporre opposizione ai sensi dell'art. 175 c.p.p. (art. 462 c.p.p.).
In evidenza
La competenza a provvedere sulla richiesta di restituzione nel termine per proporre opposizione al decreto penale di condanna spetta al giudice per le indagini preliminari e non al giudice del dibattimento (Cass. pen., sez. un., 17 gennaio 2006, n. 4445).
In evidenza
Altro rimedio postumo è stato introdotto dal d.lgs. 150/2022 (c.d. riforma Cartabia) per i casi di malfunzionamento dei sistemi informatici dei domini del Ministero della giustizia in relazione al deposito telematico dell'atto di opposizione. Durante il periodo di malfunzionamento, che deve essere certificato dal direttore generale dei servizi informativi automatizzati del Ministero della giustizia oppure accertato ed attestato dal dirigente dell'ufficio giudiziario, gli atti di opposizione devono essere redatti in forma di documento analogico e depositati con modalità non telematiche. Tuttavia, se nel periodo di malfunzionamento scade il termine per l'opposizione, l'interessato può essere restituito nel termine se prova di essersi trovato, per caso fortuito o forza maggiore, nell'impossibilità di redigere l'atto in forma di documento analogico o di depositarlo con modalità non telematiche entro il termine di decadenza (art. 175-bis c.p.p.).
La natura e gli effetti del decreto penale di condanna
Sebbene il legislatore gli abbia attribuito la forma del decreto, non vi sono dubbi che il provvedimento in esame sia, per determinati aspetti, del tutto parificabile ad una sentenza di condanna. Infatti, la mancata opposizione da parte dell'imputato comporta il passaggio in giudicato del decreto di condanna, che diviene esecutivo.
Il rito in esame comporta l'applicazione di una sanzione esclusivamente pecuniaria che può essere ridotta fino alla metà rispetto al minimo edittale previsto dalla norma sostanziale. Nel decreto deve essere indicata l'entità dell'eventuale diminuzione della pena al di sotto del minimo edittale (art. 460, comma 2, c.p.p.). Inoltre, se il condannato effettua il pagamento nel termine di quindici giorni dalla notifica del decreto, con rinuncia all'opposizione, la sanzione pecuniaria è ulteriormente ridotta di un quinto (art. 460, comma 5, c.p.p.).
Ai sensi dell'art. 460 c.p.p., con il decreto penale è dichiarata altresì la responsabilità della persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria, nelle ipotesi di cui agli artt. 196 e 197 c.p.
Sotto il profilo del ne bis in idem (art. 649 c.p.p.) e del giudizio di revisione (art. 629 c.p.p.), il decreto penale produce gli stessi effetti di una sentenza di condanna. Invece, ai sensi dell'art. 460, comma 5, c.p.p., esso non è idoneo a produrre effetti vincolanti nei giudizi civili e amministrativi, in virtù della sostanziale assenza di un accertamento della responsabilità penale nel contraddittorio delle parti.
Nel decreto penale di condanna il giudice può provvedere altresì in ordine alla confisca, nei casi previsti dall'art. 240, comma 2, c.p., o alla restituzione delle cose oggetto di sequestro. Il legislatore, invece, ha esplicitamente escluso la possibilità di applicare, a mezzo di decreto di condanna, le misure di sicurezza personali.
Per quanto riguarda gli effetti premiali connessi al procedimento in esame (art. 460, comma 5, c.p.p.), il decreto penale di condanna:
non comporta la condanna al pagamento delle spese processuali;
non comporta l'applicazione di pene accessorie;
non comporta l'applicazione di misure di sicurezza personali (art. 459 comma 5 c.p.p.);
consente l'estinzione del reato se il condannato paga la pena pecuniaria (salvo che la pena irrogata sia stata sospesa) e, nel termine di cinque anni (per i delitti) o di due anni (per le contravvenzioni), non commette un delitto o una contravvenzione della stessa indole;
non è di ostacolo alla concessione di una successiva sospensione condizionale della pena;
non deve essere menzionato nel certificato del casellario giudiziale richiesto dal privato (art. 24, comma 1, lett. e), d.P.R. 14 novembre 2002, n. 313);
non ha efficacia di giudicato nel giudizio civile o amministrativo.
L'opposizione al decreto penale di condanna
Il decreto penale di condanna viene dichiarato esecutivo con ordinanza del giudice che l'ha emesso se non viene opposto entro il termine di quindici giorni dalla notificazione dello stesso o se l'opposizione viene dichiarata inammissibile (art. 461, comma 5, c.p.p.).
L'opposizione deve essere proposta con le forme previste dall'art. 582 c.p.p. nella cancelleria del giudice per le indagini preliminari che ha emesso il decreto ovvero nella cancelleria del tribunale o del giudice di pace del luogo in cui si trova l'opponente.
Ai sensi dell'art. 460, comma 2, c.p.p., essa deve indicare, a pena di inammissibilità, gli estremi del decreto penale di condanna, la data del medesimo e il giudice che lo ha emesso, mentre non è necessario che siano esposti i motivi di opposizione.
In evidenza
L'atto di opposizione a decreto penale di condanna non è a forma vincolata e, quindi, l'indicazione in esso di tutti gli elementi previsti dall'art. 461 c.p.p. (estremi del decreto impugnato, data, giudice che lo ha emesso) non è richiesta a pena di inammissibilità, perché i detti elementi non sono requisiti formali ineliminabili dell'atto, ma hanno carattere indicativo ed equipollente, nel senso che debbono consentire, globalmente o alternativamente, l'individuazione certa del provvedimento opposto. Pertanto, l'opposizione è ammissibile, purché non vi siano dubbi sul provvedimento opposto, anche se manchi taluno degli elementi indicati nell'art. 461 c.p.p. (Cass. pen., sez. un., 6 marzo 1992, n. 3). Nella specie la Corte ha ritenuto ammissibile l'opposizione in cui erano stati indicati solo il numero del decreto, l'anno di emissione e il numero del procedimento con l'indicazione del registro al quale faceva riferimento.
L'opposizione rappresenta, altresì, l'atto con il quale l'imputato può chiedere l'applicazione di un rito premiale. Infatti, l'art. 461, comma 1, c.p.p. stabilisce espressamente che con l'atto di opposizione è possibile chiedere che il processo conseguente all'impugnazione si svolga nelle forme del giudizio immediato o del giudizio abbreviato oppure che venga applicata una pena a norma degli artt. 444 ss. c.p.p. o sospeso il procedimento con messa alla prova. Contestualmente all'opposizione l'interessato può, inoltre, presentare domanda di oblazione (art. 461, comma 2, c.p.p.).
Qualora non vi abbia provveduto contestualmente all'atto di opposizione, l'imputato non può richiedere riti alternativi, né essere ammesso all'oblazione (art. 464, comma 3, c.p.p.).
Soggetti legittimati a proporre opposizione sono, a norma dell'art. 461, comma 1, c.p.p., l'imputato e la persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria. Il legislatore prevede che tali soggetti possano esprimere la loro contrarietà alla condanna inflitta personalmente o a mezzo di un difensore eventualmente nominato. In tal caso non è necessario che questi sia dotato di procura speciale, con la conseguenza che sussiste la facoltà di impugnare autonomamente il decreto penale da parte del difensore, anche nominato d'ufficio, analogamente a quanto accade per gli ordinari mezzi di impugnazione. Naturalmente, la procura speciale sarà necessaria al difensore per richiedere con l'opposizione un rito premiale.
Il giudizio conseguente all'opposizione
Il giudice che riceve l'opposizione deve sottoporla ad un preventivo vaglio di ammissibilità.
L'opposizione deve essere dichiarata inammissibile qualora:
sia stata proposta fuori termine (art. 461, comma 4, c.p.p.);
sia stata proposta da soggetto non legittimato (art. 461, comma 4, c.p.p.);
non riporti l'indicazione degli estremi del decreto penale di condanna, della data dello stesso e del giudice che lo ha emesso (art. 461, comma 2, c.p.p.).
La dichiarazione di inammissibilità può essere impugnata solo per motivi di legittimità dinnanzi alla Corte di cassazione. Legittimato al ricorso è il soggetto che ha proposto l'opposizione dichiarata inammissibile (art. 461, comma 6, c.p.p.).
Se invece l'opposizione supera il vaglio di ammissibilità, il giudice provvede alla fissazione dell'udienza di trattazione secondo le modalità previste dal codice di rito (art. 461, comma 1, c.p.p.). Pertanto, il giudice emetterà il decreto che dispone il giudizio immediato nell'ipotesi in cui l'opponente abbia richiesto tale rito o non abbia formulato alcuna richiesta, mentre, qualora abbia chiesto il giudizio abbreviato, il giudice provvede alla fissazione dell'udienza, dandone avviso al pubblico ministero, all'imputato, al difensore ed alla persona offesa almeno cinque giorni prima. Nell'ipotesi in cui il giudice debba rigettare la richiesta di giudizio abbreviato c.d. condizionato, provvede alla fissazione dell'udienza secondo le forme del giudizio immediato; nell'eventualità, invece, che l'opponente abbia manifestato l'intenzione di addivenire ad un accordo con la pubblica accusa in ordine alla pena da applicare a norma degli artt. 444 ss. c.p.p., il giudice fissa con decreto un termine entro il quale il pubblico ministero deve esprimere il consenso. A tal fine dispone che la richiesta ed il decreto siano notificati al pubblico ministero a cura dell'opponente; se il pubblico ministero non esprime il consenso nel termine stabilito, il giudice emette decreto di giudizio immediato. Se è stata richiesta la sospensione del procedimento con messa alla prova, il giudice fissa l'udienza ex art. 464-quater c.p.p. per decidere. Infine, se è presentata domanda di oblazione contestualmente all'opposizione, il giudice è tenuto a decidere sulla domanda stessa prima di emettere i provvedimenti sopra citati.
In evidenza
In caso di opposizione al decreto penale di condanna, il giudice è vincolato all'adozione degli atti di impulso previsti dall'art. 464 c.p.p., e non può pronunciarsi nuovamente sullo stesso fatto-reato dopo l'emissione del decreto nè revocare quest'ultimo fuori dei casi tassativamente previsti. Ne consegue che è affetta da abnormità genetica o strutturale la sentenza di proscioglimento emessa dal giudice per le indagini preliminari successivamente all'opposizione a decreto penale di condanna (Cass. pen., sez. un., 25 marzo 2010, n. 21243).
In ogni caso, a seguito di opposizione, il decreto penale di condanna deve essere revocato (art. 461, comma 3, c.p.p.). Il procedimento si svolge secondo le regole stabilite dal codice di rito per il tipo di giudizio speciale scelto in sede di opposizione.
Il giudice, nella sua decisione, non è vincolato alla pena originariamente inflitta con il decreto, potendo applicare una pena diversa e più grave. Può, inoltre, revocare i benefici già concessi (art. 464, comma 4, c.p.p.).
Con la sentenza che proscioglie l'imputato perché il fatto non sussiste, non è previsto dalla legge come reato ovvero è commesso in presenza di una causa di giustificazione, il giudice revoca il decreto di condanna anche nei confronti degli imputati dello stesso reato che non hanno proposto opposizione (art. 464, comma 5, c.p.p.).
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