La voluntary disclosure ora può decollare
04 Agosto 2015
Il Consiglio dei Ministri del 31 luglio scorso ha approvato, in via definitiva, lo schema di decreto legislativo sulla “certezza del diritto” (Atto del Governo n. 163 bis), attuativo della delega fiscale, che, tra le altre misure di rilevo (abuso del diritto e adempimento collaborativo), reca la nuova disciplina sul raddoppio dei termini ordinari di decadenza dell'azione accertatrice in caso di violazione che comporti l'obbligo di denuncia penale, prevedendo, in sintesi, che l'istituto operi solo qualora la notizia di reato sia effettivamente inviata alla Procura della Repubblica entro i termini ordinari di decadenza (31 dicembre del quarto anno successivo alla presentazione della dichiarazione o, in caso di omessa presentazione o dichiarazione nulla, quinto anno successivo a quello in cui la dichiarazione avrebbe dovuto essere presentata). Le novità sono di forte impatto e avranno due importanti benefici per i contribuenti. Da una parte, in termini generali, viene garantita certezza sullo spirare dei termini di accertamento pur in presenza di un reato tributario e si pone fine ai (per fortuna pochi) fenomeni di abuso dell'istituto, non consentendo più all'Amministrazione finanziaria di “riaprire” termini di accertamento ordinariamente scaduti (ci sia perdonato l'uso di questo verbo, sebbene cassato dalla giurisprudenza, più incline a considerarlo un termine lungo ab origine). Da altra parte, si mettono le ali alla procedura di voluntary disclosure, dato che ora vi è la certezza che, qualora non sia stata già presentata una denuncia penale, gli unici anni ancora accertabili (e quindi per i quali è necessario pagare imposte e sanzioni in caso di adesione alla VD) sono quelli dal 2010 in avanti (2009 in caso di omessa presentazione della dichiarazione). Di seguito ricapitoleremo brevemente la genesi dell'istituto e analizzeremo le novità sia in termini generali che per i suoi riflessi sulla voluntary disclosure.
La disciplina del raddoppio dei termini nella sua evoluzione sino ad oggi
La disciplina del raddoppio dei termini per l'accertamento tributario - introdotta nell'ordinamento dall'art. 37, commi 24, 25 e 26 del Decreto-Legge n. 223 del 2006 - è recata dagli articoli 43 del D.P.R. n. 600 del 1973, relativo alle imposte sui redditi, e 57 del D.P.R. n. 633 del 1972, concernente l'IVA (secondo l'Agenzia delle Entrate la disciplina si applica anche all'IRAP - cfr. Circolare n. 10/E del 2015). Tale istituto prevede che in caso di violazione che comporti obbligo di denuncia ai sensi dell'art. 331 del codice di procedura penale per uno dei reati previsti dal D.lgs. n. 74 del 2000, i termini per la notifica degli avvisi di accertamento ai fini delle imposte sui redditi e IVA sono raddoppiati relativamente al periodo di imposta in cui è stata commessa la violazione. Il citato art. 331 del c.p.p., recante gli obblighi di denuncia da parte di pubblici ufficiali e incaricati di un pubblico servizio, stabilisce in particolare che, fermi restando gli obblighi di riferire la notizia di reato al Pubblico ministero da parte della polizia giudiziaria, i pubblici ufficiali e gli incaricati di un pubblico servizio che, nell'esercizio o a causa delle loro funzioni o del loro servizio, hanno notizia di reato “perseguibile di ufficio”, devono farne denuncia per iscritto, anche quando non sia individuata la persona alla quale il reato è attribuito. Nell'applicazione pratica la norma - che ha quale ratio quella di disporre di più tempo ai fini dell'accertamento tributario in caso di procedimento penale anche al fine di utilizzare, ove possibile, le prove negli atti amministrativi - ha consentito all'Amministrazione finanziaria di emanare avvisi di accertamento anche per fatti risalenti a 8 o 10 anni precedenti (a seconda che la dichiarazione dei redditi fosse stata o meno presentata) purché fosse emersa, entro tale termine, un'ipotesi di reato. Posto in questi termini, il peculiare istituto ha comportato, per il contribuente, l'incertezza sullo spirare del termine di decadenza dell'accertamento, dato che, potenzialmente, l'azione accertatrice poteva essere iniziata anche a distanza di 10 anni e pur se nel frattempo nessun atto fosse stato mai notificato.
Gran parte della dottrina ha avuto modo di criticare la posizione del Giudice delle Leggi, sostenendo che: non tutti i reati richiedono degli accertamenti complessi (es: omesso versamento) e, quindi, non è sempre necessario disporre di termini più lunghi; è contraddittorio sostenere che la ratio dell'istituto è accertare fattispecie complesse penalmente rilevanti e poi far operare la disciplina indipendentemente dalla presentazione di una notizia di reato o dall'esercizio dell'azione penale o, addirittura, pure in caso di archiviazione; il raddoppio dei termini si pone in netta controtendenza con il principio del doppio binario; il trascinamento della decadenza dell'azione accertatrice può, a sua volta, comportare una dilatazione della prescrizione penale, attesa la causa interruttiva recata dall'art. 17 del D.lgs. n. 74 del 2000; infine (soprattutto), il contribuente si viene a trovare in una situazione di incertezza circa la decadenza dell'azione accertatrice, che può essere verificata solo ex post, anche se, secondo taluni, un bilanciamento degli interessi porterebbe a ritenere infondata tale posizione. Da segnalare, tuttavia, che la giurisprudenza di merito, sebbene senza orientamenti consolidati, ha, nel tempo, temperato la posizione assunta dalla Corte Costituzionale, affermando che l'onere della prova dei presupposti della denuncia è a carico dell'Amministrazione finanziaria, che l'autotutela che fa venir meno i presupposti della denuncia fa venir meno anche il raddoppio dei termini e, ancora, che il raddoppio non opera se l'accertamento è emesso dopo l'archiviazione del reato o per prescrizione del reato (in altre occasioni, tuttavia, è stato affermato che l'archiviazione o il proscioglimento non fanno venir meno, di per sé, la disciplina del raddoppio). Di assoluto rilievo la posizione assunta da parte della giurisprudenza del 2014 in base alla quale l'accertamento è illegittimo se la notitia criminis è emersa oltre il termine ordinario di decadenza. Ecco che i tempi, pertanto, erano maturi per un chiarimento normativo: la coeva legge delega sulla riforma fiscale ha previsto (art. 8, comma 2, della legge n. 23 del 2014) che la specifica disciplina rilevi soltanto in presenza di effettivo invio della denuncia, ai sensi dell'art. 331 del codice di procedura penale, effettuato entro un termine “correlato” allo scadere del termine ordinario di decadenza.
Lo schema di D.lgs. in commento, approvato definitivamente a seguito di un doppio passaggio parlamentare (c.d. “procedura rafforzata”), stabilisce che - fermi restando gli altri requisiti (ci si riferisce, in particolare, alla verifica della reale esistenza dell'obbligo di segnalazione all'A.G.) - l'istituto del raddoppio dei termini possa operare solo qualora la denuncia da parte dell'Amministrazione finanziaria, ivi ricompresa la Guardia di finanza, sia presentata o trasmessa entro la scadenza ordinaria dei termini di decadenza dell'azione accertatrice (4 o 5 anni). Nell'immediato, ciò significa che qualora non sia stata ancora presentata una denuncia da parte dell'Amministrazione per un reato tributario, gli anni accertabili d'ora in avanti sono solo quelli dal 2010 in poi (2009 in caso di omessa presentazione della dichiarazione). Per il futuro, se, scaduto il termine ordinario di decadenza di 4 o 5 anni, non sarà inviata una denuncia, l'azione amministrativa sarà definitivamente inibita per gli anni d'imposta prescritti. Ciò ferma restando la possibilità, per la Procura della Repubblica, di procedere comunque penalmente entro gli ordinari termini di prescrizione dei reati (tendenzialmente fino a 6 anni, elevabili a 7 anni e mezzo in caso di interruzione, decorrenti dalla data di commissione dell'illecito penale). Facendo un esempio pratico: illecito penale commesso nel 2009, dichiarazione dei redditi presentata, nessuna denuncia penale ancora trasmessa. In questo caso, nessun accertamento tributario potrà più essere emesso, anche se la Procura potrà procedere penalmente in via autonoma, sebbene con scarse prospettive: è infatti del tutto inverosimile che, avendo esercitato l'azione penale a distanza di più di 5 anni, il giudizio penale possa pervenire a una condanna definitiva entro i termini di prescrizione, potendo tutt'al più prospettarsi una condanna in primo grado e una successiva estinzione del reato per prescrizione in appello. Attenzione, però: la recentissima sentenza n. 31617/2015 delle Sezioni Unite della Cassazione (depositata il 21 luglio) ha stabilito che la confisca del prezzo o del profitto del reato è possibile anche quando il reato si è prescritto, a condizione, tuttavia, che si tratti di confisca diretta e ci sia stata una precedente pronuncia di condanna “rispetto alla quale il giudizio di merito permanga inalterato quanto alla sussistenza del reato, alla responsabilità dell'imputato ed alla qualificazione del bene da confiscare come profitto o prezzo del reato”. Lo schema di provvedimento, inoltre, precisa che per “Amministrazione finanziaria”, la cui denuncia del reato fa scattare il raddoppio dei termini, è ricompresa anche la Guardia di finanza. Trattasi, in realtà, di una mera conferma, richiesta dalle Commissioni parlamentari, in quanto il termine è già da intendersi riferito, come nella generalità dei casi di utilizzo della medesima locuzione, oltre che all'Agenzia delle Entrate, anche al Corpo militare nello svolgimento dell'ordinaria attività di controllo fiscale. Ciò per consolidata interpretazione che trova riscontro sia nel fatto che, a partire dalla riforma del sistema tributario avviata con la Legge n. 825 del 1971, le due Istituzioni sono titolari dei medesimi poteri ispettivi per il contrasto degli illeciti fiscali, sia nella formulazione testuale dell'art. 12, comma 5, dello Statuto del contribuente (legge n. 212 del 2000), nel quale si fa riferimento agli “operatori civili o militari dell'Amministrazione finanziaria”.
Il periodo transitorio
Cosa accade, invece, agli “atti di controllo” già emanati? Lo schema di decreto, nella versione finale, chiarisce fortunatamente alcuni dubbi. Si precisa, infatti, che sono comunque validi gli avvisi di accertamento, i provvedimenti che irrogano sanzioni amministrative tributarie (quindi, sia atti di contestazione che di irrigazione di sanzioni) e gli altri atti impugnabili con i quali l'Agenzia delle Entrate fa valere una pretesa impositiva o sanzionatoria (es: atti di recupero dei crediti di imposta), purché già notificati alla data di entrata in vigore del provvedimento in rassegna. Sono, inoltre, fatti salvi gli effetti degli inviti a comparire previsti per il procedimento di adesione e i p.v.c. (quindi, anche gli atti della Guardia di finanza) di cui il contribuente abbia avuto formale conoscenza, ma a due condizioni: che siano consegnati/notificati prima dell'entrata in vigore della norma (ancora pochi giorni, quindi) e (ultima novità) che il conseguente avviso di accertamento sia notificato entro il 31 dicembre 2015.
Gli effetti sulla voluntary disclosure
Rilevanti gli effetti anche sulla voluntary disclosure, per la quale, come noto, la “convenienza” ad aderire varia molto a seconda che il reddito occultato si sia formato in un'annualità ancora sottoponibile ad accertamento oppure in periodo antecedente. Nel secondo caso, invece, non essendo più accertabile l'annualità in cui si è formato il reddito, saranno dovute, per le annualità ancora nei termini, solo le imposte sui rendimenti, con conseguente forte appetibilità della disclosure. Si pensi, per tutti, ai “passive income” o al “caso di scuola” di un lascito ereditario di 20 anni fa consistente in un deposito bancario estero o in diamanti tenuti in una cassetta di sicurezza, mai dichiarato al Fisco. Ma c'è di più. Senza ulteriori modifiche normative, il contribuente che avesse presentato una VD per un'evasione che retrocede sino ad un anno non più accertabile amministrativamente (es: reddito occulto formatosi nel 2008 o nel 2009), ma ancora non prescritto penalmente, non avrebbe potendo sanare la posizione con la VD, con conseguente paradossale autodenuncia penale: l'Amministrazione finanziaria, infatti, in tal caso, non avrebbe proceduto, ma avrebbe rimesso (obbligatoriamente) gli atti alla Procura per l'esercizio dell'azione penale. Il decreto sulla certezza del diritto, per evitare tale effetto, interviene sulle regole della disclosure stabilendo (c.d. norma “sblocca-voluntary”) che chi attiva la VD è schermato dalle conseguenze penali relative agli imponibili, alle imposte e alle ritenute correlate alle attività emerse anche per le annualità prescritte per il Fisco. In sostanza, impunità a costo 0 anche per le annualità 2008 e 2009 (si rammenta che nella versione precedente si prevedeva, invece, che per beneficiare dell'impunità penale si dovesse pagare anche per le annualità prescritte). Pista di decollo pronta per la VD, anche se rimane un dubbio sulla legittimità della norma in termini di equità: non potrà, infatti, usufruire della schermatura penale, neanche “a pagamento”, colui che ha commesso un reato in un'annualità prescritta amministrativamente (ma non penalmente), ma non possiede i requisiti per accedere alla VD (es: frutto dell'evasione consumato entro il 2009). Invariati, invece, i termini per contestare le violazioni relative al monitoraggio fiscale. L'Agenzia conferma la propria posizione assunta da tempo, e a lungo criticata dalla dottrina anche sulla base di taluni orientamenti giurisprudenziali, consistente nel ritenere valido il termine di 5 anni (dal 2009), con conseguente raddoppio a 10 anni (dal 2004) in caso di Paese black list, per il quali rimane invariato anche il raddoppio dei termini per l'accertamento delle sanzioni relative alle imposte sui redditi (dal 2006 o dal 2004 in caso di omessa dichiarazione). Termini e sanzioni non sono raddoppiati (si rammenta che a seguito del recente intervento normativo recato dalla Legge 27 febbraio 2015, n. 11, anche il raddoppio dei termini connessi al monitoraggio può essere sterilizzato) se le attività oggetto della collaborazione volontaria erano o sono detenute in Stati che abbiano stipulato con l'Italia, entro il 2 marzo scorso, accordi che consentano un effettivo scambio di informazioni ai sensi dell'art. 26 del modello di Convenzione contro le doppie imposizioni predisposto dall'OCSE, anche su elementi riconducibili al periodo intercorrente tra la data della stipulazione e quella di entrata in vigore dell'accordo e, ulteriormente, il contribuente si impegni a tracciare il flusso dei capitali oggetto di rimpatrio anche successivamente alla conclusione della procedura.
In conclusione
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