Questioni di ordine sostanziale sulla responsabilità del cessionario d'azienda per i debiti tributari del cedente

Simone Marzo
21 Giugno 2016

La disciplina sulla responsabilità del cessionario d'azienda per i debiti di natura fiscale del cedente dettata dal'art. 14 del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, presenta le medesime linee ispiratrici rinvenibili nell'art. 2560 c.c.: tutelare l'interesse del creditore a non perdere la garanzia patrimoniale del proprio credito mediante atti dispositivi del compendio aziendale senza, dall'altro lato, ostacolare eccessivamente la circolazione dell'azienda. Di seguito illustrate anche le ragioni per le quali la disciplina recata dall'art. 2560 c.c. non è sufficiente a tutelare adeguatamente il credito tributario, rendendo opportuna una disciplina ad hoc.
Inquadramento

Come detto in altra occasione (il rinvio è fatto al contributo: La concorrente applicabilità della disciplina civilistica e tributaria in materia di responsabilità del cessionario d'azienda per i debiti del cedente, pubblicato il 29 febbraio 2016), la disciplina sulla responsabilità del cessionario d'azienda per i debiti di natura fiscale del cedente dettata dal'art. 14 del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, presenta le medesime linee ispiratrici rinvenibili nell'art. 2560 c.c.: tutelare l'interesse del creditore a non perdere la garanzia patrimoniale del proprio credito mediante atti dispositivi del compendio aziendale senza, dall'altro lato, ostacolare eccessivamente la circolazione dell'azienda.

L'art. 2560 c.c. individua il punto di equilibrio tra tali contrapposti interessi nelle risultanze dei libri contabili tenuti dall'alienante, limitando cioè la responsabilità dell'acquirente ai debiti risultanti dai suddetti libri contabili, ovvero ad un importo preventivamente quantificabile da parte del potenziale cessionario.

Sono state illustrate anche le ragioni per le quali la disciplina recata dall'art. 2560 c.c., pur sicuramente applicabile ai debiti di natura tributaria, non è sufficiente a tutelare adeguatamente il credito tributario, rendendo opportuna una disciplina ad hoc. Tale disciplina è dettata, per l'appunto, dall'art. 14 del D.lgs. n. 472/1997, di cui ci si appresta ad esaminare il contenuto.

L'art. 14 del D.Lgs. n. 472/1997

L'art. 14 del D.Lgs. n. 472/1997 trova il suo precedente storico nell'art. 19 della L. 7 gennaio 1929, n. 4 (in ordine al previgente art. 19 della L. n. 4/1929, cfr., R. Napolitano, La responsabilità tributaria del cessionario di azienda, in Boll. trib., 1984; D. Coppa, S. Sammartino, voce Sanzioni tributarie, in Enc. Dir., vol. XLI, Milano, 1989), e si pone in sostanziale continuità con la previgente disciplina.

Il primo comma del suddetto art. 14 prevede che il cessionario d'azienda è responsabile in solido, fatto salvo il beneficio della preventiva escussione del cedente ed entro i limiti del valore dell'azienda o del ramo d'azienda acquistato, per il pagamento dell'imposta e delle sanzioni riferibili alle violazioni commesse nell'anno in cui è avvenuta la cessione e nei due precedenti, nonché per quelle già irrogate e contestate nel medesimo periodo anche se riferite a violazioni commesse in epoca anteriore.

Il secondo ed il terzo comma prevedono un'ulteriore limitazione alla responsabilità del cessionario, stabilendo che la sua obbligazione è limitata al debito risultante, alla data del trasferimento, dagli atti degli uffici dell'Amministrazione Finanziaria e degli enti preposti all'accertamento dei tributi di loro competenza (comma 2) e che il cessionario stesso è liberato da qualunque debito se il certificato in questione è negativo oppure se non viene rilasciato entro 40 giorni dalla richiesta.

Riprendendo quanto detto in precedenza circa le medesime linee ispiratrice ricorrenti sia nell'art. 14 in esame che nell'art. 2560 c.c., sembra evidente che il certificato rilasciato dall'Amministrazione Finanziaria riveste, mutatis mutandis, la stessa funzione svolta dai libri contabili nell'ambito della disciplina codicistica: quella, cioè, di individuare il punto di equilibrio tra l'interesse dei creditori (nel caso di specie, l'Erario) alla tutela dei propri crediti e quello generale a non dare luogo ad eccessivi intralci nella circolazione dell'azienda.

Anche la disciplina prevista in ambito tributario consente quindi, al potenziale acquirente dell'azienda, di verificare preventivamente il carico debitorio al quale si esporrebbe con il proprio acquisto e di limitare la propria assunzione di responsabilità alle risultanze di tale verifica.

Pur nell'analogia appena indicata, i meccanismi predisposti dalla legge nei due casi operano diversamente. Ed infatti, secondo l'art. 2560 c.c. la limitazione di responsabilità opera in ogni caso, essendo previsto che l'iscrizione del debito nei libri contabili costituisce al tempo stesso presupposto e limite della responsabilità del cessionario: il cessionario risponde soltanto se, e soltanto nei limiti in cui, i debiti aziendali sono indicati nei libri contabili, senza alcuna necessità di altri adempimenti.

I commi 2 e 3 dell'art. 14 stabiliscono, invece, un limite la cui concreta operatività è rimessa alla diligenza del cessionario; com'è stato affermato dalla giurisprudenza (cfr. Cass. civ., sez. trib., 14 marzo 2014, n. 5979), tale sistema è ispirato da un “criterio incentivante volto a premiare la diligenza del soggetto cessionario nell'acquisire dagli Uffici finanziari, prima della conclusione del negozio traslativo, le informazioni sulla posizione debitoria del soggetto cedente nei confronti del Fisco”.

Tornando alla sintetica esposizione del contenuto dell'art. 14, il quarto comma contempla l'ipotesi della cessione d'azienda in frode dei crediti tributari, disponendo che in tal caso “la responsabilità del cessionario non è soggetta alle limitazione previste nel presente articolo”.

In evidenza:
Le “limitazioni” della responsabilità alle quali fa riferimento la disposizione sono certamente quelle costituite dal limite di responsabilità entro il valore dell'azienda ceduta e dei debiti risultanti al certificato rilasciato ai sensi del comma 3; qualche dubbio è stato sollevato in ordine all'inclusione tra dette “limitazioni” anche del beneficio di preventiva escussione del cedente, da R. Baggio, Appunti in tema di responsabilità tributaria del cessionario di azienda, secondo cui “la sussidiarietà non rappresenta propriamente una limitazione alla responsabilità, attenendo piuttosto alla natura della responsabilità, per cui essa rimarrebbe tale anche nelle ipotesi indicate nei commi 4 e 5”; in senso contrario, nel senso che al cessionario in frode non si applica nemmeno il beneficio di preventiva escussione del cedente, sono però orientate la dottrina maggioritaria e la giurisprudenza; per quest'ultima, cfr. la già citata Cass. civ., sez. trib., 14 marzo 2014, n. 5979. Ai sensi del successivo comma 5, inoltre, la frode dei crediti tributari si presume quando il trasferimento dell'azienda è effettuato entro sei mesi dalla constatazione di una violazione penalmente rilevante.

Da ultimo, l'art. 16 del D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 158 ha aggiunto all'art. 14 in oggetto i commi 5-bis e 5-ter (l'art. 32 del D.Lgs. n. 158/2015 prevedeva in origine che le modifiche al D.Lgs. n. 472/1997 fossero applicabili a decorrere dal 1° gennaio 2017, poi anticipato al 1° gennaio 2016 dall'art. 1, comma 133, della L. 28 dicembre 2015, n 208), sul cui contenuto si tornerà di seguito.

La disciplina dettata dall'art. 14 del D.Lgs. n. 472/1997, sin qui sommariamente descritta, ha dato luogo a numerose questioni interpretative. In particolare, limitando l'esame ai soli profili di carattere più propriamente “sostanziale” (e, tra questi, a quelli più rilevanti), si è trattato innanzitutto di individuare con esattezza:

a) il presupposto applicativo della norma, e,

b) gli effetti giuridici che la stessa prevede al realizzarsi di tali presupposti.

Su entrambi tali aspetti, come si vedrà di seguito, non mancano incertezze e discussioni ancora aperte.

Il presupposto applicativo della norma: la nozione di “cessione di azienda”

La disposizione in commento fa rifermento, sia nella rubrica che nel testo, alle nozioni di “cessione di azienda” e di “cessionario”, stabilendo che “il cessionario è responsabile” dei debiti del “cedente”.

Il significato semantico del termine “cessione”, accolto anche in ambito giuridico, equivale a quello di “trasferimento della titolarità”. La cessione (per esempio di un bene o di un credito), dunque, non costituisce una fattispecie giuridica unitaria e tipizzata, ma un elemento suscettibile di inserirsi (come elemento costitutivo o come effetto) in fattispecie giuridiche più complesse (a titolo esemplificativo, si potrà avere la “cessione” di un bene (o di un credito, o di un'azienda) a titolo gratuito, ed allora la “cessione” si inserirà nello schema negoziale tipico della donazione; oppure si potrà avere una cessione verso pagamento di un prezzo, ed allora la cessione andrà a costituire un elemento (un effetto, per l'esattezza) dello schema negoziale tipico della compravendita. In questi casi (ed in altri ancora diversi) si avrà sempre “cessione” del bene, del credito o dell'azienda, nel più ampio contesto dello schema giuridico (negoziale o non negoziale) nel quale la cessione si inserisce.

Venendo allo specifico caso della “cessione d'azienda”, quanto appena detto comporta che qualunque mutamento nella titolarità giuridica del complesso aziendale sarà soggetto ad una duplice disciplina: quella dettata per la fattispecie astratta in cui tale mutamento si inserisce (ad esempio, quella del contratto di compravendita, mediante il quale la cessione è stata realizzata) e quella dettata per ogni ipotesi di trasferimento d'azienda dagli artt. 2556 e ss., c.c. e, nella materia tributaria, dall'art. 14, D.Lgs. n. 472/1997; in tal senso, cfr. F. Martorano, L'azienda, cit.).

Insomma, nell'individuare il soggetto solidalmente responsabile per i debiti di natura fiscale del titolare dell'azienda (e dunque, indirettamente, per individuare il presupposto oggettivo al realizzarsi del quale tale responsabilità solidale viene in essere), la norma in esame si serve di una nozione volutamente ampia o, com'è stato affermato, di un “paradigma normativo generico” (così, G. Marini, Note in tema di responsabilità per i debiti tributari del cessionario di azienda, cit.), tale da far sì che nel campo applicativo della norma stessa rientrasse qualunque ipotesi di trasferimento della titolarità giuridica dell'azienda. Detta constatazione ha consentito di affermare (cfr. L. Del Federico, commento all'art. 14, in Commentario alle disposizioni generali sulle sanzioni amministrative in materia tributaria, a cura di F. Moschetti e L. Tosi, cit.) che l'art. 14, D.Lgs. n. 472/1997 si sia posto in sostanziale continuità con il primo comma dell'art. 19 della L. n. 4/1929, che sanciva la responsabilità solidale del “successore a qualsiasi titolo per atto tra vivi in una azienda commerciale o industriale”.

Ciò detto in linea generale, sono comunque sorti dubbi sull'applicabilità della disciplina in esame in alcune particolari ipotesi di trasferimento d'azienda.

In primo luogo, ci si è interrogati sull'operatività dell'art. 14, D.Lgs. n. 472/1997 nelle ipotesi di “circolazione non commerciale dell'azienda” (Per la locuzione impiegata nel testo, cfr., F. Martorano, L'azienda, Torino, 2010): trasferimenti mortis causa, donazione e usucapione d'azienda.

Tralasciando l'ipotesi marginale dell'usucapione d'azienda [sul punto ci si limita a riferire che la dottrina generalmente esclude l'applicabilità dell'art. 14 in parola agli acquisti per usucapione cfr. G. Marini, Note in tema di responsabilità per i debiti tributari del cessionario di azienda, cit.. Il tema è trattato con maggiore approfondimento nella dottrina giuscommercialistica, che sul punto non è concorde; secondo parte di tale dottrina (F. Martorano, L'azienda, cit.) la disciplina dettata per la circolazione dell'azienda, ivi compresa la responsabilità per i debiti aziendali prevista dall'art. 2560 c.c., si applicherebbe anche al caso di usucapione d'azienda; altro Autore (G.E. Colombo, Trattato di diritto commerciale e di diritto pubblico dell'economia - Vol. III - L'azienda e il mercato, Padova, 1979) esclude invece tale applicabilità, sul rilievo che la disciplina in esame appare ispirata ad un acquisto a titolo derivativo], non sembra difficile risolvere il dubbio con riguardo alla donazione (affermando l'applicabilità del regime di responsabilità in oggetto); maggiore attenzione meritano, invece, le ipotesi di trasferimenti d'azienda mortis causa.

Con riguardo alla donazione, invero, non sembrano fondati i dubbi prospettati da parte della dottrina, secondo cui la nuova formulazione della norma, se raffrontata con quella del previgente art. 19, primo comma, L. n. 4/1929, “potrebbe indurre l'interprete a valutare concretamente il mutamento delle intenzioni del legislatore verso l'esclusione della responsabilità fiscale del donatario” (così, R. Baggio, Appunti in tema di responsabilità tributaria del cessionario di azienda, cit.).

Posto che l'art. 768 c.c. definisce la donazione come il contratto con il quale una parte, per spirito di liberalità, dispone a favore di un'altra di un suo diritto, è evidente che, laddove la donazione abbia ad oggetto un'azienda, tale donazione rientri pienamente nel “paradigma normativo” della “cessione”, ovvero del “trasferimento” dell'azienda stessa. Il dubbio circa l'applicabilità dell'art. 14, D.Lgs. n. 472/1997 alla donazione d'azienda, dunque, non sembra trovare fondamento sul piano letterale. Tanto meno sembrano esservi ragioni di ordine sistematico per escludere tale applicabilità, se solo si considera che nel caso di trasferimento a titolo gratuito le esigenze di tutela dei creditori del donante appaiono ancor più forti che nei casi di trasferimento oneroso (in tal senso si esprime, peraltro, lo stesso R. Baggio, Appunti in tema di responsabilità tributaria del cessionario di azienda, cit.; cfr. anche, G. Marini, Note in tema di responsabilità per i debiti tributari del cessionario di azienda, cit.).

Con riguardo ai trasferimenti a causa di morte, invece, sono necessarie alcune precisazioni.

Il previgente art. 19, L. n. 4/1929, come visto, si riferiva esplicitamente al “successore a qualsiasi titolo per atto tra vivi”; detta precisa formulazione escludeva in radice qualsiasi dubbio sull'applicabilità di tale disciplina ai trasferimenti mortis causa. Pur nel mutato contesto normativo, alcuni commentatori hanno comunque ritenuto di dover escludere a priori qualsiasi rilevanza, ai fini della responsabilità ex art. 14, D.Lgs. n. 472/1997 dei trasferimenti d'azienda a causa di morte (Così, L. Del Federico, commento all'art. 14, in Commentario alle disposizioni generali sulle sanzioni amministrative in materia tributaria, a cura di F. Moschetti e L. Tosi, cit., che afferma, invero assai apoditticamente, che “in sintonia con la pregressa esperienza dell'art. 19 della Legge del '29 i trasferimento mortis causa sono estranei all'ambito applicativo dell'art. 14”; cfr., anche, R. Baggio, Appunti in tema di responsabilità tributaria del cessionario di azienda, cit., 4).

In realtà, attesa l'innegabile differenza tra i due testi normativi (quello previgente e quello attualmente in vigore), l'interrogativo sulla valenza dei trasferimenti mortis causa ai fini della disciplina attuale non sembra potersi risolvere soltanto alla luce della “pregressa esperienza”, che altro poi non è se non la formulazione di una disposizione non più in vigore. Sembra invece necessario verificare se tale “esperienza pregressa” trovi o meno riscontro nella normativa attualmente vigente.

Posta tale premessa di ordine metodologico, si ritiene comunque di dover escludere l'applicabilità dell'art. 14, D.Lgs. n. 472/1997 nei confronti dell'erede, nel caso di azienda caduta in successione. In effetti, la previsione di una responsabilità solidale (tale è quella dell'art. 14) richiede per definizione la sussistenza di una pluralità di soggetti “obbligati tutti per la medesima prestazione” (così l'art. 1292 c.c.), e tale pluralità non sussiste certamente nel caso dell'erede e del suo (defunto) dante causa. È quindi evidente che, al di là della “pregressa esperienza” maturata sul previgente art. 19, L. n. 4/1929, nel caso dell'erede non si potrebbe nemmeno astrattamente configurare alcuna responsabilità solidale per i debiti del de cuius.

Potrebbe semmai configurarsi una successione nei debiti del de cuius (cosa assai diversa da una ipotetica corresponsabilità con il de cuius per i debiti di quest'ultimo). Nel caso dei debiti d'imposta, però, tale successione è regolata dalle singole leggi d'imposta (ad esempio, per le imposte sui redditi, dall'art. 65 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, che prevede la responsabilità solidale di tutti gli eredi per le obbligazioni tributarie il cui presupposto si è verificato anteriormente alla morte del dante causa) e, per quanto non specificamente disciplinato, dalle norme di diritto comune, mentre la trasmissibilità all'erede del debito sanzionatorio è espressamente esclusa dall'art. 8 del D.Lgs. n. 472/1997. In sostanza, l'art. 14 del D.Lgs. n. 472/1997 non ha alcun motivo di essere invocato nel caso di azienda caduta in successione ereditaria (nello stesso senso, G. Marini, Note in tema di responsabilità per i debiti tributari del cessionario di azienda, cit.).

Discorso in parte diverso dovrebbe potersi fare, almeno in astratto, nel caso di legato d'azienda. In tale fattispecie, infatti, vi è la possibilità astratta, oltre che l'opportunità, di prefigurare una responsabilità solidale del legatario e dell'erede per i debiti aziendali (ivi compresi quelli di natura tributaria) originariamente gravanti sul de cuius.

Vi è innanzitutto una pluralità di soggetti ai quali riferire tale responsabilità solidale: da un lato l'erede, obbligato principale per pagamento dei debiti d'imposta (ma non delle sanzioni, giusto il disposto dell'art. 8, D.Lgs. n. 472/1997) già gravanti sul de cuius; dall'altro il legatario, titolare del compendio aziendale a lui devoluto dal dante causa a titolo di legato. Vi è inoltre, come già anticipato, l'opportunità di prevedere la responsabilità solidale del legatario. Ed infatti, mentre nel caso di devoluzione dell'azienda all'erede il creditore continuerebbe a fare affidamento sulla garanzia patrimoniale offerta dal compendio aziendale (poiché, in sostanza, l'erede succede contestualmente nei debiti del de cuius e nei suoi beni), nel caso di azienda oggetto di legato, senza una norma che preveda la responsabilità solidale del legatario il creditore si troverebbe sostanzialmente privato della propria garanzia patrimoniale, non diversamente da quanto accadrebbe nel caso della cessione d'azienda inter vivos.

A quanto appena detto si aggiunga che, nonostante nemmeno l'art. 2560 c.c. faccia testuali riferimenti ai trasferimenti mortis causa, la dottrina giuscommercialistica riconosce comunemente l'applicabilità di tale norma nel caso di legato d'azienda (cfr., F. Martorano, L'azienda, cit.).

In definitiva, non sembra che il legato d'azienda possa escludersi a priori dal campo di applicazione dell'art. 14, D.Lgs. n. 472/1997. Al di la delle esperienze normative pregresse, tale esclusione dovrebbe almeno essere motivata con argomenti testuali o sistematici riferiti alla norma attualmente in vigore, argomenti che non risultano però essere stati ancora individuati.

Altre ipotesi di “cessioni” sulle quali in passato si è discusso sono costituite dal conferimento d'azienda e dal trasferimento d'azienda effettuato nell'ambito di procedure concorsuali. Su entrambe tali ipotesi è oggi intervenuto il legislatore, aggiungendo all'art. 14 i già richiamati commi 5-bis e 5-ter, che confermano, in entrambi i casi, quanto già da tempo riconosciuto dalla dottrina e dall'Amministrazione Finanziaria.

(Sull'applicabilità della disciplina in commento al conferimento d'azienda: vedi guida all'approfondimento. Sull'inapplicabilità della stessa normativa alle cessioni effettuate in sede concorsuale, cfr. Risoluzione ministeriale n. 112/E del 12 luglio 1999, nella quale si esclude l'applicabilità dell'art. 14 al caso della vendita fallimentare, inducendo a tale conclusione “la considerazione che la “ratio” e la stessa lettera della norma sembrano di univoco significato, nel senso di essere riferite esclusivamente alle cessioni su base volontaria e negoziale e non già a quelle con evidenti profili pubblicistici, quali appunto le vendite di cui trattasi”).

Ed infatti il neointrodotto comma 5-bis stabilisce che, salvo il caso della frode, la disciplina di cui al comma 14 non trova applicazione quando la cessione avviene nell'ambito di una procedura concorsuale (e precisamente, “nell'ambito di una procedura concorsuale, di un accordo di ristrutturazione dei debiti di cui all'articolo 182-bis del R.D. 16 marzo 1942, n. 267, di un piano attestato ai sensi dell'articolo 67, terzo comma, lettera d), del predetto decreto o di un procedimento di composizione della crisi da sovraindebitamento o di liquidazione del patrimonio”); il nuovo comma 5-ter afferma invece che la stessa disciplina si applica, in quanto compatibile, “a tutte le ipotesi di trasferimento di azienda, ivi compreso il conferimento” (per un commento alla novella legislativa, cfr. M. Palanca, R. Ingrassia, Responsabilità solidale nei trasferimenti d'azienda tra tutela erariale e certezza delle transazioni, cit., passim).

Alla luce dell'ultimo intervento legislativo, qualsiasi dubbio (ammesso che ancora ve ne fossero) in ordine all'applicabilità o meno dell'art. 14 alle fattispecie in esame sembra destinato a venir meno.

La novella offre però lo spunto per alcune considerazione sulla tecnica legislativa impiegata.

Esaminando la formulazione dell'art. 14 in commento colpisce prima di tutto la curiosa scelta del legislatore sulla numerazione dei nuovi commi (5-bis e 5-ter anziché, com'era forse più naturale, 6 e 7). Le ragioni di tale assurda (anche se innocua) numerazione restano oscure.

Un altro aspetto della novella sembra meritare maggiore attenzione. Come detto, il nuovo comma 5-ter dispone che “Le disposizioni del presente articolo si applicano, in quanto compatibili, a tutte le ipotesi di trasferimento di azienda, ivi compreso il conferimento”. In sostanza, il legislatore afferma che le disposizioni in materia di responsabilità per i debiti tributari in caso di “cessione di azienda” si applicano, “in quanto compatibili”, a tutte le ipotesi di “trasferimento di azienda”.

Orbene, posto che dal punto di vista linguistico e giuridico la “cessione” d'azienda consiste essa stessa e per definizione nel “trasferimento” (si rinvia, per tutte, alla definizione di “cessione” riportata nel Vocabolario della lingua italiana Zingarelli, Bologna, 2002: “Cessione: trasferimento di qlco. ad altri”) d'azienda e che, quindi, cessione e trasferimento d'azienda sono “la stessa cosa”, il contenuto del nuovo comma 5-ter appare tautologico.

L'affermazione secondo cui le disposizioni in materia di cessione d'azienda si applicano a tutti i casi di trasferimento d'azienda nulla aggiunge e nulla chiarisce rispetto all'affermazione per cui le disposizione in materia di cessione d'azienda si applicano, per l'appunto, a tutte le ipotesi di cessione d'azienda.

Fin qui l'intervento legislativo, pur tecnicamente discutibile, potrebbe ritenersi ancora una volta innocuo. Vi è però, che il nuovo comma 5-ter stabilisce l'applicabilità delle disposizioni di cui all'art. 14 d.lgs. n. 472/1997 a tutte le ipotesi di trasferimento d'azienda “in quanto compatibili”.

Normalmente la clausola di compatibilità è strumentale a far si che la disciplina dettata per una fattispecie venga applicata (appunto, entro il limite della compatibilità) ad una fattispecie diversa, seppur contigua o in qualche modo similare alla prima. Nel caso di specie, però, attesa l'equivalenza oggettiva tra “cessione” e “trasferimento” d'azienda, non vi era alcuna necessità di introdurre una clausola di compatibilità: si è in presenza di una sola fattispecie astratta (“cessione” o “trasferimento” d'azienda), assoggettata in ogni caso alla disciplina dettata dall'art. 14 del D.lgs. n. 472/1997, senza bisogno di alcuna verifica di compatibilità.

In tale contesto la clausola di compatibilità non soltanto è inutile, ma potrebbe anche essere fonte di confusione ed incertezze, ad esempio dando adito a più o meno infondate pretese di disapplicazione dell'art. 14, D.lgs. n. 472/1997 in caso di “trasferimenti” d'azienda ritenuti “incompatibili” con la disciplina dettata in materia di “cessione”.

Gli effetti giuridici: l'oggetto della responsabilità del cessionario

Al realizzarsi del presupposto di fatto indicato dalla norma (cessione d'azienda) il cessionario diviene responsabile in solido con il debitore principale, “per il pagamento dell'imposta e delle sanzioni riferibili alle violazioni commesse nell'anno in cui è avvenuta la cessione e nei due precedenti, nonché per quelle già irrogate e contestate nel medesimo periodo anche se riferite a violazioni commesse in epoca anteriore”.

Tale parte della disposizione individua l'oggetto della responsabilità solidale del cessionario d'azienda. Sul punto sono state condotte approfondite disamine, che ne hanno indicato gli aspetti più problematici e le interpretazioni di volta in volta ritenute più corrette.

Si è discusso, ad esempio, se il cessionario d'azienda debba ritenersi responsabile per il pagamento delle sole imposte dovute dal cedente (come deporrebbe il dato testuale), ovvero anche dei tributi diversi dalle imposte (come emergerebbe sulla base di un'interpretazione sistematica).

Ancora, sempre con riguardo alla responsabilità del cessionario per i debiti d'imposta del cedente, si afferma generalmente che il cessionario d'azienda possa essere chiamato a rispondere dei debiti tributari del cedente soltanto nei limiti in cui tali debiti siano “inerenti” l'azienda o il ramo d'azienda acquistato (in tal senso, G. Marini, Note in tema di responsabilità per i debiti tributari del cessionario di azienda, cit.; S. Donatelli, Osservazioni sulla responsabilità tributaria del cessionario d'azienda, cit.; L. Del Federico, commento all'art. 14, in Commentario alle disposizioni generali sulle sanzioni amministrative in materia tributaria, a cura di F. Moschetti e L. Tosi, cit.), ponendosi al più il dubbio se spetti all'Amministrazione Finanziaria creditrice provare tale inerenza o se spetti al cessionario debitore provare la non afferenza del debito al complesso aziendale acquistato (in tale ultimo senso, cfr., R. Baggio, Appunti in tema di responsabilità tributaria del cessionario di azienda, cit.; nel senso opposto, cfr., G. Marini, Note in tema di responsabilità per i debiti tributari del cessionario di azienda, cit.;L. Del Federico, commento all'art. 14, in Commentario alle disposizioni generali sulle sanzioni amministrative in materia tributaria, a cura di F. Moschetti e L. Tosi, cit.).

Un punto sul quale non sembra invece esservi stato il dovuto approfondimento (la questione risulta trattata da S. Donatelli, Osservazioni sulla responsabilità tributaria del cessionario d'azienda, cit., e, assai velocemente, da G. Marini, Note in tema di responsabilità per i debiti tributari del cessionario di azienda, cit., ma mai, a quanto consta, con la necessaria attenzione) è costituito dai profili di legittimità costituzionale della norma stessa, nella parte in cui include nella sfera di responsabilità del cessionario d'azienda anche (e forse in modo approssimativo, visto il dubbio di cui sopra di è dato conto) le imposte, oltre alle sanzioni.

La disposizione in commento è contenuta nel D.Lgs. n. 472/1997, recante le “disposizioni generali in materia di sanzioni amministrative per le violazioni di norme tributarie”.

Come noto, nell'attuale assetto costituzionale il decreto legislativo delegato costituisce un atto avente forza di legge emanato dal Governo su delega del Parlamento, la cui validità è duplicemente condizionata dalla sussistenza e dal contenuto della legge di delegazione: l'art. 76 della Costituzione stabilisce infatti che l'esercizio della funzione legislativa, che il precedente articolo 70 riserva al Parlamento, “non può essere delegato al Governo se non con determinazione di principi e criteri direttivi e soltanto per tempo limitato e per oggetti definiti”. Il decreto legislativo, dunque, è costituzionalmente legittimo soltanto se e nella misura in cui rispetta i limiti della delega di cui costituisce attuazione, ivi compresi quelli relativi all'oggetto della delega stessa (sul decreto legislativo delegato in generale e sul rapporto tra questo e la legge di delegazione, cfr., R. Guastini, Teoria e dogmatica delle fonti, I, t. 1, Milano, 1998; A. Pizzorusso, Fonti del diritto, Bologna, 2011).

Nel caso di specie, l'art. 3, comma 133, della L. 23 dicembre 1996, n. 662 delegava il Governo ad emanare “uno o più decreti legislativi recanti disposizioni per la revisione organica e il completamento della disciplina delle sanzioni tributarie non penali, con l'osservanza dei seguenti principi e criteri direttivi”. La “revisione organica e il completamento della disciplina delle sanzioni tributarie non penali” costituisce dunque l'oggetto in relazione al quale, in conformità all'articolo 76 della Costituzione, il Governo era stato delegato ad esercitare la funzione legislativa; in relazione a tale oggetto deve pertanto essere verificata la legittimità costituzionale del contenuto del D.Lgs. n. 472/1997 (sui limiti oggettivi della delega legislativa nell'attuale assetto costituzionale, oltre agli Autori citati nella nota precedente, cfr., M. Ruotolo, S. Spuntarelli, commento all'art. 76 Cost., in Commentario alla Costituzione, a cura di R. Bifulco, A. Celotto, M. Olivetti, Torino, 2006, Vol. II, p. 1484; F. Sorrentino, G. Caporali, voce: Legge (atti con forza di), in Dig. Disc. Pubbl.,Torino, 1994, Vol. IX).

Sulla base di tale osservazione sembrerebbe che la previsione di una responsabilità solidale del cessionario d'azienda per il debito d'imposta del cedente non rientri nell'ambito oggettivo delle delega conferita con la L. n. 662/1996.

Il quadro non sembra cambiare nemmeno esaminando il principio direttivo dettato dall'art. 3, comma 133, lett. c), della legge delega con riguardo alle ipotesi di responsabilità solidale: “previsione di obbligazione solidale a carico della persona fisica, società o ente, con o senza personalità giuridica, che si giova o sul cui patrimonio si riflettono gli effetti economici della violazione anche con riferimento ai casi di cessione di azienda, trasformazione, fusione, scissione di società o enti; possibilità di accertare tale obbligazione anche al verificarsi della morte dell'autore della violazione e indipendentemente dalla previa irrogazione della sanzione”.

Come si vede, anche nell'esposizione del criterio direttivo appena citato la legge delega sembra riferirsi esclusivamente all'obbligazione a titolo di sanzione, e non a quella a titolo d'imposta.

Si potrebbe ritenere che una norma che delega il Governo a prevedere una coobbligazione solidale per il debito sanzionatorio ma non per quello d'imposta sarebbe priva di senso e che, alla solidarietà nel debito sanzionatorio debba naturaliter accompagnarsi la solidarietà nel debito d'imposta. Al fine di ricondurre la previsione della solidarietà nel debito d'imposta nell'alveo oggettivo della delega legislativa, dunque, si potrebbe tentare la via di una interpretazione adeguatrice della norma delegante (interpretazione adeguatrice che avrebbe ad oggetto non la norma di cui si deve valutare la legittimità costituzionale ma, stranamente, la norma interposta che funge da parametro di legittimità della prima).

Tale via sarebbe però resa impervia da una constatazione: non è affatto privo di senso che che la legge delega abbia delegato il Governo a prevedere una forma di responsabilità solidale con il soggetto passivo dell'imposta avente ad oggetto soltanto la sanzione e non anche l'imposta stessa.

A tal proposito basti ricordare che nella sua versione originaria il sistema sanzionatorio non penale delineato dal D.Lgs. n. 472/1997 prevedeva rilevanti casi di soggetti solidalmente responsabili verso l'Erario per il pagamento della sanzione ma non tenuti all'assolvimento dell'imposta (si pensi alle sanzioni conseguenti a violazioni commesse da amministratori di società ed enti con personalità giuridica nell'interesse degli enti amministrati, che, fino all'emanazione dell'art. 7 del D.L. 30 settembre 2003, n. 269, convertito con L. 24 novembre 2003, n. 326, erano riferibili esclusivamente agli amministratori stessi, salva la responsabilità solidale dell'ente stesso per il pagamento delle sanzioni e le limitazioni all'eseguibilità della sanzioni nei confronti della persona fisica previste dall'art. 11 del D.Lgs. n. 472/1997.

Insomma, nel disegno originario del sistema sanzionatorio tributario non penale, come scaturente dai principi e criteri direttivi dettati dalla legge di delega, la possibilità che un soggetto fosse chiamato a rispondere della sanzione, ma non per l'imposta dovuta sulla base della medesima violazione, sembra tenuta ben presente, ed anzi ricercata). In tale contesto, il criterio c.d. “del beneficio” indicato dall'art. 3, comma 133, lett. c), della legge delega, non era finalizzato ad introdurre forme di responsabilità solidale per il debito d'imposta, ma proprio per il debito sanzionatorio. In particolare, l'intento del legislatore delegante era quello di far sì che alcuni soggetti, già di per sé tenuti al pagamento dell'imposta accertata ma non della correlata sanzione pecuniaria (Si pensi ancora alle società di capitali. In virtù del principio di personalità della sanzione, secondo cui la sanzione avrebbe dovuto essere comminata solo alla persona fisica al quale l'illecito poteva essere imputato, la persona giuridica non sarebbe stata obbligata al pagamento della sanzione. Considerato però che la violazione commessa dall'amministratore nell'interesse della società reca vantaggio a quest'ultima, è ragionevole estendere la responsabilità per il debito sanzionatorio anche alla società medesima. In questo senso, il criterio c.d. “del beneficio” indicato nell'art. 3, comma 133, lett. c), della legge delega, suggeriva di prevedere forme di responsabilità solidale della società nel debito sanzionatorio del suo amministratore), rispondessero in via solidale con l'obbligato principale anche del debito sanzionatorio.

In realtà, nelle fattispecie che sembra aver avuto in mente il legislatore delegante nel dettare il criterio direttivo sopra citato, non vi era motivo per prevedere la responsabilità solidale del “beneficiario della violazione” anche alle imposte, perché il soggetto “che ha tratto beneficio dalla violazione” era al tempo stesso il soggetto passivo dell'imposta, e quindi già di per sé obbligato al suo pagamento; era perciò necessario prevedere la responsabilità solidale per il solo debito sanzionatorio.

Nel caso della cessione d'azienda, tuttavia, il cessionario non è soggetto passivo d'imposta, né altrimenti tenuto al pagamento dei debiti del cedente se non nei limiti stabiliti dall'art. 2560 c.c.. Proprio da qui deriva, come visto, l'esigenza di una norma che preveda tale responsabilità, anche nelle ipotesi in cui l'art. 2560 c.c. non può operare.

La delega conferita con la L. n. 662/1996, però, almeno sulla base della breve disamina compiuta in questa sede, non sembra includere nel suo oggetto anche una simile previsione. Se quanto appena detto fosse confermato, ne deriverebbe l'illegittimità costituzionale dell'art. 14, D.Lgs. n. 472/1997 nella parte in cui stabilisce che il cessionario d'azienda è responsabile in solido con il cedente per il debito a titolo di imposta, oltre che per quello a titolo di sanzione.

Conclusioni

Quelli affrontati nella trattazione che precede non costituiscono, com'è intuibile, gli unici punti critici che l'art. 14 del D.Lgs. n. 472/1997 pone all'interprete. Ve ne sono numerosi altri, ed altrettanto delicati. Quelli qui esaminati sembrano però quelli più rilevanti, riguardando il presupposto applicativo e la sfera di operatività della norma (riguardando, cioè, chi debba intendersi per “cessionario d'azienda” e per quali debiti tale soggetto sia chiamato a rispondere).

Con riguardo al primo punto, si può conclusivamente affermare che la norma è destinata ad operare in tutte le ipotesi in cui si verifichi un mutamento della titolarità di un compendio aziendale riconducibile ad un atto di volontà del precedente titolare, ivi comprese le disposizioni mortis causa a titolo particolare.

Per quanto riguarda il secondo aspetto, invece, sembra emergere la necessità di indagare con maggiore attenzione i profili di legittimità costituzionale della norma, ed in particolare la compatibilità con la delega legislativa della previsione della responsabilità solidale del cessionario per i debiti d'imposta del cedente. È chiaro che la norma sia funzionale proprio ad assicurare al credito d'imposta (più che al debito per sanzioni) una adeguata tutela nel caso di cessione d'azienda; d'altro canto, è incontestabile che una simile previsione avrebbe dovuto trovare fondamento un una valida delega legislativa, né sembra certo che l'art. 3, comma 133, L. n. 662/1996 si possa pianamente leggere in tal senso.

Guida all'approfondimento

Sull'art. 14, D.Lgs. n. 472/1997 in generale cfr.:

E. Belli Contarini, La responsabilità tributaria del cessionario di azienda tra gli artt. 14 D.Lgs. n. 472/1997 e art. 2560 c.c., in Riv. dir. trib., 2015, I, p. 529;

L. Ambrosi, La responsabilità tributaria nella cessione di azienda, in Il fisco, 2014;

B. Aiudi, Cenni sulla responsabilità solidale del cessionario d'azienda, in Boll. trib., 2013;

B. Bellè, commento all'art. 14, in G. Falsitta, A. Fantozzi, G. Marongiu, F. Moschetti, Commentario breve alle leggi tributarie - tomo II - Accertamento e sanzioni, a cura di F. Moschetti, Padova, 2011;

G. Marini, Note in tema di responsabilità per i debiti tributari del cessionario di azienda, in Riv. dir. trib, 2009, I, p. 181;

S. Donatelli, Osservazioni sulla responsabilità tributaria del cessionario d'azienda, in Rass. Trib., 2003, 2, p. 486;

S. Donatelli, La responsabilità del cessionario d'azienda, in La fiscalità delle operazioni straordinarie d'impresa, a cura di R. Lupi e D. Stevanato, Milano, 2002;

L. Del Federico, commento all'art. 14, in Commentario alle disposizioni generali sulle sanzioni amministrative in materia tributaria, a cura di F. Moschetti e L. Tosi, Padova, 2000;

R. Baggio, Appunti in tema di responsabilità tributaria del cessionario di azienda, in Rass. Trib., 1999, 3;

Circolare Min. Fin. n. 180/E-110100 del 10 luglio 1998;

Per un commento alle recenti modifiche all'art. 14 ad opera del D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 147, cfr.:

M. Palanca, R. Ingrassia, Responsabilità solidale nei trasferimenti d'azienda tra tutela erariale e certezza delle transazioni, in Corr. trib., 2016, 3.

Sull'applicabilità della disciplina in commento al conferimento d'azienda, cfr.:

A. Stesuri, Cessione e conferimento d'azienda: responsabilità dell'acquirente, in Corr. trib., 1999;

L. Del Federico, commento all'art. 14, in Commentario alle disposizioni generali sulle sanzioni amministrative in materia tributaria, a cura di F. Moschetti e L. Tosi;

S. Donatelli, La responsabilità del cessionario d'azienda, in La fiscalità delle operazioni straordinarie d'impresa, a cura di R. Lupi e D. Stevanato, cit.;

G. Marini, Note in tema di responsabilità per i debiti tributari del cessionario di azienda cit.

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