L'accertamento del reddito con metodo sintetico
26 Aprile 2017
Vecchia disciplina
L'art. 38 – comma 4° - d.P.R. n. 600/1973 (cd. accertamento sintetico) consente la determinazione del reddito delle persone fisiche in base ad elementi e circostanze di fatto certi, indicativi di capacità contributiva e individuati con decreto del Ministero delle Finanze, quando il reddito complessivo netto accertabile si discosta per almeno ¼ da quello dichiarato.
Il 5° comma dello stesso decreto, consente di determinare il reddito complessivo netto in relazione alle spese per incrementi patrimoniali che si presumono sostenute, salvo prova contraria, con redditi conseguiti, in quote costanti, nell'anno in cui è stata effettuata e nei quattro precedenti. Il contribuente ha facoltà di dimostrare che il maggior reddito è costituito da redditi esenti o da redditi soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d'imposta. L'entità di tali redditi e la durata del loro possesso devono risultare da idonea documentazione (comma 6°). In sostanza, il dettato del d.P.R. n. 600/1973 – art. 38 –, prevede che il controllo della congruità dei redditi dichiarati venga effettuato partendo da dati certi, utilizzando gli stessi come indici di capacità di spesa, per dedurne, avvalendosi di specifici e predeterminati parametri di valorizzazione (cd. redditometro), il reddito presuntivamente necessario a garantirlo.
Risulta principio ricevuto (Cass. civ. n. 8738/2002 ; Cass. civ. n. 2656/2007) che il dettato del d.P.R. n. 600/1973, art. 38– prevede che il controllo della congruità delle dichiarazioni delle persone fisiche venga effettuato partendo da dati certi ed utilizzando gli stessi come indici di capacità di spesa per dedurne, avvalendosi di specifici e predeterminati parametri di valorizzazione (cd. redditometro), il reddito presuntivamente necessario a garantirla. Ulteriori presupposti fondamentali, dei quali è necessaria la contemporanea sussistenza ai fini dell'utilizzazione dello strumento accertativo, sono costituiti da: 1) uno scostamento del reddito accertabile di “almeno ¼ da quello dichiarato”; 2) la non congruità del reddito dichiarato rispetto a quello ricostruito dall'Ufficio “per due o più periodi d'imposta”. (Cass. civ., n. 21995/2015).
L'unico onere dell'Ufficio è quello di individuare elementi certi, indicatori di capacità di spesa, mentre i coefficienti presuntivi vengono utilizzati sia al fine di accertare l'incongruità del reddito dichiarato, sia al fine di determinare sinteticamente il reddito da accertare, fermo restando per il contribuente la possibilità, oltre che di contestare il possesso degli indicatori di capacità di spesa, di provare, con idonea documentazione, che il maggior reddito determinato o determinabile sinteticamente è costituito in tutto o in parte da redditi esenti o da redditi soggetti a ritenuta alla fonte a titolo di imposta, nonché da dismissione di rendite finanziarie ovvero che i beni indice di capacità contributiva appartengono a terzi e sono da questi utilizzati.
L'accertamento sintetico da redditometro, già nella formulazione anteriore a quella successivamente modificata dall'art. 22 D.L. n. 78/2010, tendeva a determinare, attraverso l'utilizzo di presunzioni semplici, il reddito complessivo presunto del contribuente mediante i cd. elementi indicativi di capacità contributiva stabiliti da decreti ministeriali con periodicità biennale (Cass. civ., n. 23554/2012). Dal combinato disposto dell'art. 38 d.P.R. n. 600/1973 e D.M. 10 settembre 1992 e succ. si desume che l'accertamento sintetico può fondarsi su tre tipologie:
Invero, la differenza tra accertamento sintetico e accertamento redditometrico in senso stretto è che, nel primo caso, si procede a ricostruire induttivamente il reddito verificando se lo stesso sia maggiore rispetto a quello dichiarato sulla base delle fonti del reddito stesso, ma sulla scorta degli atti dispositivi con i quali il reddito viene speso (cd. capacità di spesa). Nel caso dell'accertamento redditometrico, invece, pur trattandosi di accertamento sintetico, la ricostruzione avviene utilizzando indicatori di capacità contributiva (beni-indice), individuati dal D.M. 10 settembre 1992 ai quali vengono applicati determinati coefficienti modificatori (cd. redditometro).
Mediante l'accertamento sintetico, il reddito complessivo delle persone fisiche si determina senza passare per la previa identificazione delle singole fonti produttive, sulla base della valenza induttiva di «elementi e circostanze di fatto certi», sintomatici della presenza di redditi non dichiarati. Questo metodo di determinazione del reddito si fonda sul presupposto logico secondo cui dal sostenimento di una spesa è ragionevole presumere, fino a prova contraria, l'esistenza di un reddito idoneo a sostenere la spesa stessa (Cass. civ., n. 9539/2013).
Presunzioni e prova contraria
La giurisprudenza ha chiarito che la determinazione effettuata con il metodo sintetico sulla base degli indici previsti dai decreti ministeriali del 1992 e succ., riguardante il cd. redditometro, dispensa l'A.F. da qualunque ulteriore prova rispetto all'esistenza dei fattori-indice della capacità contributiva, giacché questa resta individuata nei decreti medesimi. Ne consegue che è legittimo l'accertamento fondato sui predetti fattori-indice provenienti da parametri e calcoli statistici qualificati, passando a carico del contribuente, posto nella condizione di difendersi dalla contestazione di quei fattori, l'onere di dimostrare che il reddito presunto non esiste o esiste in misura inferiore (Cass. civ., n. 9539/2013).
Il redditometro, quindi, si basa sulla presunzione che la capacità di spesa del contribuente non trova riscontro nelle sue entrate: conseguentemente, una volta che si dimostra di essere regolarmente in possesso di somme di danaro certe e sufficienti, viene necessariamente a cadere il presupposto stesso della presunzione del redditometro, visto che, in questo caso, le spese sarebbero (sono) giustificate dal fatto che il contribuente era (è) in grado di sostenerle legittimamente. La Corte di Cassazione, con interpretazione restrittiva (n. 6813/2009), aveva affermato che la prova documentale contraria ammessa per il contribuente dall'art. 38 d.P.R. n. 600/1973 non riguardava la sola disponibilità di redditi ovvero di redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d'imposta, ma anche l'essere stata la spesa per incrementi patrimoniali sostenuta proprio con tali redditi e non già con qualsiasi altro reddito dichiarato. Successivamente, con sentenza n. 6326/2014, ha mitigato tale interpretazione ritenendo che la “prova contraria” riguarda la sola disponibilità di redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte e non anche la dimostrazione del loro impiego negli acquisti effettuati. Poi, con le sentenze n. 25104/2014 e n. 8925/2014, è tornata sull'argomento, precisando che la normativa richiede qualcosa in più della mera prova della disponibilità di ulteriori redditi e, pur non prevedendo esplicitamente la prova che detti ulteriori crediti siano stati utilizzati per coprire le spese contestate (cfr. sentenza n. 6396/2014), chiede tuttavia espressamente una prova documentale su circostanze sintomatiche del fatto che ciò sia accaduto (o sia potuto accadere).
Richiede, quindi, la prova documentale dell'entità di tali eventuali, ulteriori crediti e della “durata” del relativo possesso, al fine dell'accertamento della riferibilità della maggiore capacità contributiva in capo al contribuente proprio a tali ulteriori redditi, escludendo quindi che siano stati utilizzati per finalità non considerate ai fini dell'accertamento sintetico (es. ulteriore investimento finanziario), perché in tal caso essi non sarebbero utili a giustificare le spese e/o il tenore di vita accertato e, quindi, dovrebbero ascriversi a redditi non dichiarati. Pertanto, al fine di annullare l'avviso che accerta sinteticamente il maggior reddito, secondo l'interpretazione della S.C., non è sufficiente provare di aver percepito dei redditi esenti (o soggetti a ritenuta alla fonte), ma occorre dimostrare di aver utilizzato tali redditi per l'incremento della capacità patrimoniale, provando la “durata del possesso”, attraverso l'esibizione degli estratti dei conti correnti bancari.
La Cassazione (sent. n. 7339/2015), al fine di vincere da parte del contribuente la presunzione di legge, ha ritenuto sufficiente la prova di adeguati redditi esenti o già soggetti a ritenuta alla fonte, senza richiedere anche la necessaria dimostrazione del concreto impiego di detti redditi nell'effettuazione delle spese, attraverso la prova dell'impiego proprio di quelle somme che ne avevano costituito il frutto. Da ultimo (Cass. civ., n. 1455/2016), è stato ritenuto che, oltre a fornire la prova di aver avuto la disponibilità di determinate somme, occorre dimostrare che le stesse non siano solo transitate dai conti correnti. Quindi, l'orientamento della giurisprudenza di legittimità è cambiato e, secondo la nuova interpretazione, non occorre più la prova specifica di “quale” danaro sia stato utilizzato per l'investimento. Il contribuente può, attraverso gli estratti conto bancari, dimostrare il periodo di giacenza delle somme e non solo, ad esempio, il semplice transito delle stesse perché reinvestite in altre attività.
Le mere dichiarazioni sostitutive di atto notorio e le informazioni rese da terzi favorevoli al contribuente (di là dalla più generale questione della loro utilizzabilità) non possono essere ritenute sufficienti a tal fine, in quanto dovrebbero essere sorrette ed accompagnate dall'effettivo e documentato riscontro delle sottese movimentazioni finanziarie e, più in generale, dalla dimostrazione della riconducibilità a redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d'imposta (CTR di Napoli – S.S. Salerno n. 5709/5/2015).
Nuova disciplina
Nell'ambito dell'accertamento sintetico, disciplinato dall'art. 38 – comma 4° - d.P.R. n. 600/1973, tanto nella vecchia quanto nella nuova formulazione normativa risultante dalle modifiche apportate dall'art. 22 D.L. n. 78/2010, convivono due diversi meccanismi presuntivi delineati dal legislatore. Il primo, legato in passato alle spese di investimento, ed oggi ai dati forniti dal cd. spesometro, si basa pacificamente su presunzioni semplici. Il secondo, costruito sul cd. redditometro, è fondato invece su presunzioni la cui qualificazione giuridica è tuttora oggetto di ampio dibattito dottrinale.
In particolare, quest'ultimo, nella formulazione antecedente alla riforma e applicabile agli accertamenti dei redditi fino al 2008, consentiva una determinazione induttiva del reddito sulla base della detenzione di determinati beni (beni indice), le cui spese di gestione si consideravano sostenute con risorse aventi natura reddituale. Nell'assetto post-riforma, invece, il redditometro prescinde da tale disponibilità e determina il reddito sulla base di spese effettivamente sostenute a cui ne aggiunge altre figurative, in quanto ricavate dalle medie ISTAT o determinate forfettariamente. Sono state apportate, poi, misure correttive e gli incrementi patrimoniali vengono assunti nella misura di 1/5 nell'attività di selezione e controllo del rischio ai fini dell'accertamento sintetico. Il nuovo accertamento sintetico considera quattro categorie di spesa (spese certe, spese per elementi certi, quota di risparmio e incrementi patrimoniali) per la determinazione del reddito attribuibile sinteticamente. La scelta di considerare solo 1/5 dell'investimento è stata dettata dalla valorizzazione dell'incremento patrimoniale, in ragione della normale propensione al risparmio, che considera la provvista formatasi nel quinquennio. Qualora, in sede di accertamento, l'Ufficio considerasse il totale degli investimenti nell'anno, sarà cura del contribuente fornire la prova della formazione della provvista e dell'utilizzo della stessa per l'effettuazione dell'investimento (Circ. 24/E/13 pagg. 2 e 3).
L'Agenzia delle Entrate, con Circolare n. 1/E/2013, ha chiarito, tra l'altro, che concorrono alla determinazione del reddito complessivo accertabile tanto i beni ad uso promiscuo per la parte non riferibile al reddito professionale o d'impresa ovvero per la quota parte non fiscalmente deducibile, quanto la quota di risparmio formatasi nel corso dell'anno e non utilizzata per spese d'investimento o di consumo. A seguito della nuova disciplina, la S.C., soprattutto per l'espressa previsione del contraddittorio endoprocedimentale da parte del legislatore, ha dovuto necessariamente rivedere le precedenti posizioni assunte, tornando sul tema della valenza probatoria dell'accertamento sintetico, destinata ad influenzare le future statuizioni sulla natura presuntiva dei risultati conseguibili attraverso il “nuovo redditometro”.
Trattasi, infatti, di un semplice indizio di evasione in grado di acquisire i requisiti della presunzione semplice solo a seguito degli esiti del contraddittorio tra l'Ufficio ed il contribuente. Il contraddittorio diventa, così come negli studi di settore, il momento centrale dell'intero procedimento e, quindi, non può che avere un valore indicativo e potenziale. Per il resto, lo strumento redditometrico risulta fondato sul principio (ragionevole) della spesa effettiva: cioè sul presupposto che, se si è speso vuol dire che in qualche modo (prima) si è guadagnato, oppure che si avevano disponibilità che hanno consentito di spendere.
In conclusione
La nuova normativa, sia nell'originaria formulazione del 2010 che con il decreto attuativo del redditometro del 24/12/2014 (in particolare, quest'ultimo), che ha attribuito notevole rilevanza ad una serie statistica di elementi per la determinazione del reddito complessivo presunto del contribuente, accanto alla previsione obbligatoria del contraddittorio endoprocedimentale, ha introdotto un'impostazione distorta e paralizzante dell'istituto, in relazione soprattutto all'impossibilità dell'utilizzo dei valori ISTAT.
Storture che, “biasimate” prima dal garante della privacy (Provvedimento del 21 novembre 2013) e con il successivo “de profundis” della Corte dei conti (agosto 2015), ha portato praticamente al suo accantonamento. È lecito chiedersi come ciò sia potuto avvenire in presenza di uno strumento di accertamento, complessivamente, ragionevole e che offre sufficienti garanzie, mentre si continuano ad utilizzare accertamenti fondati sull'automatismo delle società di comodo, su spese ritenute antieconomiche per i motivi più strani e sugli studi di settore. È proprio vero che presupposti errati e irrazionali portano alla confusione e la confusione, quasi sempre, porta alla scomparsa del buon senso. |