Operatore economico

Sabrina Tranquilli
05 Giugno 2020

Con l'espressione «operatore economico» si fa genericamente riferimento, semplificando, ai soggetti che possono partecipare alle gare pubbliche.
Inquadramento

Contenuto in fase di aggiornamento autorale di prossima pubblicazione

Con l'espressione «operatore economico» si fa genericamente riferimento, semplificando, ai soggetti che possono partecipare alle gare pubbliche.

Nel recepire il percorso giurisprudenziale disegnato negli ultimi anni dalla Corte di Giustizia dell'UE, le nuove direttive in materia di appalti e concessioni (considerando n. 14, artt. 2, par. 1 n. 10, art. 19, della direttiva n. 2014/24/UE; considerando n. 17 e artt. 2, par. 1, n. 6 e 37 della direttiva n. 2014/25/UE, l'art. 26 della direttiva n. 2014/23/UE) hanno fornito una definizione di operatore economico volta a ricomprendere ogni persona e/o ente (comprese imprese, succursali, filiali, partenariati, società cooperative, società a responsabilità limitata, università pubbliche o private e altre forme di enti) in grado di offrire sul mercato la realizzazione di lavori, la fornitura di prodotti o la prestazione di servizi, a prescindere dalla loro forma giuridica.

Si è così superata la classificazione posta dagli abrogati artt. 1, par. 8, direttiva 2004/18/CEe 1, par. 7, direttiva 2004/17/CE e, conseguentemente, dagli artt. 3, commi 19 e 22, e 34 del Codice del 2006, la cui disciplina continua a trovare applicazione per le procedure di affidamento formalmente avviate (mediante pubblicazione dei bandi e degli avvisi o mediante spedizione delle lettere d' invito) fino all'entrata in vigore del del d.lgs. n. 50 del 2016, recante il nuovo Codice dei contratti pubblici di appalto e di concessione (art. 216 e comunicati ANAC e MIT del 22 aprile e del 3 maggio 2016).

Tali disposizioni riconducevano l'operatore economico alle figure di “imprenditore”, “fornitore” e “prestatore di servizi” definiti, a loro volta, come “ogni persona fisica o giuridica o un ente pubblico o un raggruppamento di tali persone e/o enti che offra sul mercato, rispettivamente, la realizzazione di lavori e/o opere, prodotti o servizi”.

Le nuove direttive forniscono, invece, un'accezione di operatore economico ancora più ampia e neutra slegandola, definitivamente, da ogni riferimento alla veste giuridica e all'organizzazione assunta dal soggetto partecipante alla gara. La legittimazione a partecipare alle gare pubbliche non si basa infatti su un presupposto di tipo soggettivo (come la natura o la forma giuridica assunta dall'operatore), ma esclusivamente su un requisito oggettivo (l'offerta di lavori, beni e servizi sul mercato).

La definizione di operatore economico nel nuovo Codice dei contratti pubblici

In attuazione di quanto previsto dalle direttive del 2014, l'art. 3, comma 1, lett. p), del nuovo Codice dei contratti pubblici, dispone che, con l'espressione “operatore economico”, si intende una persona fisica o giuridica, un ente pubblico, un raggruppamento di tali persone o enti, compresa qualsiasi associazione temporanea di imprese, un ente senza personalità giuridica, ivi compreso il gruppo europeo di interesse economico (cd. “GEIE”) che offre sul mercato la realizzazione di lavori o opere, la fornitura di prodotti o la prestazione di servizi.

La disciplina generale sugli operatori economici è oggi contenuta nell'art. 45 del d.lgs. n. 50 del 2016, mentre, al successivo art. 46, vengono elencati i soggetti ammessi alle procedure per l'affidamento dei servizi di architettura e ingegneria.

La definizione di operatore economico in ambito europeo

Le direttive 2014 in materia di appalti e concessioni (art. 19 direttiva 2014/24/UE; art. 37 della direttiva 2014/25/UE e l'art. 26 della direttiva 2014/23/UE che hanno abrogato gli artt. 1, par. 8, direttiva 2004/18/CE e. 1, par. 7, direttiva 2004/17/CE) e l'elaborazione giurisprudenziale della Corte di Giustizia dell'UE forniscono una definizione ampia e fluida di operatore economico.

La definizioneè stata definita neutra rispetto alla natura pubblica o privata, di chi aspira ad essere un concorrente nella procedura ad evidenza pubblica in quanto, come accennato nel precedente paragrafo, la possibilità di partecipare alla procedura di gara è subordinata unicamente alla presenza sul mercato (anche occasionale) dell'operatore e all'offerta di lavori, beni e servizi oggetto della gara.

Del resto, la Corte di Giustizia ha posto in luce il chiaro favor verso la libertà delle forme desumibile dall'art. 4, par. 1, direttiva 2004/18/CE, dove si sancisce che i candidati o gli offerenti, autorizzati dalla legge del proprio Stato a fornire la prestazione oggetto della gara «non possono essere respinti soltanto per il fatto che, secondo la normativa dello Stato membro nel quale è aggiudicato l'appalto, avrebbero dovuto essere persone fisiche o persone giuridiche» (Corte Giust. UE,18 dicembre 2007, C-357/06).

Va innanzitutto evidenziato che la figura di operatore economico comprende quella di imprenditore, fornitore e prestatore di servizi.

Sebbene le fonti del diritto europeo non forniscano una precisa definizione di impresa la Corte di Giustizia ne ha ripetutamente tracciato una nozione a maglie larghe, riconducendovi qualsiasi ente che,a prescindere dallo status giuridico, dalle sue modalità di finanziamento e dall'assenza del perseguimento di uno scopo di lucro, eserciti un'attività economica offrendo beni o servizi sul mercato contro retribuzione e con assunzione dei rischi finanziari ad essa connessi (Corte Giust. UE, 26 marzo 2009, C-113/07; Corte Giust. UE,1 luglio 2008, C-49/07). Tale definizione risulta quindi dinamica e funzionale consentendo di attribuire ad un soggetto la veste imprenditoriale anche relativamente ad una sola parte della propria attività: ne costituiscono esempio le fondazioni bancarie. Con riferimento a queste ultimela Cortedi Giustizia dell'UE ha affermato che, mentre l'offerta di beni e servizi sul mercato effettuata in concorrenza con altri operatori (ad esempio in settori come la ricerca scientifica, l'educazione, l'arte o la sanità) vada considerata come attività d'impresa, quella limitata al versamento di contributi ad enti senza scopo di lucro assuma «natura esclusivamente sociale» (Corte Giust. UE, 10 gennaio 2006, C-222/04).

La stessa Corte ha in più occasioni evidenziato la non conflittualità con i principi generali di libera concorrenza, di non discriminazione e di proporzionalità della circostanza che il soggetto partecipante alla gara (pubblico o privato) benefici di agevolazioni o sia destinatario di sovvenzioni erogate dallo Stato, e quindi sia in grado di presentare un'offerta a prezzi notevolmente inferiori rispetto agli altri operatori economici (Corte Giust. UE, 7 dicembre 2000, C-94/99). In ogni caso, nell'esaminare il carattere anormalmente basso dell'offerta l'amministrazione aggiudicatrice potrà prendere in considerazione l'esistenza di un finanziamento pubblico di cui detto ente benefici (Corte Giust. UE, 18 dicembre 2014, C-568/13).

Dal quadrosintenticamente riassuntoemerge una definizione di operatore economico consolidata nella giurisprudenza della Corte di Giustizia (ex plurimis Corte Giust. UE, 18 dicembre 2014, C-568/13) e confermata, come si è visto, dalle direttive del 2014,in forza della quale, in assenza di norme generali o speciali di divieto, deve essere ammessa la partecipazione alle gare d'appalto di ogni operatore che, indipendentemente dalla sua natura di soggetto di diritto privato o di diritto pubblico e a prescindere dal fatto che siaattivo sul mercato in modo sistematico oppure soltanto occasionale o benefici di sovvenzioni pubbliche, si reputi idoneo a garantire, in modo diretto, oppure facendo ricorso al subappalto, l'esecuzione dell'affidamento sulla base dei requisiti indicati nel bando di gara.

La stessa giurisprudenza ha anche osservato come un'interpretazione restrittiva della nozione di operatore economico contrasterebbe tanto con gli obiettivi europei di libera circolazione dei beni e dei servizi e di creazione di un mercato degli appalti pubblici, quanto con gli interessi perseguiti dalle singole amministrazioni aggiudicatrici. Queste ultime, infatti, si priverebbero della possibilità di scegliere l'offerta, potenzialmente più vantaggiosa e quindi maggiormente rispondente ai bisogni della collettività pubblica interessata. Va aggiunto che, qualora gli enti pubblici o gli enti che agiscono sul mercato senza uno scopo di lucro non fossero considerati “operatori economici”, i contratti da essi conclusi con le amministrazioni aggiudicatrici non sarebbero considerati appalti pubblici e pertanto potrebbero essere affidati in via informale e al di fuori della procedura ad evidenza pubblica.

Alla luce di tali presupposti, pertanto, si può escludere di essere in presenza di un operatore economico solo se si tratta di soggetti che non collocano lavori, prestazioni e servizi sul mercato.

La partecipazione alle gare degli enti pubblici

Come accennato nell'inquadramento, gli artt. 1, par. 8, art. 4, par. 1, della direttiva 2004/18/CE e 1, par. 7, direttiva 2004/17/CE consentivano espressamente la partecipazione alle gare degli enti pubblici. In particolare, le direttive del 2004 hanno sancito la possibilità per gli Stati membri di autorizzare o meno talune categorie di operatori a fornire certi tipi di prestazioni sul mercato, contro corrispettivo, anche a titolo occasionale, specificando che, una volta intervenuta detta autorizzazione, non può essere vietato a tali soggetti di partecipare a procedure di aggiudicazione di appalti pubblici aventi ad oggetto l'esercizio dell'attività che gli è consentito svolgere.

La suddetta possibilità è stata confermata dalle nuove direttive appalti e concessioni (considerando n. 14, artt. 2, par. 1 n. 10, art. 19, direttiva 2014/24/UE; considerando n. 17 e artt. 2, par. 1, n. 6 e 37 della direttiva 2014/25/UE, l'art. 26 della direttiva 2014/23/UE), che parlano onnicomprensivamente di “persona e/o ente in grado di offrire sul mercato la realizzazione di lavori, la fornitura di prodotti o la prestazione di servizi” richiamando, a titolo esemplificativo, le “università pubbliche o private” e “altre forme di enti”.

Nonostante il dato normativo, la legittimazione a partecipare alle gare degli enti pubblici è stata, negli anni, oggetto di una vexata questio legata principalmente alle possibili ricadute distorsive sulla concorrenza legate alla circostanza che tali soggetti nell'esercizio dell'attività imprenditoriale: (i) beneficiano di finanziamenti pubblici; (ii) non assumono il cd. “rischio di impresa”.

La giurisprudenza amministravia ha più volte evidenziato che i suddetti elementi rendono l'offerta presentata dall'ente generalmente più competitiva rispetto a quella degli operatori privati e, dunque, potenzialmente idonea a falsare la concorrenza.

Tuttavia, nel diritto dei Trattati dell'UE e nelle richiamte direttive, sembra emergere una tendenziale indifferenza (recte neutralità) rispetto alla natura pubblica o privata degli attori del mercato (si pensi all'art. 345 TFUE secondo cui “il trattato non incide sul regime di proprietà all'interno dei paesi dell'Unione Europea” sancendo, quindi, che non deve esistere nessuna discriminazione fra le imprese pubbliche e quelle private nel quadro dell'applicazione delle regole di concorrenza).

Del resto, anche nell'affrontare la questione della partecipazione alle gare delle società con capitale interamente pubblico, la giurisprudenza amministrativa ha riconosciuto che per il diritto dell'UE la proprietà pubblica dell'impresa costituisce, di per sé, un fattore “neutro” rispetto al dispiegarsi della concorrenza (art. 345 TFUE), purché “da ciò non derivino, sotto forma di finanziamenti, affidamenti diretti etc., aiuti idonei di alterare la par condicio fra essa e gli altri operatori”. Le ipotesi in cui l'ordinamento, a tutela della concorrenza, impone a determinate imprese a capitale pubblico divieti di partecipazione alle gare devono, perciò, ritenersi tassative e fra queste “non rientra il caso in cui il capitale della società partecipante alla gara sia di proprietà della stazione appaltante” (TAR Lombardia, Milano, Sez. III, 10 febbraio 2012, n. 458).

La partecipazione alle gare degli enti pubblici nelle sentenze della Corte di Giustizia dell'UE “ARGE” e “CoNISMa

La Corte di Giustizia dell'UE, sin dalla sentenza “ARGE” (Corte Giust. UE, 7 dicembre 2000, C-94/99) ha riconosciuto che il diritto europeo degli appalti (e in particolare l'art. 1, lett. c, della direttiva n. 92/50) “autorizza esplicitamente la partecipazione ad una procedura di aggiudicazione di appalto pubblico di enti finanziati eventualmente mediante fondi pubblici”. In seguito, nella sentenza “CoNISMa”, (Corte Giust. UE, 23 dicembre 2009, C-305/08) ha precisato che la partecipazione ad un appalto pubblico di servizi deve essere consentita anche a quegli enti che:

i) non perseguano un preminente scopo di lucro;

ii) non dispongano della struttura organizzativa di un'impresa;

iii) non assicurino una presenza regolare sul mercato.

È stata quindi ammessa, in via di principio, la partecipazione delle università e degli istituti di ricerca, nonché dei raggruppamenti costituiti da università e amministrazioni pubbliche, nella misura in cui gli stessi siano stati autorizzati dal diritto nazionale, in ragione dei loro fini istituzionali e nel rispetto delle proprie previsioni statutarie, ad offrire sul mercato i servizi oggetto della gara.

In una successiva pronuncia, la Corte Giust. UE, 18 dicembre 2014, C-568/13, dopo aver ribadito il principio, già espresso dalla surrichiamata giurisprudenza, secondo cui non è possibile escludere un offerente - a priori e senza esami ulteriori - per il solo motivo che benefici di sovvenzioni pubbliche, ha evidenziato che il legislatore dell'Unione, pur essendo consapevole della possibile “natura pubblica” dei soggetti partecipanti alle gare, non ha previsto alcun meccanismo correttivo ai possibili effetti distorsivi generati dalla presentazione delle offerte da parte di tali soggetti. Ne consegue che l'unico strumento giuridico utilizzabile dalla stazione appaltante per evitare possibili effetti distorsivi sulla concorrenza è quello di verifica della congruità delle offerte anormalmente basse. In tali circostanze, “l'amministrazione aggiudicatrice ha l'obbligo, o quanto meno la facoltà, di prendere in considerazione l'esistenza di sovvenzioni, e in particolare di aiuti non conformi al Trattato, al fine eventualmente di escludere gli offerenti che ne beneficiano”. Le considerazioni della Corte di Giustizia dell'UE, seppur rese alla luce delle disposizioni della direttiva 92/50 CE, trovavano un corrispondente anche nell'art. 55 par. 3 della direttiva n. 18/2004/CE e, oggi, nell'art. 69 par. 4 della direttiva n. 2014/24/UE, secondo cui, in presenza di offerte anormalmente basse a causa di sovvenzioni pubbliche, la stazione appaltante può respingere l'offerta soltanto dopo aver consultato l'offerente e solo se quest'ultimo non sia stato in grado di dimostrare, entro il termine stabilito dalla stessa, che l'aiuto di stato non era compatibile con il mercato interno ai sensi dell'articolo 107 TFUE.

Orientamenti a confronto: partecipazione alla gara e sovvenzioni pubbliche

Con riferimento alla partecipazione a una gara di un consorzio intercomunale per i trasporti, il Consiglio di Stato (Sez. III, 19 febbraio 2016, n. 697) , nel confermare la pronuncia del giudice di primo grado, ha annullato l'aggiudicazione sulla base della circostanza che “l'offerta realizzava, in concreto, una distorsione della concorrenza”.

Secondo il Collegio, l'azienda consortile (a totale partecipazione pubblica) aveva acquistato i mezzi di trasporto oggetto dell'offerta tramite sovvenzioni pubbliche, beneficiando, così, dell'improprio vantaggio concorrenziale dato dalla disponibilità di risorse non accessibili a tutti gli operatori del mercato.

Nel sottolineare la parificazione, ai fini della partecipazione alla gara tra enti pubblici e privati, la Corte di Giustizia UE ha inoltre precisato che, come avviene per gli operatori economici privati, l'effettiva capacità dei suddetti enti di soddisfare i requisiti posti dal bando di gara deve essere valutata durante una fase ulteriore della procedura di gara e non, in via preliminare, ai soli fini dell'ammissione (Corte Giust. UE, 18 dicembre 2007, C-357/06).

Più recentemente, la medesima Corte, con sentenza 8 ottobre 2015, C-203/14, ha sancito che l'articolo 1, par. 8, della direttiva 2004/18/CE deve essere interpretato nel senso che la nozione di «operatore economico» comprende le amministrazioni pubbliche, che possono pertanto partecipare a gare d'appalto se e nei limiti in cui, siano state autorizzate a offrire sul mercato taluni servizi dietro corrispettivo. La pronuncia ha inoltre chiarito che le pubbliche amministrazioni possono essere inserite negli elenchi ufficiali nazionali degli imprenditori, fornitori o prestatori di servizi autorizzati o ammesse alla certificazione da parte di organismi di certificazione pubblici o privati in quanto, sebbene l'art. 52 della direttiva 2004/18 non imponga nulla in tal senso, una normativa nazionale che negasse tale possibilità, permettendo la partecipazione solo a chi possa ottenere tale iscrizione o certificazione, priverebbe di «qualsiasi effetto utile il diritto di siffatti enti pubblici a partecipare a tali gare».

La stessa giurisprudenza che ha affrontato il tema della partecipazione alle gare degli enti pubblici ha più volte evidenziato che, qualora gli stessi non fossero considerati operatori economici, i contratti da essi conclusi con le amministrazioni aggiudicatrici potrebbero sfuggire dalle regole delle procedure di affidamento per essere aggiudicati in via informale. In altri termini, ad una maggiore ampiezza della definizione di operatore economico corrisponde una restrizione deglistrumenti di collaborazione convenzionale tra amministrazioni e enti pubblici che potrebbero, altrimenti, utlizzare strumenti negoziali quali accordi di cooperazione o accordi di programma, per addivenire, in realtà, all'aggiudicazione di un contratto pubblico.

La volontà del legislatore euro-unitario di non sottrarre tali rapporti alle regole dettate per le procedure di affidamento trova conferma nel considerando n. 31 della direttiva n. 24/2014/UE, dove si afferma che “Il solo fatto che entrambe le parti di un accordo siano esse stesse autorità pubbliche non esclude di per sé l'applicazione delle norme sugli appalti. Tuttavia, l'applicazione delle norme in materia di appalti pubblici non dovrebbe interferire con la libertà delle autorità pubbliche di svolgere i compiti di servizio pubblico affidati loro utilizzando le loro stesse risorse, compresa la possibilità di cooperare con altre autorità pubbliche”.

Al considerando n. 34, la sudetta direttiva stabilisce poi che esulano dall'ambito di applicazione procedure di affidamento quei rapporti “puramente amministrativi” in cui un soggetto giuridico (i) agisce quale strumento o servizio tecnico di determinate amministrazioni aggiudicatrici; (ii) è obbligato a eseguire le istruzioni ricevute da tali amministrazioni; (iii) non ha alcuna influenza sulla remunerazione della sua prestazione. Nello stesso senso, il successivo art. 1 par. 6 specifica che non rientrano nell'ambito di applicazione delle direttive gli accordi, le decisioni o altri strumenti giuridici che disciplinano i trasferimenti di competenze e responsabilità per la realizzazione di compiti pubblici tra amministrazioni aggiu dicatrici o associazioni di amministrazioni aggiudicatrici e non prevedono una remunerazione in cambio di una prestazione contrattuale sono considerati questioni di organizzazione interna dello Stato membro interessato.

Le prestazioni di servizi resi, contro corrispettivo, dall'ente pubblico “operatore economico” nei confronti della Pubblica Amministrazione

L'art. 15, co. 1, l. 7 agosto 1990, n. 241 stabilisce che, anche al di fuori delle ipotesi previste dall'art. 14 (cioè della partecipazione alla conferenza di servizi) “le amministrazioni pubbliche possono sempre concludere tra loro accordi per disciplinare lo svolgimento in collaborazione di attività di interesse comune. La giurisprudenza amministrativa, sulla base dell'indirizzo della Corte di Giustizia UE (ex plurimis, ordinanza 16 maggio 2013, C-564/11), ha precisato che esulano dall'ambito di applicazione del suddetto art. 15,per rientrare nell'ambito di applicazione delle direttive appalti, quei rapporti tra enti pubblici che seguono la logica dello scambio economico, sugellata dall'offerta di servizi contro la dazione di un corrispettivo non implicante il riconoscimento di un utile economico, ma calcolato in base al costo necessario alla produzione del servizio offerto. Nell'ambito di tali rapporti (che rientrano perfettamente nel paradigma del contratto di diritto comune ex art. 1321 c.c.), l'amministrazione richiede prestazioni strumentali al perseguimento dell'interesse pubblico mentre, l' ente pubblico offre servizi, dietro corrispettivo, al pari di qualsiasi altro operatore economico privato.

Alla luce di tali parametri, il Consiglio di Stato ha dunque affermato l'illegittimità dell'utilizzo dello strumento dell'accordo amministrativo qualora l'amministrazione non miri ad un “coordinamento” tra convergenti attività di interesse pubblico con altri enti pubblici, ma cerchi prestazioni astrattamente reperibili presso soggetti privati (Cons. St., Sez. V, 23 giugno 2014, n. 3130; Id., 15 luglio 2013, n. 3849; 30 settembre 2013 n. 4832, Id. 16 gennaio 2015, n. 84).

La centralità che l'elemento dello “scambio economico” assume nella valutazione della legittimità delle forme di cooperazione tra pubbliche aministrazioni è stata recentemente evidenziata anche da un parere reso dal Consiglio di Stato sull'istanza dell'Agenzia del Demanio, volta ad ottenere un chiarimento su: “quali siano le forme di cooperazione tra amministrazioni che possano ritenersi escluse dall'ambito di applicazione della normativa europea in tema di appalti pubblici, e dunque dalla necessità di esperire preventivamente una procedura ad evidenza pubblica per l'affidamento del servizio” (Cons. St., Sez. II, 22 aprile 2015, n. 1178). In tale circostanza il Consiglio di Stato ha riconosciuto che gli accordi tra pubbliche amministrazioni, anche se appartenenti ad ordinamenti autonomi e/o in rapporto di reciproca indipendenza, finalizzati alla cooperazione cd. “non istituzionalizzata/orizzontale” sono legittimi e non sogetti alle direttive appalti, a condizione che ogni eventuale trasferimento di risorse resti “entro i ristretti limiti del riconoscimento di un corrispettivo forfettario a copertura delle spese vive sostenute”.

La partecipazione alle gare dei soggetti privati che non perseguono uno scopo di lucro

Sulla base dell'ampia definizione di impresa fornita dalla Corte di Giustizia dell'UE, tra i soggetti ammessi a partecipare alle gare, vengono ormai ricompresi anche gli enti privati che agiscono sul mercato senza il perseguimento di uno scopo di lucro.

Tutti gli enti privati che perseguono fini altruistici possono, infatti, svolgere attività commerciale: si pensi ad esempio alle società cooperative che operano affinchè l'utilità prodotta dalla loro attività economica sia ripartita tra i soci non sotto forma di distribuzione degli utili, ma di attribuzione al socio cooperatore di vantaggi maggiori. Lo stesso può dirsi per ogni ente privato che agisca senza scopo lucrativo (ad esempio operando nel settore dell'assistenza socio-sanitaria, della formazione e dell'istruzione) e sia organizzato con il criterio del reinvestimento e non della distribuzione degli eventuali avanzi netti di gestione.

In altri termini, se, di solito, l'esercizio dell'attività di impresa e la finalità di lucro sono fatttori coesistenti, ciò non toglie che un'attività commerciale si possa esercitare anche per finalità non lucrative. Sulla base di tali presupposti, soggetti privati no-profit sono ritenuti legittimati a partecipare alle gare d'appalto a condizione cheil relativo statuto contempli lo svolgimento di un'attività avente rilevanza economica e l'oggetto della gara sia compatibile con i fini perseguiti dagli stessi (v. infra la Casistica su: le fondazioni | gli istituti pubblici di assistenza e beneficienza | le associazioni non riconosciute | le onlus e le associazioni di volontariato).

Inoltre, la giurisprudenza della Corte di Giustizia dell'UE ha evidenziato che la mera assenza di un profitto in senso tecnico non conferisce il carattere della gratuità all'accordo e non lo sottrae dall'ambito di applicazione del contratto di appalto, atteso che, da un punto di vista prettamente economico, quest'ultimo continua ad avere titolo oneroso proprio in quanto il beneficiario riceve una prestazione in denaro. Del resto, «un contratto non può esulare dalla nozione di appalto pubblico per il solo fatto che la remunerazione in esso prevista sia limitata al rimborso delle spese sostenute per fornire il servizio oggetto dell'affidamento» (Corte Giust. UE, 19 dicembre 2012, C-159/11; Corte Giust. UE, 11 dicembre 2014, C-113/13; Corte Giust. UE, 28 gennaio 2016, C-50/14).

Inoltre, come già detto nel precedente paragrafo in merito agli enti pubblici, qualora gli enti no-profit non fossero considerati operatori economici, i contratti da essi conclusi con le amministrazioni aggiudicatrici non sarebbero considerati appalti pubblici e pertanto potrebbero essere affidati in via informale o diretta.

Ne deriva che soltanto un'interpretazione estensiva della nozione di titolo oneroso è idonea a salvaguardare l'effetto utile delle direttive in materia di appalti, ossia l'apertura dei mercati ad una concorrenza effettiva tra le imprese, evitando la conclusione di accordi tra un'amministrazione e uno o più operatori economici al di fuori delle procedure ad evidenza pubblica.

L'art. 45 del Codice 2016

La disciplina riguardante i soggetti ammessi a partecipare alle gare pubbliche è oggi contenuta nell'articolo 45 del nuovo Codice che vede significativamente mutata la rubrica del sostituito art. 34 d.lgs. n. 163/2006 in “operatori economici”.

La disposizione ha carattere generale e pertanto è inserita nel titolo III della Parte I del Codice tra le disposizioni comuni a tutte le procedute di affidamento.

L'art. 45 comma 1, premessa l'ampia definizione fornita dal surrichiamato art. 3, comma1, lett. p), specifica che possono partecipare alle gare pubbliche “anche gli operatori economici stabiliti in altri Stati membri qualora siano costituiti conformente alla legislazione vigente nei rispettivi Paesi. Quest'ultima previsione, già contenuta nella lettera f-bis dell'art. 34 del d. lgs. n. 163/2006 era stata inserita nel Codice dal d.lgs. 11 settembre 2008, n. 152, a seguito della lettera con cui il 30 gennaio 2008, la Commissione europea aveva preannunciato una procedura di infrazione a carico dello Stato italiano in quanto la previgente disciplina “non sembrava permettere la partecipazione alle gare di operatori aventi una forma giuridica diversa da quelle indicate nella lista”.

La disposizione prosegue con un pressochè totale copy out dell'art. 19 della direttiva n. 2014/24/UE.

Nel dettaglio, viene previsto che gli operatori economici, i raggrupamenti di operatori economici, comprese le associazioni temporanee, che in base alla normativa dello Stato membro nel quale sono stabiliti, sono “autorizzati” a fornire le prestazioni oggetto della procedura di affidamento, possono partecipare alle procedure anche nel caso in cui avrebbero dovuto “configurarsi come persone fisiche o persone giuridiche”.

In apparente contrasto con lo spirito generalizzante della definizione di operatore economico fornita dalle nuove direttive (e recepita dal Codice), l'art. 45 ripropone, al comma 2, l'elenco dei soggetti ammessi a partecipare alle gare pubbliche contenuto nell'art. 34 del d.lgs. n. 163 del 2006. Il richiamo all'art. 3 co. 1, lett. p) e la formulazione della nuova disposizione (in particolare l'utilizzo della locuzione “rientrano tra gli operatori economici”), non sembrano tuttavia lasciare alcun dubbio circa la natura meramente esemplificativa e non tassativa di tale elencazione superando, definitivamente, il contrasto interpertativo su cui vd. infra “Orientamenti a confronto: sulla natura dell'elenco di cui all'art. 34 del Codice del 2006”.

A differenza della previgente disciplina, la disposizione prosegue, al comma 3, stabilendo la possibilità per le stazioni appaltanti di imporre ai raggruppamenti di operatori economici una forma giuridica specifica dopo l'aggiudicazione del contratto, nel caso in cui tale trasformazione sia necessaria per la “buona esecuzione” dello stesso.

Il successivo co. 4 dispone che le stazioni appaltanti possono imporre alle persone giuridiche di indicare, nell'offerta o nella domanda di partecipazione a procedure di aggiudicazione di appalti di servizi e di lavori, nonché́ di forniture che comportano anche servizi o lavori di posa in opera e di installazione e di concessioni, il nome e le qualifiche professionali delle persone incaricate di fornire la prestazione relativa allo specifico contratto.

Infine, viene prevista, all'ultimo comma, la possibilità, da parte delle stazioni appaltanti, di richiedere ai raggruppamenti di operatori economici condizioni per l'esecuzione di un appalto o di una concessione diverse da quelle imposte ai singoli partecipanti fermo restando che tali richieste siano proporzionate e giustificate da ragioni oggettive.

L'elenco degli operatori economici nei codici dei contratti pubblici del 2006 e del 2016

Come accennato nel precedente paragrafo, l'art. 45, comma 2, del d.lgs. n. 50 del 2016, ripropone lo stesso elenco dei soggetti ammessi alla partecipazione alle gare già contenuto nell'art. 34 del d.lgs. n. 163 del 2006.

Occorre sottolineare che, mentre l'art. 34 del Codice del 2006 disponeva che sono “ammessi a partecipare alle procedure di affidamento dei contratti pubblici i seguenti soggetti, salvo i limiti espressamente indicati”, l'art. 45 del nuovo Codice si limita a specificare che “rientrano” tra gli operatori economici:

a) la figura dell'imprenditore individuale (in cui può essere ricompreso sia il paradigma generale fornito dall'art. 2082 c.c., che l' imprenditore agricolo nella definizione posta dall'art. 2135 c.c.), le società commerciali (iscritte nel registro delle imprese e ad oggetto l'esercizio delle attività elencate dall'art. 2195 c.c.) che, stante la previsione di cui all'art. 2249 c.c., devono essere costituite in forma di società in nome collettivo, in accomandita semplice, per azioni o in accomandita per azioni, a responsabilità limitata.

La giurisprudenza, con riferimento alla partecipazione ad una gara di una s.r.l. semplificata (TAR Campania, Napoli, Sez. VIII, 16 aprile 2015, n. 2146) ha evidenziato come non possa essere disposta l'esclusione di una società commerciale per la sola cirostanza che non sia “attiva” sul mercato (nella specie per non aver assunto alcun dipendente), in quanto, ai sensi dell'art. 34, d.lgs. n. 163 del 2006, è sufficiente che la stessa sia regolarmente iscritta al registro delle imprese ed eserciti l'attività oggetto della gara.

Possono inoltre partecipare alle gare le società cooperative (art. 2511 c.c.).

La partecipazione delle società semplici

Nella vigenza del Codice del 2006 si è posta la questione circa la partecipazione alle gare pubbliche delle società semplici. Secondo un orientamento della giurisprudenza nazionale (Cons. St., Sez. VI, 8 giugno 2010, n. 3638) il divieto per le società semplici di partecipare alle gare d'appalto risulta ragionevole e non discriminatorio, in quanto giustificato dalla natura e dalla particolare disciplina di tali società. Tuttavia, la Corte di Giustizia (Corte Giust. UE, 4 ottobre 2012, C-502/11) ha osservato come il divieto posto ad una società semplice di partecipare alle gare d'appalto dipendente esclusivamente della sua forma giuridica, contrasti con il diritto europeo e segnatamente con il principio di non discriminazione. Sottolinea il Collegio che gli imprenditori agricoli costituiti nella forma della società semplice, conformemente all'art. 2135 c.c. perseguano «incontestabilmente una finalità di lucro», ragion per cui non possono essere assimilati ad enti, quali le università e gli istituti di ricerca, per i quali gli Stati membri possono o meno concedere l'autorizzazione ad operare sul mercato. A seguito di tale pronuncia il Consiglio di Stato (Cons. St., Sez. VI, 17 luglio 2013, n. 3891) ha affermato che il Giudice nazionale è vincolato a disapplicare «la normativa primaria nazionale ostativa alla partecipazione delle società semplici alle pubbliche gare, in quanto riconosciuta in contrasto con la pertinente normativa comunitaria».

b) i consorzi fra società cooperative di produzione e lavoro e i consorzi tra imprese artigiane. Con riferimento a questi ultimi la disposizione effettua un rinvio letteralmente esteso a tutta la legge sull'artigianato (l. 8 agosto 1985, n. 443). Devono pertanto ricomprendersi in tale previsione sia i consorzi costituiti da sole imprese artigiane sia i consorzi cd. “misti” (TAR Veneto, Sez. I, 3 giugno 2014, n. 746).

c) i consorzi stabili, costituiti anche in forma di società consortili ai sensi dell'articolo 2615-ter c.c., tra imprenditori individuali, anche artigiani, società commerciali, società cooperative di produzione e lavoro. Si segnala che il Codice del 2016 non contiene un articolo dedicato ai consorzi stabili (quale il previgente art. 36 d.lgs. n. 163 del 2006), ma include la relativa disciplina nell'ambito della definizione di operatore economico.

d) i raggruppamenti temporanei di concorrenti, costituiti dai soggetti di cui alle lettere a), b) e c). Tali soggetti, in un momento precedente alla presentazione dell'offerta (Cons. St., Sez. VI, 23 novembre 2011, n. 6172), devono conferire un mandato collettivo speciale con rappresentanza ad uno di essi, (mandatario), il quale agirà in nome e per conto proprio e e dei mandanti. La disciplina dei r.t.i. è contenuta nell'art. 37, d.lgs. n. 163 del 2006. Nonostante la lett. d) non richiami la lett. e) e quindi i consorzi ordinari, il TAR Puglia, Bari, Sez. I, 3 aprile 2013, n. 467 in ragione della non tassatività dell'elenco ha affermato che «non è preclusa la partecipazione ad una gara di un r.t.i. composto da un consorzio ordinario e da una società».

e) i consorzi ordinari di concorrenti di cui all'art. 2602 c.c., costituiti tra i soggetti di cui alle lettere a), b) e c), anche in forma di società ai sensi dell'art. 2615-ter c.c.

I consorzi ordinari sono ammessi a partecipare alle gare pubbliche negli stessi modi e forme consentiti ad un raggruppamento temporaneo di imprese. Da questi tuttavia si differenziano per la circostanza di costituire un'organizzazione comune tra i partecipanti.

f) le aggregazioni tra le imprese aderenti al contratto di rete ai sensi dell'art. 3, comma 4-ter, d.l. 10 febbraio 2009, n. 5, c.c.m., dalla l. 9 aprile 2009, n. 33;

La “rete di imprese” e la determinazione AVCP del 23 aprile 2013, n. 3

Il contratto di rete è uno strumento giuridico, introdotto nell'ordinamento italiano dal d.l. 10 febbraio 2009, n. 5, c.c.m., dalla l. 9 aprile 2009, n. 33, che consente alle aggregazioni di imprese di instaurare tra loro una collaborazione organizzata e duratura, diversa ed ulteriore rispetto il mero scambio di beni o prestazioni, mantenendo la propria autonomia e individualità. In altri termini, con il contratto di rete le parti si obbligano, sulla base di un programma comune, a collaborare in forme e in ambiti predeterminati attinenti all'esercizio della propria impresa ovvero a scambiarsi informazioni o prestazioni di natura industriale, commerciale, tecnica o tecnologica ovvero, ancora, a esercitare in comune una o più attività rientranti nell'oggetto della propria impresa. L'art. 34, co. 1, lett. e-bis) del d.lgs. n. 163/2006 (introdotto dall'art. 36, comma 5-bis, lett. b), del d.l. n. 179/2012) prevedeva che per la partecipazione alle gare delle reti di impresa si applicavano “le disposizioni dell'articolo 37” del medesimo Codice. Di qui la necessità di specificazione, anche nell'offerta presentata dall'aggregazione tra imprese, delle “parti del servizio o della fornitura che saranno eseguite dai singoli operatori economici riuniti o consorziati” (art. 37, co. 4) e la conseguente responsabilità solidale nei confronti della stazione appaltante, del subappaltatore e dei fornitori, nei limiti dell'esecuzione delle prestazioni di rispettiva competenza (art. 37, co. 5).

L'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici, servizi e forniture (oggi “ANAC”) con la determinazione, 23 aprile 2013, n. 3, ha fornito importanti chiarimenti in merito alla partecipazione alle procedure di gara delle cd. “reti di impresa”. Nel dettaglio, l'Autorità ha evidenziato che le modalità di partecipazione alla gara cambiano a seconda che la rete sia dotata di un:

(i) organo comune con potere di rappresentanza, ma sia priva di soggettività giuridica;

(ii) organo comune privo di potere di rappresentanza o sia sprovvista di organo comune;

(iii) organo comune e di soggettività giuridica.

Nel caso di rete priva di soggettività giuridica, ma dotata di organo comune con potere di rappresentanza, “quest'ultimo può svolgere il ruolo di mandataria, laddove in possesso dei necessari requisiti di qualificazione e qualora il contratto di rete rechi il mandato allo stesso a presentare domande di partecipazione o offerte per tutte o determinate tipologie di procedure di gara. Tuttavia, il mandato, contenuto nel contratto di rete, è condizione necessaria ma non sufficiente, in quanto la volontà di tutte o parte delle imprese retiste di avvalersi di una simile possibilità, per una specifica gara, deve essere confermata all'atto della partecipazione, mediante la sottoscrizione della domanda o dell'offerta. Tale atto formale, unitamente alla copia autentica del contratto di rete, che già reca il mandato, integra un impegno giuridicamente vincolante nei confronti della stazione appaltante”.

Nell'ipotesi in cui il contratto di rete escluda il potere di rappresentanza, per cui l'organo comune agisce in nome proprio, “l'aggregazione delle imprese retiste partecipa nella forma del raggruppamento, costituendo o costituito, con applicazione integrale delle relative regole, salvo quanto si osserverà circa la forma del mandato. Nel caso di raggruppamento costituendo, devono, quindi, essere osservate le seguenti formalità: sottoscrizione dell'offerta o della domanda di partecipazione delle imprese retiste parte dell'aggregazione interessata all'appalto; sottoscrizione dell'impegno che, in caso di aggiudicazione dell'appalto, sarà conferito mandato collettivo speciale con rappresentanza ad una delle imprese retiste partecipanti alla gara, per la stipula del relativo contratto. In alternativa, è sempre ammesso il conferimento del mandato prima della partecipazione alla gara, alla stessa stregua di un RTI costituito”.

Infine, nell'ipotesi di rete dotata di organo comune e di soggettività giuridica, l'aggregazione, qualora in possesso dei requisiti di qualificazione previsti per la mandataria, partecipa a mezzo dell'organo stesso. Conseguentemente, la domanda o l'offerta presentata dall'organo comune, assieme alla copia autentica del contratto di rete (che deve essere prodotto al momento della partecipazione alla gara), costituiscono elementi idonei ad impegnare tutte le imprese partecipanti all'aggregazione, salvo diversa indicazione in sede di offerta.

g) i soggetti che abbiano stipulato il contratto di gruppo europeo di interesse economico (“GEIE”) di cui la disciplina generale è stabilita dal Regolamento CE 25 luglio 1987, n. 2137 mentre, ulteriori disposizioni sono dettate a livello nazionale dal d.lgs. 23 luglio 1991, n. 240. A differenza delle reti di imprese il GEIE è sempre dotato di personalità giuridica. Merita inoltre evidenziare come parti del contratto possano essere più soggetti, persone fisiche giuridiche che svolgano un'attività economica, di cui almeno due siano stabilite in diversi Stati membri dell'Unione. Non è dunque necessario che i membri del GEIE siano imprenditori, potendo tale aggregazione essere costituita anche da liberi professionisti. Inoltre, l'art. 3 del Regolamento CE 25 luglio 1987, n. 2137 sancisce che il GEIE non «ha lo scopo di realizzare profitti per se stesso”, ma persegue la finalità di agevolare l'attività economica dei suoi membri».

Orientamenti a confronto: sulla natura dell'elenco di cui all'art. 34 del Codice del 2006

Come visto nel precedente paragrafo, sebbene l'ampia definizione di operatore economico fornita dall'art. 1, comma 8,direttiva 18/2004/CE era stata integralmente recepita dall'art. 3, commi 19 e 22, d.lgs. 2 maggio 2006,n. 163, l'art. 34, d.lgs. n. 163 del 2006 elencava e individuava i soggetti ammessi a partecipare alle gare pubbliche accomunandoli dall'esercizio, in forma imprenditoriale, di un'attività economica.

Di conseguenza, sono sorti dubbi interpretativi circa la natura tassativa di tale elenco e, di conseguenza sulla possibile partecipazione alle gare degli enti pubblici e degli enti privati che agiscono sul mercato senza perseguire uno scopo di lucro (ad. es. università ed enti di ricerca, onlus, associazioni di volontariato, fondazioni, ipab).

Unorientamento giurisprudenziale (ex plurimis TAR Lazio, Roma, Sez. III, 29 luglio 2008, n. 7591),supportato dall'interpretazionedell'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici, lavori, servizi e forniture (AVCP, deliberazione 29 dicembre 2008, n. 266; AVCP, deliberazione 18 aprile 2007, n. 119; AVCP, deliberazione 28 marzo 2007, n. 83; AVCP, deliberazione parere 31 gennaio 2008, n. 29; AVCP, deliberazione 26 febbraio 2009, n. 26) riconosceva la natura tassativa dell'elenco posto dall'art. 34, d.lgs. n. 163 del 2006.

In seguito la giurisprudenza (ex plurimis TAR Lazio, Roma, Sez. III, 14 gennaio 2015, n. 539) e la stessa Autorità (AVCP, determinazione 21 ottobre 2010, n. 7), sulla base dei principi euro-unitari di non discriminazione, libertà di circolazione e massima partecipazione alle gare nonchè dell'interpretazione della Corte di Giustizia, hanno mutato il proprio orientamento,ritenendo l'elenco contenuto nell'art. 34, d.lgs. n. 163 del 2006 meramente esemplificativo e quindi da interpretare in maniera non tassativa.

L'art. 46 del Codice 2016

Il nuovo Codice contiene una serie di disposizioni che costituiscono, nell'insieme, il complesso della disciplina di riferimento per l'affidamento dei servizi attinenti all'architettura ed all'ingegneria. Questi ultimi, in base alla definizione dall'art. 3, lett. vvvv) sono “i servizi riservati ad operatori economici esercenti una professione regolamentata ai sensi dell'articolo 3 della direttiva 2005/36/CE”.

L'art. 46 del d.lgs. 50 del 2016 rubricato “Operatori economici per l'affidamento dei servizi di architettura e Ingegneria” riprendendo, in parte, la disciplina contenuta nell'art. 90 del Codice del 2006, individua i soggetti ammessi a partecipare alle procedure per l'affidamento dei suddetti servizi.

Nel dettaglio, il nuovo Codice consente la partecipazione di:

(a) prestatori di servizi di ingegneria e architettura, ossia nel dettaglio, professionisti singoli, associati, societa' tra professionisti di cui alla lettera b), societa' di ingegneria di cui alla lettera c), i consorzi, i GEIE, raggruppamenti temporanei fra i predetti soggetti che rendono a committenti pubblici e privati, operando sul mercato, servizi di ingegneria e di architettura, nonche' attività tecnico-amministrative e studi di fattibilita' economico-finanziaria ad esse connesse, ivi compresi, con riferimento agli interventi inerenti al restauro e alla manutenzione di beni mobili e delle superfici decorate di beni architettonici, i soggetti con qualifica di restauratore di beni culturali ai sensi della vigente normativa;

(b) società di professionisti, ossia, le società costituite esclusivamente tra professionisti iscritti negli appositi albi previsti dai vigenti ordinamenti professionali, nelle forme delle societa' di persone di cui ai capi II, III e IV del titolo V del libro quinto del codice civile ovvero nella forma di società cooperativa di cui al capo I del titolo VI del libro quinto del codice civile, che svolgono per committenti privati e pubblici servizi di ingegneria e architettura quali studi di fattibilità ricerche, consulenze, progettazioni o direzioni dei lavori, valutazioni di congruita' tecnico economica o studi di impatto ambientale;

(c) società di ingegneria: le società di capitali di cui ai capi V, VI e VII del titolo V del libro quinto del codice civile, ovvero nella forma di societa' cooperative di cui al capo I del titolo VI

del libro quinto del codice civile che non abbiano i requisiti delle societa' tra professionisti, che eseguono studi di fattibilita', ricerche, consulenze, progettazioni o direzioni dei lavori,

valutazioni di congruita' tecnico-economica o studi di impatto, nonche' eventuali attivita' di produzione di beni connesse allo

svolgimento di detti servizi;

(d) prestatori di servizi di ingegneria e architettura di cui alla categoria 12 dell'allegato II A stabiliti in altri Stati membri, costituiti conformemente alla legislazione vigente nei rispettivi Paesi (lett. d); (e)i raggruppamenti temporanei costituiti dai soggetti di cui alle categorie sopra descritte;

(e) consorzi stabili di società di professionisti e di società di ingegneria, anche in forma mista, formati da non meno di tre consorziati che abbiano operato nei settori dei servizi di ingegnera e architettura.

L'art. 24 del nuovo Codice stabilisce poi che, con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, da adottare entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore dello stesso, l'ANAC adotterà apposite linee guida con cui verranno definiti i requisiti che devono possedere i soggetti di cui all'art. 46, comma 1. Fino alla data di entrata in vigore del suddetto decreto, ai sensi dell'art. 216, comma 5 del Codice continueranno dunque, a trovare applicazione gli artt. 254, 255 e 256 del Regolamento del 2010.

Casistica: Le fondazioni

Come noto, la fondazione è un ente amministrativo con personalità giuridica dotato di un patrimonio per il perseguimento di uno scopo non lucrativo che può esercitare, anche in modo prevalente, un'attività commerciale con metodo economico. Difatti, le fondazioni possono svolgere un'attività economica in modo tale che gli utili guadagnati non siano distribuiti, ma reimpiegati nel rafforzamento del patrimonio dell'ente e nel supporto finanziario del suo funzionamento. Come ribadito di recente dalla Corte di Appello civile di Venezia (sentenza 20 luglio 2015, n. 1801), logica conseguenza di tale operare è che la fondazione, qualora svolga un'attività di natura commerciale, è senz'altro sottoposta allo statuto dell'imprenditore commerciale (e esposta, dunque, a fallimento).

La giurisprudenza amministrativa ha riconosciuto la possibilità delle fondazioni di partecipare alle gare. Il Consiglio di Stato ha sottolineato che il regime fiscale di favore di cui godono tali enti non è idoneo a incidere sulla dinamica concorrenziale evidenziando come dello stesso beneficino anche le cooperative (peraltro espressamente incluse nell'elenco dell'art. 34, d.lgs. n. 163 del 2006) Cons. St., Sez. VI, 25 gennaio 2008, n. 185; Cons. St., Sez., V, 10 settembre 2010, n. 6528; TAR Calabria, Catanzaro, Sez. II, 2 aprile 2014, n. 537. Rimane fermo che la stazione appaltante debba verificare, in concreto, se la fondazione partecipante alla gara possa statutariamente svolgere un'attività di impresa offrendo la fornitura di beni o la prestazione di servizi sul mercato (Cons. Stato, Sez. VI, 16 giugno 2009, n. 3897).

Casistica: gli istituti pubblici di assistenza e beneficienza

Gli IPAB sono enti connotati da una sorta di “ibridismo giuridico”, in quanto pur rivestendo la forma di ente pubblico, si avvicinano, in relazione all'autonomia patrimoniale e di gestione, ad un soggetto privato riconducibile al tipo “fondazione”. Sulla base di tale presupposto la giurisprudenza (TAR Lazio, Roma, Sez. III, 14 gennaio 2015, n. 539) pur ammettendo in via di principio l'ammissibilità della partecipazione alle gare degli IPAB, ha precisato come la stazione appaltante debba verificare in concreto tale possibilità con riferimento all'assetto strutturale ed organizzativo desumibile dal singolo statuto (ad es. controllando l'esistenza di eventuali clausole statutarie auto-limitative).

Casistica: le associazioni non riconosciute

Si registra invece un contrasto giurisprudenziale circa la possibilità di partecipare alle gare delle associazioni non riconosciute. Secondo un indirizzo giurisprudenziale, va esclusa la partecipazione alle gare d'appalto delle associazioni prive di personalità giuridica, in quanto, il legislatore ha inteso privilegiare la scelta di soggetti connotati da un sicuro regime di imputazione degli effetti del contratto e di responsabilità personale e patrimoniale (Cons. St., Sez. V, 29 maggio 2003, n. 2785). Viene tuttavia ammessa la presenza di un'associazione non riconosciuta all'interno di un r.t.i., in quanto, in questo caso, le suddette esigenze sono salvaguardate dalla circostanza che il partecipante alla gara è il raggruppamento e non l'associazione (TAR Lazio, Roma, Sez. III, 22 maggio 2009, n. 5196). Un più recente indirizzo (TAR Basilicata, Sez. I, 20 agosto 2015, n. 542) ha invece affermato che anche le associazioni non riconosciute, ancorché enti privi di personalità giuridica, possono comunque essere ammesse a partecipare alle gare pubbliche. Il Collegio sottolinea come, sulla base della definizione di operatore economico elaborata in ambito europeo è ormai pacifico che le associazioni c.d. no-profit, anche nella veste di associazioni non riconosciute,sono tra i soggetti ai quali possono affidati degli appalti pubblici.Sulla base di tali presupposti sono pertanto ammesse alla partecipazione anche le associazioni sportive dilettantistiche (TAR Campania, Napoli, Sez. IV, 30 aprile 2015, n. 2456; TAR Liguria, Sez. II, 13 maggio 2010, n. 2534).

Casistica: le onlus e le associazioni di volontariato

La giurisprudenza (TAR Puglia, Lecce, Sez. III, 6 agosto 2014, n. 2152; Cons. St., Sez. III, 20 novembre 2012, n. 5882) ha riconosciuto anche alle onlus la possibilità di partecipare alle gare pubbliche in quanto imprese sociali. L'art. 1, comma 1, d.lgs. 24 marzo 2006, n. 155definisce imprese sociali tutte le organizzazioni che esercitano, in via stabile, un'attività economica organizzata al fine della produzione o della scambio di beni o servizi di “utlità sociale”. Tali impresenon possono, in base al dato normativo, distruibire in qualsiasi modo ai loro soci gli utili guadagnati. La medesima normativa ha tuttavia riconosciuto alle stesse la legittimazione ad esercitare in via stabile e principale un'attività economica organizzata, anche se non lucrativa, per la produzione e lo scambio di beni o di servizi di utilità sociale, diretta a realizzare finalità d'interesse generale.

Quanto all'obiezione secondo cui ammettere alle gare di appalto soggetti che fruiscono di finanziamenti pubblici altererebbe la par condicio tra i concorrenti e quindi lederebbe la concorrenza, la giurisprudenza (Cons. St., Sez. III, 20 novembre 2012, n. 5882; Cons. St., Sez. VI, 23 gennaio 2013, n. 387) ha affermato che:

a) il diritto europeo non impedisce la partecipazione agli appalti di enti senza fini di lucro;

b) il diritto europeo consente che possa partecipare ad una gara di appalto un soggetto che fruisca di aiuti di Stato, e che in virtù di tali aiuti sia in grado di proporre un'offerta più bassa di quella di altri concorrenti, a condizione che si tratti di un aiuto di Stato lecito;

c) in ogni caso, per escludere la possibilità di partecipare alle gare in capo ad una onlus occorre la prova concreta che la stessa si trovi in una posizione di vantaggio concorrenziale.

L'art. 5, l. 11 agosto 1991, n. 266 (legge-quadro sul vontariato) prevede espressamente che le associazioni di volontariato possano usufruire di proventi costituiti esclusivamente da rimborsi derivanti da convenzioni, ma che tra le entrate di tali associazioni possano esserci attività commerciali o produttive svolte “in via marginale”. Sulla base di tali presupposti la giurisprudenza nazionale (Ex plurimis Cons. St., Sez. VI 23 gennaio 2013, n. 387; Cons. St., Sez. V, 26 agosto 2010, n. 5956; TAR Lazio, Roma, Sez. III, 22 febbraio 2007, n. 1559; Cons. St., Sez. III, 15 gennaio 2016, n. 116su cui v. giurisprudenza commentata, del 23 febbraio 2016, Partecipazione alle gare d'appalto delle associazioni di volontariato, di S. Tranquilli; Cons. St., Sez. VI, 30 giugno 2009 n. 4236) ed europea (Corte Giust. UE, 11 dicembre 2014, in C-113/13; Corte Giust. UE, 28 gennaio 2016, C-50/14) ha riconosciuto la possibilità per le associazioni di volontariato di partecipare alla gare pubbliche. TAR Lazio, Roma, Sez. II-bis, 2015, n. 10131, ha dichiarato l'illegittimità del bando di gara che, pur richiamando la figura di “operatore economico”, circoscriveva la partecipazione a imprenditori, società cooperative o consorzi, anche in forma associata, escludendo quindi le associazioni di volontariato.

Casistica: le università e gli enti di ricerca

L'art. 4, n. 1, direttiva 2004/18/CE, precisava che gli Stati membri possono decidere liberamente se autorizzare o meno determinati soggetti ad operare sul mercato. Tra questi rientrano sicuramente le università e gli enti di ricerca, soggetti che, come noto, non perseguono finalità di lucro, ma rappresentano le sedi primarie della ricerca scientifica.

In particolare, la possibilità per le università di operare sul mercato è espressamente prevista dall'art.7, comma 1, lett. c), l. 9 maggio 1989, n. 168, che include, tra le entrate degli atenei, anche i corrispettivi di contratti e convenzioni, nonché dall'art.66 del d.P.R. 11 luglio 1980, n. 382, dove si prevede che le università possano eseguire attività di ricerca e consulenza, stabilite mediante contratti e convenzioni con enti pubblici e privati.

Come evidenziato dall'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici, servizi e forniture (AVCP, determinazione 21 ottobre 2010, n. 7), qualora i soggetti giuridici in questione annoverino, tra le attività statutariamente ammesse, lo svolgimento di compiti aventi rilevanza economica possono, limitatamente al settore di pertinenza, – e se in possesso dei requisiti richiesti dal singolo bando di gara – partecipare a procedure di evidenza pubblica per l'affidamento di contratti aventi ad oggetto servizi compatibili con i rispettivi fini istituzionali.

In altri termini, l'offerta di bene e servizi sul mercato da parte di questi enti è subordinata alla verifica, da effettuarsi in concreto, anche in base alle singole previsioni statutarie, della compatibilità di tali attività con lo svolgimento della funzione scientifica e didattica che per essi rimane prioritaria.

Orientamenti a confronto

Secondo una prima tesi giurisprudenziale le università e gli enti di ricerca sono esclusi dal novero dei soggetti ammessi alle gare in quanto la loro partecipazione ostacolerebbero un agevole accesso al mercato per gli altri operatori. Si altererebbe inoltre la par condicio tra gli operatori economici creando, a favore dell'affidatario, una posizione di ingiusto privilegio, garantita dai finanziamenti pubblici costanti e prevedibili di cui gli altri operatori non possono beneficiare (TAR Sardegna, Sez. I, 10 luglio 2009 n. 66; TAR Campania, Napoli, Sez. I, 12 giugno 2002, n. 3411).

L'indirizzo giurisprudenziale prevalente muove dall'elaborazione della Corte di Giustizia (Corte Giust. UE, 23 dicembre 2009, C-305/08) ed ammette la partecipazione di tali soggetti evidenziandone l'autonomia statutaria e negoziale. L'attività di ricerca e consulenza, anche se prestata in favore di enti pubblici, non può essere indiscriminata, solo perchl compatibile, ma deve essere “strettamente strumentale alle finalità istituzionali dell'Ente, che sono la ricerca e l'insegnamento”. Tale attività, quindi, “deve giovare al progresso della ricerca e dell'insegnamento, o procacciare risorse economiche da destinare a ricerca e insegnamento. Non si può pertanto trattare di un'attività lucrativa fine a sé stessa, perché l'Università è e rimane un ente senza fine di lucro” (Cons. St., Ad. pl., 3 giugno 2011, n. 10). È stato pertanto ritenuto legittimo che le università possano agire quali operatori economici non solo in via diretta, ma anche per tramite la costituzione di un'apposita società qualora l'attività posta in essere da quest'ultima sia “strettamente strumentale” alle finalità istituzionali dell'ente, ossia la ricerca e l'insegnamento (Cons. St., Sez. V, 21 novembre 2014, n. 5767).

Deve ritenersi compatibile l'attività oggetto della gara (ossia la redazione dei piani di gestione) con gli scopi istituzionali dell'Università in quanto quest'ultima abbia espressamente previsto nel suo statuto l'esercizio di attività per conto terzi. Queste ultime, qualificabili più propriamente "attività commerciali" anziché "lucrative" generano utili che sono imputati ai capitoli di gestione inerenti le finalità istituzionali di didattica e ricerca e, successivamente destinati al finanziamento di borse di studio o di ricerca, di assegni di ricerca, di borse di dottorato (TAR Lazio, Roma, I, 19 marzo 2010, n. 4318; Cons. St., Sez. V, 21 novembre 2014, n. 5767).

Casistica: le reti di imprese

La giurisprudenza (TAR Toscana, Sez. I, 25 febbraio 2016, n. 346), nel riconoscere la possibilità per le aggregazioni tra imprese di partecipare alle procedure di gara, siano esse raggruppamenti orizzontali o verticali, ha affermato che tali soggetti sono onerati (i) degli obblighi dichiarativi di cui all'art. 38 del Codice del 2006; (ii) dell'obbligo di produzione di copia del contratto di rete. In particolare, l'obbligo del concorrente di produrre tale contratto “risponde alla necessità per la stazione appaltante di vagliare la serietà e affidabilità dell'offerta come pure all'esigenza di evitare un arretramento del sistema di cautele previsto dalla disciplina antimafia”.

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