Lavori (appalto pubblico di)

04 Giugno 2020

Il contratto di appalto pubblico di lavori è un contratto a titolo oneroso, stipulato tra una Amministrazione aggiudicatrice ed uno o più operatori economici, avente per oggetto l'esecuzione di lavori pubblici e, come scopo, la realizzazione di un'opera pubblica, con organizzazione di mezzi necessari e con gestione a rischio dell'appaltatore.
Inquadramento

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Il contratto di appalto pubblico di lavori è un contratto a titolo oneroso, stipulato tra una Amministrazione aggiudicatrice ed uno o più operatori economici, avente per oggetto l'esecuzione di lavori pubblici e, come scopo, la realizzazione di un'opera pubblica, con organizzazione di mezzi necessari e con gestione a rischio dell'appaltatore.

Il contratto d'appalto pubblico di lavori, essendo pur sempre un contratto d'appalto (la cui nozione civilistica si trova nell'art. 1655 c.c.), rientra nel più ampio genus del contratto di lavoro autonomo (locatio operis) che può assumere due configurazioni fondamentali, a seconda che il debitore produca il risultato mediante l'impiego prevalente delle proprie energie di lavoro (contratto d'opera di cui all'art. 2222 c.c.), ovvero mediante l'organizzazione e la direzione del lavoro altrui e cioè mediante una organizzazione imprenditoriale, quale è appunto il contratto d'appalto.

Nel contratto d'appalto in generale (ed anche nel contratto d'appalto pubblico di lavori) il debitore della prestazione acquista rilievo non come esecutore diretto della prestazione, ma come organizzatore e gestore dei mezzi necessari alla produzione del risultato: ovvero come imprenditore, con la conseguenza che l'appalto è caratterizzato dalla produzione del risultato dedotto in obligatione a mezzo di impresa.

Lo scopo empirico tipico che accentra in sé la funzione economico-giuridica dell'appalto non è il conseguimento di un opus considerato in se stesso (confondendosi in tal modo la causa tipica dell'appalto con quella della compravendita), ma il conseguimento di un opus che deve essere appositamente prodotto per il creditore, rientrando sia il facere sia il risultato all'interno della causa tipica del negozio d'appalto.

Si tratta di un contratto tipico in cui si realizza l'incontro tra la “domanda” da parte del soggetto appaltante di eseguire un determinato lavoro e “l'offerta” dell'appaltatore, che si obbliga a portare l'opera a compimento.

La principale obbligazione dell'appaltatore è rappresentata da una obbligazione c.d. di risultato: all'operatore privato non è richiesta una mera prestazione di media diligenza, bensì la realizzazione a regola d'arte dell'opera oggetto del contratto, in conformità al capitolato ed al regolamento contrattuale.

Le norme, sia nazionali che comunitarie, stabiliscono precise regole riguardanti non solo le procedure di affidamento, ma anche la specifica definizione dell'oggetto del contratto d'appalto ed i criteri di valutazione per la scelta dell'impresa aggiudicataria.

In particolare, con specifico riguardo all'appalto pubblico di lavori ed alla relativa disciplina, il Legislatore ha dedicato sin dal 2006 particolari norme contenute nel previgente (ed ora abrogato) Codice dei Contratti Pubblici (d.lgs. 12 marzo 2006 n.163) sia nel successivo (ed ora abrogato) Regolamento di attuazione (d.P.R. 5 ottobre 2010 n.207).

Fino alla entrata in vigore del nuovo Codice dei Contratti Pubblici (d.lgs. 18 aprile 2016 n.50), occorreva fare riferimento al Codice dei contratti del 2006, ove veniva in luce l'art. 3, comma 7 (in punto di definizione normativa), l'art. 40 (in punto di qualificazione per eseguire opere pubbliche), l'art. 59, comma 1 (accordo quadro di lavori), l'art. 61 (appalto di lavori di edilizia residenziale pubblica), l'art. 90 (progettazione interna ed esterna all'Amministrazione in materia di lavori pubblici), l'art. 93 (livelli di progettazione per agli appalti di lavori pubblici), l'art. 111 (garanzie che devono prestare i progettisti), l'art. 112 (verifica della progettazione), l'art. 122 (disciplina specifica per i contratti di lavori pubblici sotto soglia), nonché la Parte II-Titolo III “Disposizioni ulteriori per i contratti relativi ai lavori pubblici”, in particolare il Capo I (artt. 126 e ss.), gli artt. 148 e 149 (appalti di lavoro affidati da concessionari che – rispettivamente – sono o non sono amministrazioni aggiudicatrici).

Con riguardo al Regolamento attuativo la materia de qua era disciplinata dall'intera Parte II del Regolamento (artt. 9 e ss.).

Come detto, sia il previgente Codice del 2006 sia il Regolamento di attuazione del 2010 sono ora stati abrogati dal d.lgs. n. 50 del 2016, salva la disciplina transitoria di cui agli arrt. 216 e 217 del nuovo Codice.

La materia dell'appalto pubblico di lavori trova ora la sua disciplina nel nuovo Codice dei Contratti Pubblici (d.lgs. 18 aprile 2016 n.50) ove viene in luce l'art. 1, commi 1 e 2, (Oggetto e ambito di applicazione), l'art. 3, lett. ll), nn), pp) (Definizioni normative), l'art. 20 (Opera pubblica realizzata a spese del privato), l'art. 21 (Programma delle acquisizioni delle stazioni appaltanti), l'art. 22 (Trasparenza nella partecipazione di portatori di interessi e dibattito pubblico), l'art. 23 (Livelli di progettazione per gli appalti, per le concessioni di lavori nonché per i servizi), l'art. 24 (Progettazione interna ed esterna alle amministrazioni aggiudicatrici in materia di lavori pubblici), l'art. 26 (Verifica preventiva della progettazione), l'art. 27 (Procedure di approvazione dei progetti relativi ai lavori),l'art. 35 (Soglie di rilevanza comunitaria e metodo di calcolo), l'art. 36 (Contratti sottosoglia), l'art. 37 (Aggregazioni e centralizzazione delle committenze), l'art. 38 (Qualificazione delle stazioni appaltanti e centrali di committenza), l'art. 59 (Scelta delle procedure), l'art. 60 (Procedura aperta), l'art. 61 (Procedura ristretta), l'art. 62 (Procedura competitiva con negoziazione), l'art. 63 (Procedura negoziata senza previa pubblicazione di un bando di gara), l'art. 64 (Dialogo competitivo), l'art. 65 (Partenariato per l'innovazione), l'art. 84 (Sistema unico di qualificazione degli esecutori di lavori pubblici), l'art. 85 (Documento di gara unico europeo), l'art. 95 (Criteri di aggiudicazione dell'appalto), l'art. 101 (Soggetti delle stazioni appaltanti), l'art. 102 (Collaudo), l'art. 104 (Garanzie per l'esecuzione di lavori di particolare valore), l'art. 105 (Subappalto), l'art. 106 (Modifica di contratti durante il periodo di efficacia), l'art. 107 (Sospensione), l'art. 108 (Risoluzione), l'art. 109 (Recesso), l'art. 111 (Controllo tecnico, contabile e amministrativo), l'art. 134 (Sistemi di qualificazione), l'art. 146 (Qualificazione nel settore dei beni culturali).

Gran parte delle disposizioni normative sopra indicate sono state successivamente modificate con l'entrata in vigore, il 21 maggio 2017, del D.lgs. 19 aprile 2017, n. 56 «Disposizioni integrative e correttive al decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50», pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 103 del 5 maggio 2017.

Le definizioni normative e ambito di applicazione del nuovo codice

In precedenza la principale normativa nazionale di riferimento per gli appalti pubblici di lavori era da individuarsi nel “Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture” di cui al d.lgs. 12 marzo 2006, n.163, emanato in attuazione delle Direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE, nonché nel relativo Regolamento di attuazione ed esecuzione, d.P.R. 5 ottobre 2010, n. 207 (ora entrambi abrogati).

Il precedente Codice dei contratti pubblici del 2006 conteneva una specifica definizione di “appalti pubblici di lavori”.

Gli appalti pubblici di lavori sono appalti pubblici aventi per oggetto l'esecuzione o, congiuntamente, la progettazione esecutiva e l'esecuzione, ovvero, previa acquisizione in sede di offerta del progetto definitivo, la progettazione esecutiva e l'esecuzione, relativamente a lavori pubblici o opere pubbliche (art. 3, comma 7, Codice dei contratti pubblici del 2006).

L'Allegato I al precedente Codice completava la definizione, elencando le attività di cui al citato articolo 3, comma 7, specificando che con il termine “lavori” si comprendono le attività di costruzione, demolizione, recupero, ristrutturazione, restauro, manutenzione di opere.

Alla medesima funzione è preposto l'Allegato I del nuovo Codice del 2016, che concerne i lavori di costruzione, demolizione, recupero, ristrutturazione urbanistica ed edilizia, sostituzione, restauro, manutenzione di opere [art. 3, lett. nn)] del nuovo Codice dei Contratti).

La normativa di settore nel corso del tempo è stata oggetto di numerosi aggiornamenti, tra cui si segnalano tra i più recenti, prima dell'entrata in vigore del nuovo Codice: la l.n.161 del 2014, la l.n. 164 del 2014 (di conversione del d.l. n. 133 del 2014); la l.n. 144 del 2014 (di conversione del d.l. n. 90 del 2014); la l.n. 116 del 2014 (di conversione del d.l. n. 91 del 2014); la l.n. 80 del 2014 (di conversione d.l. n. 47 del 2014).

Al fine di uniformare in modo ottimale la tutela della concorrenza all'interno del mercato unico europeo, sono state emanate nel corso degli anni, in materia di appalti pubblici, una serie di Direttive da parte dell'Unione Europea, poi attuate dal Legislatore nazionale.

Il nuovo Codice dei Contratti è stato adottato in attuazione di tre importanti direttive entrate in vigore il 18 aprile 2014: la direttiva 2014/24/UE sugli appalti pubblici nei cd. “settori ordinari”; la direttiva 2014/25/UE sugli appalti nei cd. “settori speciali” (acqua, energia, trasporti, servizi postali) e la direttiva 2014/23/UE sull'aggiudicazione dei contratti di concessione.

Gli Stati membri hanno dovuto recepirne le disposizioni nei rispettivi ordinamenti interni entro il 18 aprile 2016.

La precedente definizione generale di “appalti pubblici” (prevista dall'art. 3, comma 6, del Codice del 2006) qualificava come tali «i contratti a titolo oneroso, stipulati per iscritto tra una stazione appaltante o un ente aggiudicatore e uno o più operatori economici».

Tale formulazione è rimasta pressoché invariata anche nelle Direttive nn.2014/24/UE e 2014/25/UE, rispettivamente agli artt. 2, comma 5, e 2, comma 1, e successivamente riprodotta all'art. 3, lett. ii) del nuovo Codice del 2016.

La specifica definizione normativa di “appalto pubblico di lavori“ è contenuta nell'art. 3, lett. ll) del nuovo Codice, che richiama ampiamente la precedente definizione contenuta nel Codice del 2006, anche in forza di quanto affermato dalle Direttive europee.

Le direttive 2014/24/UE e 2014/25/UE sugli appalti abrogano rispettivamente le direttive 2004/18/CE e 2004/17/CE e contengono una nuova definizione di “appalto pubblico di lavori”.

Le direttive 2014/24/UE (art.2, comma 6) e 2014/25/UE (art.2, comma 2) definiscono gli «appalti pubblici di lavori» come appalti pubblici aventi per oggetto una delle seguenti azioni:

a) l'esecuzione, o la progettazione e l'esecuzione, di lavori relativi a una delle attività di cui all'allegato II;

b) l'esecuzione, oppure la progettazione e l'esecuzione di un'opera; oppure

c) la realizzazione, con qualsiasi mezzo, di un'opera corrispondente alle esigenze specificate dall'amministrazione aggiudicatrice che esercita un'influenza determinante sul tipo o sulla progettazione dell'opera.

La nozione di “appalti pubblici di lavori” contenuta nel nuovo Codice [art. 3, lett. ll)] non è nella sostanza molto distante da quella di cui al Codice del 2006, ma si distingue per maggiore chiarezza in quanto enumera separatamente (mantenendo ferma la distinzione concettuale tra “lavori” ed “opera”) l'esecuzione di lavori (relativi a una delle attività di cui all'allegato I), oppure l'esecuzione di un'opera (che può essere preceduta anche dalla progettazione esecutiva dell'opera stessa).

Si evidenzia che il Legislatore nazionale ha inteso restringere l'ambito oggettivo della nozione de qua in quanto, in punto di esecuzione di un'opera, si fa riferimento tanto all'esecuzione quanto alla progettazione esecutiva e alla esecuzione della stessa; al contrario, in caso di lavori, il nuovo Codice prevede solo la “esecuzione“ e non anche la “progettazione” che è, invece, contemplata nella nozione di appalto pubblico di lavori di cui all'art.2, comma 6, della Direttiva 2014/24/UE e dall'art. 2, comma 2, della Direttiva n.2014/25/UE.

L'ulteriore ipotesi di appalto pubblico di lavori è quella della «realizzazione, con qualsiasi mezzo, di un'opera corrispondente alle esigenze specificate dall'amministrazione aggiudicatrice o dall'ente aggiudicatore che esercita un'influenza determinante sul tipo o sulla progettazione dell'opera» e, discostandosi in parte dalla precedente formulazione del Codice del 2006, ricalca le analoghe disposizioni di cui agli artt. 2, comma 6, lett. c) Direttiva n. 2014/24/UE e 2, comma 2, lett. c) Direttiva 2014/25/UE.

Art. 3, lett. ll) Codice 2016 – “Appalti pubblici di lavori: i contratti stipulati per iscritto tra una o più stazioni appaltanti e uno o più operatori economici aventi per oggetto:

1) L'esecuzione di lavori relativi a una delle attività di cui all'allegato I;

2) L'esecuzione, oppure la progettazione esecutiva e l'esecuzione di un'opera;

3) La realizzazione, con qualsiasi mezzo, di un'opera corrispondente alle esigenze specificate dall'amministrazione aggiudicatrice o dall'ente aggiudicatore che esercita un'influenza dominante sul tipo o sulla progettazione dell'opera.”

La disciplina contenuta nel nuovo Codice del 2016 si applica, ai sensi dell'art. 1, comma 1, al contratto di appalto pubblico di lavori, per la cui definizione normativa si deve rinviare al menzionato art. 3, lett. ll), ove il Legislatore, sulla scia di quanto già previsto nel previgente Codice del 2006, opportunamente distingue tra “lavori” ed “opere”, fermo restando che, a prescindere dalla circostanza che l'appalto abbia ad oggetto l'esecuzione di lavori o di opere, il nomen iuris rimane invariato “appalto pubblico di lavori” (sulla distinzione concettuale tra lavori ed opere si veda il successivo paragrafo).

L'art. 1, comma 2, Codice 2016 opera un primo intervento ampliativo dell'ambito di applicazione della disciplina ad evidenza pubblica, assoggettandovi tutti gli appalti di lavori, anche se posti in essere da soggetti privati o comunque da soggetti che non sono amministrazioni aggiudicatrici, qualora l'importo dei lavori sia superiore ad 1 milione di euro e tali lavori siano sovvenzionati, in via diretta ed in misura superiore al 50%, da amministrazioni aggiudicatrici.

Occorre altresì, per far rientrare tali appalti sotto l'ambito di operatività del nuovo Codice, che i lavori appaltati siano di genio civile di cui all'allegato I [per la cui definizione esatta si rimanda all'art. 3, lett. nn) del nuovo Codice], oppure lavori di edilizia relativi ad ospedali, impianti sportivi, ricreativi e per il tempo libero, o per edifici scolastici ed edifici destinati a funzioni pubbliche.

Art. 1, comma 2, Codice 2016 – Se i lavori appaltati sono di genio civile, oppure lavori di edilizia relativi ad ospedali, impianti sportivi, ricreativi e per il tempo libero, o per edifici scolastici ed edifici destinati a funzioni pubbliche, l'appalto è soggetto alle norme di evidenza pubblica anche se posto in essere da soggetti privati o comunque da soggetti che non sono amministrazioni aggiudicatrici, qualora l'importo dei lavori sia superiore ad 1 milione di euro e tali lavori siano sovvenzionati, in via diretta ed in misura superiore al 50%, da amministrazioni aggiudicatrici.

Rientrano poi nel campo di applicazione del nuovo Codice dei Contratti, stante la natura onerosa e sinallagmatica del rapporto (di natura contrattuale) intercorrente tra il privato e l'Amministrazione, i lavori pubblici realizzati da parte di soggetti privati, titolari di permesso di costruire o di un altro titolo abilitativo (ad esempio s.c.i.a.), che assumono in via diretta l'esecuzione delle opere di urbanizzazione a scomputo (qui vi è il carattere oneroso) totale o parziale del contributo previsto per il rilascio del permesso [art. 1, comma 2, lett. e), nuovo Codice dei Contratti].

Qualora, al contrario, un'opera pubblica venga realizzata a totale cura e spesa del privato (il quale, a tal fine, stipuli una convenzione con un'amministrazione pubblica), senza alcuna controprestazione da parte dell'Amministrazione e, quindi, per mero spirito di liberalità, non si applica la disciplina del nuovo Codice, ai sensi dell'art. 20 “Opera pubblica realizzata a spese del privato”, fermo restando che il privato deve comunque rispettare i requisiti morali richiesti dall'art. 80 del Codice del 2016 (come in precedenza suggerito nel parere n. 855 del2016 del Consiglio di Stato e successivamente recepito dal Legislatore nel testo definitivo del d.lgs. n. 50 del 2016).

In particolare la norma disciplina le ipotesi in cui un'Amministrazione stipuli una convenzione con la quale un soggetto pubblico o privato si impegni alla realizzazione, a sua totale cura e spesa e previo ottenimento di tutte le necessarie autorizzazioni, di un'opera pubblica o di un suo lotto funzionale o di parte dell'opera prevista nell'ambito di strumenti o programmi urbanistici.

La previsione delinea una peculiare forma di partecipazione della società civile nello sviluppo delle infrastrutture e delle opere pubbliche, senza che vi sia alcuno scambio sinallagmatico tra privato ed Amministrazione, e costituisce una forma di attuazione del principio di sussidiarietà orizzontale sottratta all'ambito di applicazione del nuovo Codice dei Contratti.

Art. 20 “Opera pubblica realizzata a spese del privato”

L'istituto contemplato nell'art. 20 del Codice non può trovare applicazione nel caso in cui la convenzione stipulata tra amministrazione e privato abbia ad oggetto la realizzazione di opere pubbliche da parte di quest'ultimo in cambio del riconoscimento in suo favore di una utilità, con conseguente carattere oneroso della convenzione stessa.

Il carattere oneroso della convenzione deve ritenersi sussistere in qualunque caso in cui, a fronte di una prestazione, vi sia il riconoscimento di un corrispettivo che può essere, a titolo esemplificativo, in denaro, ovvero nel riconoscimento del diritto di sfruttamento dell'opera (concessione) o ancora mediante la cessione in proprietà o in godimento di beni. In tal caso la convenzione ha natura contrattuale, disciplinando il rapporto tra le parti con valore vincolante, sulla base di uno scambio sinallagmatico. Simili fattispecie sono da ricondurre nella categoria dell'appalto pubblico di lavori, da ciò derivando, come necessario corollario, il rispetto delle procedure ad evidenza pubblica previste nel Codice. (ANAC, Delibera n.763 del 16 luglio 2016).

Le opere e i lavori pubblici

Nella pregressa legislazione il richiamo ai lavori pubblici era spesso frammisto in modo indifferenziato a quello di opere pubbliche, e anzi, spesso, venivano considerate in modo preponderante queste ultime.

La dottrina, nel corso del tempo, ha sottolineato le peculiarità di tali fattispecie, distinguendo la nozione di lavoro pubblico da quella di opera pubblica, nel senso che il lavoro pubblico consisterebbe nell'attività materiale di modificazione del mondo reale, di cui l'opera pubblica può essere il risultato.

I due concetti non coincidono: se, infatti, non può esservi opera pubblica che non tragga origine da un lavoro pubblico, può darsi invece lavoro pubblico senza che si abbia opera pubblica, sia perché il lavoro pubblico non sempre determina la nascita di un nuovo bene (potendosi risolvere nella demolizione di un bene pericolante o nella mera attività di manutenzione di beni preesistenti), sia perché, anche quando il lavoro pubblico ha ad oggetto un'opera, può non trattarsi di un'opera pubblica, come nel caso della ricostruzione di edifici privati distrutti o danneggiati da calamità naturali.

Il riferimento precipuo alla esecuzione dei lavori pubblici anziché alla realizzazione di opere pubbliche, quale tratto caratterizzante l'applicazione della normativa pubblicistica di settore, venne con consapevolezza introdotto nel nostro ordinamento solo con l'attuazione delle direttive comunitarie in materia: in particolare l'art.1 della l. 8 agosto 1977, n.584, emanata in vigenza della direttiva CEE 26 luglio 1971, n. 305, e l'art.1 del d.lgs. 19 dicembre 1991, n.406, di attuazione alla direttiva CEE 18 luglio 1989, n. 440.

Sulla medesima linea si espresse poi la legge 11 febbraio 1994, n.109 la quale, nella sua originaria stesura, indicava come propria sfera di applicazione i lavori pubblici,consistenti in attività di costruzione, demolizione, recupero, ristrutturazione, restauro e manutenzione di opere e impianti, effettuati dai soggetti considerati dalla legge stessa.

Con il Codice del 2006, in maniera ancora più analitica, l'art.3, comma 8, si preoccupava di distinguere i lavori pubblici dall'opera pubblica.

Da ultimo il nuovo Codice dei Contratti, all'art. 3, lett. nn) e pp), separatamente delinea la nozione dei “lavori” dalla nozione di “opera”, fermo restando che l'appalto pubblico rimane comunque qualificato come “appalto pubblico di lavori”, ai sensi dell'art. 3 lett. ll), a prescindere che abbia ad oggetto l'esecuzione di lavori” o di un'opera.

I lavori sono le attività di costruzione, demolizione, recupero, ristrutturazione urbanistica ed edilizia, sostituzione, restauro, manutenzione di opere - Art. 3, lett. nn) nuovo Codice dei Contratti.

L'opera è il risultato di un insieme di lavori che di per sé esplichi una funzione economica o tecnica. Le opere comprendono sia quelle che sono il risultato di un insieme di lavori edilizi o di genio civile, sia quelle di difesa e di presidio ambientale, di presidio agronomico e forestale, paesaggistica e di ingegneria naturalistica – Art. 3 lett. pp) nuovo Codice dei Contratti.

È bene, inoltre, precisare che “pubblica” può dirsi l'opera che soddisfi il requisito soggettivo: ovvero che non solo sia eseguita dallo Stato o da altro ente od organismo pubblico, ma che altresì appartenga all'uno o all'altro, non potendo, al contrario, qualificarsi come “pubblica” l'opera che sia eseguita da un privato e che sia in proprietà di questi, e ciò anche nei casi in cui interessi indirettamente la pubblica amministrazione.

Inoltre l'opera, oltre ad avere natura immobiliare, deve soddisfare il requisito teleologico ed essere quindi idonea a soddisfare in modo immediato e diretto un interesse pubblico (se essa ha, invece, una mera funzione redditizia non può essere intesa quale opera pubblica).

I sistemi di esecuzione dei lavori pubblici

I sistemi di esecuzione dei lavori pubblici cui le P.A. ricorrono in modo più frequente sono:

- Esecuzione in economia;

- Esecuzione “a regìa”;

- Affidamento in house;

- Appalto pubblico;

- Concessione di lavori;

- Locazione finanzaria o leasing immobiliare;

- Finanza di progetto o Project financing;

- Contratto di disponibilità.

Nella esecuzione in economia, ora prevista dall'art. 36 del nuovo Codice dei Contratti (in precedenza si veda l'art. 125 del Codice del 2006), l'Amministrazione, in caso di lavori di importo inferiore ad € 40.000, può procedere con affidamento diretto, anche senza previa consultazione di due o più operatori economici, oppure in amministrazione diretta, ovvero effettuando le acquisizioni con materiali e mezzi propri o appositamente acquistati o noleggiati e con personale proprio o eventualmente assunto per l'occasione, sotto la direzione del responsabile del procedimento [Art. 3, lett. gggg) del nuovo Codice del 2016].

L'amministrazione diretta può essere attuata anche in caso di lavori di importo superiore ad € 40.000 ed inferiore ad € 150.000, fatto salvo l'acquisto ed il noleggio dei mezzi, per i quali si applica comunque una particolare procedura negoziata previa consultazione, ove esistenti, di almeno dieci operatori economici individuati sulla base di indagini di mercato o tramite elenchi di operatori economici, nel rispetto di un criterio di rotazione degli inviti, e fermo restando che tale particolare procedura negoziata, con la previa consultazione - ove esistenti - di almeno dieci operatori economici, può a fortiori essere scelta dall'Amministrazione per l'affidamento dei lavori tout court (anziché procedere in amministrazione diretta), qualora l'importo dei lavori sia comunque inferiore ad € 150.000 [art. 36, comma 2, lett. a) e b) del Codice del 2016].

L'esecuzione a regìa si può considerare un sistema intermedio tra esecuzione in economia ed in appalto. In tale forma, definita anche “appalto a regìa”, i lavori da parte dell'appaltatore sono svolti sotto la diretta vigilanza, gestione e direzione della stazione appaltante, i cui poteri di verifica sono spesso così penetranti da privare l'appaltatore di ogni autonomia.

Appalto a regìa: Nel cosiddetto appalto “a regia”, il controllo esercitato dal committente sull'esecuzione dei lavori esula dai normali poteri di verifica ed è così penetrante da privare l'appaltatore di ogni margine di autonomia, riducendolo a strumento passivo dell'iniziativa del committente, sì da giustificarne l'esonero da responsabilità' per difetti dell'opera, una volta provato che abbia assunto il ruolo di "nudus minister" del committente (Cass. civ., Sez. II, sent. n. 2752 del 2005).

Nelle gare pubbliche indette per l'aggiudicazione di appalti di lavori l'inclusione, nel progetto, dell'organizzazione del cantiere non può essere chiesta come requisito di ammissione alla procedura comparativa atteso che l'organizzazione dell'attività di cantiere deve essere lasciata all'imprenditore appaltatore, altrimenti il contratto di appalto si trasformerebbe in un contratto a regìa dell'Amministrazione, che tutto stabilisce e tutto dirige (Cons. St., Sez.V, sent. 1100 del 2011).

Un particolare tipo di affidamento di lavori pubblici, che rientra tra i temi più dibattuti e controversi degli ultimi anni nel settore della contrattualistica pubblica, è il cd. affidamento in house, espressione del potere di auto-organizzazione della P.A.

La peculiarità di tale fattispecie consiste nel fatto che l'Amministrazione aggiudicatrice, per eseguire una determinata opera, si rivolge ad un ente sul quale, seppur formalmente esterno, esercita comunque un “controllo analogo” a quello esercitato sui propri servizi, senza perciò ricorrere a soggetti terzi tramite procedure di gara (per le caratteristiche necessarie, oltre al “controllo analogo”, per la configurazione di un affidamento in house, con conseguente esclusione dell'operatività del nuovo Codice dei Contratti, si veda l'art. 5 d.lgs. 18 aprile 2016 n.50).

Più frequentemente, la P.A. ricorre all'appalto pubblico, nel quale un operatore economico (appaltatore) assume, in maggior autonomia e con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio, il compimento dell'opera verso un corrispettivo in denaro corrisposto dalla stazione appaltante.

Non bisogna, inoltre, dimenticare che gli appalti pubblici di lavori sono tali qualora oggetto del contratto d'appalto sia unicamente l'esecuzione di lavori pubblici o di opere pubbliche; in caso contrario, qualora l'oggetto dell'appalto sia promiscuo (e preveda anche prestazioni di forniture e/o di servizi) viene in luce la diversa categoria degli appalti misti di cui all'art. 28 del nuovo Codice dei Contratti (precedente art.14 del Codice del 2006) ove, al fine di individuare la disciplina concretamente applicabile, fa riferimento «al tipo di appalto che caratterizza l'oggetto principale del contratto in questione».

Esiste, tuttavia, anche un sistema di esecuzione di lavori cd. indiretto, ossia la concessione di lavori, con cui l'Amministrazione concede ad un soggetto diverso ed estraneo alla sua organizzazione l'esecuzione dei lavori pubblici. L'art. 1.3 della direttiva 18/2004 CE (sostituita ora dalla Direttiva 24/2014) indica, quale unico elemento idoneo a distinguere la concessione di lavori pubblici dall'appalto pubblico di lavori, il diritto del concessionario «di gestire l'opera o tale diritto accompagnato da un prezzo»: l'aggiudicazione di una concessione di lavori (così qualificata dalla direttiva del 2014 che la distingue dalla “concessione di servizi”) comporta, quindi, il trasferimento al concessionario del rischio operativo (rischio di gestione) sul lato della domanda, sul lato dell'offerta o di entrambi.

Vi sono anche ulteriori modi per raggiungere l'obiettivo di consentire ad una Pubblica Amministrazione di fruire di un'opera per soddisfare esigenze pubbliche: si può considerare in primis la locazione finanziaria che, stante la natura pubblica del soggetto stipulante, viene qualificata come leasing pubblico; tale fattispecie, ammessa in generale in virtù dell'autonomia contrattuale riconosciuta anche alle Pubbliche Amministrazioni ex art. 1322 c.c., in ambito pubblicistico ha un raggio di azione più ristretto rispetto al suo svolgersi in ambito privatistico, in quanto non solo riguarda l'esclusiva ipotesi di leasing finanziario ma la sua applicazione risulta ulteriormente circoscritta ai bene immobili, riguardando prevalentemente opere pubbliche da realizzare (cd. leasing in costruendo), come ora stabilito dall'art. 3, lett. ggg) del nuovo Codice ove si fa riferimento a quel «contratto avente ad oggetto la prestazione di servizi finanziari e l'esecuzione di lavori».

Nel settore di lavori pubblici viene in luce, inoltre, la speciale figura della finanza di progetto o project financingdi cui all'art. 183 del nuovo Codice del 2016 che riproduce, con significative modifiche, l'art. 153 del precedente Codice del 2006.

Tale istituto, di origine anglosassone, è già da tempo inserito nel nostro ordinamento e può essere utilizzato, in materia di lavori pubblici, in alternativa all'affidamento mediante concessione, attraverso una complessa operazione negoziale plurilaterale, in base alla quale un soggetto privato (c.d. promotore) propone all'Amministrazione la realizzazione di un'opera di pubblico interesse o di pubblica utilità, accollandosi il relativo onere economico: il soggetto privato sarà mosso dall'obiettivo di poter, in futuro, ottenere dalla P.A. il diritto di gestire e di sfruttare economicamente l'opera costruita, in tal modo assimilando tale figura alla fattispecie della concessione di costruzione e gestione, dalla quale tuttavia si differenzia per il fatto che, nel project financing, sia il progetto preliminare dell'opera che il piano economico sono predisposti dal promotore in piena autonomia.

Non può, infine, tralasciarsi il contratto di disponibilità, la cui nozione è ora delineata dall'art. 3, lett. hhh) del nuovo Codice dei Contratti e più approfonditamente disciplinato dall'art. 188 del nuovo Codice (in precedenza si vedano gli articoli art. 3, comma 15-bis e art. 160-ter del Codice dei contratti pubblici del 2006), quale modalità consentita all'Amministrazione per fruire di una nuova opera: l'oggetto di tale tipologia di contratto (che parte della dottrina qualifica come locazione di cosa futura) consiste nella costruzione e nella messa a disposizione (dietro corrispettivo) della Pubblica Amministrazione di un'opera che resta, tuttavia, di proprietà del privato.

La programmazione e la progettazione dei lavori

L'art. 21 del nuovo Codice rubricato “Programma degli acquisti e programmazione dei lavori pubblici” attua un criterio direttivo della legge delega n.11 del 2016 [art.1, comma 1, lett. bb)], sulla falsariga di quanto già previsto dall'art. 128 del Codice del 2006, e prevede che le sole amministrazioni aggiudicatrici (e non più anche gli enti aggiudicatori, come era stabilito dall'originario schema di decreto e poi espunto dal testo definitivo a seguito delle perplessità manifestate dal Consiglio di Stato con il parere n. 855 del 2016) adottano il programma triennale dei lavori pubblici, che è approvato nel rispetto dei documenti programmatori ed in coerenza con il bilancio (precisazione mancante nel testo del precedente art. 128) e, per gli enti locali secondo le norme che disciplinano la programmazione economco-finanziaria degli enti, ed è sottoposto ad aggiornamento annuale.

Disciplina transitoria – Artt. 21, comma 9 e 216, comma 3, Codice 2016 – Fino all'entrata in vigore del decreto ministeriale di cui all'art. 21, comma 8, si applicano gli atti di programmazione già adottati ed efficaci, all'interno dei quali le amministrazioni aggiudicatrici individuano un ordine di priorità degli interventi, tenendo comunque conto dei lavori necessari alla realizzazione delle opere non completate e già avviate sulla base della programmazione triennale precedente.

L'art. 22 del nuovo Codice rubricato “Trasparenza nella partecipazione di portatori di interessi e dibattito pubblico” rappresenta uno degli aspetti più qualificanti del nuovo Codice e, con tale previsione, si dà attuazione ai criteri direttivi di trasparenza e partecipazione previsti alle lettere ppp) e qqq) della legge delega n. 11 del 2016.

Per quanto qui di interesse, si prevede che, in caso di grandi opere infrastrutturali e di architettura di rilevanza sociale, le amministrazioni aggiudicatrici (ed anche gli enti aggiudicatori) debbono pubblicare i relativi progetti di fattibilità nonché gli esiti della consultazione pubblica, comprensivi dei resoconti degli incontri e dei dibattiti con i portatori di interesse.

L'obbligo di pubblicazione è circoscritto alle ipotesi in cui tali opere abbiano un «impatto sull'ambiente, sulle città e sull'assetto del territorio».

Il testo definitivo dell'art. 22 risulta ampiamente modificato rispetto alla precedente versione, contenuta nello schema di d.lgs. oggetto del parere del Consiglio di Stato, che aveva segnalato come la prima formulazione del testo fosse «lacunosa e non chiara su profili che potrebbero avere rilevanti ricadute pratiche e costituire fonte di contenzioso».

Il Supremo Consesso aveva altresì rilevato come l'art. 22, nella originaria configurazione, sembrasse operare una distinzione tra dibattito pubblico obbligatorio e facoltativo quando, al contrario, «l'intento della delega è stato quello di rendere il dibattito pubblico obbligatorio per le tipologie di opere indicate nella delega medesima, senza che si possa operare, al loro interno, una sottodistinzione tra dibattito facoltativo e obbligatorio».

Inoltre si era precisato che il successivo d.m. previsto dalla legge doveva avere «carattere dichiarativo e non costitutivo dell'obbligo di dibattito pubblico, che discende direttamente dalla legge».

Il Legislatore delegato, recependo le osservazioni del Consiglio di Stato, ha ora previsto che il successivo emanando d.p.c.m. dovrà solo fissare i criteri per l'individuazione delle opere di cui al comma 1 (ovvero i criteri certi per individuare quali siano le grandi opere infrastrutturali e di architettura di rilevanza sociale che abbiano impatto sull'ambiente, sulle città e sull'assetto del territorio), fermo restando che, per le opere così individuate, «è obbligatorio il ricorso alla procedura di dibattito pubblico», senza più alcuna sottodistinzione tra dibattito obbligatorio e facoltativo, con l'ulteriore precisazione che le modalità di svolgimento del dibattito e l'indicazione dei soggetti legittimati ad intervenire non sono più contenuti nel testo dell'art. 22, ma sono demandati al medesimo emanando d.p.c.m. (per sfuggire ad ulteriore profili di criticità evidenziati nel parere del Consiglio di Stato).

Con il correttivo 2017 è stato altresì previsto che con il suddetto d.p.c.m. sono stabilite le modalità di monitoraggio sull'applicazione dell'istituto del dibattito pubblico.

IN EVIDENZA

Art. 22 Codice 2016 – Dibattito pubblico obbligatorio per le grandi opere infrastrutturali e di architettura di rilevanza sociale che abbiano impatto sull'ambiente, sulle città e sull'assetto del territori, da individuare con successivo d.p.c.m.

L'art. 23, che disciplina i livelli successivi della progettazione delle opere pubbliche, va a sostituirsi al precedente art. 93 del Codice del 2006 e, sul punto, innova l'impianto normativo sostituendo il precedente progetto preliminare con il nuovo progetto di fattibilità tecnica ed economica, fermi restando i successi livelli di progettazione (progetto definitivo e progetto esecutivo).

A differenza del precedente art. 93, il nuovo art. 23 disciplina puntualmente, in ben 10 lettere elencate nel comma 1, i parametri, i fabbisogni, le qualità ed i vincoli di cui i progetti debbono assicurare il rispetto nella progettazione dell'opera pubblica tra cui, merita segnalare, come chiaro indizio della rinnovata sensibilità del Legislatore, il limitato consumo del suolo, il risparmio e l'efficientamento energetico, nonché l'accessibilità ed adattabilità secondo quanto previsto dalle disposizioni in materia di barriere architettoniche.

Costituisce inoltre una innovazione, rispetto alla precedente disciplina, la possibilità di far gravare i costi della progettazione, ivi compresi quelli relativi al dibattito pubblico, sulla procedura di gara cui questa accede (comma 11); al riguardo, a seguito del parere del Consiglio di Stato, il testo originario del comma è stato meglio specificato al fine di non dar adito a dubbi in ordine al soggetto che deve sopportare tali costi (la stazione appaltante o l'aggiudicatario in termini di riduzione del corrispettivo).

Il testo finale del comma 11, infatti, opta per la prima ipotesi e precisa che tali oneri possono essere fatti gravare «sulle disponibilità finanziarie della stazione appaltante cui accede la progettazione medesima».

Le prestazioni relative alla progettazione di fattibilità tecnica ed economica, definitiva ed esecutiva sono espletate dagli uffici indicati nel successivo art. 24.

IN EVIDENZA

Art. 23 Codice 2016 – Sostituzione del precedente progetto preliminare con il nuovo progetto di fattibilità tecnica ed economica.

Il nuovo art. 27, come il precedente art. 97 del Codice del 2006, regola il procedimento di approvazione dei progetti di lavori pubblici da parte delle “amministrazioni”, per il quale è operato un rinvio alle norme della legge sul procedimento amministrativo n. 241 del 1990 ed in particolare alla conferenza di servizi disciplinata dalla medesima legge (rinvio contenuto anche nel precedente art. 97).

Il secondo comma si riferisce alle amministrazioni aggiudicatrici ed agli enti aggiudicatori i quali vengono facultizzati a sottoporre, al procedimento di approvazione in esame, livelli progettuali di maggior dettaglio rispetto a quello di fattibilità, al fine di ottenere i necessari assensi amministrativi già in sede di conferenza preliminare ex art. 14-bis l. n. 241 del 1990, con riduzione dei tempi del procedimento.

Una rilevante novità è rappresentata dall'obbligo degli enti gestori delle interferenze di elaborare, a spese del soggetto aggiudicatore, il progetto di risoluzione delle interferenze di propria competenza. Il soggetto aggiudicatore sottopone a verifica preventiva di congruità i costi di progettazione per la risoluzione delle interferenze indicate dall'ente gestore (comma 4).

La violazione di tali obblighi, che sia stata causa di ritardato avvio o anomalo andamento dei lavori, comporta per l'ente gestore responsabilità patrimoniale per i danni subiti dal soggetto aggiudicatore.

Rimane tuttavia il dubbio in ordine alla natura di tale responsabilità, come rilevato nel parere del Consiglio di Stato «Non è inoltre chiaro se la responsabilità in questione sia da inadempimento (da obbligo ex lege) o sia riconducibile al paradigma generale dell'art. 2043 c.c., con rilevanza della colpa e onere probatorio a carico della stazione appaltante in questa seconda evenienza».

Il sistema di qualificazione delle stazioni appaltanti e degli esecutori dei lavori pubblici

Gli artt. 37 e ss. del nuovo Codice dei Contratti recano la innovativa disciplina in materia di qualificazione delle stazioni appaltanti.

In particolare l'art. 37, unitamente al successivo art.38, recepisce il criterio di delega di cui all'articolo 1, lett. bb) e dd) in merito alla necessità di riduzione del numero delle stazioni appaltanti e di qualificazione delle stesse stazioni sulla base di criteri di qualità, efficienza e professionalizzazione.

L'art. 37, infatti, prevede una generale riorganizzazione delle funzioni delle stazioni appaltanti e contempla, in coerenza con il criterio di delega, l'obbligo dei comuni non capoluogo di provincia di ricorrere a forme di aggregazione o centralizzazione delle committenze, a livello di unioni di comuni, ove esistenti, o ricorrendo ad altro soggetto aggregatore, oppure ricorrendo alla stazione unica appaltante costituita presso le province, le città metropolitane ovvero gli enti di vasta area ai sensi della legge n. 56 del 2014 (comma 4).

La regola della necessaria qualificazione è prevista ora anche per le stazioni appaltanti in ragione del fatto che la complessità delle procedure di gara necessita di una sicura capacita, esperienza e professionalizzazione della committenza, ed è prevista solo a partire da una certa soglia di valore: in materia di appalti pubblici di lavori tale soglia è pari ad € 150.000 nel senso che la necessaria qualificazione della stazione appaltante è necessaria per lavori di importo pari o superiore al suddetto valore.

Qualora necessaria, la mancanza della qualificazione impone alla stazione appaltante, al fine dell'acquisizione dei lavori, di ricorrere o ad una centrale di committenza oppure di aggregarsi con una o più stazioni appaltanti aventi la necessaria qualificazione (comma 3).

IN EVIDENZA

Artt. 37 e 38 Codice 2016 – Per affidare appalti di lavori superiori ad € 150.000 le stazioni appaltanti devono essere in possesso della necessaria qualificazione, altrimenti devono ricorrere ad una centrale di committenza ovvero aggregarsi con una o più stazioni appaltanti aventi la necessaria qualificazione.

Si prevede, inoltre, che con d.p.c.m., garantendo la tutela dei diritti delle minoranze linguistiche, sono individuati gli ambiti territoriali di riferimento in applicazione dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza, nonché stabiliti i criteri e le modalità per la costituzione delle centrali di committenza in forma di aggregazione di comuni non capoluogo di provincia (comma 4).

Sono poi individuati i compiti delle centrali di committenza che, tra l'altro, possono svolgere anche attività di committenza ausiliarie in favore di altre centrali di committenza, o per una o più stazioni appaltanti, in relazione ai requisiti di qualificazione posseduti e agli ambiti territoriali di riferimento individuati dal menzionato d.p.c.m.

In materia di responsabilità, la nuova disciplina si premura di rendere ciascun soggetto responsabile per quanto di rispettiva competenza, sia nei rapporti tra stazione appaltante e centrale di committenza (comma 9), sia nei rapporti reciproci tra due o più stazioni appaltanti che decidano di eseguire congiuntamente appalti e concessioni, ulteriormente distinguendo l'ipotesi in cui la procedura di aggiudicazione sia eseguita congiuntamente in tutti i suoi elementi (comma 10), dall'ipotesi contraria (comma 11) laddove, in tale ultima evenienza, si specifica che le stazioni appaltanti sono congiuntamente responsabili solo «per le parti effettuate congiuntamente».

Tuttavia, al fine di mantenere l'unitarietà della procedura, oltre a nominare un proprio responsabile del procedimento, le stazioni appaltanti provvedono a nominare un RUP «in comune tra le stesse».

In materia di appalti pubblici di lavori, invece, a differenza degli appalti di forniture o servizi, è precluso alle stazioni appaltanti di rivolgersi a centrali di committenza ubicate in altro Stato membro della UE, in quanto il comma 13 limita oggettivamente tale possibilità solo alla «acquisizione centralizzata di forniture e/o servizi a stazioni appaltanti».

Tale limitazione oggettiva è giustificata sulla base di quanto previsto dalla Direttiva 2014/24/UE [art. 39, par. 2 e art. 2, par. 1, punto 14, lett. a)].

Art. 37, comma 13, Codice 2016 – Per gli appalti pubblici di lavori è precluso rivolgersi a centrali di committenza ubicate in altro Stato membro (Direttiva 2014/24/UE, art. 39 par. 2 e art. 2, par. 1, punto 14, lett. a).

I criteri e le modalità di qualificazione delle stazioni appaltanti sono previsti dal successivo art. 38 che, ai sensi del criterio di delega di cui all'art. 1, comma 1, lett. bb) della legge delega n.11 del 2016, contempla l'istituzione presso l'ANAC, che ne assicura anche la pubblicità, di un apposito elenco delle stazioni appaltanti qualificate, cui fanno parte anche le centrali di committenza.

La qualificazione è conseguita «in rapporto agli ambiti di attività, ai bacini territoriali, alla tipologia e complessità del contratto e per fasce d'importo» (comma 1).

IN EVIDENZA

Artt. 38 Codice 2016 – L'ANAC cura la tenuta e l'aggiornamento dell'elenco delle stazioni appaltanti e delle centrali di committenza in possesso di qualificazione, a sua volta distinta per ambiti di attività, bacini territoriali, tipologia e complessità del contratto e fasce d'importo.

A parte alcuni soggetti iscritti di diritto in tale elenco (tra cui Consip s.p.a. e Invitalia s.p.a.), per tutte le altre stazioni appaltanti (ad esclusione degli enti aggiudicatori che non siano amministrazioni aggiudicatrici) si provvede mediante apposito d.p.c.m. da adottarsi entro 90 giorni dalla data di entrata in vigore del nuovo Codice ed ancora da emanare.

Con tale d.p.c.m. (dalla cui emanazione entrerà in vigore il nuovo sistema di qualificazione) si definiranno i requisiti tecnico organizzativi per l'iscrizione nell'elenco tenuto dall'ANAC «in applicazione dei criteri di qualità, efficienza e professionalizzazione»e, per le centrali di committenza, «il carattere di stabilità delle attività e il relativo ambito territoriale» (art. 38, comma 2).

La qualificazione conseguita opera per la durata di cinque anni e può essere rivista a seguito di verifica a campione eseguita dall'ANAC o su richiesta della stazione appaltante, fermo restando che l'ANAC può anche disporre una qualificazione “con riserva”, dando termine alla stazione appaltante o alla centrale di committenza di acquisire la capacità tecnica ed organizzativa richiesta.

Al fine di rendere effettiva la qualificazione, la norma prevede misure sanzionatorie e misure premianti.

Sotto il primo profilo si prevede che, a decorrere dall'entrata in vigore del nuovo sistema di qualificazione delle stazioni appaltanti (stabilito dal suddetto d.p.c.m.), l'ANAC non rilascia il codice identificativo di gara (CIG) alle stazioni appaltanti che procedono all'acquisizione di beni, servizi o lavori non rientranti nella qualificazione conseguita (comma 8).

Sotto il profilo delle misure premianti è prevista l'istituzione di un apposito fondo da istituire nello stato di previsione del Ministero delle Infrastrutture in favore delle stazioni appaltanti virtuose (art. 213, comma 14) ed una quota parte di tale Fondo è destinata al fondo per la remunerazione del risultato dei dirigenti e dei dipendenti appartenenti alle unità organizzative competenti per i procedimenti di gara (art. 38, comma 9).

La valutazione positiva dell'ANAC viene inoltre comunicata alla stazione appaltante affinché ne tenga conto «ai fini della valutazione della performance organizzativa e gestionale dei dipendenti interessati» (art. 38, comma 9).

IN EVIDENZA

Art. 216, comma 10, Codice 2016 – In via transitoria, fino all'entrata in vigore del nuovo regime di qualificazione delle stazioni appaltanti, i requisiti di qualificazione sono soddisfatti mediante l'iscrizione all'anagrafe di cui all'art. 33-ter del d.l. n. 179 del 2012, convertito con l. n. 221 del 2012.

Per coerenza sistematica occorre contestualmente analizzare la nuova disciplina di qualificazione degli esecutori di lavori pubblici di cui all'art. 84 del nuovo Codice che, analogamente a quanto già previsto dall'art. 40 del precedente Codice del 2006, dispone che i soggetti esecutori a qualsiasi titolo di lavori pubblici di importo pari o superiore ad € 150.000, provano il possesso dei requisiti di cui all'art. 83 (idoneità professionale, capacità economica e finanziaria, capacità tecniche e professionali) mediante attestazione da parte di appositi organismi di diritto privato (SOA) autorizzati dall'ANAC.

Al fine di rendere più efficaci i controlli funzionali al rilascio dell'attestazione si dispone che l'ANAC,sulla base di un decreto del Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, individui livelli standard di qualità dei controlli che le SOA devono effettuare, con particolare riferimento a quelli di natura non meramente documentale (art. 84, comma 2).

IN EVIDENZA

Art. 84 Codice 2016 – I soggetti esecutori a qualsiasi titolo di lavori pubblici di importo pari o superiore ad € 150.000, provano il possesso dei requisiti di cui all'art. 83 mediante attestazione da parte di appositi organismi di diritto privato (SOA) autorizzati dall'ANAC.

L'attività di monitoraggio e controllo di rispondenza ai suddetti livelli standard di qualità comporta per l'ANAC l'esercizio di poteri di diffida, ovvero, nei casi più gravi, sospensione o decadenza dall'autorizzazione all'esercizio dell'attività di attestazione.

La disposizione (art. 84, comma 3) prevede, quale elemento di novità, l'effettuazione da parte dell'ANAC, entro tre mesi dalla data di entrata in vigore del nuovo Codice, di una ricognizione straordinaria circa il possesso dei requisiti di esercizio dell'attività da parte dei soggetti attualmente operanti in materia di attestazione, potendo sanzionare anche l'ipotesi di esercizio del potere di attestazione ritenuto “non virtuoso”.

Le SOA attestano la sussistenza dei requisiti di ordine morale (art. 80), il possesso dei requisiti economico-finanziari e tecnico-professionali, nonché il possesso della certificazione di rating, la quale è basata su requisiti reputazionali che esprimono la capacità strutturale e di affidabilità dell'impresa (a base dei requisiti reputazionali possono essere posti anche i precedenti comportamenti dell'impresa, con riferimento al mancato utilizzo del soccorso istruttorio, all'applicazione delle disposizioni sulla denuncia obbligatoria di richieste estorsive e costruttive, al rispetto dei tempi e dei costi nell'esecuzione dei contratti, all'incidenza del contenzioso sia in sede di partecipazione alle procedure di gara che in fase di esecuzione del contratto, ai sensi dell'art. 83, comma 10).

Requisiti aggiuntivi (normativamente disciplinati dal comma 7) possono essere richiesti dalla stazione appaltante solo in caso di lavori di importo pari o superiore a 20.000.000 di euro.

Il sistema unico di qualificazione degli esecutori di contratti pubblici è articolato in rapporto alle tipologie e all'importo dei lavori; la vigilanza sul sistema di qualificazione è attribuita all'ANAC che, a tal fine, può effettuare ispezioni, anche senza preavviso, o richiede qualsiasi documento ritenuto necessario, fermo restando che anche le stazioni appaltanti hanno l'obbligo di effettuare controlli sulla sussistenza dei requisiti oggetto dell'attestazione, segnalando eventuali irregolarità all'ANAC che dispone la sospensione cautelare dell'efficacia dell'attestazione dei requisiti entro dieci giorni dalla ricezione dell'istanza medesima (art. 84, comma 6).

Inoltre, al fine di garantire l'effettività e la trasparenza dei controlli sull'attività di attestazione posta in essere dalle SOA, l'ANAC predetermina e rende pubblico sul proprio sito il criterio ed il numero di controlli a campione da effettuare annualmente sulle attestazioni rilasciate dalle SOA; viene poi previsto un preciso sistema sanzionatorio nel successivo comma 10.

È importante sottolineare come il nuovo Codice apra a futuri e diversi scenari, stabilendo che entro un anno dall'entrata in vigore del Codice, con decreto del Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, vengono individuate modalità di qualificazione per migliorare l'effettività delle verifiche «se del caso attraverso un graduale superamento del sistema unico di qualificazione degli esecutori di lavori pubblici» (art. 84, comma 12).

Art. 84, comma 12, Codice 2016 – Entro un anno dall'entrata in vigore del Codice, con decreto del Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, vengono individuate modalità di qualificazione per migliorare l'effettività delle verifiche «se del caso attraverso un graduale superamento del sistema unico di qualificazione degli esecutori di lavori pubblici».

Con riguardo ai settori speciali, l'istituto della qualificazione è previsto dall'art. 134 del nuovo Codice ove, in attuazione dell'art. 77 della Direttiva 2014/25/UE, si consente che gli enti aggiudicatori possano istituire e gestire un proprio sistema di qualificazione (che può comprendere anche vari stadi di qualificazione) degli operatori economici, i quali possono richiedere in ogni momento di essere qualificati.

Si prevede, a tal fine, un elenco degli operatori economici che può essere diviso in categorie in base al tipo di appalti per i quali la qualificazione è valida.

Compete agli enti aggiudicatori stabilire norme e criteri oggettivi per l'esclusione e la selezione degli operatori economici che richiedono di essere qualificati, nonché norme e criteri oggettivi per il funzionamento del sistema di qualificazione, disciplinando le modalità di iscrizione al sistema, l'eventuale aggiornamento periodico delle qualifiche e la durata del sistema (comma 2).

Inoltre spetta all'ente aggiudicatore stabilire i documenti, i certificati e le dichiarazioni sostitutive che devono corredare la domanda di iscrizione al sistema di qualificazione, con l'unico divieto di richiedere certificati o documenti che riproducono documenti validi già nella disponibilità dell'ente aggiudicatore (comma 7).

Disciplina ancor più particolare è contenuta nell'art. 146, in tema di qualificazione degli operatori economici, in materia di appalto di lavori concernenti i beni culturali, ove vengono richiesti requisiti di qualificazione «specifici ed adeguati ad assicurare la tutela del bene oggetto di intervento» (comma 1).

Tali requisiti di qualificazione sia dei direttori tecnici sia degli esecutori dei lavori e le relative modalità di verifica sono stabiliti, entro sei mesi dall'entrata in vigore del nuovo Codice, mediante apposito decreto del Ministero dei beni e delle attività culturali, di concerto con il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, prevedendosi che medio tempore continuano ad applicarsi le disposizioni di cui agli artt. 248 e 251 del Regolamento del 2010 (artt. 146, comma 4 e 216, comma 19, del nuovo Codice).

Le soglie di rilevanza comunitaria

L'art. 35 del nuovo Codice recepisce le disposizioni delle Direttive nn. 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE le quali, nel fissare le soglie di rilevanza comunitaria, hanno previsto un meccanismo mobile di individuazione, in quanto non restano fisse, ma sono periodicamente aggiornate dalla Commissione Europea, con provvedimento da pubblicarsi sulla Gazzetta Ufficiale dell'Unione Europea.

Per quanto riguarda gli appalti di lavori pubblici, sia nei settori ordinari sia nei settori speciali, il nuovo Codice si applica ai lavori di importo pari o superiore ad € 5.225.00 al netto dell'IVA.

Gli appalti sottosoglia sono ora disciplinati dall'art. 36 che va a sostituire i precedenti artt. 121-126 del Codice del 2006.

Nella formulazione definitiva, dopo i rilievi mossi nel parere del Consiglio di Stato, si è previsto che anche in caso di appalti sottosoglia occorre rispettare i principi di economicità, efficacia, tempestività, correttezza, libera concorrenza, non discriminazione, trasparenza, pubblicità e proporzionalità di cui all'art. 30 del nuovo Codice, ed i principi di sostenibilità energetica ed ambientale ed in assenza di conflitti di interesse, rispettivamente ai sensi degli articoli 34 e 42 del nuovo Codice, nonché nel rispetto del principio di rotazione degli inviti e degli affidamenti e comunque in modo da assicurare l'effettiva possibilità di partecipazione delle piccole e medie imprese (ed anche delle “microimprese”).

IN EVIDENZA

Art. 36 Codice 2016 – Anche negli appalti sottosoglia occorre rispettare i principi di economicità, efficacia, tempestività, correttezza, libera concorrenza, non discriminazione, trasparenza, pubblicità e proporzionalità di cui all'art. 30 del nuovo Codice, i principi di sostenibilità energetica ed ambientale ed in assenza di conflitti di interesse, rispettivamente ai sensi degli articoli 34 e 42 del nuovo Codice, nonché nel rispetto del principio di rotazione degli inviti e degli affidamenti e, comunque, in modo da assicurare l'effettiva possibilità di partecipazione delle piccole e medie imprese (ed anche delle “microimprese”).

Per quanto concerne le procedure di affidamento degli appalti di lavori, l'art. 36 prevede, in caso di lavori fino ad € 40.000, la possibilità di eseguirli in amministrazione diretta o ricorrendo a terzi in affidamento diretto anche senza previa consultazione di due o più operatori economici; per lavori da € 40.000 e di importo inferiore ad € 150.000 si prevede ancora la possibilità di eseguirli in amministrazione diretta oppure rivolgendosi a terzi, ma stavolta mediante procedura negoziata previa consultazione di almeno dieci operatori economici ove esistenti, nel rispetto del criterio di rotazione degli inviti; analoga procedura (con esclusione dell'amministrazione diretta) vale per appalti di lavori da € 150.000 e di importo inferiore ad € 1.000.000, con la precisazione che in questo caso occorre la previa consultazione almeno quindici operatori economici ove esistenti.

Le procedure ordinarie del nuove Codice si applicano, infine, per le procedure di affidamento di appalti pubblici di lavori di importo pari o superiore ad € 1.000.000.

Art. 36 Codice 2016 – Procedure di affidamento per appalti di lavori sottosoglia. In caso di lavori fino ad € 40.000, vi è la possibilità di esecuzione in amministrazione diretta o ricorrendo a terzi in affidamento diretto; per lavori da € 40.000 e di importo inferiore ad € 150.000 si prevede la possibilità di esecuzione in amministrazione diretta oppure rivolgendosi a terzi, ma mediante procedura negoziata previa consultazione di almeno dieci operatori economici ove esistenti, nel rispetto del criterio di rotazione degli inviti; analoga procedura (con esclusione dell'amministrazione diretta) vale per appalti di lavori da € 150.000 e di importo inferiore ad € 1.000.000, con la precisazione che, in questo caso, occorre la previa consultazione almeno quindici operatori economici ove esistenti. Le procedure ordinarie del nuove Codice si applicano, infine, per le procedure di affidamento di appalti pubblici di lavori di importo pari o superiore ad € 1.000.000.

L'ANAC con Deliberazione n. 1097 del 26 ottobre 2016 ha approvato le Linee Guida n.4 recanti “Procedure per l'affidamento dei contratti pubblici di importo inferiore alle soglie di rilevanza comunitaria, indagini di mercato e formazione e gestione degli elenchi di operatori economici”.

Il documento di gara unico europeo

L'art. 85 “Documento di gara unico europeo” recepisce l'art. 59 della Direttiva 2014/24/UE, introducendo come assoluta novità il documento di gara unico europeo (DGUE), anche al fine di favorire la partecipazione alle gare del MPMI.

Tale documento costituisce una prova documentale preliminare (da rendere esclusivamente in forma elettronica) resa nelle forme di una autodichiarazione redatta secondo il formulario approvato di recente dalla Commissione europea con regolamento del 5 gennaio 2016, in ordine al possesso dei requisiti necessari per la partecipazione alla gara (requisiti di cui agli artt. 80, 83 e 91 del nuovo Codice), in sostituzione dei certificati rilasciati da autorità pubbliche o da terzi, fatta salva la successiva verifica in ordine all'effettivo possesso.

In caso di avvalimento il DGUE deve fornire le informazioni in ordine al possesso dei suddetti requisiti con riferimento ai soggetti di cui l'operato economico si avvale e deve comunque, in ogni caso, contenere una dichiarazione in cui l'operatore economico è in grado «su richiesta e senza indugio, di fornire tali documenti».

Al fine di snellire ulteriormente la procedura e di velocizzare la conclusione di aggiudicazione è, altresì, previsto che gli operatori possano utilizzare il DGUE già utilizzato in una precedente procedura d'appalto, purché confermino che le informazioni ivi contenute sono ancora valide; inoltre, al termine della procedura d'aggiudicazione, la stazione appaltante richiede al primo in graduatoria di presentare la documentazione probatoria necessaria ai sensi degli artt. 86 e 87, tranne che tali documenti o prove siano presenti nella Banca dati centralizzata gestita dal Ministero delle Infrastrutture (di cui all'art. 81), o qualora la stazione appaltante sia già in possesso di tali documenti.

IN EVIDENZA

Art. 85 Codice 2016 – Il Documento di gara unico europeo (DGUE) costituisce una prova documentale preliminare in forma elettronica, resa nelle forme di una autodichiarazione redatta secondo il formulario approvato dalla Commissione europea con regolamento del 5 gennaio 2016, ordine al possesso dei requisiti necessari per la partecipazione alla gara, in sostituzione dei certificati rilasciati da autorità pubbliche o da terzi, fatta salva la successiva verifica in ordine all'effettivo possesso.

La scelta del contraente e le procedure ad evidenza pubblica

Gli articoli 59 e ss. del nuovo Codice dei Contratti disciplinano le procedure di scelta del contraente nei settori ordinari.

Le procedure di aggiudicazione degli appalti rappresentano le modalità con cui si realizzano i precetti costituzionali di buon andamento ed imparzialità: la scelta del contraente, infatti, deve avvenire secondo criteri oggettivi e regole procedurali definite che devono consentire di verificare ex post la trasparenza della scelta compiuta dall'amministrazione aggiudicatrice.

Le procedure di scelta del contraente sono le seguenti:

- Procedura aperta (art.60);

- Procedura ristretta (art.61);

- Procedura competitiva con negoziazione (art.62);

- Procedura negoziata senza previa pubblicazione di un bando di gara (art.63);

- Dialogo competitivo (art.64);

- Partenariato per l'innovazione (art.65).

Il Legislatore distingue fra quelle procedure di scelta che la stazione appaltante può discrezionalmente adottare in ogni caso (ovvero la procedura aperta e la procedura ristretta, previa pubblicazione di un bando o avviso di indizione di gara) e quelle che, per poter essere utilizzate, richiedono il verificarsi di alcune condizioni legittimanti (tutte le altre procedure di scelta sopra elencate).

Volendo brevemente evidenziare i tratti caratteristici di ogni singola procedura ad evidenza pubblica, si può rilevare che:

- Nella procedura aperta qualsiasi operatore economico interessato può presentare un'offerta;

- Nella procedura ristretta qualsiasi operatore economico può inoltrare una domanda di partecipazione ma possono presentare un'offerta solo gli operatori invitati dalla stazione appaltante;

- Nella procedura competitiva con negoziazione qualsiasi operatore economico può presentare una domanda di partecipazione ma solo quelli invitati possono presentare un'offerta iniziale che costituisce la base per la successiva negoziazione tra le parti al fine di migliorarne il contenuto;

- Nella procedura negoziata senza previa pubblicazione di un bando di gara la stazione appaltante individua gli operatori economici da consultare e seleziona almeno cinque operatori, tra i quali viene scelto colui che ha offerto le condizioni più vantaggiose;

- Nel dialogo competitivo qualsiasi operatore economico può chiedere di partecipare ma la stazione appaltante avvia un dialogo solo con gli operatori invitati: il dialogo serve ad individuare e definire i mezzi più idonei a soddisfare le necessità dell'amministrazione e, concluso il dialogo, i partecipanti sono invitati a presentare le offerte finali;

- Nel partenariato per l'innovazione qualsiasi operatore economico può formulare una domanda di partecipazione in risposta a un bando di gara o ad un avviso di indizione di gara, presentando le informazioni richieste dalla stazione appaltante per la selezione qualitativa. Tale procedura può essere utilizzata qualora l'esigenza di sviluppare prodotti, servizi o lavori innovativi e di acquisire successivamente le forniture, i servizi o lavori che ne risultano non può, in base ad una motivata determinazione, essere soddisfatta ricorrendo a soluzioni già disponibili sul mercato.

Con il nuovo Codice dei Contratti gli appalti sono aggiudicati, ai sensi dell'art. 95, mediante il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa che, dunque, diviene il criterio prevalente e dovrà sempre essere utilizzato per lavori di importo superiore ad 1 milione di euro.

Solo per i lavori di importo pari o inferiore a tale soglia l'art. 95, comma 4, consente l'utilizzo del criterio del minor prezzo, tenuto conto comunque che la rispondenza ai requisiti di qualità viene garantita dall'obbligo che la procedura di gara avvenga sulla base del progetto esecutivo.

IN EVIDENZA

Art. 95, comma 4, Codice 2016 – Il criterio del minor prezzo può essere utilizzato solo per aggiudicare appalti di lavori di importo pari o inferiore a 2 milioni di euro, quando l'affidamento dei lavori avviene con procedure ordinarie, sulla base del progetto esecutivo.

È importante notare la novità contenuta nel nuovo Codice dei Contratti in ordine al fatto che, in caso di appalto di lavori, per garantire una maggiore efficienza ed economicità dell'azione amministrativa ed il contenimento dei costi dell'opera (oltre al maggior rispetto dei tempi previsti per l'esecuzione dei lavori), a base di gara deve essere posto il progetto esecutivo ed è espressamente vietato l'affidamento congiunto della progettazione e dell'esecuzione di lavori (ad esclusione dei casi di affidamento a contraente generale, finanza di progetto, affidamento in concessione, partenariato pubblico privato, contratto di disponibilità).

Unica previsione in deroga è prevista dal nuovo comma 1-bis dell'articolo 59 del nuovo Codice, secondo cui le stazioni appaltanti possono ricorrere all'affidamento della progettazione esecutiva e dell'esecuzione dei lavori sulla base del progetto definitivo dell'amministrazione aggiudicatrice nei casi in cui l'elemento tecnologico o innovativo delle opere oggetto dell'appalto sia nettamente prevalente rispetto all'importo complessivo dei lavori.

IN EVIDENZA

Art. 59, comma 1, Codice 2016 – Gli appalti relativi a lavori sono affidati ponendo a base di gara il progetto esecutivo, il cui contenuto, come definito dall'art. 23, comma 8, garantisce la rispondenza dell'opera ai requisiti di qualità predeterminati e il rispetto dei tempi e dei costi previsti.

Comma 1-bis - Le stazioni appaltanti possono ricorrere all'affidamento della progettazione esecutiva e dell'esecuzione dei lavori sulla base del progetto definitivo dell'amministrazione aggiudicatrice nei casi in cui l'elemento tecnologico o innovativo delle opere oggetto dell'appalto sia nettamente prevalente rispetto all'importo complessivo dei lavori.

I soggetti delle stazioni appaltanti

La fase dell'esecuzione dei lavori è caratterizzata da una forte ingerenza della Amministrazione aggiudicatrice, che ha potere di controllo e di direzione.

L'art. 101 “Soggetti delle stazioni appaltanti” dà attuazione al principio di cui all'art. 1, comma 1, lett. ll) e mm) della legge delega n. 11 del 2016.

La disposizione armonizza la disciplina dei vari soggetti delle stazioni appaltanti (responsabile unico del procedimento, direttore dei lavori, direttore dell'esecuzione) unificando in un unico articolo le varie disposizioni in materia contenute nelle diverse parti del previgente Codice del 2006 (artt. 10, 119, 130 e 131 del previgente Codice) e del Regolamento di esecuzione del 2010, fissandone i principi fondamentali e rinviando alle stazioni appaltanti per l'attuazione di dettaglio.

Figura centrale rimane il responsabile del procedimento (RUP), disciplinato anche dall'art. 31 nuovo Codice, il quale dirige l'esecuzione dei contratti d'appalto ed al quale è demandato il controllo ultimo della qualità delle prestazioni.

L'ANAC, con Delibera n.1096 del 26 ottobre 2016, ha approvato le Linee Guida n.3 recanti “Nomina, ruolo e compiti del responsabile unico del procedimento per l'affidamento di appalti e concessioni”.

Per quanto concerne i contratti d'appalto di lavori, il RUP viene coadiuvato dal direttore dei lavori (figura anch'essa già conosciuta dal precedente Codice del 2006) il quale, a sua volta, in relazione alla complessità dell'intervento, può essere aiutato da uno o più direttori operativi e da ispettori di cantiere.

La figura del direttore dei lavori è obbligatoria in caso di appalti pubblici di lavori ed il soggetto che andrà a ricoprire tale importante ruolo deve essere individuato dalla stazione appaltante prima dell'avvio delle procedure per l'affidamento, su proposta del RUP.

Al direttore dei lavori è preposto al controllo tecnico, contabile e amministrativo dell'esecuzione dell'intervento, affinché i lavori siano eseguiti a regola d'arte ed in conformità al progetto ed al contratto (comma 3).

È il direttore dei lavori ad interloquire in via esclusiva con l'esecutore dei lavori in merito agli aspetti tecnici ed economici del contratto, provvede all'accettazione dei materiali in aderenza alle disposizioni delle norme tecniche per le costruzioni e può essere destinatario di ulteriori compiti dettagliatamente previsti dall'art. 101.

IN EVIDENZA

Art. 111, comma 1, Codice 2016 – Con decreto del Ministro delle Infrastrutture e trasporti, su proposta dell'ANAC, previo parere delle competenti commissioni parlamentari, sentito il Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici, sono approvate le Linee Guida che individuano le modalità e la tipologia di atti attraverso i quali il direttore dei lavori effettua l'attività di cui all'art. 101, comma 3.

Sotto al direttore dei lavori vi è la figura dell'assistente con funzione di direttore operativo il quale risponde della sua attività direttamente al direttore dei lavori.

Al direttore operativo sono affidati compiti di collaborazione e di verifica sulla regolare e corretta esecuzione di singole parti dei lavori; può essere destinatario di ulteriori compiti di collaborazione enumerati dal comma 4 dell'art.101.

Subordinati al direttore dei lavori si trovano, altresì, gli assistenti di cantiere (comma 5) che provvedono alla sorveglianza dei lavori; si prevede la presenza di una sola persona che esercita tale attività in un turno di lavoro; sono invece presenti a tempo pieno durante lo svolgimento di lavori che richiedono un controllo quotidiano, nonché durante le fasi di collaudo.

Anche agli ispettori di cantiere possono essere affidati ulteriori compiti indicati nel comma 5 dell'art. 101.

Il direttore dei lavori:

- controlla che la realizzazione dell'opera sia eseguita in conformità al contratto;

- supervisiona l'attività di tutti i soggetti facenti parte della direzione dei lavori;

- è responsabile dell'accettazione dei materiali, e del relativo controllo qualitativo e quantitativo di essi;

- è tenuto all'individuazione e alla correzione di eventuali carenze progettuali che impediscono quella “buona riuscita” del lavoro per la quale egli è tenuto ad adoperarsi. (Cass. civ., sez. II, 30 maggio 2000, n. 7180).

Il subappalto

Il subappalto costituisce una eccezione ai principi di immodificabilità dell'affidatario e di identità tra affidatario dell'appalto ed esecutore dello stesso e, pertanto, è ammesso solo nei limiti ed alle condizioni previste dall'art. 105 del nuovo Codice dei Contratti, al contrario della cessione del contratto che è sempre vietata, così come è sempre vietato il subappalto del subappalto.

Secondo la definizione contenuta nell'art.105, comma 2, del nuovo Codice dei Contratti, il subappalto è «il contatto con il quale l'appaltatore affida a terzi l'esecuzione di parte delle prestazioni o lavorazioni oggetto del contratto d'appalto», con la precisazione che, costituisce comunque subappalto, qualsiasi contratto avente ad oggetto attività ovunque espletate che richiedono l'impiego di manodopera, quali le forniture di posa in opera e i noli a caldo.

In particolare, rientrano nella nozione di subappalto le forniture di posa in opera ed i noli a caldo qualora siano soddisfatte entrambe le seguenti condizioni:

  • siano singolarmente di importo superiore al 2% dell'importo dell'appalto o comunque di importo superiore ad € 100.000;
  • l'incidenza del costo della manodopera e del personale non sia superiore al 50% dell'importo del contratto da affidare.

Il subappalto non può comunque superare il 30% dell'importo complessivo del contratto di lavori.

Ai sensi dell'art. 105, commi 2 e 5 del nuovo Codice dei Contratti, in caso di opere per le quali sono necessari lavori o componenti di notevole contenuto tecnologico o di rilevante complessità tecnica, il subappalto:

- non può superare il 30% dell'importo complessivo dell'appalto;

- non può superare il 30% dell'importo delle opere in questione.

Per la legittimità del subappalto occorre la previa autorizzazione della stazione appaltante, che potrà essere rilasciato se sono rispettate le condizioni previste dal comma 4 (profondamente riscritto dal correttivo del 2017) dell'articolo 105: a) l'affidatario del subappalto non abbia partecipato alla procedura per l'affidamento dell'appalto; b) il subappaltatore sia qualificato nella relativa categoria; c) all'atto dell'offerta siano stati indicati i lavori o le parti di opere ovvero i servizi e le forniture o parti di servizi e forniture che si intende subappaltare; d) il concorrente dimostri l'assenza in capo al ai subappaltatori dei motivi di esclusione di cui all'articolo 80.

Importante è la novità riportata al comma 13 dell'art. 105, ove si prevede il diritto del subappaltatore (o al terzo esecutore in generale) di richiedere direttamente alla stazione appaltante il pagamento di quanto dovuto per le prestazioni eseguite in tutti i casi in cui:

  • il subappaltatore è una microimpresa o una piccola impresa;
  • vi sia inadempimento da parte dell'appaltatore;
  • su richiesta del subappaltatore e se la natura del contratto lo risente.

Al riguardo i primi commenti in dottrina hanno evidenziato come la condizione della “natura del contratto” dovrebbe essere più opportunamente inserita quale condizione generale valida per tutte le ipotesi di pagamento diretto, non potendosi evidentemente concepire un pagamento diretto da parte della stazione appaltante al subappaltatore se tale pagamento è impedito dalla stessa natura del contratto (il pagamento diretto, infatti, può avvenire solo se la stazione appaltante è obbligata al pagamento di un corrispettivo per le prestazioni effettuate e se per le medesime prestazioni sussiste un debito del subappaltante verso il subappaltatore).

Il subappaltatore, con disposizione innovativa rispetto al regime precedente, può ora richiedere alla stazione appaltante il rilascio dei certificati per il possesso dei requisiti di partecipazione con riferimento alle prestazioni effettivamente eseguite dal medesimo subappaltatore (art. 105, comma 22).

Le garanzie per l'esecuzione del contratto

Il nuovo Codice dei Contratti, in attuazione dell'art.1, comma 1, lett. qq) e commi 11 e 12 della legge delega n.11 del 2016, ha riordinato e semplificato il sistema delle garanzie da prestare per l'esecuzione dell'appalto, concentrando in due disposizioni (gli articoli 103 e 104 del nuovo Codice) la disciplina delle garanzie definitive (mutando il precedente termine di “cauzione definitiva” di cui all'art. 113 del precedente Codice del 2006) e la disciplina delle garanzie per l'esecuzione di lavori di particolare rilievo, che va a sostituire l'istituto della garanzia globale di cui agli articoli 129, comma 3, e 176, comma 18, del precedente Codice del 2006.

L'art. 103 del nuovo Codice parla di “garanzie” con espressione al plurale in quanto nella medesima norma vengono contemplate molteplici fattispecie, segnalando sin d'ora che l'aggettivo “definitive” sta ad indicare la garanzia prestata dall'aggiudicatario al fine della “sottoscrizione del contratto”, laddove la garanzia “provvisoria” di cui all'art. 93 indica la garanzia che deve essere necessariamente prestata a corredo dell'offerta per la partecipazione alla gara.

Le tipologie di garanzie contemplate dall'art. 103 del nuovo Codice dei contratti (con riferimento all'appalto pubblico di lavori) sono le seguenti:

- garanzia definitiva per la sottoscrizione del contratto, da prestarsi sotto forma di cauzione o di fideiussione, pari al 10% dell'importo contrattuale, con eventuale aumento dell'importo percentuale della garanzia, al fine di salvaguardare l'interesse pubblico alla conclusione del contratto, in caso di aggiudicazione con ribasso superiore al 10% e con ulteriore aumento percentuale della garanzia in caso di ribasso superiore al 20%. La garanzia deve prevedere espressamente la rinuncia al beneficio della preventiva escussione del debitore principale, la rinuncia all'eccezione di cui all'art. 1957, comma 2, c.c. e l'operatività della stessa a semplice richiesta scritta dalla stazione appaltante. La garanzia è progressivamente ed automaticamente svincolata, senza necessità di nulla osta del committente, a misura dell'avanzamento dell'esecuzione dei lavori, come risultante dagli stati di avanzamento dei lavori, nella misura massima dell'80%. La garanzia cessa di avere effetto solo alla data di emissione del certificato di collaudo provvisorio o del certificato di regolare esecuzione (art. 103, commi 1, 2, 3, 4 e 5 del nuovo Codice).

- garanzia per il pagamento della rata di saldo, da prestarsi sotto forma di cauzione o di fideiussione, pari all'importo della medesima rata di saldo maggiorato dell'interesse legale per il periodo intercorrente tra la data di emissione del certificato di collaudo e l'assunzione del carattere di definitività del medesimo: ovvero due anni ai sensi dell'art. 102, comma 3 del nuovo Codice (art.103, comma 6, nuovo Codice dei Contratti).

- polizza assicurativa da consegnare alla stazione appaltante almeno dieci giorni prima della consegna dei lavori, che copre i danni subiti dal committente a causa del danneggiamento o della distruzione totale o parziale di impianti od opere, anche preesistenti, verificatisi nel corso dell'esecuzione dei lavori, nonché a copertura della responsabilità civile per danni causati a terzi nel corso dell'esecuzione dei lavori per un minimo di €500.000 ed un massimo di €5.000.000. La copertura assicurativa decorre dalla data di consegna dei lavori e cessa alla data di emissione del certificato di collaudo provvisorio o, comunque, decorsi dodici mesi dalla data di ultimazione dei lavori risultante dal relativo certificato (art.103, comma 7, nuovo Codice dei Contratti).

- per i soli lavori di importo superiore al doppio della soglia di rilevanza comunitaria di cui all'art. 35 (art. 103, comma 8, nuovo Codice dei Contratti):

1) polizza indennitaria decennale, non inferiore al 20% e non superiore al 40% del valore dell'opera, decorrente dal certificato di collaudo provvisorio, a copertura dei rischi di rovina totale o parziale dell'opera, ovvero dei rischi derivanti da gravi difetti costruttivi. La polizza deve contenere la previsione del pagamento dell'indennizzo contrattuale dovuto in favore del committente non appena questi lo richieda, anche in pendenza dell'accertamento della responsabilità e senza che occorrano consensi ed autorizzazioni di qualunque specie;

2) polizza decennale di assicurazione della responsabilità civile per danni cagionati a terzi, con decorrenza dalla data di emissione del certificato di collaudo provvisorio, pari al 5% del valore dell'opera con un minimo di € 500.000 ed un massimo di € 5.000.000.

Il nuovo Codice dei Contratti consente che l'Amministrazione, previa idonea motivazione e subordinatamente ad un miglioramento del prezzo di aggiudicazione, non richieda le suddette garanzie “per gli appalti da eseguirsi da operatori economici di comprovata solidità” (art. 103, comma 11).

L'art. 104 del nuovo Codice dei Contratti, sostituendo il precedente istituto della garanzia globale di cui al Codice del 2006, prevede ora che, per gli affidamenti a contraente generale di qualsiasi importo e per gli appalti di sola esecuzione di lavori di ammontare a base d'asta superiore a 100 milioni di euro, il soggetto aggiudicatario deve presentare per la sottoscrizione del contratto:

- al posto della garanzia definitiva, una garanzia, sotto forma di cauzione o di fideiussione, denominata “garanzia di buon adempimento” pari al 5% fisso dell'importo contrattuale come risultante dall'aggiudicazione, valida fino alla data di emissione del certificato di collaudo provvisorio o, comunque, fino a dodici mesi dalla data di ultimazione dei lavori, a garanzia dell'adempimento di “tutte le obbligazioni del contratto e del risarcimento dei danni derivanti dall'eventuale inadempimento delle obbligazioni stesse” (art. 104, commi 1, 2 e 3);

- la garanza per la risoluzione (espressamente qualificata “di natura accessoria”) di importo pari al 10% dell'importo contrattuale e comunque non superiore a 100 milioni di euro, decorrente dal perfezionamento del contratto e fino alla data di emissione del certificato di ultimazione dei lavori, a “garanzia di conclusione dell'opera nei casi di risoluzione del contratto previsti dal codice civile e dal presente codice”, per la copertura, nei limiti dei danni effettivamente subiti, dei costi per le procedure di riaffidamento da parte della stazione appaltante o del soggetto aggiudicatore e l'eventuale maggior costo tra l'importo contrattuale risultante dall'aggiudicazione originaria dei lavori e l'importo contrattuale del riaffidamento dei lavori stessi, oltre gli importi dei pagamenti già effettuati o da effettuare in base agli stati di avanzamento dei lavori. Tutte le garanzie contemplate dall'articolo 104 prevedono espressamente la rinuncia al beneficio della preventiva escussione del debitore principale e la rinuncia all'eccezione di cui all'art. 1957, comma 2, c.c. (art. 104, commi 4, 5, 6 e 7).

Il nuovo Codice dei Contratti prevede che, per tutte le tipologie di garanzie di cui agli articoli 93, 103 e 104, il garante non solo ha la possibilità di agire in rivalsa verso il debitore principale, ma ha altresì il diritto di regresso verso la stazione appaltante o il soggetto aggiudicatore per l'eventuale indebito arricchimento (art. 104, comma 10), in tal modo dando maggiore linfa a quelle opzioni ermeneutiche, già avanzate dai primi commentatori della nuova normativa, tese a riqualificare in termini di “accessorietà” le garanzie definitive previste dal nuovo Codice.

Modifica dei contratti durante il periodo di efficacia

All'Amministrazione aggiudicatrice, diversamente che all'appaltatore, è riconosciuto un diritto potestativo di apportare modifiche al progetto nel corso dell'opera.

La disciplina delle modifiche al progetto approvato è contenuta ora nell'art. 106 del nuovo Codice dei Contratti (in precedenza nell'art. 132 del Codice dei contratti pubblici del 2006 e negli artt. 161 e 162 del Regolamento del 2010).

In linea generale le modifiche, nonché le varianti, dei contratti di appalto in corso di validità devono essere autorizzate dal RUP con le modalità previste dall'ordinamento della stazione appaltante cui il RUP dipende.

L'art. 106, recependo i dettami comunitari, prevede che i contratti di appalto e gli accordi quadro possano essere modificati senza l'espletamento di una nuova procedura d'appalto, ma solo in quattro specifiche ipotesi elencate al comma 1:

- se le modifiche, a prescindere dal loro valore monetario, sono state previste nei documenti di gara iniziali in clausole chiare, precise ed inequivocabili, che possono comprendere anche clausole di revisione dei prezzi [lett. a)];

- se si sono resi necessari (e non erano inclusi nell'appalto iniziale) lavori, servizi o forniture supplementari qualora un cambiamento del contraente risulti impraticabile per motivi economici o tecnici e comporti per l'Amministrazione aggiudicatrice notevoli disguidi o una consistente duplicazione di costi [lett. b)];

- qualora la modifica non altera la natura generale del contratto e si renda necessaria a seguito di circostanze impreviste ed imprevedibili per la stazione appaltante (tra le predette circostanze può rientrare anche la sopravvenienza di nuove disposizioni legislative o regolamentari o provvedimenti di autorità od enti preposti alla tutela di interessi rilevanti). In tal caso la modifica all'oggetto del contratto assume la nozione di variante in corso d'opera [lett. c)].

- qualora, per una delle cause elencate nella lett. d), comma 1 dell'art. 106, un nuovo contraente sostituisce quello a cui la stazione appaltante aveva inizialmente aggiudicato l'appalto [lett. d)].

Oltre alle quattro ipotesi sopra elencate, il comma 2 dell'articolo 106 prevede che i contratti possono essere parimenti modificati, senza necessità di una nuova procedura di gara, se il valore della modifica è al di sotto di entrambi i seguenti valori, valevoli anche nel caso in cui la necessità di modificare il contratto derivi da errori o da omissioni nel progetto esecutivo, tali da pregiudicare in tutto o in parte la realizzazione dell'opera:

- le soglie di cui all'articolo 35;

- il 15% del valore iniziale del contratto per i contratti di lavori sia nei settori ordinari che speciali.

In caso di più modifiche successive, il valore è accertato sulla base del valore complessivo netto delle successive modifiche.

Si prevede comunque un limite alle modifiche, in quanto non è possibile in nessun caso alterare “la natura complessiva” del contratto o dell'accordo quadro.

Al di fuori delle menzionate ipotesi, per modificare le disposizioni di un contratto d'appalto durante il periodo della sua efficacia, occorre procedere alla indizione di un nuovo appalto (comma 6).

È previsto, inoltre, ai sensi del comma 8, l'obbligo in capo alla stazione appaltante, sanzionato con una pena pecuniaria, di comunicare tempestivamente all'ANAC le modifiche contrattuali solo qualora siano state disposte ai sensi del comma 1, lett. b) o ai sensi del comma 2.

Una particolare disciplina è prevista dall'ultimo comma dell'art. 106 per il controllo delle varianti in corso d'opera.

Controllo sulle varianti in corso d'opera:

- Per gli appalti di importo inferiore alla soglia comunitaria: le varianti in corso d'opera sono comunicate dal RUP all'Osservatorio dei contratti pubblici;

- Per gli appalti di importo pari o superiore alla soglia comunitaria: le varianti in corso d'opera di importo eccendente il 10% del valore originario del contratto sono trasmesse dal RUP all'ANAC ai fini della verifica della legittimità ai sensi dell'art. 213 del Codice.

Alla stazione appaltante è comunque riconosciuto uno ius variandi, sia in aumento sia in diminuzione, delle prestazioni dedotte in contratto, fino a concorrenza di un quinto del valore dell'appalto: entro tale soglia l'Amministrazione aggiudicatrice può imporre all'appaltatore (al quale in tale ipotesi non è riconosciuto il diritto alla risoluzione del contratto) l'esecuzione di tali prestazioni alle stesse condizioni previste nel contratto originario (comma 12).

Sospensione, risoluzione e recesso

L'art. 107 del nuovo Codice degli appalti sussume a dignità legislativa la disciplina della sospensione dell'esecuzione dell'appalto, disciplina prima sottoposta a normativa secondaria (prevalentemente agli artt. 158, 159 e 160 del d.P.R.n. 5 ottobre 2010 n.207).

Le novità apportate dal nuovo Codice, come già rilevato in dottrina, attengono: a) ad una applicazione delle cause di sospensione, oltre che agli appalti di lavori, anche agli appalti di servizi e forniture; b) ad una più ordinata organizzazione e puntualizzazione delle cause di sospensione, pur nella conferma delle due macro aree delle “circostanze speciali” e delle “ragioni di necessità o di pubblico interesse”, ciascuna rispettivamente assegnata al Direttore dei Lavori ed al RUP; c) alla specificazione per cui il carattere della imprevedibilità al momento della conclusione del contratto deve connotare tutte le cause di sospensione afferenti le speciali ragioni; d) alla necessità del carattere della sopravvenienza per l'interruzione (disposta con atto motivato dalle amministrazioni competenti) dei finanziamenti per esigenze di finanza pubblica come causa specifica di sospensione; e) con riferimento al verbale della sospensione dei lavori, alla puntualizzazione che la presenza dell'esecutore, in sede di redazione dello stesso, deve essere garantita “se possibile”.

In particolare il comma 1 demanda la competenza al direttore di lavori, il quale può prendere atto della sussistenza di circostanze speciali che devono essere imprevedibili e tali da non consentire l'esecuzione dell'appalto a regola d'arte; il successivo comma 2, nel far riferimento alle più gravi ragioni di necessità o di pubblico interesse (tra cui anche l'interruzione dei finanziamenti per esigenze sopravvenute di finanza pubblica) pone la competenza di disporre la sospensione in capo al RUP.

Rimane ferma in ogni caso la possibilità, salva opposizione della stazione appaltante, di chiedere la risoluzione del contratto (senza indennità) qualora le sospensioni (seppur legittime) si prolunghino per un tempo superiore ad un quarto della durata complessiva o comunque quando superino i sei mesi.

Viene, inoltre, confermata la possibilità di una sospensione parziale qualora le cause imprevedibili o di forza maggiore impediscano solo parzialmente il regolare svolgimento dei lavori.

La ripresa dei lavori è demandata unicamente al RUP (e non anche al direttore dei lavori) e l'art. 107, comma 6, conferma il diritto al risarcimento del danno in favore dell'esecutore in favore delle sospensioni illegittime.

Il penultimo periodo del comma 4 dell'art.107 si occupa delle contestazioni alle sospensioni da parte dell'esecutore, contestazioni necessarie per poter aspirare al risarcimento del danno ai sensi del comma 6 della medesima norma.

Vi è una diversa disciplina in caso di sospensioni legittime o illegittime: in caso di sospensioni originariamente legittime e poi avvertite come ingiuste per fatti sopravvenuti, la contestazione può essere limitata nel verbale di ripresa dei lavori; al contrario, in caso di sospensioni sin dall'inizio illegittime, l'esecutore dovrà procedere alla contestazione sin dal verbale di sospensione.

La sospensione dell'esecuzione sospende temporaneamente il termine contrattuale di esecuzione della prestazione, il quale comincia nuovamente a decorrere dalla data della ripresa, una volta cessate le cause che hanno imposto l'interruzione dell'esecuzione dell'appalto e deve essere disposta per il tempo “strettamente necessario”.

IN EVIDENZA

Il direttore dei lavori che rilevi delle difformità rispetto al progetto deve ordinare la sospensione dei lavori (ex plurimis, Cass. civ., sez. III, 13 aprile 2015, n. 7370) compilando il verbale di sospensione e indicando le ragioni che hanno determinato l'interruzione dei lavori.

Il verbale deve essere poi inoltrato al responsabile del procedimento entro cinque giorni dalla data della sua redazione. nto tali non possono considerarsi quelle turistiche o di balneazione, ricorrenti sistematicamente in ben individuati periodi dell'anno, e, pertanto, non qualificabili come imprevedibili, dovendo essere apprezzate dalla stazione appaltante già nella predisposizione del programma dei lavori (Cass.civ., sez. I, 18 maggio 2015, n. 10076).

Inoltre esse non possono essere invocate al fine di porre rimedio a negligenza o imprevidenza dell'Amministrazione medesima (Cass. civ, sez. VI, 25 ottobre 2012, n. 18239).

Tra le ragioni di pubblico interesse rientra, ad esempio, l'interruzione dei finanziamenti disposta con legge dello Stato, della Regione e della Provincia autonoma per sopravvenute esigenze di bilancio.

L'art. 108, innovando rispetto al passato, detta una disciplina organica della risoluzione per i contratti pubblici, in quanto il Legislatore nel 2016 ha compendiato ben cinque norme del precedente Codice del 2006 (gli articoli dal 135 al 139 e in parte il 132) in un'unica disposizione.

I primi due commi dell'art. 108 rispettivamente elencano le ipotesi di risoluzione facoltativa (e non si applicano i termini previsti dall'art. 21-nonies l. n. 241 del 1990) o obbligatore dei lavori, ferma restando, al comma 3, una clausola aperta che consente, caso per caso, la risoluzione del contratto per “grave inadempimento alle obbligazioni contrattuali”: tale risoluzione viene dichiarata dalla stazione appaltante, dopo che all'esecutore siano stati contestati gli addebiti e gli sia stata data facoltà di contraddire.

Al di fuori di tali ipotesi, la risoluzione può essere altresì dichiarata dalla stazione appaltante in caso di “ritardi per negligenza dell'appaltatore” nella esecuzioni delle prestazioni rispetto alle previsioni del contratto: in tal caso, assegnato un termine ad adempiere non inferiore a 10 giorni, la stazione appaltante risolve il contratto.

In caso di risoluzione del contratto l'appaltatore ha diritto soltanto al pagamento delle prestazioni relative ai lavori, servizi o forniture regolarmente eseguiti, decurtato degli oneri aggiuntivi derivanti dallo scioglimento del contratto.

La disciplina del recesso è ora contenuta nell'art. 109 del nuovo Codice dei Contratti che va a sostituire l'art. 134 del previgente Codice del 2006, ampliandone il raggio oggettivo di applicabilità dato che, sulla base del nuovo dato normativo, l'istituto del recesso viene ora esteso agli appalti di servizi e forniture oltre che agli appalti di lavori, ferma restando sempre la norma generale sul recesso di cui all'art. 21-sexiesl. n.241 del 1990, con la conseguenza che non è escluso che, per legge o per contratto, l'Amministrazione aggiudicatrice sia facoltizzata all'esercizio del potere unilaterale di recesso anche per ipotesi o situazioni differenti da quelle sottese al contenuto precettivo di cui all'art. 109 del nuovo Codice dei Contratti.

A differenza della disciplina civilistica del recesso dal contratto d'appalto di cui all'art. 1671 c.c., lo speciale diritto (potestativo) di recesso di cui gode la P.A. comporta il pagamento di un indennizzo comprendente (oltre al danno emergente “pagamento dei lavori eseguiti […] nonché del valore dei materiali utili esistenti in cantiere nel caso di lavoro […]”) anche il ristoro del lucro cessante non nella sua integralità (come prevede l'art. 1671 c.c. con onere della prova a carico dell'appaltatore), ma nella misura forfettaria di un decimo “delle opere, dei servizi o delle forniture non eseguite” (senza necessità di prova da parte dell'appaltatore).

Sia l'esercizio del diritto di recesso dal contratto d'appalto sia l'esercizio del potere di revoca in autotutela dell'aggiudicazione, incidente sul rapporto negoziale/contrattuale a valle (di cui all'art. 21-quinquies, comma 1-bis, l. n.241 del 1990), possono basarsi sulle stesse esigenze di adeguamento dell'interesse pubblico alle sopravvenienze normative o fattuali, o alla diversa valutazione dell'interesse pubblico originario, fermo restando che, dopo la stipulazione del contratto, all'Amministrazione è precluso il potere di esercitare la revoca in autotutela dell'aggiudicazione (con le più favorevoli ricadute in termini di indennità limitata al solo danno emergente ai sensi del suddetto art. 21-quinquies, comma 1-bis), potendo azionare il solo diritto potestativo di recesso dal contratto ai sensi dell'art. 109 del nuovo Codice dei contratti (precedente articolo 134 del Codice del 2006).

IN EVIDENZA

«Nel procedimento di affidamento di lavori pubblici le Pubbliche amministrazioni se, stipulato il contratto di appalto, rinvengano sopravvenute ragioni di inopportunità della prosecuzione del rapporto negoziale, non possono utilizzare lo strumento pubblicistico della revoca dell'aggiudicazione ma devono esercitare il diritto potestativo del recesso, regolato dall'art. 134, d.lg. 12 aprile 2006, n. 163» Con. St., Ad. plen., n. 14 del 2014; Cons. St., Sez.V, sentenza n.1174 del 2016Principio applicabile anche dopo l'entrata in vigore del nuovo Codice dei Contratti.

Il collaudo

Il collaudo dell'opera viene contemplato dall'art. 102 del nuovo Codice dei Contratti che sostituisce la precedente disciplina di cui all'art. 141 del Codice del 2006 e gli artt. 215 e ss. del Regolamento del 2010.

L'articolato risulta conforme ai criteri direttivi di cui all'art. 1, comma 1, lett. ll) della Legge delega n. 11 del 2016 che prevede, tra l'altro, il rafforzamento delle funzioni di organizzazione, di gestione e di controllo della stazione appaltante sull'esecuzione delle prestazioni, attraverso verifiche effettive e non meramente documentali, con particolare riguardo ai poteri di verifica e di intervento del responsabile del procedimento e del direttore dei lavori.

L'art. 102 risulta, inoltre, conforme al criterio direttivo di cui all'art. 1, comma 1, lett. nn) della Legge delega, ove si prevede la revisione della disciplina di affidamento degli incarichi di collaudo a dipendenti appartenenti ai ruoli della pubblica amministrazione e in trattamento di quiescenza, prevedendo il divieto di affidamento dell'incarico di collaudo per appalti di lavori pubblici di importo superiore alle soglie di rilevanza comunitaria, ubicati nella regione sede dell'amministrazione di appartenenza, e disponendo un limite all'importo dei corrispettivi.

L'articolo in esame, al fine di evitare una lacuna normativa scaturente dall'abrogazione delle relative disposizioni regolamentari, ridisciplina la fattispecie relativa al collaudo dei lavori pubblici (di cui al precedente art. 141 del Codice del 2006), non prevedendo più i rimandi al regolamento di attuazione del 2010 (ora abrogato) ed individuando espressamente coloro ai quali non possono essere affidati incarichi di collaudo e di verifica di conformità (soggetti elencati al comma 7), fermo restando che le stazioni appaltati nominano, quale collaudatore o collaudatori, da uno a tre soggetti tra i propri dipendenti o dipendenti di altre amministrazioni pubbliche, con qualificazione rapportata alla tipologia e caratteristica del contratto e con l'ulteriore necessità di prevedere il collaudatore delle strutture per il collaudo statico.

In linea generale il collaudo ha la finalità di «certificare che l'oggetto del contratto in termini di prestazioni, obiettivi e caratteristiche tecniche, economiche e qualitative sia stato realizzato ed eseguito nel rispetto delle previsioni contrattuali e delle pattuizioni concordate in sede di aggiudicazione o affidamento» (comma 2).

È altresì previsto che, per i contratti pubblici di lavori di importo superiore a1 milione di euro ed inferiore alla soglia comunitaria, nei casi espressamente individuati da apposito decreto del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, su proposta del Consiglio superiore dei lavori pubblici e sentita l'ANAC, il certificato di collaudo dei lavori possa essere sostituito dal certificato di regolare esecuzione rilasciato direttamente dal direttore dei lavori.

Per i lavori di importo inferiore ad 1 milione di euro, la stazione appaltante ha sempre facoltà di sostituire il certificato di collaudo con il certificato di regolare esecuzione rilasciato dal direttore dei lavori (articolo 102, comma 2).

IN EVIDENZA

Artt. 102, comma 8 e 216, comma 16, Codice 2016 – In via transitoria, fino alla emanazione del d.m. sulle modalità tecniche di svolgimento del collaudo, continua ad applicarsi la disciplina di cui agli artt. 215 e ss del Regolamento del 2010.

Il collaudo deve avvenire entro sei mesi dall'ultimazione dei lavori, salvi i casi di particolare complessità dell'opera (anch'essi da individuare con apposito decreto del Ministro delle Infrastrutture) ove il termine del collaudo può essere elevato sino ad un anno.

Una volta emesso il certificato di collaudo, questo ha carattere provvisorio e assume carattere definitivo decorsi due anni dalla sua emissione (comma 3).

Il concetto di definitività del collaudo è importante in quanto consente di stabilire il termine oltre il quale l'appaltatore, tranne l'ipotesi di rovina della costruzione, non risponde più dei vizi dell'opera ancorché riconoscibili (comma 5).

L'esito positivo del collaudo è necessario per il successivo pagamento in quanto solo in tal caso il RUP, entro 90 giorni dal rilascio del certificato di collaudo, deve rilasciare il certificato di pagamento ai fini dell'emissione della fattura da parte dell'appaltatore, con la precisione che tale certificato di pagamento «non costituisce presunzione di accettazione dell'opera, ai sensi dell'art. 1666, secondo comma, del codice civile» (comma 4).

Disposizioni particolari sono previste per il collaudo in caso di lavori su beni culturali dal momento che l'art. 150 nuovo Codice impone il collaudo in corso d'opera e non al termine dei lavori.

Casistica

Dovere della P.A. di cooperare all'adempimento dell'appaltatore in caso di variante in corso d'opera

Anche nell'appalto di opere pubbliche, stante la natura privatistica del contratto, è configurabile, in capo all'amministrazione committente, creditrice dell'opus, un dovere – discendente dall'espresso riferimento contenuto nell'art. 1206 c.c. e, più in generale, dai principi di correttezza e buona fede oggettiva, che permeano la disciplina delle obbligazioni e del contratto – di cooperare all'adempimento dell'appaltatore, attraverso il compimento di quelle attività, distinte rispetto al comportamento dovuto dall'appaltatore, necessarie affinché quest'ultimo possa realizzare il risultato cui è preordinato il rapporto obbligatorio. In questo contesto, l'elaborazione di varianti in corso d'opera – di norma costituente una mera facoltà della P.A. (esercitabile in presenza delle condizioni previste dalla legge) – può configurarsi come espressione di un doveroso intervento collaborativo del creditore: tanto avviene allorché la modifica del progetto originario (nella specie, costruzione di un edificio scolastico) sia resa necessaria da sopravvenute disposizioni imperative, legislative e regolamentari, sulla sicurezza degli impianti, giacché, in tal caso, l'opera che fosse realizzata secondo le inizialmente progettate modalità costruttive e istruzioni tecniche esporrebbe l'appaltatore a responsabilità per eventi lesivi dell'incolumità e dell'integrità personale di terzi. Ne consegue che la perdurante, mancata consegna, da parte della stazione appaltante, benché ritualmente sollecitata, dei progetti di adeguamento dell'opera alle sopravvenute prescrizioni normative, ben può determinare impossibilità della prestazione per fatto imputabile al creditore, sul quale sono destinate a ricadere le conseguenze dell'omessa cooperazione necessaria all'adempimento da parte del debitore. (Cass. civ., sez.I, 5 giugno 2014, n.12698; Cass. civ., sez. I, 29 aprile 2006, n.10052)

Il direttore dei lavori può disporre autonomamente varianti rispetto al progetto originario

In tema di appalto di opera pubblica, qualora i lavori appaltati dal Comune siano variati per ordine scritto del direttore dei lavori, che si palesi carente dell'indicazione della preventiva approvazione dell'amministrazione committente, ma che successivamente siano autorizzati con una perizia di variante e suppletiva, ai sensi dell'art. 342 della legge 20 marzo 1865 n. 2248 allegato. F e dall'art. 13 del capitolato generale di appalto approvato con il d.P.R. 16 luglio 1962 n. 1063 (applicabili ratione temporis), e con la conseguente delibera del consiglio comunale, l'originaria irregolarità dell'ordine privo di quell'indicazione deve ritenersi sanata in virtù dell'intervenuta ratifica dell'ordine medesimo. ( Cass.civ., sez. I, 18 dicembre 2015, n. 25524)

Responsabilità civile della stazione appaltante verso terzi

In tema di appalto pubblico, la mancata consegna dell'opera alla stazione appaltante non esonera quest'ultima dalla responsabilità per la custodia del cantiere e per i danni arrecati a terzi ad essa riconducibili qualora, pur a conoscenza della situazione di abbandono del cantiere ed il protrarsi del “fermo dei lavori”, nonché in possesso di specifici poteri di controllo ed ingerenza nella esecuzione dell'opus, abbia omesso di adottare, tramite il direttore a ciò preposto, misure idonee a prevenire il verificarsi di eventi lesivi. (Cass.civ., sez. III, 18 settembre 2015, n.18317)

Sospensione dei lavori per ragioni di pubblico interesse o necessità

In tema di appalto di opere pubbliche, “le ragioni di pubblico interesse o necessità” che, ai sensi dell'art. 30, secondo comma, del d.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063, legittimano l'ordine di sospensione dei lavori, vanno identificate in esigenze pubbliche oggettive e sopravvenute, non previste né prevedibili dall'Amministrazione con l'uso dell'ordinaria diligenza, sicché tali non possono considerarsi quelle turistiche o di balneazione, ricorrenti sistematicamente in ben individuati periodi dell'anno, e, pertanto, non qualificabili come imprevedibili, dovendo essere apprezzate dalla stazione appaltante già nella predisposizione del programma dei lavori. (Cass.civ., sez. I, 18 maggio 2015, n. 10076).

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