Requisiti: Ambito soggettivo di applicazione

Francesco Saverio Cantella
24 Agosto 2018

L'art. 80 del d.lgs n. 50/2016 recepisce, precisandone le condizioni di applicazione, l'art. 57 della direttiva 2014/24/UE, stabilendo i requisiti di ordine generale che gli operatori economici devono possedere per poter essere ammessi alle gare pubbliche e stipulare i relativi contratti di appalto e di subappalto (commi 1-5) nonché le esenzioni soggettive (comma 11).
Inquadramento

Contenuto in fase di aggiornamento autorale di prossima pubblicazione

L'art. 80 del d.lgs n. 50/2016 recepisce, precisandone le condizioni di applicazione, l'art. 57 della direttiva 2014/24/UE, stabilendo i requisiti di ordine generale che gli operatori economici devono possedere per poter essere ammessi alle gare pubbliche e stipulare i relativi contratti di appalto e di subappalto (commi 1-5) nonché le esenzioni soggettive (comma 11).

Uno degli aspetti più delicati legati all'ambito soggettivo di applicazione della disposizione riguardava, nella vigenza dell'art. 38 del d.lgs n. 163/06, l'individuazione dei soggetti in capo ai quali verificare l'insussistenza delle cause ostative “personali” riguardanti cioè le misure di prevenzione e le condanne definitive. Al fine di prevenire le infiltrazioni malavitose negli appalti pubblici, infatti, la giurisprudenza amministrativa aveva, infatti, progressivamente ampliato la platea dei soggetti rilevanti al di là di quelli espressamente menzionati dalle disposizioni previgenti (a seconda della tipologia della società: soci, soci accomandatari, amministratori con poteri di rappresentanza, direttori tecnici) fino a ricomprendervi le persone fisiche operanti presso aziende cedute al o incorporate dal concorrente nell'anno antecedente la pubblicazione del bando (cfr.Adunanza Plenaria Cons. Stato 4 maggio 2012 n. 10 e 7 giugno 2012 n. 21), i ccdd. amministratori di fatto (Ad. Plen. 16 ottobre 2013 n. 23)nonché i responsabili tecnici titolari di funzioni omologhe al direttore tecnico.

L'art. 80 del d.lgs n. 50/2016, solo in seguito alle modifiche apportate dall'art. 49 dal decreto correttivo (d.lgs n. 56/2017), ha recepito in parte nel testo normativo i predetti approdi giurisprudenziali (espressamente individuando tra i soggetti rilevanti gli institori e i procuratori generali), estendendo, tuttavia, l'ambito soggettivo di operatività della disposizione anche ai membri degli organi di direzione o di vigilanza, oltre ai soggetti muniti di poteri di rappresentanza, di direzione o di controllo.

Tra i temi ancora aperti, vecchi e nuovi, riguardanti la corretta determinazione dei soggetti interessati possono evidenziarsi: (i) la corretta individuazione dei soggetti titolari di poteri di direzione e di vigilanza; (ii) la rilevanza o meno, ai fini della individuazione dei soggetti cessati, di qualsiasi operazione di trasferimento o di incorporazione dell'azienda, (iii) l'obbligo di considerare, nel caso di procedure ristrette, gli eventuali mutamenti della compagine societaria intervenuti tra la data di pubblicazione del bando e quella di presentazione delle offerte, (iv) le modalità di individuazione dei procuratori “generali”.

Deve, tuttavia, osservarsi come molte delle problematiche insorte sulla corretta individuazione dei soggetti rilevanti (sebbene non tutte) sono suscettibili di essere in concreto superate con la generale operatività del meccanismo del soccorso istruttorio di cui all'art. 83, comma 2, del Codice, il quale consente di integrare dichiarazioni incomplete (ma non quelle mendaci).

I soggetti espressamente menzionati dall'art. 80 del d.lgs n. 50/2016 e s.m.i.

L'art. 80, comma 3, del nuovo Codice – riferendo ora opportunamente l'elencazione dei soggetti rilevanti ai motivi di esclusione di cui ai precedenti comma 1 (condanne definitive) e 2 (cause di decadenza previste dalla legislazione antimafia) – stabilisce che «L'esclusione di cui ai commi 1 e 2 va disposta se la sentenza o il decreto ovvero la misura interdittiva sono stati emessi nei confronti: del titolare o del direttore tecnico, se si tratta di impresa individuale; di un socio o del direttore tecnico, se si tratta di società in nome collettivo; dei soci accomandatari o del direttore tecnico, se si tratta di società in accomandita semplice; dei membri del consiglio di amministrazione cui sia stata conferita la legale rappresentanza, ivi compresi institori e procuratori generali, dei membri degli organi con poteri di direzione o di vigilanza o dei soggetti muniti di poteri di rappresentanza, di direzione o di controllo, del direttore tecnico o del socio unico persona fisica, ovvero del socio di maggioranza in caso di società con meno di quattro soci, se si tratta di altro tipo di società o consorzio. In ogni caso l'esclusione e il divieto operano anche nei confronti dei soggetti cessati dalla carica nell'anno antecedente la data di pubblicazione del bando di gara, qualora l'impresa non dimostri che vi sia stata completa ed effettiva dissociazione della condotta penalmente sanzionata; l'esclusione non va disposta e il divieto non si applica quando il reato è stato depenalizzato ovvero quando è intervenuta la riabilitazione ovvero quando il reato è stato dichiarato estinto dopo la condanna ovvero in caso di revoca della condanna medesima».

Non solleva alcun problema la definizione di socio, socio accomandatario, direttore tecnico (figura quest'ultima già delineata dall'art. 26 dell'abrogato dPR 25 gennaio 2000 n. 34 e attualmente disciplinata dall'art. 87 del d.P.R. 5 ottobre 2010, n. 207, in attesa dell'adozione del decreto ministeriale sulle modalità di qualificazione degli operatori economici).

Quanto ai membri del consiglio di amministrazione cui sia conferita la legale rappresentanza e degli organi con poteri di direzione o di vigilanza, come rilevato nel comunicato del Presidente dell'ANAC dell'8.11.2017, la loro individuazione varierà in funzione del sistema societario prescelto:

i) nel caso di sistema tradizionale (disciplinato dagli artt. 2380-bis e ss. c.c. e articolato su un “consiglio di amministrazione” e su un “collegio sindacale”) o monistico (nel quale è presente un consiglio di amministrazione e, al suo interno, un comitato per il controllo sulla gestione), la norma si riferirà, quanto agli organi di direzione e amministrazione, ai membri del consiglio di amministrazione ai quali sia stata conferita la legale rappresentanza (presidente, amministratore unico o delegato), quanto agli organi di vigilanza, al collegio sindacale (nel modello tradizionale) e al comitato per il controllo sulla gestione (con riguardo al sistema monistico);

ii) nell'ipotesi di adozione del sistema dualistico - disciplinato dagli artt. 2409-octies e ss. c.c. e articolato sul consiglio di gestione e sul consiglio di sorveglianza - ai membri dei predetti organi.

Se è, inoltre, pacifica la ricomprensione tra i membri dell'organo di amministrazione anche del vice-presidente del CdA, nonostante il carattere vicario delle sue funzioni e sempre che queste possano essere esercitate automaticamente in caso di impedimento del presidente senza bisogno dell'autorizzazione dell'organo (Cons. St., Sez. V, 14 febbraio 2018, n. 952), in applicazione dei medesimi principi potrebbe residuare qualche dubbio sulla rilevanza, a tali fini, del sindaco supplente, la quale dovrebbe tendenzialmente escludersi sul rilievo che, ai sensi dell'art. 2401 c.c., quest'ultimo subentra soltanto nel caso di morte, decadenza o rinunzia del sindaco effettivo e resta in carica sino alla nomina del nuovo sindaco.

La giurisprudenza pronunciatasi anche nella vigenza dell'art. 38 del d.lgs. 163/06 si è, inoltre, soffermata sull'interpretazione della locuzione “socio di maggioranza”.

Dopo qualche iniziale contrasto giurisprudenziale, sembrava essere stata definitivamente esclusa l'applicabilità della norma anche al socio di maggioranza persona giuridica, nonostante la mancanza di una precisazione analoga a quella riferita al socio unico (“persona fisica”), ritenendosi, per un verso, illogica la estensione degli obblighi alla persona giuridica solo nel caso di titolarità della maggioranza, e non della totalità, del capitale, per un altro, non determinante l'esercizio dell'influenza sulla società mediato dallo schermo della persona giuridica (Cons. St., Sez. VI, 1 aprile 2016, n. 1292; CGARS, 17 giugno 2016, n. 179; TAR Salerno, 19 aprile 2016, n. 1029; TAR Friuli Venezia Giulia, 13 luglio 2016, n. 345; TAR Palermo, 5 novembre 2015, n. 2849; TAR Veneto, 16 settembre 2014, n. 1216; TAR Bari, 28 novembre 2013, n. 1598; TAR Lazio, Roma, Sez. III, 18 dicembre 2013, n. 10927; implicitamente, Cons. St., Sez. V, 8 aprile 2014, n.1648).

La predetta soluzione è stata, tuttavia, successivamente, contraddetta dai più recenti orientamenti (Cons. St., Sez. V, 30 giugno 2017, n. 3178, 22 settembre 2017, n. 4442 e 23 giugno 2016, n. 2813; TAR Lazio, Roma, Sez. I-quater, 20 marzo 2017, n. 3677; TAR Catania, 22 maggio 2017, n. 1118; TAR Napoli, 18 luglio 2016, n. 3566; ancora contrari, però, TAR Napoli, 13 febbraio 2017, n. 888, TAR Piemonte, 29 gennaio 2018, n. 124, TAR Bologna, 14 giugno 2017, n. 447), i quali hanno attribuito prevalenza alla formulazione letterale della norma e all'esigenza di ridurre i tentativi di elusione della disciplina di ordine pubblico. Da segnalarsi come tale ultima interpretazione non sia del tutto coerente con il riferimento al “socio di maggioranza”, necessariamente persona fisica, contenuto nell'art. 85 del d.lgs n. 159/2011 (cfr. Cons. St., Sez. III, 2 maggio 2016, n. 1661).

L'omessa estensione, da parte della nuova norma, della specificazione “persona fisica” anche al socio di maggioranza lascerebbe intendere la volontà del Codice del 2016 di non porre limiti legati alla natura giuridica di quest'ultimo.

Sotto diverso profilo, l'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (6 novembre 2013, n. 24), risolvendo un altro contrasto giurisprudenziale, ha affermato l'applicabilità della norma al socio titolare di più del 50% del capitale sociale, ai due soci titolari ciascuno del 50% del capitale, e infine, quando i soci siano tre, all'eventuale titolare del 50%, escludendo quindi l'onere in capoal socio titolare della maggioranza relativa (conf. Cons. St., Sez. V, 21 luglio 2015, n. 3621; TAR Napoli, 27 luglio 2015, n. 3942; TAR Lecce, 29 luglio 2014, n. 2029; TAR Salerno, 7 marzo 2014, n. 543).

Apparentemente più complessa è l'individuazione dei soggetti titolari dei poteri di amministrazione, direzione e vigilanza, seppure non rivestenti la qualità di membro degli organi istituzionalmente previsti.

Nulla quaestio in relazione agli institori preposti dall'imprenditore all'esercizio dell'impresa, ai sensi dell'art. 2203 c.c..

La locuzione “procuratore generale”, anch'essa aggiunta dal decreto correttivo, è stata invece identificata dal comunicato ANAC dell'8.11.2017 con “il procuratore [che], in base ad un rapporto continuativo, ha il potere di compiere per l'imprenditore gli atti pertinenti all'esercizio dell'impresa, pur non essendo preposto ad esso (art. 2209 c.c.)”. In termini generali può concordarsi con tale definizione ma non con la distinzione, operata in maniera piuttosto netta nel comunicato ANAC, tra la categoria dei procuratori generali, da un lato, erroneamente collocata dalla norma tra i membri del consiglio di amministrazione, e, dall'altro, gli eventuali ulteriori soggetti con poteri di rappresentanza, ricondotti ai “procuratori dotati di poteri così ampi e riferiti ad una pluralità di oggetti così che, per sommatoria, possano configurarsi omologhi se non di spessore superiore a quelli che lo statuto assegna agli amministratori”, e di direzione, tra i quali rientrerebbero “i dipendenti o i professionisti ai quali siano stati conferiti significativi poteri di direzione e gestione dell'impresa”.

Ad avviso di chi scrive, infatti, già la precisazione circa il necessario carattere “generale” dei poteri è volto ad identificare quei procuratori i quali in ragione dell'ampiezza delle facoltà loro attribuite possano considerarsi amministratori di fatto, equiparabili all'amministratore optimo iure,come già individuati nel quadro normativo previgente dall'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato con la sentenza 16 ottobre 2013, n. 23, vale a dire i soggetti che “muniti di poteri decisionali di particolare ampiezza e riferiti ad una pluralità di oggetti così che, per sommatoria, possano configurarsi omologhi, se non di spessore superiore, a quelli che lo statuto assegna agli amministratori”, anche se riguardanti solo “una serie determinata di atti”.

Il successivo inciso relativo ai soggetti titolari di poteri di rappresentanza e direzione è norma di chiusura, la quale non ha tendenzialmente la funzione di individuare ulteriori soggetti, ma solo di rafforzare il precedente richiamo al “procuratore generale” e all'institore, come del resto implicitamente concorda l'ANAC riferendosi ai “dipendenti e professionisti”cui siano stati conferiti significativi poteri di gestione dell'impresa, anch'essi pacificamente identificabili con gli amministratori di fatto. Tale interpretazione è stata condivisa dalla giurisprudenza pronunciatasi sul punto dopo l'entrata in vigore del decreto correttivo (TAR Lazio, Roma, 4 agosto 2017, n. 9195).

Problemi interpretativi sorgono, quindi, con riguardo all'esatta identificazione di tali figure diverse dall'institore. L'indagine postula certamente l'esame dei poteri attribuiti dallo statuto all'amministratore, i quali potrebbero anche risultare piuttosto circoscritti, e deve tenere conto di una serie di indici, come gli eventuali limiti di importo in relazione alle dimensioni operative della società (Cons. St., Sez. III, 17 novembre 2015, n. 5240), il carattere settoriale delle facoltà conferite se messe in relazione all'oggetto sociale (TAR Puglia, Lecce, 8 aprile 2015, n. 1119; TAR Lombardia, Milano, 5 febbraio 2014, n. 380), o, ancora, la possibilità per il procuratore di stipulare contratti pubblici o gestirli senza limitazioni di spesa e assoggettamento a direttive altrui (Cons. St., Sez. V, 27 maggio 2014, n. 2715 Cons. St., Sez. V, 28 luglio 2014, n. 3998; conf., in tema di interdittiva antimafia, TAR Lazio, Roma, Sez. I, 9 aprile 2015, n. 5202); si deve, poi, trattare di compiti “di indirizzo e gestione” della azienda e non di sola rappresentanza esterna ovvero di natura meramente esecutiva delle deliberazioni degli organi amministrativi (TAR Abruzzo, Pescara, 20 marzo 2015, n. 128), sulla scorta di quanto previsto anche dalla giurisprudenza civilistica e tributaria in tema di amministratore di fatto (Cass. civ., sez. trib., 5 febbraio 2014, n. 2586).

In relazione invece agli altri soggetti titolari di poteri di vigilanza, diversi dai membri del collegio sindacale, il comunicato ANAC dell'8.11.2017 individua, ad avviso di chi scrive correttamente, il revisore contabile e l'organismo di vigilanza di cui all'art. 6 del d.lgs n. 231/2001, escludendo invece le società di revisione, “trattandosi di soggetto giuridico distinto dall'operatore economico concorrente cui vanno riferite le cause di esclusione”.

Come si anticipava, poi, l'art. 80, comma 3, d.lgs 50/2016 - confermando il previgente art. 38, comma 1, lett. c), del d.lgs 163/06 - impone di verificare l'insussistenza di condanne definitive anche a carico dei soggetti cessati dalle cariche ivi menzionate nell'anno antecedente alla pubblicazione del bando, senza alcuna limitazione legata al tempo della irrogazione della condanna e/o della condotta penalmente rilevante (vale a dire senza escludere, almeno espressamente, le condanne inflitte dopo la cessazione della carica o antecedentemente alla sua assunzione).

Un primo, preliminare, aspetto attiene alla compatibilità della norma nazionale con l'art. 57della nuova direttiva appalti 2014/24/UE, il quale prevede che “l'obbligo di escludere un operatore economico si applica anche nel caso in cui la persona condannata definitivamente è un membro del consiglio di amministrazione, di direzione o di vigilanza di tale operatore economico o è una persona ivi avente poteri di rappresentanza, di decisione o di controllo” (par. 1, ultimo capoverso), consentendo all'operatore economico di dimostrare di avere risarcito o essersi impegnato a risarcire qualunque danno causato dal reato o dall'illecito, di aver chiarito i fatti e le circostanze in modo globale collaborando attivamente con le autorità investigative e di aver adottato provvedimenti concreti di carattere tecnico, organizzativo e relativi al personale idonei a prevenire ulteriori reati o illeciti (par. 6); è evidente, infatti, che l'impossibilità di venire a conoscenza di un reato commesso da un soggetto divenuto del tutto estraneo alla compagine sociale esclude in radice la possibilità di self cleaning nell'ipotesi in cui il reato non sia stato commesso quando la persona fisica rivestiva la carica societaria.

Tuttavia, la giurisprudenza nazionale pronunciatasi sulla legittimità comunitaria della previgente norma omologa, rispetto al pressoché identico (sotto tale profilo) art. 45 della direttiva2004/18/CE, ha escluso qualsiasi ipotesi di conflitto con la normativa europea valorizzando la facoltà per gli Stati membri di precisare le condizioni di applicazione del par. 2 dell'art. 45 e il riferimento generico della norma comunitaria all'“operatore economico” senza puntuale individuazione delle persone fisiche rilevanti (Cons. St., sez. IV, 20 gennaio 2015, n. 140).

Sul punto si è definitivamente pronunciata la Corte di Giustizia CE, la quale ha rilevato, con considerazioni estensibili alla nuova normativa nazionale e comunitaria, che l'art. 45 della direttiva 2004/18 “non osta a una normativa nazionale che consente all'amministrazione aggiudicatrice di tener conto, secondo le condizioni da essa stabilite, di una condanna penale a carico dell'amministratore di un'impresa offerente, anche se detta condanna non è ancora definitiva, per un reato che incide sulla moralità professionale di tale impresa, qualora il suddetto amministratore abbia cessato di esercitare le sue funzioni nell'anno precedente la pubblicazione del bando di gara d'appalto pubblico”, dal momento che anche nel caso in cui la condanna abbia colpito l'amministratore cessato “detta causa di esclusione riguarda, con ogni evidenza, il comportamento illecito tenuto da un operatore economico anteriormente alla procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico” (sentenza 20 dicembre 2017 in C-178/16).

La dissociazione dell'operatore economico dalla condotta penalmente sanzionata, la quale impedisce l'operatività della causa di esclusione, deve precedere la data di indizione della procedura selettiva ed essere sostanziale, univoca e completa e non solo meramente formale (TAR Puglia, Lecce, 2 dicembre 2014, n. 3020; TARLombardia, Brescia, 9 giugno 2011, n. 888; TAR Campania, Napoli, 20 dicembre 2013, n. 5965), come accadrebbe se la misura dissociativa fosse solo annunciata ma non attuata (TRGA Bolzano, 27 agosto 2015, n. 270). A tal fine non può, quindi, considerarsi idonea la revoca dalla carica (o, peggio, le dimissioni) quando dalla documentazione in atti emerga la sua natura necessitata e meramente strumentale, volta ad evitare effetti negativi nei confronti della società, con particolare riguardo alla distanza temporale tra la condanna e la rimozione del soggetto (Cons. St., Sez. V, 9 novembre 2010, n. 7967; Cons. St., Sez. V, 26 ottobre 2006, n. 6402), essendo necessario il compimento di atti concreti e tangibili come la promozione di una azione di responsabilità (Cons. St., Sez. V, 7 giugno 2017, n. 2727), ovviamente, lo si ribadisce, prima dell'avvio della procedura selettiva (TAR Lazio, Roma, Sez. III, 4 febbraio 2016, n. 1687). E' invece indizio di una dissociazione non fittizia, oltre alla tempestiva revoca degli incarichi, il risarcimento del danno causato dal reato ad opera della medesima società (TAR Lazio, Roma, Sez. II-bis, 29 ottobre 2015, n. 12239).

Si rinvengono, tuttavia, in giurisprudenza pronunce più permissive le quali, considerata l'omessa tipizzazione legislativa delle condotte a tal fine idonee, capovolgono la suddetta prospettiva, ritenendo, ad esempio, sufficiente un verbale del CdA nel quale sia manifestata tempestivamente la dissociazione, anche se l'azione di responsabilità nei confronti dell'amministratore sia stata solo prospettata ma mai promossa, qualora sia acclarata l'inesistenza di rapporti di parentela tra il precedente amministratore rimosso e la non intestazione di quote sociali in capo all'amministratore rimosso (TAR Sardegna, 4 dicembre 2015, n. 1152; TAR Sicilia, Palermo, 18 novembre 2014, n. 2914).

È pacifico che l'idoneità delle misure dissociative poste in essere debba essere valutata dalla amministrazione aggiudicatrice (CGUE, 20 dicembre 2017 cit., richiamata da Cons. St., Sez. V, 2 febbraio 2018, n. 691).

L'art. 80, commi 7 e 8, del nuovo Codice prevede, poi, una fattispecie assimilabile alla dissociazione, stabilendo che - limitatamente alle ipotesi in cui la sentenza definitiva abbia imposto una pena detentiva non superiore a 18 mesi ovvero abbia riconosciuto l'attenuante della collaborazione come definita per le singole fattispecie di reato, o al comma 5 - l'operatore è ammesso a provare di aver risarcito o di essersi impegnato a risarcire qualunque danno causato dal reato o dall'illecito e di aver adottato provvedimenti concreti di carattere tecnico, organizzativo e relativi al personale idonei a prevenire ulteriori reati o illeciti.

Un ausilio alla individuazione delle condotte idonee ad esprimere una dissociazione effettiva potrebbe essere rinvenuto nelle Linee Guida ANAC n. 6 recanti “Indicazione dei mezzi di prova adeguati e delle carenze nell'esecuzione di un precedente contratto di appalto che possano considerarsi significative per la dimostrazione delle circostanza di esclusione di cui all'art. 80, comma 5, lett. c) del Codice”, approvate con delibera n. 1293 del 16 novembre 2016 e aggiornate, dopo l'entrata in vigore del decreto correttivo n. 56/2017, con la delibera n. 1008 dell'11 ottobre 2017. Queste ultime, al par. 7, elencano una serie di circostanze suscettibili di realizzare il c.d. self cleaning, sterilizzando la causa di esclusione (rinnovazione organi societari, adozione di modelli organizzativi volti a prevenire fatti come quello già verificatosi etc.).

Anche sulla questione relativa all'arco temporale rilevante al fine di individuare i soggetti cessati nell'ipotesi di procedure ristrette (o caratterizzate da più fasi) possono distinguersi due orientamenti giurisprudenziali: il primo, ad avviso di chi scrive, maggioritario, fondato sul dato letterale della disposizione di legge, secondo il quale sono irrilevanti le cessazioni dalle cariche (nonché, deve ritenersi, gli acquisiti di azienda alle prime equiparabili) intervenuti successivamente alla data di pubblicazione del bando (TAR Lazio, Roma, Sez. III-quater, 4 marzo 2014, n. 2522; TAR Lazio, Roma, Sez. III, 13 maggio 2014, n. 4954 confermata sul punto da Cons. St.,Sez. IV, 20 gennaio 2015, n. 140; TAR Lazio, Roma, Sez. III, 14 maggio 2015, n. 7107; Cons. St., Sez. V, 27 dicembre 2013, n. 6271; Cons. St., Sez. V, 22 giugno 2016, n. 2752; Cons. St., Sez. IV, 4 maggio 2015, n. 2231); un diverso indirizzo il quale impone la dimostrazione del possesso del requisito anche in capo ai cessati tra la data di pubblicazione del bando e quella di presentazione delle offerte (TAR Sicilia, Palermo, 18 novembre 2014, n. 2927).

Quanto al comma 5, lett. l), dell'art. 80 (riproduttivo della condizione ostativa già considerata dalla lett. m-ter dell'art. 38, comma 1, del previgente Codice), il quale riferisce genericamente all'“operatore economico”, sembrerebbero a maggior ragione potersi estendere i principi ricavabili dal § 3.1 delle Linee Guida ANAC n. 6 sul grave illecito professionale, nel senso di circoscrivere le condotte rilevanti a quelle poste in essere dai singoli soggetti operanti presso il concorrente individuati mediante il richiamo al comma 3 del medesimo articolo. Tale soluzione sembrerebbe essere stata, peraltro, accolta anche dalla giurisprudenza (cfr. Cons. St. n. 4442/2017 cit.).

I soggetti equiparati dalla giurisprudenza amministrativa

L'individuazione dei soggetti tenuti a dimostrare i requisiti di ordine generale di cui alle lettere b), c) e m-ter dell'art. 38, comma 1, del d.lgs 163/2016, ora abrogato, è stata oggetto di una elaborazione giurisprudenziale la quale ha portato alla estensione dei relativi oneri ad alcune ulteriori categorie di soggetti, equiparate a quelle espressamente menzionate.

L'art. 80 del d.lgs 50/2016 ha recepito i risultati della predetta elaborazione, come si è detto, solo con riguardo alla assimilazione tra amministrazioni con poteri di rappresentanza e procuratori dotati di poteri particolarmente ampi, sicché le ulteriori figure individuate dalla anzidetta giurisprudenza possono ritenersi tutt'oggi rilevanti ai fini dell'applicazione della norma.

Meritano, allora, innanzitutto di essere segnalate le sentenze dell'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 10 del 4 maggio 2012 e n. 21 del 7 giugno 2012, le quali hanno ricompreso fra i soggetti cessati quelli operanti presso società cedenti o concedenti in affitto al concorrente la propria azienda o rami della medesima azienda, ovvero fuse per incorporazione o per scissione nella società partecipante alla gara pubblica, sul presupposto che tali operazioni societarie possano celare il tentativo di eludere la disciplina sui requisiti di ordine generale.

L'intento del Consiglio di Stato, espresso soprattutto nella prima delle suddette decisioni, era di estendere la dimostrazione dei requisiti in tutti quei casi in cui, in ragione delle concrete caratteristiche della cessione aziendale, fosse risultato evidente il tentativo di frodare la normativa sull'evidenza pubblica; nella decisione n. 10/2012, infatti, l'Adunanza Plenaria isola, infatti, chiaramente una serie di indizi dell'intento elusivo perseguito dal concorrente (l'azienda ceduta era stata incorporata in una società appositamente costituita e non in un organismo già esistente; detta società operava inizialmente come impresa individuale, anch'essa neocostituita; l'imprenditrice individuale aveva per la prima volta intrapreso una attività economica in età avanzata, senza alcuna preesistente professionalità e, oltretutto, era stato accertato un rapporto di affinità con l'amministratore della società cedente, essendo quindi evidente l'“interposizione fittizia” della cessionaria; l'amministratore della società cedente era sottoposto ad indagini penali e al rischio di interdittiva antimafia e l'operazione era, quindi, chiaramente finalizzata, come si afferma nella decisione, “… a rendere produttiva l'azienda ceduta anche ai fini della partecipazione agli appalti pubblici ed al loro affidamento, ponendola al riparo, in primo luogo, da eventuali interdittive antimafia e, in secondo luogo, dall'intervento di una condanna ostativa”).

Se ne dovrebbe trarre che non ogni cessione o affitto di azienda, nella prospettazione della Plenaria - così come, deve ritenersi, non ogni fusione o scissione - possono ritenersi idonei a giustificare l'estensione degli oneri dichiarativi rispetto a quelli direttamente ricavabili dalla legge.

Muovendo, infatti, da una lettura ragionevole della decisione n. 10/2012, si è rilevato, ad esempio, che “le certificazioni di cui all'art. 38 comma 1 lett. c) debbono essere pretese con riferimento agli amministratori e direttori tecnici di aziende cedute non solo perché la cessione d'azienda, o di ramo d'azienda, comportando il trasferimento di una universitas di beni, implica una continuità tra la precedente e la nuova gestione imprenditoriale, ma anche per la ragione che tale successione di titolarità aziendale potrebbe in concreto essere utilizzata quale mezzo per eludere gli obblighi e il divieto in esame. Appare quindi evidente che i fattori che l'Adunanza Plenaria ha ritenuto determinanti, al fine di ritenere applicabile la causa di esclusione …. anche agli amministratori e direttori tecnici di aziende cedute, sono costituiti dalla sussistenza di una continuità nella gestione dell'azienda ceduta in quanto indice di possibile intento elusivo, il quale costituisce il secondo elemento determinante”(TAR Piemonte, 28 maggio 2013, n. 658; TAR Puglia, Lecce, 29 luglio 2014, n. 2024); l'obbligo non sorge, quindi, nel caso di acquisto dell'azienda o del ramo di azienda per il tramite di una procedura di concordato preventivo per cessione di beni in quanto dal momento in cui una impresa viene ammessa alla procedura di concordato preventivo è assoggettata a continua vigilanza da parte del giudice delegato dal tribunale e dagli organi da esso nominati, ed è irrealistico pensare che ad un simile controllo si sottopongano volontariamente gli amministratori o direttori tecnici che mirino ad eludere le preclusioni derivanti dall'art. 38 comma 1 lett,. c) mediante la cessione totale o parziale dell'azienda” (TAR Piemonte n. 658/13 cit.; conf. Cons. St., Sez. V, 17 marzo 2014, n. 1327; TARLazio, Roma, Sez. II, 5 aprile 2017, n. 4243; contraria però TAR Lazio, Roma, Sez. III, 3 novembre 2014, n. 11002).

Indici della discontinuità aziendale e della assenza di intenti fraudolenti sono quindi costituiti, ad esempio, dal fatto che l'acquisto dell'azienda sia avvenuto nell'ambito di procedure para-concursuali (come il concordato preventivo, appunto) o che le due imprese operano in aree geografiche del tutto differenti (Lombardia e Sicilia), e che nessuna prova di quella impeditiva "sostanziale continuità" nella gestione è stata offerta da alcuno” (TAR Catania, 8 novembre 2013, n. 2696), o, ancora, quando l'“ulteriore attività, espletata per mezzo dell'azienda oggetto di affitto, è però del tutto estranea a quella oggetto della gara di che trattasi” (TAR L'Aquila, 11 settembre 2013, n. 458).

Non è quindi richiesta alcuna dichiarazione ex art. 38 relativa agli amministratori e direttori tecnici della cedente quando la cessione del ramo di azienda è finalizzata al “rimborso della quota di partecipazione al capitale della società [facente parte di una cooperativa] in conseguenza del recesso operato dalla cooperativa …” (TAR Toscana, 23 ottobre 2013, n. 1451).

Più in generale, pertanto, non è possibile estromettere il concorrente che non abbia allegato le dichiarazioni riferite ai soggetti appartenenti all'azienda acquisita se “ … non v'è prova … che la cessione di ramo d'azienda celi intenti elusivi dei divieti posti dall'art. 38 del d.lgs. n. 163 del 2006, atteso che la cedente ha cessato la propria attività dopo alterne vicende, tra cui l'incorporazione in Equitalia s.p.a. e, quindi, appare verosimile ritenere che la cessione di ramo di azienda rientri in una normale operazione preordinata alla estinzione di un soggetto economico” (Cons. St., Sez. V, 29 novembre 2012, n. 6061).

In altri termini, l'estensione dell'obbligo dichiarativo non è prescritta se l'operazione societaria risponde ad una plausibile logica aziendale (ad esempio, perché volta a compensare un certo debito, oppure a realizzare la ristrutturazione di una azienda in difficoltà) e in tutti quei casi in cui le modalità con le quali essa è realizzata sono incompatibili con l'intento di aggirare i divieti di partecipazione stabiliti dal codice dei contratti pubblici (perché l'attività associata al ramo di azienda è completamente differente rispetto a quella svolta dal concorrente e comunque oggetto della procedura selettiva, ovvero perché l'organo di amministrazione si sottopone volontariamente ad un penetrante controllo esterno sulle sue condizioni soggettive).

Recentissimamente si è osservato come l'operazione societaria non possa rilevare ai fini dichiarativi anche nei casi in cui “l'impresa aggiudicataria non ha inteso avvalersi del ramo d'azienda ceduto per l'esecuzione dello stipulando contratto” (Cons. St., Sez. V, 16 ottobre 2017, n. 4788).

Tuttavia, ancora oggi è dato registrare un indirizzo più rigoroso (per quanto minoritario) il quale sembrerebbe escludere qualsiasi indagine in merito alla continuità tra le due aziende (quella cedente e quella cessionaria), attribuendo rilievo al solo dato della esistenza di una operazione societaria (Cons. St., Sez. IV, n. 140/2015 cit.; Cons. St., Sez. IV, 21 dicembre 2015, n. 5803; Cons. St., Sez. IV, 1 settembre 2015, n. 4100).

Secondo un certo orientamento, inoltre, “L'esigenza di riferire le dichiarazioni anche agli amministratori dell'impresa dalla quale la concorrente ha ottenuto la disponibilità dell'azienda è ancora più evidente nel caso in cui si tratti di affitto e non di cessione dell'azienda, dal momento che l'influenza dell'impresa locatrice è destinata a restare intatta per tutto lo svolgimento del rapporto e ben potrebbe costituire un agevole mezzo per aggirare gli obblighi sanciti dal Codice degli appalti” (TAR Lazio, Roma, n. 11002/2014 cit.; TAR Campania, Napoli, 3 giugno 2013, n. 2868).

Alla figura del direttore tecnico è stata, infine, assimilata da una parte della giurisprudenza quella del responsabile tecnico dell'impresa, sempre che questi ricopra un ruolo considerato dalla normativa necessario per lo svolgimento di determinate attività (ad es., d.m. 406/1998 e s.m. nel campo della gestione dei rifiuti; dm n. 274/1997 e successive disposizioni, relativamente ai servizi di pulizia), in tal caso potendo ravvisarsi funzioni sostanzialmente omologhe (Cons. St., Sez. III, 6 febbraio 2015, n. 619; Cons. St, Sez. III, 11 febbraio 2013, n. 768; TAR Puglia, Lecce,7 settembre 2012, n. 1472; TARLombardia, Brescia, 11 giungo 2013, n. 565).

Non è, invece applicabile l'art. 38 del codice dei contratti pubblici “al responsabile tecnico che sia assegnato a specifico e settoriale ambito operativo … " (TAR Sicilia, Palermo, 6 agosto 2013, n. 1584; Cons. St., Sez. III, 6 giugno 2014, n. 2888; TAR Sicilia, Catania, 13 gennaio 2015, n. 49; TAR Campania, Napoli, 3 dicembre 2014, n. 6335; TAR Campania, Salerno, 20 dicembre 2013, n. 2517; TAR Campania, Napoli, 18 marzo 2011, n. 1498; Cons. St., Sez. III, 10 aprile 2014, n. 1744).

Per completezza si segnala un orientamento contrario il quale esclude in radice qualsivoglia onere in capo ai soggetti diversi dal direttore tecnico di cui dall'art. 87 del dPR n. 207/2010, a prescindere dalla previsione legislativa della funzione (Cons. St., Sez. V, 13 febbraio 2017, n. 601; TAR Lombardia, Milano, 13 gennaio 2014, n. 19; TAR Lazio, Roma,Sez. III, 15 aprile 2014, n. 4050).

Le cause di esenzione. Cenni

Si è già detto nei precedenti paragrafi della possibilità per l'operatore economico di evitare l'esclusione nel caso di condanne definitive dissociandosi in maniera univoca dalle condotte penalmente sanzionate.

Vi sono tuttavia due ulteriori espresse esclusioni di carattere soggettivo alle quali occorre in questa sede fare un cenno, rinviando tuttavia il lettore alla trattazione specifica delle singole cause ostative.

La prima è quella prevista dall'ultimo capoverso dell'art. 80, comma 3, d.lgs n. 50/2016 nel caso di depenalizzazione del reato, ovvero di riabilitazione o, ancora, quando il reato è stato dichiarato estinto dopo la condanna o quest'ultima è stata revocata.

A tal fine deve evidenziarsi come, a differenza dell'indirizzo giurisprudenziale originario il quale riteneva insufficiente la maturazione, anche prima della indizione della procedura selettiva, dei presupposti per la dichiarazione di estinzione del reato o di riabilitazione in assenza di un provvedimento espresso dell'autorità giudiziaria (TARFriuli Venezia Giulia, 27 settembre 2013, n. 450; Cons, St., Sez. III, 22 marzo 2011, n. 1750; TAR Lazio, Roma, sez. III, 25 febbraio 2015, n. 3309, secondo il quale l'estinzione virtuale del reato con il decorso del tempo e l'astensione del condannato dalla commissione di fatti analoghi poteva, tuttavia, rilevare nel giudizio di rilevanza del precedente penale), la più recente e autorevole giurisprudenza amministrativa (Cons. St., Sez. VI, 7 maggio 2018, n. 2704; conf. Cons St., Sez. V, 21 agosto 2017, n. 4048), sulla scorta del mutato orientamento di quella di legittimità (Cass. pen., Sez. III, 21 settembre 2016, n. 19954 e 12 aprile 2016, n. 30141), ritiene operativa la causa di esenzione previo accertamento da parte della stazione appaltante della sussistenza dei requisiti per l'estinzione del reato anche se non dichiarati formalmente dal giudice penale.

Come si anticipava, poi, l'art. 80, comma 11, del d.lgs n. 50/2016 ha testualmente riprodotto, ad eccezione della sostituzione del riferimento alla legge n. 575/1965 con il richiamo agli articoli 20 e 24 del TU antimafia, il comma 1-bis dell'art. 38 del Codice previgente, stabilendo che “Le cause di esclusione previste dal presente articolo non si applicano alle aziende o società sottoposte a sequestro o confisca ai sensi dell'articolo 12-sexies del decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 1992, n. 356 o degli articoli 20 e 24 del decreto legislativo 6 settembre 2011 n. 159, ed affidate ad un custode o amministratore giudiziario o finanziario, limitatamente a quelle riferite al periodo precedente al predetto affidamento”.

La prima disposizione prevede casi particolari di confisca in seguito all'applicazione di pena su richiesta per talune tipologie di reati. In queste ipotesi se non si escludesse la portata escludente delle cause ostative maturate prima della confisca e sequestro l'azienda, seppure affidata ad un custode o amministratore giudiziario, non sarebbe posta nelle condizioni di continuare ad eseguire le commesse già assegnate o di partecipare alle procedure già bandite, con ciò inficiandone la continuità gestionale.

Casistica

CASISTICA

Nozione di socio di maggioranza

Il riferimento di cui all'art. 38, lett. b) e c), del d.lgs. n. 163/06 dovrebbe riguardare solo il socio di maggioranza persona fisica, così come per il socio unico (Cons. St., Sez. VI, 1 aprile 2016, n. 1292; CGARS, 17 giugno 2016, n. 179; TAR Salerno, 19 aprile 2016, n. 1029; TAR Friuli Venezia Giulia, 13 luglio 2016, n. 345; TAR Palermo, 5 novembre 2015, n. 2849; TAR Veneto, 16 settembre 2014, n. 1216; TAR Bari, 28 novembre 2013, n. 1598; TAR Lazio, Roma, Sez. III, 18 dicembre 2013, n. 10927; implicitamente, Cons. St., Sez. V, 8 aprile 2014, n.1648).

La predetta soluzione è stata successivamente revocata in dubbio dai più recenti orientamenti (Cons. St., Sez. V, 30 giugno 2017, n. 3178, 22 settembre 2017, n. 4442 e 23 giugno 2016, n. 2813; TAR Lazio, Roma, Sez. I-quater, 20 marzo 2017, n. 3677; TAR Sicilia, Catania, 22 maggio 2017, n. 1118; TAR Campania, Napoli, 18 luglio 2016, n. 3566; ancora contrari, però, TAR Campania, Napoli, 13 febbraio 2017, n. 888, TAR Piemonte, 29 gennaio 2018, n. 124, TAR Emilia-Romagna, Bologna, 14 giugno 2017, n. 447).

Il requisito di moralità professionale deve essere accertato nei confronti del socio titolare di più del 50% del capitale sociale, dei due soci titolari ciascuno del 50% del capitale, e infine, quando i soci siano tre, dell'eventuale titolare del 50%, escludendo quindi l'onere in capoal socio titolare della maggioranza relativa (Cons. St., Ad. Plen, 6 novembre 2013, n. 24; Cons. St., Sez. V, 21 luglio 2015, n. 3621; TAR Campania, Napoli, 27 luglio 2015, n. 3942; TAR Puglia, Lecce, 29 luglio 2014, n. 2029; TAR Campania, Salerno, 7 marzo 2014, n. 543).

La dissociazione dell'operatore dalla condotta penalmente rilevante del soggetto cessato

La dissociazione dalla condotta penalmente rilevante del cessato che impedisce l'operatività della causa di esclusione deve precedere la data di indizione della procedura selettiva ed essere sostanziale, univoca e completa e non solo meramente formale (TAR Trieste, 15.3.2016, n. 87; TAR Lecce, 2.12.2014, n. 3020; TAR Brescia, 9 Giugno 2011, n. 888; TAR Napoli, 20 dicembre 2013, n. 5965), come accadrebbe se la misura dissociativa fosse solo annunciata ma non attuata (TRGA Bolzano, 27 agosto 2015, n. 270).

Non può, quindi, considerarsi idonea la revoca dalla carica quando dalla documentazione in atti emerga la sua natura necessitata e meramente strumentale, volta ad evitare effetti negativi nei confronti della società, con particolare riguardo alla distanza temporale tra la condanna e la rimozione del soggetto (Cons. St., sez. V, 9 novembre 2010, n. 7967; Cons. St., Sez. V, 26 ottobre 2006, n. 6402); per tali ragioni, non è sufficiente a dimostrare la dissociazione effettiva dell'operatore la promozione dell'azione di responsabilità nei confronti dell'amministratore solo dopo l'avvio della procedura selettiva, non essendo ammessa una sanatoria ex post (TAR Lazio, Roma, Sez. III, 4 febbraio 2016, n. 1687).

È invece indizio di una dissociazione non fittizia, oltre alla tempestiva revoca degli incarichi, il risarcimento del danno causato dal reato ad opera della medesima società (TAR Lazio, Roma, Sez. II-bis, 29 ottobre 2015, n. 12239).

Un orientamento meno rigoroso ha, tuttavia, escluso, al ricorrere di determinate circostanze, la necessità del licenziamento del soggetto resosi colpevole del reato (Cons. St., Sez. V, 15 marzo 2016, n. 1024).

I soggetti operanti presso aziende cedute al o incorporate nel concorrente

Ai soggetti cessati dalla carica sono equiparati quelli operanti presso società cedenti o concedenti in affitto al concorrente la propria azienda o rami della medesima azienda, ovvero fuse per incorporazione o per scissione nella società partecipante alla gara pubblica, nel medesimo arco temporale, sul presupposto che tali operazioni societarie possano celare il tentativo di eludere la disciplina sui requisiti di ordine generale (Cons. St. Ad. plen., 4 maggio 2012 n. 10 e 7 giugno 2012, n. 21; Cons. St., Sez. V, 3 febbraio 2016, n. 412)

I fattori che l'Adunanza Plenaria ha ritenuto determinanti, al fine di ritenere applicabile la causa di esclusione anche agli amministratori e direttori tecnici di aziende cedute, sono costituiti dalla sussistenza di una continuità nella gestione dell'azienda ceduta in quanto indice di possibile intento elusivo, il quale costituisce il secondo elemento determinante(TAR Piemonte, 28 maggio 2013, n. 658; TAR Puglia, Lecce, 29 luglio 2014, n. 2024; Cons. St., Sez. V, 29 novembre 2012, n. 6061).

L'obbligo non sorge, quindi, nel caso di acquisto dell'azienda o del ramo di azienda per il tramite di una procedura di concordato preventivo per cessione di beni in quanto dal momento in cui una impresa viene ammessa alla procedura di concordato preventivo è assoggettata a continua vigilanza da parte del giudice delegato dal tribunale e dagli organi da esso nominati (TARLazio, Roma, Sez. II, 5 aprile 2017, n. 4243; TAR Piemonte n. 658/13 cit.; conf. Cons. St., Sez. V, 17 marzo 2014, n. 1327; contraria però TAR Lazio, Roma, sez. III, 3 novembre 2014, n. 11002).

Indici della discontinuità aziendale e della assenza di intenti fraudolenti sono costituiti dal fatto che l'acquisto dell'azienda sia avvenuto nell'ambito di procedure para-concorsuali (come il concordato preventivo, appunto) o che le due imprese operano in aree geografiche del tutto differenti (TAR Catania, 8 novembre 2013, n. 2696), o, ancora, quando l'ulteriore attività, espletata per mezzo dell'azienda oggetto di affitto, è però del tutto estranea a quella oggetto della gara di che trattasi (TAR Abruzzo, L'Aquila, 11 settembre 2013, n. 458).

Si segnala, altresì, un indirizzo più rigoroso il quale sembrerebbe escludere qualsiasi indagine in merito alla continuità tra le due aziende (quella cedente e quella cessionaria), attribuendo rilievo al solo dato della esistenza di una operazione societaria (Cons. St., Sez. IV, n. 140/2015 cit.; Cons. St., Sez. IV, 21 dicembre 2015, n. 5803; Cons. St., Sez. IV, 1 settembre 2015, n. 4100).

I procuratori generali e i soggetti con potere di rappresentanza e direzione

I requisiti di moralità devono essere accertati anche in capo ai procuratori muniti di poteri decisionali di particolare ampiezza e riferiti ad una pluralità di oggetti così che, per sommatoria, possano configurarsi omologhi, se non di spessore superiore, a quelli che lo statuto assegna agli amministratori, anche se riguardanti solo una serie determinata di atti (Cons. St., Ad. plen., 16 ottobre 2013, n. 23).

La loro esatta individuazione postula l'esame dei poteri attribuiti da statuto all'amministratore e deve tenere conto di una serie di indici, come gli eventuali limiti di importo in relazione alle dimensioni operative della società (Cons. St., Sez. III, 17 novembre 2015, n. 5240), il carattere settoriale delle facoltà conferite se messe in relazione all'oggetto sociale (TAR Piemonte, 28 giugno 2016, n. 929; TAR Lecce, 8 aprile 2015, n. 1119; TAR Lombardia, Milano, 5 febbraio 2014, n. 380), la possibilità per il procuratore di stipulare contratti pubblici o gestirli senza limitazioni di spesa e assoggettamento a direttive altrui (Cons. St., Sez. V, 27 maggio 2014, n. 2715; Cons. St., Sez. V, 28 luglio 2014, n. 3998; conf., in tema di interdittiva antimafia, TAR Lazio, Roma, Sez. I, 9 aprile 2015, n. 5202) o, ancora, l'obbligatorio esercizio congiunto del potere rappresentativo (Cons. St., sez. III, 17.11.2015, n. 5240).

Si deve, inoltre, trattare di compiti “di indirizzo e gestione” della azienda e non di sola rappresentanza esterna ovvero di natura meramente esecutiva delle deliberazioni degli organi amministrativi (TAR Abruzzo, Pescara, 20 marzo 2015, n. 128), sulla scorta di quanto previsto anche dalla giurisprudenza civilistica e tributaria in tema di amministratore di fatto (Cass. civ., sez. trib., 5 febbraio 2014, n. 2586).

Il responsabile tecnico

Alla figura del direttore tecnico, di matrice lavoristica, è assimilata quella del responsabile tecnico dell'impresa, sempre che questi ricopra un ruolo considerato dalla normativa, primaria e secondaria, necessario per lo svolgimento di determinate attività (Cons. St., Sez. III, 6 febbraio 2015, n. 619; Cons. St, sez. III, 11 febbraio 2013, n. 768; TAR Campania, Salerno, 21 giugno 2016, n. 1709; TAR Lecce,7 settembre 2012, n. 1472; TARLombardia, Brescia, 11 giungo 2013, n. 565).

Non è, invece applicabile l'art. 38 del Codice dei contratti pubblici del 2006 al responsabile tecnico che sia assegnato a specifico e settoriale ambito operativo (TAR Sicilia, Catania, 20 luglio 2016, n. 2040; TAR Sicilia, Palermo, 6 agosto 2013, n. 1584; Cons. St., Sez. III, 6 giugno 2014, n. 2888; TAR Sicilia Catania, 13 gennaio 2015, n. 49; TAR Campania, Napoli, 3 dicembre 2014, n. 6335; TAR Campania,Salerno, 20 dicembre 2013, n. 2517; TAR Campania,Napoli, 18 marzo 2011, n. 1498; Cons. St., Sez. III, 10 aprile 2014, n. 1744).

Per completezza si segnala un orientamento opposto il quale esclude in radice qualsivoglia onere in capo ai soggetti diversi dal direttore tecnico di cui dall'art. 87 del dPR n. 207/2010, a prescindere dalla previsione legislativa della funzione (Cons. St., Sez. V, 13 febbraio 2017, n. 601; TAR Lombardia, Milano, 13 gennaio 2014, n. 19; TAR Lazio, Roma, Sez. III, 15 aprile 2014, n. 4050).

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