Varianti in corso di esecuzione e adeguamento prezzi

Simonetta Rottin
Tommaso Cacciavillani
30 Maggio 2017

A partire dalla prima legge quadro sui lavori pubblici del 1994, la cd. ‘Merloni' (l. 11 febbraio 1994, n. 109), il tema delle varianti in corso di esecuzione dei contratti d'appalto è sempre stato oggetto di particolare cura da parte del legislatore, il quale ha ritenuto di consentirle soltanto al verificarsi di precise condizioni, attualmente disciplinate dall'art. 106 d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50 (Codice del 2016), modificato dal recente d.lgs. 19 aprile 2017 n. 56 (Correttivo del 2017).
Inquadramento

Contenuto in fase di aggiornamento autorale di prossima pubblicazione

A partire dalla prima legge quadro sui lavori pubblici del 1994, la cd. ‘Merloni' (l. 11 febbraio 1994, n. 109), il tema delle varianti in corso di esecuzione dei contratti d'appalto è sempre stato oggetto di particolare cura da parte del legislatore, il quale ha ritenuto di consentirle soltanto al verificarsi di precise condizioni, attualmente disciplinate dall'art. 106 d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50 (Codice del 2016), modificato dal recente d.lgs. 19 aprile 2017 n. 56 (Correttivo del 2017).

Per gli appalti che, a norma dell'art. 216 dello stesso decreto, ancora rientrano nel campo d'applicazione della vecchia disciplina, il riferimento normativo resta l'art. 132 d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163 (Codice del 2006).

Con la modifica introdotta dal Correttivo del 2017 all'art. 217, comma qq), d.lgs. n. 163 del 2006, viene abrogato l'art. 37, l. 11 agosto 2014, n. 114 (conversione del d.l. 24 giugno 2014, n. 90) che aveva ad oggetto l'obbligo, per gli appalti d'importo non inferiore alla soglia comunitaria, di trasmissione all'ANAC di tutte le varianti (escluse quelle per variazione normativa e per errore progettuale) d'importo eccedente il 10% del contratto originario, unitamente al progetto esecutivo, all'atto di validazione dello stesso e ad un'apposita relazione del Responsabile del Procedimento (RP).

Nella nuova disciplina, pertanto, gli obblighi di comunicazione all'ANAC delle variazioni introdotte nei contratti in corso di esecuzione, sono soltanto quelli stabiliti dai commi 8 e 14 dell'art. 106 d.lgs. n. 163 del 2006, modificato dal recente d.lgs. 19 aprile 2017 n. 56.

Per quanto attiene le modalità di trasmissione della documentazione inerente le varianti, restano valide le indicazioni emante dall'ANAC attraverso una serie di documenti emessi sotto forma di Comunicati del Presidente dell'Autorità, contenenti sia istruzioni operative, sia spunti interpretativi del disposto normativo.

In adempimento dei propri compiti istituzionali, l'ANAC procede all'esame della documentazione trasmessa dalle stazioni appaltanti, segnalando le criticità riscontrate e ponendo in essere le conseguenti azioni di carattere correttivo o, eventualmente, sanzionatorio.

Alla luce dell'importanza dell'azione di controllo svolta dall'ANAC, è evidente che le indicazioni di carattere generale da questa fornite siano meritevoli di attenta e puntuale valutazione ed approfondimento, anche alla luce della sempre maggiore importanza attribuita a tale Autorità dal nuovo Codice.

Il recepimento, operato dal d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50, dell'art. 72, direttiva 2014/24/UE, ha introdotto significative modificazioni alla previgente disciplina delle varianti in corso d'opera; con la citata direttiva il legislatore europeo ha infatti per la prima volta disciplinato i casi in cui un contratto può essere modificato senza ricorrere ad una nuova procedura d'appalto, innovando così la precedente disciplina comunitaria, che non contemplava tale possibilità.

Requisiti di ammissibilità delle varianti nella disciplina stabilita dal Codice del 2006

A voler fare un veloce excursus storico, si scopre che gli odierni requisiti di ammissibilità delle varianti compaiono, per la prima volta, all'indomani del fenomeno “Tangentopoli”, ovvero con la prima emanazione della cd. Legge Merloni (l. 11 febbraio 1994, n. 109).

Fino al 1994 vigeva la definizione risalente ad oltre un secolo prima, quando il legislatore, all'art. 343, l. 20 marzo 1865, n. 2248, aveva previsto, nell'elegante eloquio dell'epoca, che «…verificandosi il bisogno d'introdurre in un progetto già in corso di eseguimento variazioni od aggiunte le quali non siano previste dal contratto e diano luogo ad alterazione dei prezzi di appalto, l'ingegnere direttore ne promuove l'approvazione dell'Autorità competente, presentando una perizia suppletiva che servirà di base ad una distinta sottomissione o ad un'appendice al contratto principale».

In altri termini, a fine ‘800 tutto veniva demandato al cd. “ingegnere direttore”, che di norma era un funzionario della pubblica amministrazione, generalmente inquadrato all'interno di un Genio Civile che, di fatto, costituiva l'unica e sola autorità competente in materia di opere pubbliche; in quanto tale, quindi, l'ingegnere direttore era il vero e proprio dominus dell'opera, al quale era attribuita la massima discrezionalità operativa.

Dopo oltre un secolo, venne ravvisata la necessità di limitare la discrezionalità della pubblica amministrazione; con gli sviluppi normativi verificatisi successivamente al 1994, fu stabilito che, al fine di tutelare l'interesse pubblico a che l'opera venga realizzata nei modi ed al costo stabiliti nel contratto iniziale, la variante in corso d'opera fosse ammessa soltanto nei casi tassativamente definiti all'art. 132 del Codice del 2006, che definiva lo ius variandi della stazione appaltante, il quale poteva estrinsecarsi soltanto nei casi di cui ai commi da a) ad e), il cui contenuto viene qui di seguito riepilogato:

a) a seguito di sopravvenute disposizioni legislative e regolamentari intervenute successivamente alla stipula del contratto; si trattava della fattispecie del cd. “change in law”, che di fatto costituiva una causa di forza maggiore non imputabile ad alcuna delle parti;

b) per cause impreviste ed imprevedibili accertate nei modi stabiliti dal Regolamento, generalmente riconducibili ad eventi naturali o umani che costituiscono causa di forza maggiore. Alla stessa stregua, e nel medesimo comma, veniva prevista l'intervenuta possibilità di utilizzare componenti o tecnologie non disponibili al momento della progettazione, con l'evidente finalità di consentire alla stazione appaltante di beneficare dell'innovazione tecnologica successiva alla progettazione, a condizione che non vi fossero aumenti di costo, che i miglioramenti fossero ‘significativi' (ovvero oggettivamente quantificabili) e che non venisse stravolta l'originaria impostazione progettuale;

c) per la presenza di eventi inerenti la natura e la specificità dei beni sui quali s'interviene verificatisi in corso d'opera, o per rinvenimenti imprevisti o non prevedibili in fase progettuale; in tale fattispecie rientravano gli eventi diversi sia dalle cause naturali disciplinate dal comma b), sia dalla cd. “sorpresa geologica” disciplinata dal successivo comma d); a titolo di esempio, sotto tale ipotesi poteva ricadere il crollo di un muro o un improvviso allagamento per rottura di una tubazione verificatisi in fase di esecuzione dei lavori; andavano ricompresi in tale fattispecie anche i rinvenimenti di reperti archeologici o di natura storico-artistica, tutt'altro che inconsueti, ad esempio nelle operazioni di scavo;

d) nei casi previsti dall'art. 1664, comma 2, c.c., ovvero per cause riconducibili alla cd. “sorpresa geologica”, che si verifica laddove, durante la realizzazione dell'opera, si manifestano difficoltà di esecuzione derivanti da cause geologiche, idrauliche, o simili, non previste dalle parti, che rendano maggiormente onerosa, oltre l'alea contrattuale, la prestazione dell'appaltatore;

e) per il verificarsi di errori od omissioni del progetto in grado di pregiudicare, in tutto o in parte, la realizzazione dell'opera ovvero la sua utilizzazione; le ipotesi in cui ricorre l'errore progettuale sono specificate dal comma 6 del medesimo art. 132, e sono costituite dall'inadeguata valutazione dello stato di fatto, dalla mancata o erronea identificazione della normativa tecnica vincolante per la progettazione, dal mancato rispetto dei requisiti funzionali ed economici prestabiliti (risultanti da prova scritta),nonché dalla violazione delle norme di diligenza nella predisposizione degli elaborati progettuali. Nel caso in cui si fosse resa necessaria la variante per errore od omissione progettuale, il RP ne dà immediatamente comunicazione all'Osservatorio ed al progettista. Qualora la variante in questione avesse ecceduto il quinto (ossia il 20%) dell'importo originario del contratto, la stazione appaltante avrebbe dovuto disporre la risoluzione del contratto, in base al comma 4 dell'art. 132, e procedere all'indizione di una nuova gara alla quale si sarebbe dovuto invitare anche l'aggiudicatario iniziale. Il comma 2 dell'art. 132 poneva a carico dei titolari di incarichi di progettazione la responsabilità per i danni subiti dalla stazione appaltante in conseguenza di errori o di omissioni della progettazione; laddove la progettazione fosse stata affidata all'impresa, come usualmente avveniva nel caso degli appalti integrati, sarà l'appaltatore avrebbe dovuto rispondere dei ritardi e dei maggiori oneri conseguenti alla necessità di introdurre varianti in corso d'opera per errore progettuale.

Nel Codice del 2006 il legislatore aveva ritenuto di escludere dal novero delle varianti, e quindi dalla relativa disciplina, i cd. interventi di dettaglio, definiti dal comma 3 del citato art. 132, costituiti da interventi disposti dal direttore lavori per risolvere aspetti tecnici di dettaglio, che siano contenuti entro una prestabilita incidenza percentuale (10% nel caso di lavori di recupero, ristrutturazione, manutenzione e restauro, 5% negli altri casi) delle categorie componenti l'appalto, e che non comportino aumento dell'importo del contratto.

Il secondo periodo del comma 3 del citato art. 132 del Codice del 2006 introduceva anche la fattispecie delle varianti nell'interesse esclusivo dell'amministrazione: si trattava di varianti, che possono essere sia in aumento che in diminuzione, finalizzate al miglioramento dell'opera e alla sua funzionalità, comunque soggette alle condizioni seguenti:

  • le modifiche introdotte non dovevano essere sostanziali;
  • tali varianti dovevano essere motivate da obiettive esigenze derivanti da circostanze sopravvenute e imprevedibili al momento della stipula del contratto.

Nel caso di variante in aumento, l'importo non poteva superare il 5% del contratto originario, e doveva trovare copertura all'interno del quadro economico complessivo dell'opera, al netto del 50% dei ribassi d'asta conseguiti.

Applicazione del concetto di “variante in corso d'opera” anche all'attività di progettazione

L'art. 59 del d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50 aveva espressamente escluso, al comma 1, la possibilità di ricorrere all'affidamento congiunto di progettazione e di esecuzione dei lavori, ad esclusione dei casi di affidamenti a contraente generale, di finanza di progetto, di affidamenti in concessione, di partenariato pubblico privato e di contratto di disponibilità.

Con il d.lgs. 19 aprile 2017 n. 56 (Correttivo del 2017), tale divieto viene attenuato dall'introduzione del nuovo comma 1-bis, il quale stabilisce che le stazioni appaltanti possano tornare a far ricorso al c.d. “appalto integrato”, ovvero all'affidamento congiunto della progettazione esecutiva e dell'esecuzione dei lavori sulla base del progetto definitivo predisposto dall'amministrazione aggiudicatrice, nei casi in cui «…l'elemento tecnologico o innovativo delle opere oggetto dell'appalto sia nettamente prevalente rispetto all'importo complessivo dei lavori»; il successivo comma 1-ter, anch'esso di nuova introduzione, precisa che la determina a contrarre dovrà dare conto, in modo puntuale, della rilevanza dei contenuti tecnologici che consentono il ricorso all'appalto integrato.

Per effetto della re-introduzione nel quadro normativo dell'appalto integrato, espunto dalla versione del 2016 del Codice, è inevitabile che torni a porsi una questione che l'ANAC aveva sollevato in merito all'attività di progettazione svolta dal soggetto esecutore dell'opera nell'ambito di un appalto integrato.

Come già cennato, anche prima dell'entrata in vigore del Codice del 2016 esisteva, in capo alle stazioni appaltanti, l'obbligo di trasmettere all'ANAC la documentazione inerente le varianti introdotte in corso d'opera, stabilito dall'art. 37 della l. 11 agosto 2014, n. 114, oggi abrogato; con il Comunicato del 17 marzo 2015, il Presidente ANAC aveva stabilito che il campo di applicazione della citata disposizione dovesse essere esteso anche alle varianti antecedenti alla consegna dei lavori, introdotte in fase di redazione dei progetti redatti nell'ambito degli appalti integrati.

La motivazione a base di tale previsione era che, nel caso di appalto integrato, l'attività di progettazione è parte integrante del contratto, e pertanto le varianti progettuali introdotte sugli elaborati tecnici posti a base di gara devono essere soggette alle stesse condizioni di ammissibilità imposte alle variazioni in corso di esecuzione dei lavori di cantiere; in altri termini, secondo l'ANAC la definizione “in corso d'opera” equivale, ad ogni effetto, a “in corso di esecuzione del contratto”, e pertanto le limitazioni allo ius variandi della stazione appaltante valgono anche per l'attività di sola progettazione, laddove questa sia ricompresa nell'oggetto contrattuale dell'appaltatore, ancorché l'esecuzione dell'opera sia ancora da iniziare.

La ratio della previsione, con ogni evidenza, era quella di evitare che, attraverso l'attività di progettazione, potessero essere introdotte variazioni alle previsioni originarie tali da far lievitare in modo significativo i costi di realizzazione delle opere pubbliche.

Sul piano pratico, tuttavia, era inevitabile che l'applicazione di tale disposizione presentasse notevoli difficoltà, soprattutto laddove l'appalto integrato fosse stato affidato sulla base del progetto preliminare dell'opera, ai sensi della lettera c) del comma 2 dell'art. 53 del d.lgs. 12 aprile 2006 n. 163 (Codice del 2006), posto che la progettazione preliminare (oggi sostituita dal progetto di fattibilità tecnica ed economica definito dall'art. 23 del d.lgs. 18 aprile 2016 n. 50) si limita a definire le caratteristiche qualitative e funzionali dei lavori, il quadro delle esigenze da soddisfare e, più in generale, le caratteristiche di massima dell'opera, senza entrare nelle definizioni tecnico-economiche di dettaglio che sono oggetto dei successivi livelli di progettazione.

Pur essendo possibile, in base al nuovo comma 1-bis dell'art. 59 del Codice del 206, ricorrere all'affidamento della progettazione esecutiva e dell'esecuzione dei lavori sulla base del progetto definitivo predisposto dall'amministrazione aggiudicatrice, appare comunque poco percorribile l'ipotesi di assoggettare le variazioni progettuali ai rigorosi requisiti di ammissibilità stabiliti dall'art. 106 del Codice, giacché le previsioni formulate in sede di redazione della progettazione definitiva predisposta dalla stazione appaltante potrebbero non avere quelle caratteristiche di completezza e definitività che sono il presupposto della limitazione dello ius variandi imposta dal codice dei contratti.

Casistica: la concreta applicazione dei requisiti di ammissibilità delle varianti nella disciplina del Codice del 2006

Come si è visto, in base all'attuale quadro normativo descritto a partire dal Codice del 2006, l'introduzione di una variante in corso d'opera era soggetta a requisiti di ammissibilità tassativi, al di fuori dei quali non era possibile, per la stazione appaltante, apportare alcuna variazione ai contenuti tecnico-economici del contratto, salvo per taluni aspetti di assoluta marginalità.

In merito alla pratica applicazione di tale disposto normativo, un primo spunto di riflessione venne fornito dal comunicato emesso il 24 novembre 2014 dal Presidente ANAC, nel quale venivano esposti i dati desunti dall'analisi delle varianti trasmesse dalle stazioni appaltanti nel primo periodo di applicazione (dal giugno al novembre 2014) della legge 11 agosto 2014, n. 114, il cui art. 35 – si rammenta – è stato recentemente abrogato dall'art. 129 lett. l) del d.lgs. 19 aprile 2017, n. 56.

Pur trattandosi di un documento leggermente datato, ed a prescindere da qualsivoglia considerazione statistica sulla rappresentatività del campione analizzato, invero abbastanza limitato, l'analisi condotta dall'Autorità consente di esprimere talune considerazioni di carattere generale sul tema, peraltro più volte ribadite in occasione di successivi inteventi, anche recenti, dell'ANAC.

In prima istanza, si riscontra come il ricorso a varianti in corso d'opera continui ad essere molto frequente, caratterizzando larga parte degli appalti; si tratta, inoltre, di un fenomeno oltremodo frammentato, ove si rileva una grande quantità di varianti di piccolo importo, a riprova, semmai ve ne fosse bisogno, della generale polverizzazione del mercato dei lavori pubblici.

Per quanto attiene i requisiti di ammissibilità, poi, si rileva come la maggior parte delle varianti venga generalmente ricondotta a più fattispecie concorrenti in contemporanea, in massima parte riconducibili a cause impreviste ed imprevedibili al momento della redazione della progettazione.

A riguardo, l'ANAC non ha mancato di rilevare come, di frequente, non venga dimostrata, con il dovuto rigore, l'effettiva sussistenza dei requisiti prestabiliti, soprattutto di quello relativo all'imprevedibilità, e ciò malgrado l'accuratezza delle indagini e degli accertamenti posti dalla norma in capo al RP.

Sul punto, vanno registrati anche i continui richiami dell'ANAC all'imprescindibile necessità che le relazioni dei RP, imposte già dall'art. 37, comma 1, l. n. 114 del 2014, non vengano ridotte a meri adempimenti burocratici, giacché ciò comporta il venir meno del rigore dell'accertamento, soprattutto se tali relazioni riprendono acriticamente, come sovente riscontrato, le motivazioni espresse dal direttore lavori.

Al contrario, come sottolineato anche dall'ANAC, gli adempimenti posti in capo al RP (con espresso richiamo a quanto disposto dall'art. 161, comma 7 del Regolamento d.P.R. n. 207 del 2010) sono di alto profilo e presuppongono un'analisi qualitativamente elevata; a titolo d'esempio, nel caso di varianti per cause impreviste ed imprevedibili, il RUP è tenuto ad accertare la non imputabilità delle cause alla stazione appaltante, la non prevedibilità delle stesse al momento della redazione del progetto o della consegna dei lavori, ecc., come puntualmente precisato anche dal Regolamento al Codice del 2006 (d.P.R. 5 ottobre 2010 n. 207 che, ancorché abrogato in larga parte, costituisce tuttora un autorevole riferimento per la fattispecie qui trattata).

Ancora, nel caso di varianti per rinvenimenti imprevisti, di cui alla lett. c) del comma 1 del cit. art. 132 del Codice del 2006, il RP è ugualmente tenuto a descrivere e verificare la natura e le caratteristiche delle cause in relazione alla natura del bene, accertando altresì la prevedibilità del rinvenimento in fase di progettazione ed individuando a quale fase di progettazione sia attribuibile l'eventuale mancata previsione.

Inoltre, come evidenziato nel citato comunicato ANAC del 24 novembre 2014, sovente le motivazioni esposte a giustificazione di varianti sono poco credibili, se non palesemente infondate; è stata riscontrata una tendenza generalizzata delle stazioni appaltanti a «dissimulare l'errore di progettazione», riconducendolo ad altre tipologie di varianti, perlopiù per motivi di opportunità e di convenienza; per contro, viene riscontrato che moltissimi errori di progettazione avrebbero potuto essere evitati con l'adozione di criteri di ordinaria diligenza: basti pensare, ad esempio, alla carenza di rilievi ed indagini in fase progettuale, che fanno sì che il rinvenimento di un sottoservizio esistente avvenga in fase di scavo, e via dicendo.

D'altro canto, se si considera che il RP che ha verificato ed approvato la progettazione è quasi sempre lo stesso che è chiamato a valutare l'imputabilità di una variante ad un errore progettuale, ben si comprende la tendenza a dichiarare imprevisto ed imprevedibile anche un rinvenimento che, con ordinaria diligenza, avrebbe invece potuto essere previsto e quantificato prima dell'avvio dei lavori.

Analoghe censure vengono sviluppate dall'ANAC in relazione alle variazioni “falsamente migliorative” riscontrate di frequente, laddove viene fatto generico riferimento alle fattispecie previste all'art. 132, comma 1 lett. b) secondo periodo, ovvero comma 3, del Codice del 2006, ovvero ancora all'art. 162, comma 3, del Regolamento (d.P.R. n. 207 del 2010), senza tuttavia che venga adeguatamente dimostrata la sussistenza di tutti i requisiti di ammissibilità prescritti.

In buona sostanza, quindi, in larga parte dei propri contributi l'ANAC ribadisce con forza la centralità dell'istruttoria del RP sull'ammissibilità delle varianti, che deve essere condotta attraverso la rigorosa verifica della sussistenza di tutti i requisiti prescritti dalle norme di legge.

Valore economico delle varianti e adeguamento dell'importo contrattuale secondo la disciplina del Codice del 2006

Va doverosamente premesso che l'intera disciplina relativa alla determinazione del valore economico delle varianti, contenuta negli articoli dal 161 al 163 del d.p.r. 5 ottobre 2010 n. 207, è stata abrogata dall'art. 217 del d.lgs. 18 aprile 2016 n. 50; di conseguenza, la presente trattazione si riferisce agli appalti affidati sulla base di procedure già avviate alla data dell'entrata in vigore di tale decreto (art. 216), ai quali la disciplina del Codice 2016 non può essere applicata.

Per espressa previsione normativa, la stazione appaltante può richiedere l'esecuzione di lavori in variante fino ad un limite massimo del 20% dell'importo del contratto; si tratta del cd. “quinto d'obbligo”, che rappresenta il limite della soggezione dell'appaltatore, il quale è tenuto a realizzare, sino alla concorrenza di detto importo, tutti i lavori in variante, applicando gli stessi patti, prezzi e condizioni del contratto originario, senza alcun'altra utilità se non il corrispettivo per i lavori eseguiti; per inciso, tale previsione trova conferma anche nel comma 12 dell'art. 106 del nuovo Codice del 2016.

Secondo il Codice del 2006, in caso di superamento del limite del ‘quinto d'obbligo', il RP deve darne comunicazione all'appaltatore, il quale, nel termine di 10 giorni, deve dichiarare se intende proseguire i lavori, ed a quali condizioni; nei successivi 45 giorni dal ricevimento di detta dichiarazione, l'amministrazione deve comunicare all'appaltatore le proprie determinazioni.

Se l'appaltatore non dà risposta al RP, s'intende che sia stata accettata la prosecuzione dei lavori oltre il quinto agli stessi patti, prezzi e condizioni del contratto in essere; se invece l'amministrazione non comunica le proprie determinazioni nel termine prescritto, s'intende che siano state accolte le condizioni poste dall'appaltatore per la prosecuzione dei lavori.

Tutte le variazioni economiche vanno determinate sulla base dei prezzi di contratto, a meno che non vengano introdotte categorie di lavorazioni non previste o che comportino l'introduzione di eventuali nuovi prezzi, determinati con le modalità di cui all'art. 163 del Regolamento (abrogato), ovvero desumendoli dai prezziari della stazione appaltante definiti all'art. 25, comma 1, del Regolamento (non ancora interamente abrogato), oppure ragguagliandoli ai prezzi di lavorazioni consimili già presenti nel contratto, oppure ancora attraverso nuove e regolari analisi, redatte con le stesse modalità utilizzate per la formazione dei prezzi contrattuali.

In ogni caso, i nuovi prezzi formulati vanno ricondotti alla data di formulazione dell'offerta, con espresso riferimento ai costi elementari di manodopera, materiali, noli e trasporti, e devono essere formulati al lordo, così da essere assoggettati al ribasso d'asta (Regolamento, art. 163, commi 3 e 4, abrogati).

In altri termini, gli eventuali nuovi prezzi formulati in corso d'opera vanno ricondotti alle originarie pattuizioni contrattuali, così da formare parte integrante ed indistinguibile del contratto, tanto da essere ricompresi nei meccanismi di adeguamento del corrispettivo d'appalto previsti all'art. 133, commi 3 e 4 del Codice del 2006, che disciplinano, rispettivamente, l'applicazione del cd. prezzo chiuso e la compensazione dei costi dei materiali da costruzione.

Il riferito limite del “quinto d'obbligo” trova un'applicazione particolare nel caso in cui la variante si sia resa necessaria in conseguenza di errori od omissioni del progetto, secondo la fattispecie prevista alla lettera e) del comma 1 dell'art. 132 Codice del 2006; in tale caso, infatti, la stazione appaltante deve risolvere il contratto ed indire una nuova procedura, senza interpellare l'appaltatore in merito all'eventuale disponibilità a proseguire i lavori.

Alla nuova gara, disposta ai sensi del citato comma 4 dell'art. 132 Codice del 2006, verrà invitato l'appaltatore iniziale, al quale, ai sensi del comma 5 del medesimo articolo, spetterà, oltre al corrispettivo per i lavori eseguiti e per i materiali presenti in cantiere, anche un indennizzo pari al 10% dei lavori non eseguiti, con l'unica limitazione consistente nei «quattro quinti dell'importo del contratto».

Per quanto attiene la suddetta nuova gara, è evidente che dovrà sottostare alle nuove norme del codice del 2016.

La modifica dei contratti durante il periodo di efficacia nella disciplina stabilita dal novo Codice (ovvero, le varianti in corso di esecuzione)

Con l'art. 106 del d.lgs. 18 aprile 2016 n. 50, l'ordinamento italiano ha recepito l'art. 72 della direttiva 2014/24/UE, con il quale il legislatore europeo, innovando la precedente disciplina, ha introdotto la possibilità di apportare varianti ai contratti in corso di esecuzione, al ricorrere di specifiche condizioni, generalmente afferenti i concetti di imprevedibilità della variante in sede di affidamento originario e di non sostanzialità della variante introdotta, con ciò intendendo, ad esempio, che la variazione in corso d'opera non deve in alcun modo introdurre condizioni che, se previste dall'originario bando di gara, avrebbero consentito un allargamento della platea dei partecipanti.

In applicazione del disposto europeo, il citato art. 106 del Codice 2016 stabilisce le condizioni alle quali la stazione appaltante può evitare di indire una nuova procedura di affidamento, ricorrendo alla variazione del contratto in corso di esecuzione, la quale è possibile nei cinque casi previsti alle lettere dalla a) alla e) del comma 1, i cui contenuti sono qui di seguito riepilogati.

a) Per modifiche già previste nei documenti di gara attraverso “…clausole chiare, precise e inequivocabili che possono comprendere clausole di revisione dei prezzi”; si tratta, con ogni evidenza, dell'ampliamento del concetto di adeguamento dei contratti alle mutate condizioni congiunturali ed economiche del mercato, invero già presente nel precedente Codice del 2006, il quale stabiliva, all'art. 133, che i contratti potessero essere modificati in modo “automatico” in presenza di particolari condizioni, quali la differenza eccedente il 2% fra il tasso d'inflazione reale ed il tasso d'inflazione programmato, ovvero rilevanti fluttuazioni, positive o negative, dei costi dei materiali da costruzione, accertate dal Ministero delle infrastrutture. Secondo la nuova normativa, la stazione appaltante può prevedere, in sede di bando, dei meccanismi compensativi che possono comportare variazioni economiche, di qualsivoglia entità, all'unica condizione che detti meccanismi di revisione contrattuale siano espressi con la massima chiarezza e precisione possibili. Nel caso di lavori, tali variazioni di prezzo, sia in aumento che in diminuzione, saranno possibili soltanto per la quota parte eccedente il 10% del prezzo originario (con evidente riferimento al valore convenzionalmente assunto per l'alea contrattuale), e con limite massimo pari al 50% della variazione accertata.

b) Per lavori, servizi o forniture supplementari, resisi necessari in corso d'opera e non inclusi nell'appalto iniziale, qualora la variazione del contraente sia impraticabile per motivi economici o tecnici, ovvero comporti “…notevoli disguidi o una consistente duplicazione dei costi” a carico della stazione appaltante. I motivi tecnici e economici possono essere ravvisati, a titolo d'esempio, nella necessità di mantenere la funzionalità e l'operatività di macchine o componenti tecnologiche già installate dall'appaltatore originario, che potrebbero non essere perfettamente compatibili con quelle fornite da un nuovo esecutore. In ogni caso, per gli appalti nei settori ordinari, l'aumento dell'importo contrattuale per effetto di tale tipologia di varianti non può eccedere il 50% del contratto originario, con ciò intendendosi il valore del contratto al netto dell'ultima modifica intervenuta. Questa tipologia modificativa del contratto, inoltre, va trasmessa all'ANAC entro 30 giorni dal suo perfezionamento, come stabilito al comma 8 del medesimo art. 106.

c) Per varianti in corso d'opera propriamente dette, che il nuovo Codice definisce come modificazioni contrattuali determinate da circostanze impreviste ed imprevedibili che non alterano la natura generale del contratto, con la precisazione che entrambe le condizioni (imprevedibilità ed invariabilità della natura generale del contratto) devono essere verificate congiuntamente.

Come la precedente fattispecie, anche tale tipologia di variante modificativa rinvia al comma 7 del medesimo art. 106, che risulta, invero, di non piana lettura, poiché, dal testo di quest'ultimo, parrebbe ricavarsi che il limite in esso previsto (ossia che la variante in corso d'opera non deve superare il limite del 50% del valore del contratto iniziale) fosse applicabile alla sola ipotesi modificativa prevista dal primo comma lettera b), che afferisce ai lavori e/o servizi e forniture supplementari, e non anche ad altre ipotesi; in altri termini, la sola lettura del comma 7 suggerisce che il riferito limite del 50% sia condizione di ammissibilità delle sole modifiche previste dalla lettera b) del primo comma dell'art. 106 (e non altre), mentre così non è, perché anche l'ipotesi modificativa introdotta alla successiva lettera c) ne fa espresso richiamo.

D'altronde, la circostanza che il limite di prezzo rappresenti condizione di ammissibilità anche delle varianti di cui alla lettera c) è ricavabile dal contenuto del comma 3 del medesimo art. 106, oltre che dall'interpretazione comunitariamente conforme che devesi fare dell'intera disposizione; invero la direttiva 2014/24/UE, all'art. 72 comma 1 lettera c), che disciplina la presente fattispecie, stabilisce univocamente che condizione necessaria per la modificabilità del contratto è che l'eventuale aumento di prezzo non sia superiore al 50% del valore del contratto iniziale.

Si tratta di questione di indubbio rilievo, posto che, per espressa previsione del Codice 2016, anche le norme sopravvenute possono rientrare in questa fattispecie di variante, come pure eventuali provvedimenti di autorità preposte alla tutela di interessi rilevanti, mentre, nella previgente disciplina imposta dal Codice 2006, le varianti per norme sopravvenute erano prive di tetto di spesa.

d) Per modificazione dell'originario aggiudicatario del contratto, a causa di una espressa previsione contrattuale, ovvero per morte o successione del contraente, come pure per ristrutturazioni societarie, oppure ancora nel caso in cui la stazione appaltante si sostituisca al contraente principale, assumendone gli obblighi nei confronti dei subappaltatori.

e) Per l'esecuzione di modifiche non sostanziali al contratto originario, con ciò intendendosi le modifiche diverse da quelle definite al comma 4 del medesimo art. 106, nel quale si stabilisce la sostanzialità di una variante se questa possiede almeno una delle caratteristiche seguenti:

- avrebbe comportato, se inserita nella fase di gara, l'ammissione alla procedura di gara di candidati diversi da quelli inizialmente selezionati, oppure l'accettazione di un'offerta diversa da quella accettata, oppure ancora avrebbe consentito un ampliamento della platea dei partecipanti alla procedura di gara stessa;

- altera l'equilibrio economico del contratto a favore dell'aggiudicatario in modo non previsto nel contratto iniziale;

- estende notevolmente l'ambito di applicazione del contratto;

- comporta la sostituzione del contraente principale fuori dai casi disciplinati dall'art. 106, comma 1, lettera d) del Codice.

A integrazione delle cinque fattispecie di variante stabilite dal comma 1, il comma 2 dell'art. 106 del Codice 2016 stabilisce che i contratti possano essere modificati per errori o omissioni del progetto esecutivo posto a base di gara, a condizione che il valore della modifica si collochi al disotto sia delle soglie definite all'art. 35 del Codice, sia del 15% del valore del contratto iniziale, nel caso di appalto di lavori (soglia ridotta al 10% per i contratti di servizi e per le forniture); quanto alla definizione di errore progettuale, questa è contenuta, in particolare, al comma 10 del citato art. 106 del d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50, e ricalca in toto quella stabilita dal Codice del 2006.

Come già la variante per lavori, servizi e forniture supplementari, disciplinata dall'art. 106, comma 1, lettera b), anche questa tipologia di modifica del contratto va comunicata all'ANAC entro 30 giorni dal suo perfezionamento, pena l'applicazione di una sanzione a carico della stazione appaltante, d'importo compreso tra 50,00 e 200,00 euro per ogni giorno di ritardo, in conformità a quanto stabilito al comma 8 dell'art. 106.

In tema di comunicazioni all'Osservatorio regionale ed all'ANAC delle variazioni contrattuali intervenute in corso di esecuzione dei contrati, va segnalato come il comma 14 del citato art. 106 del Codice 2016 riproponga, in sostanza, la precedente disposizione normativa contenuta nell'art. 37 della l. 11 agosto 2014, n. 114 (non incluso nell'elenco di norme abrogate riportato all'art. 217 del Codice 2016).

Principali modificazioni del quadro normativo a seguito dell'emanazione del nuovo Codice

Sulla base delle considerazioni sviluppate nei precedenti paragrafi, è indubbio che il d.lgs 18 aprile 2016, n. 50 abbia innovato, attraverso il recepimento della direttiva 2014/24/UE, la precedente disciplina, prevedendo la possibilità di introdurre varianti modificative dei contratti in corso di esecuzione subordinatamente all'esistenza di condizioni generalmente afferenti i concetti di imprevedibilità della variante in sede di affidamento originario e di non sostanzialità della variante, con ciò intendendo, ad esempio, che la variazione in corso d'opera non deve in alcun modo introdurre condizioni che, se previste dall'originario bando di gara, avrebbero consentito un allargamento della platea dei partecipanti.

Se si considerano i requisiti di ammissibilità delle varianti stabiliti all'art. 132 del Codice del 2006, non si può non rilevare, in prima istanza, come le prime quattro lettere (dalla a alla d) siano confluite, de plano, nella nuova fattispecie disciplinata dalla sola lettera c) dell'art. 106, comma 1 del Codice del 2016; in altri termini, viene meno, innanzitutto, la ‘vecchia' distinzione fra “cause impreviste ed imprevedibili” (art. 132, comma 1, lett. b) del Codice 2006) ed “eventi inerenti la natura e la specificità dei beni” (art. all'art. 132, comma 1, lett. c) del Codice 2006), che peraltro aveva determinato le criticità rilevate, in più occasioni, dall'ANAC, come più sopra riferito. Anche l'imprevisto geologico ex art. 1664 comma 2 del codice civile non trova più espressa menzione fra le cause modificative dei contratti, ma viene ricondotto, evidentemente, alla più generale fattispecie delineata dalla lettera c) dell'art. 106, comma 1 del nuovo Codice.

Parallelamente alla suddetta semplificazione, viene istituita ex novo, con la lettera b) del comma 1 dell'art. 106 del Codice 2016, la possibilità di modificare i contratti inserendo lavori, servizi o forniture supplementari a quelli oggetto di appalto, inizialmente non previsti, a condizione che, con la variante, vengano evitati aggravi di costo rilevanti per effetto di necessità di duplicazione di magisteri oggetto dell'originario contratto, ovvero disagi conseguenti a possibili incompatibilità tecnologiche fra i beni forniti che potrebbero verificarsi al mutare del contraente.

L'errore progettuale, indicato come causa di variante dall'art. 132, comma 1, lettera e) del Codice del 2006, viene ora proposto, con identica formulazione, al comma 2 dell'art. 106 del nuovo Codice. L'unica differenza si riscontra nella riduzione della soglia di valore oltre la quale il maggior costo indotto dall'errore progettuale richiede l'indizione di un nuovo appalto, che passa dal 20% del Codice del 2006 all'attuale 15% (per lavori), oppure 10% (per servizi e forniture), a meno che non si superino le soglie comunitarie.

Rimanendo in tema di requisiti di ammissibilità delle varianti, si ritiene di indubbio interesse il fatto che sia stato imposto un limite alle varianti per norme sopravvenute, o per provvedimenti emessi da autorità preposte alla tutela di interessi generali; al di là delle difficoltà interpretative segnalate, infatti, è chiaro che anche tale tipologia di variante, che precedentemente non aveva limite di spesa, deve oggi soggiacere alla limitazione d'importo imposta dal comma 7 dell'art. 106 del nuovo Codice, pena l'annullamento del contratto e l'indizione di una nuova procedura d'appalto; in altri termini, qualora una norma sopravvenuta determini una variante il cui importo economico ecceda il 50% dell'originario affidamento, sarà inevitabile, per la stazione appaltante, rescindere il contratto e procedere ad un nuovo affidamento.

Un ulteriore elemento di novità è rappresentato dalla facoltà, ora concessa alla stazione appaltante dal comma 1, lettera a) del nuovo Codice, di introdurre, già in sede di gara, delle clausole di revisione degli accordi contrattuali, comprendenti anche clausole di revisione dei prezzi; si tratta, indubbiamente, di una facoltà, concessa alle stazioni appaltanti, di introdurre dei meccanismi automatici di adeguamento dei contratti alle condizioni congiunturali ed economiche che possono influire in modo significativo sull'andamento del contratto; l'unica condizione posta dal legislatore europeo, e recepita de plano da quello nazionale, è che le clausole di revisione siano espresse in modo ‘chiaro', ‘preciso' ed ‘inequivocabile'.

Sempre in tema di nuove facoltà concesse alle stazioni appaltanti dal d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50, merita un cenno particolare anche la previsione del comma 1, lettera e) del citato art. 106, laddove viene consentito alle stazioni appaltanti di individuare, nei documenti di gara, delle soglie di importo per le modifiche non sostanziali; si tratta, con ogni evidenza, della trasfusione, nel nuovo quadro normativo, di quelli che il Codice del 2006 indicava come interventi di dettaglio disposti dal direttore dei lavori, ovvero varianti migliorative nell'interesse dell'amministrazione. Nella nuova previsione normativa, sarà la stessa stazione appaltante a determinare se ed in quale misura prevedere, in sede di bando, la possibilità di apportare modifiche non sostanziali all'oggetto contrattuale.

Un nuovo adempimento introdotto dal Codice del 2016 è quello imposto dal comma 5 del citato art. 106, che prevede l'obbligo di pubblicazione, nella Gazzetta ufficiale dell'Unione europea, delle varianti per lavori, servizi o forniture supplementari di cui al comma 1, lettera b), e delle varianti in corso d'opera di cui al comma 1, lettera c); a riguardo, andrà utilizzata l'apposita sezione E dell'allegato XIV, che prevede vengano fornite informazioni in merito alle motivazioni delle varianti adottate, agli eventuali incrementi di prezzo, e via dicendo.

Da ultimo, un cenno particolare va al comma 11 del citato art. 106, laddove si prescrive che la durata del contratto possa essere modificata soltanto se nei documenti di gara era stata prevista un'opzione di proroga, la quale deve essere limitata al tempo strettamente necessario per l'individuazione di un nuovo contraente.

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