Furto del dipendente: non rileva la modesta entità patrimoniale se il rapporto di fiducia è incrinato

19 Settembre 2014

Con la sentenza n. 19684 del 18 settembre la Suprema Corte, in coerenza con orientamenti espressi nel passato, ribadisce come l'atto fraudolento e premeditato del dipendente sia sintomatico della inaffidabilità ed idoneo, quindi, a incidere in maniera irreversibile sull'elemento fiduciario con l'azienda.

Questo il principio di diritto emerso dalla sentenza n. 19684/2014, depositata ieri dalla sezione Lavoro.

L'addebito contestato

Una lavoratrice veniva licenziata per giusta causa (con impugnazione respinta prima dal giudici di prime cure, quindi anche in Corte d'Appello) essendo stato accertato il suo comportamento fraudolento. In particolare, profittando delle sue mansioni di addetta al reparto abbigliamento e ai camerini di prova, aveva scambiato i talloncini segnaprezzo di due capi di vestiario, al fine di acquistarne uno con prezzo decisamente minore. In ragione del successivo ricorso presso la Cassazione, la trattazione passava sotto la lente d'ingrandimento degli Ermellini.

Giusta causa di recesso

Richiamando orientamenti giurisprudenziali già noti (ex plurimus, Cass. nn. 11806/1997 e 6533/2001), la Suprema Corte osserva che la modesta entità del fatto può essere ritenuta non tanto con riferimento al modico danno patrimoniale, quanto alla eventuale tenuità del fatto oggettivo (ossia sotto il profilo del valore sintomatico che lo stesso può assumere rispetto ai futuri comportamenti). Il punto cardine è rappresentato dal concetto di fiducia nel rapporto azienda – lavoratore, essendo importante a riguardo che gli addebiti rivestano il carattere di grave negazione degli elementi del rapporto, cosicché la condotta del dipendente sia idonea a porre in dubbio la futura correttezza del suo adempimento.

Da qui il rigetto del ricorso, essendosi definitivamente incrinato il rapporto fiduciario.

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