Il nuovo art. 4 dello Statuto dei lavoratori: alcuni profili problematici nella prima applicazione della nuova disposizione
23 Agosto 2016
Abstract
Il contributo esamina le principali novità della nuova formulazione dell' art. 4 l. n. 300/1970 , come modificato dall' art. 23 d.lgs. n. 150/2015 , soffermandosi su alcune problematiche emerse nella prima applicazione della nuova disposizione. Il ragionamento è condotto prendendo in considerazione: un provvedimento del Garante della privacy adottato antecedentemente alla entrata in vigore della nuova disposizione su una fattispecie toccata dalle nuove regole; un parere della Direzione Interregionale del Lavoro di Milano e un provvedimento di autorizzazione della DTL di Latina in materia di installazione del GPS su autovetture aziendali.
Dopo oltre quarant'anni di vita, le regole dettate dall' art. 4 della l. 20 maggio 1970, n. 300 (il c.d. Statuto dei lavoratori , d'ora in poi SL) in materia di controlli a distanza dell'attività dei lavoratori sono state modificate dall' art. 23 del d.lgs. 14 settembre 2015, n. 151 (c.d. “Decreto semplificazioni”), promulgato in attuazione della delega conferita al Governo con la l. 10 dicembre 2014, n. 183 (art. 1, co. 7, lett. f), nell'ambito dell'ampio intervento di riforma del mercato del lavoro battezzato “Jobs Act”.
La nuova disposizione contiene numerose importanti novità, introdotte principalmente per rispondere alla necessità di aggiornare le regole poste dalla norma statutaria anche per tenere conto dei problemi posti dai metodi di produzione contemporanei, all'interno dei quali, nella stragrande maggioranza dei casi, non si può prescindere dall'impiego tecnologie nelle quali è insita la capacità di registrare dati idonei a ricostruire a distanza l'attività resa dal lavoratore.
Il nuovo art. 4 SL risponde a questa esigenza operando una semplificazione nelle modalità di impiego di tali strumenti, pur conservando delle importanti regole a presidio della dignità e riservatezza del lavoratore. Il risultato di tale intervento lascia però in alcuni ambiti rilevanti dubbi interpretativi di non facile soluzione che potranno complicare l'applicazione della nuova disposizione. I provvedimenti che qui vengono considerati consentono di mettere in luce alcuni di tali dubbi interpretativi.
Il primo elemento di novità che è dato evincere dal testo del nuovo art. 4 SL consiste nella chiara distinzione che la disposizione opera tra le regole che disciplinano l'installazione di uno strumento dal quale possa derivare la possibilità del controllo a distanza (intesa in senso sia spaziale sia temporale) dell'attività lavorativa, da un lato, e quelle che regolamentano il successivo impiego dei dati registrati dal quel medesimo strumento, dall'altro.
Con riferimento al primo di tali due aspetti, il nuovo art. 4 distingue tre categorie di strumenti: quelli la cui installazione è radicalmente vietata; quelli la cui installazione è consentita previo rilascio di un'autorizzazione sindacale o amministrativa (c.d. strumenti di controllo preterintenzionale); quelli la cui installazione è autorizzata direttamente dalla legge.
Ed infatti, pur non venendo enunciato espressamente, come faceva la vecchia norma, il nuovo art. 4 enuncia, implicitamente, un divieto di installazione di strumenti di controllo a distanza dell'attività lavorativa. Ciò risulta chiaro se si considera che l'ordinamento consente l'installazione di strumenti di controllo a distanza solo nel rispetto di determinate condizioni e per il perseguimento di specifiche esigenze tra le quali non rientra, appunto, quella del controllo dell'attività lavorativa (in tal senso correttamente si è espresso la Direzione Interregionale del Lavoro di Milano - di seguito DIRL Milano – nel parere che viene qui pubblicato).
La regola generale resta che l'installazione di apparecchiature dalle quali derivi la possibilità di un controllo a distanza dell'attività di lavoratori è ammessa solo, da un lato, se l'installazione è resa necessaria da specifiche esigenze (organizzative e produttive, per la sicurezza del lavoro ed ora anche per la tutela del patrimonio aziendale), e, dall'altro, se l'installazione sia specificamente autorizzata (da un contratto collettivo o in un provvedimento amministrativo).
Pur confermando l'impianto già noto, la nuova disposizione detta per la categoria degli strumenti di controllo preterintenzionale tre importanti novità.
La prima innovazione riguarda l'ampliamento del ventaglio delle finalità per la soddisfazione delle quali il datore di lavoro può richiedere l'autorizzazione all'installazione.
Alle esigenze già menzionate dal vecchio art. 4 si affianca ora uno specifico riferimento alla tutela del patrimonio aziendale, che, com'è noto, già sotto il vigore nella precedente disposizione e pur nel silenzio della stessa, era stata considerata dalla giurisprudenza, la quale aveva ammesso la meritevolezza di controlli aventi tale finalità (cfr. Cass. 3 aprile 2002, n. 4746 , in Guida al lavoro, 2002, n. 21, p. 10, con nota di L. Nogler; Cas s. 17 luglio 2007, n. 15892 , in Rivista giuridica del lavoro, 2008, II, p. 358, con nota di A. Bellavista; Cass. 23 febbraio 2010, n. 4375 ; Cass. 23 febbraio 2012, n. 2722 ; Cass. 18 aprile 2012, n. 16622 , in FI, 2012, I, 3328).
Oltre a codificare un approdo a cui era pervenuta la giurisprudenza in via interpretativa, l'esplicita menzione dell'esigenza di protezione del patrimonio aziendale ha però un ulteriore rilevantissimo effetto, che è quello di assorbire in via definitiva anche gli strumenti destinati a realizzare un “controllo difensivo” all'interno della categoria degli impianti per la cui installazione è necessario il preventivo accordo collettivo o il provvedimento amministrativo di autorizzazione.
L'ampio riferimento agli strumenti volti a tutelare il patrimonio aziendale consente ora di affermare che l'installazione di qualunque tipo di apparecchiatura che possa essere utilizzata per rilevare dati relativi alla prestazione lavorativa, anche se giustificata dall'esigenza di proteggere il patrimonio aziendale, deve essere sottoposta alla preventiva autorizzazione. Profili principali della nuova procedura autorizzatoria
La seconda e la terza innovazione attengono al regime di autorizzazione, rispettivamente sindacale o amministrativo, in caso di installazione dello strumento di controllo preterintenzionale da parte di imprese “plurilocalizzate”.
La nuova norma prevede, come regola generale, che l'installazione degli strumenti che possano realizzare un controllo preterintenzionale dell'attività lavorativa debba avvenire previo accordo sindacale, mancando il quale è possibile richiedere un'autorizzazione amministrativa in via sostitutiva.
Con riferimento al rapporto fra queste due strade, poiché la nuova formulazione è analoga a quella precedente, si può ritenere che anche la nuova norma ponga in capo al datore di lavoro un obbligo a trattare con le rappresentanze aziendali, la cui violazione è presidiata dall'art. 28 S.L. ed il cui fallimento è condizione per poter inoltrare la richiesta di autorizzazione in via amministrativa.
Pur confermando l'impostazione tradizionale, la nuova disposizione introduce però una regola specifica per l'ipotesi in cui l'impresa che voglia installare uno strumento di controllo preterintenzionale sia dotata di unità produttive ubicate in diverse province della stessa regione ovvero in più regioni. La nuova disposizione appare in maniera evidente finalizzata a semplificare il regime autorizzatorio, superando l'interpretazione rigida che la Cassazione aveva sposato nell'interpretazione del vecchio art. 4, affermando che l'individuazione dei soggetti abilitati a concedere l'autorizzazione operata dalla disposizione doveva ritenersi tassativa, con la conseguenza che per installare l'apparecchiatura era necessaria la stipulazione di un autonomo accordo sindacale in ciascuna unità produttiva ( Cass. 16 settembre 1997, n. 9211 ).
A seguito della riforma, il nuovo art. 4 opportunamente chiarisce che, nell'ipotesi in cui l'impresa sia plurilocalizzata, l'installazione può essere autorizzata tramite la stipulazione di un contratto collettivo con le associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale.
Infine, in mancanza di accordo collettivo, il datore di lavoro che voglia richiedere l'autorizzazione in via amministrativa potrà rivolgersi alla Direzione territoriale del lavoro (DTL) competente territorialmente ovvero, in caso di imprese con unità produttive dislocate negli ambiti di competenza di più DTL, al Ministero del lavoro. Si precisa al riguardo che è in corso di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale un decreto correttivo del D .lgs. 151/2015 che, in conseguenza della istituzione dell'Ispettorato nazionale del lavoro, prevede il subentro di quest'ultimo nelle competenze delle DTL di cui all'art. 4 SL. Gli strumenti di rilevazione degli accessi e delle presenze
Il ventaglio degli strumenti che vanno inclusi nella categoria degli strumenti che necessitano di autorizzazione risulta però sensibilmente ridimensionato rispetto al passato, poiché il nuovo art. 4 estrae da questo insieme, sottoponendoli ad una regolamentazione diversa, i c.d. “strumenti di lavoro” e gli “strumenti di registrazione degli accessi e delle presenze”.
Iniziando da questi ultimi, l'esclusione degli strumenti di registrazione degli accessi e delle presenze dal regime autorizzatorio appare una scelta pienamente condivisibile se solo si considera che l'informazione sulla data e sull'orario di entrata e di uscita dal luogo di lavoro non riguarda i contenuti dell'attività lavorativa, ma soltanto i momenti nei quali l'attività stessa ha inizio e finisce.
Un dubbio interpretativo può porsi invece con riferimento all'installazione degli strumenti di rilevazione degli accessi a specifici locali aziendali ovvero degli strumenti deputati a registrare il passaggio da un ufficio/reparto ad un altro. In questo caso l'apparecchiatura non ha normalmente la finalità di registrare l'inizio e la fine della prestazione lavorativa, quanto piuttosto di individuare il personale presente in una determinata area in un certo momento.
In questa seconda ipotesi, poiché lo strumento di rilevazione dell'accesso/transito fra i vari reparti/uffici aziendali consente di acquisire a distanza ed indirettamente (sulla base della ricostruzione dei tempi di permanenza in uffici/reparti) dati relativi ai tempi dell'attività lavorativa, richiede che ci si interroghi se anche l'installazione di tali apparecchi ricada nel secondo comma dell'art. 4, ovvero se per essi sia necessaria l'autorizzazione ai sensi del primo comma.
L'ampia formula “strumenti di registrazione degli accessi e delle presenze” sembra confermare la prima delle due opzioni indicate. La congiunzione “e” collocata fra i termini “accessi” e “presenze” assume un valore disgiuntivo destinato ad esprimere che il concetto di “accesso” ha un suo autonomo significato da considerare indipendentemente da quello di “presenza”. Lo strumento al quale la disposizione fa riferimento non è dunque solo quello che consente di rilevare gli accessi del lavoratore sul luogo di lavoro, ai soli fini della rilevazione della presenza e dunque del rispetto dell'orario di lavoro, ma qualunque strumento idoneo a registrare l'accesso e/o la presenza in determinati locali aziendali.
Non v'è dubbio però che la formulazione della disposizione mantiene sul punto un grado di incertezza che potrà generare in futuro un contenzioso con riferimento alle regole di installazione degli strumenti di rilevazione dell'accesso a singole aree aziendali. Gli strumenti di lavoro
La novità principale della nuova disposizione è senza dubbio costituita dall'esclusione degli strumenti di lavoro dalla categoria degli strumenti dai quali può derivare una possibilità di controllo a distanza dell'attività lavorativa per i quali è necessaria la preventiva acquisizione dell'autorizzazione sindacale o amministrativa.
La formula “strumenti utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione lavorativa” consente di includere nella categoria gli strumenti che il lavoratore impieghi direttamente per lo svolgimento della prestazione lavorativa. Ossia quegli strumenti il cui funzionamento richieda una partecipazione attiva del lavoratore, che se ne avvale per rendere la prestazione.
La DIRL Milano afferma nel parere qui pubblicato che deve intendersi strumento di lavoro ogni “strumento idoneo ad assolvere complessivamente una funzione di mezzo necessario normalmente (secondo le regole dell'arte) per rendere la prestazione lavorativa”.
Tale definizione va però ulteriormente precisando osservando che la mansione da assumere come riferimento per identificare lo strumento di lavoro è quella alla quale è interessato il datore di lavoro è interessato. In altre parole, si tratta di uno strumento di lavoro se lo stesso serve al lavoratore per rendere la prestazione in modo che questa sia utile per il datore di lavoro, potendo questi utilmente inserirla nella propria organizzazione.
In questa prospettiva, è agevole includere nella categoria degli strumenti di lavoro il computer, la posta elettronica, l'accesso ad internet. Discorso diverso deve essere fatto per eventuali applicativi che siano installati sullo stesso computer e che, per esempio, consentano di monitorare momento per momento l'attività svolta, ma che non richiedano l'intervento del lavoratore o che comunque non sono necessari perché la prestazione sia utile al datore di lavoro. In tal caso, se l'installazione del computer non richiede l'autorizzazione preventiva, questa diviene necessaria per il software che è installato sul computer per soddisfare una delle esigenze enucleate dal primo comma dell'art. 4 SL
L'esempio appena svolto pone l'ulteriore questione se rientrino all'interno della categoria degli strumenti di lavoro anche gli strumenti tecnologici che siano incorporati nell'apparecchiatura utilizzata dal lavoratore.
Numerosi sono i casi nei quali può presentarsi questa eventualità.
Alcuni vengono considerati nel parere della DIRL Milano che qui si pubblica.
In particolare la DIRL prende in considerazione i seguenti casi:
In tali ipotesi la DIRL ha fatto corretta applicazione della nozione di strumento di lavoro sopra ricordata, includendovi gli strumenti menzionati negli esempi ora ricordati, evidenziando che “trattasi di strumenti necessari al lavoratore per rendere la prestazione perché è proprio a tali fini che gli stessi vengono forniti dal datore di lavoro (e dunque non ai fini di un controllo a distanza) ed a tali fini devono esclusivamente essere utilizzati dal lavoratore”. La questione della utilizzabilità dei dati registrati dallo strumento a tutti i fini connessi al rapporto di lavoro
L'ultima questione trattata nei provvedimenti qui pubblicati è quella che attiene alla utilizzabilità dei dati registrati dagli strumenti installati ai sensi del primo o del secondo comma dell'art. 4.
Anche in questo caso l'art. 4 contiene al terzo comma una disposizione sicuramente innovativa, posto che ora viene enunciata in maniera chiara e netta l'utilizzabilità dei dati registrati dallo strumento a tutti i fini connessi al rapporto di lavoro.
La prima domanda che ci si deve porre è se il provvedimento di autorizzazione possa dettare limiti ulteriori e/o diversi da quelli previsti dalla legge.
È necessario al riguardo distinguere a seconda che l'autorizzazione sia ottenuta in via amministrativa o in sede sindacale.
Nel primo caso si deve ritenere che il provvedimento di autorizzazione non possa contenere prescrizioni destinate a limitare l'utilizzabilità dei dati registrati dall'apparecchio. L'Ispettorato del lavoro, in base alla nuova disposizione, sarà dunque tenuto a valutare solo la meritevolezza delle ragioni poste a base della richiesta di installazione e per il resto attenersi alla norma di legge che sancisce l'utilizzabilità dei dati. Al riguardo va però segnalato il provvedimento emesso dalla DTL di Latina, qui pubblicato. Anche tale provvedimento è relativo all'installazione di un sistema di rilevazione satellitare su mezzi di trasporto aziendale. Alla luce delle considerazioni sin qui svolte, la DTL avrebbe dovuto dichiarare la non necessarietà dell'autorizzazione all'installazione, rientrando il GPS fra gli strumenti di lavoro. La DTL ritiene invece trattarsi di strumento soggetto ad autorizzazione e, nel concederla, valica però i limiti posti dalla disposizione laddove precisa che “le informazioni acquisite dal disposizione non potranno in nessun caso essere utilizzate per eventuali accertamenti sull'obbligo di diligenza da parte dei lavoratori né per l'adozione di eventuali provvedimenti disciplinari”. Tale conclusione manifesta una tendenza ad esercitare il potere di autorizzazione analogamente a quanto avveniva sotto il vigore del vecchio art. 4, senza tenere dunque conto delle novità introdotte dalla nuova disposizione.
In virtù della nuova disposizione l'autorità amministrativa dovrà dunque limitarsi a riscontrare la sussistenza delle esigenze, previste dal primo comma dell'art. 4, che consentono l'installazione dello strumento di controllo preterintenzionale. Laddove tali esigenze sussistano, l'installazione deve essere autorizzata senza possibilità di fissare prescrizioni sull'utilizzo dei dati registrati. Appare dunque sul punto corretto il parere espresso dalla DIRL Milano
Discorso diverso può essere fatto per l'ipotesi in cui tali limitazioni siano contenute nell'accordo collettivo che autorizzi l'installazione. In questo caso la limitazione costituisce il frutto di una scelta del datore di lavoro, che ha deciso di escludere l'esercizio di una facoltà che invece la legge gli attribuiva direttamente.
Per concludere, bisogna ovviamente precisare che “utilizzabilità dei dati” non significa attribuire al datore di lavoro il potere di interrogare liberamente e senza limiti i dati registrati.
La disposizione precisa, infatti, da un lato, che il datore debba fornire al lavoratore un'adeguata informativa sulle modalità di utilizzo dello strumento e sull'esercizio dei controlli e, dall'altro, che tali controlli debbano essere eseguiti nel rispetto delle prescrizione del codice della privacy .
Con riferimento al primo profilo, è utile richiamare quanto affermato dal Garante della privacy nelle linee Guida del 2007 laddove è affermato che “grava quindi sul datore di lavoro l'onere di indicare in ogni caso, chiaramente e in modo particolareggiato, quali siano le modalità di utilizzo degli strumenti messi a disposizione ritenute corrette e se, in che misura e con quali modalità vengano effettuati controlli […] Per la predetta indicazione il datore ha a disposizione vari mezzi, a seconda del genere e della complessità delle attività svolte, e informando il personale con modalità diverse anche a seconda delle dimensioni della struttura, tenendo conto, ad esempio, di piccole realtà dove vi è una continua condivisione interpersonale di risorse informative” (punto 3.1). Se ne evince che dovrà valutarsi caso per caso se l'informazione fornita al lavoratore sia stata adeguata considerando l'idoneità della stessa di mettere a conoscenza il lavoratore, in maniera dettagliata, almeno: a) di quali sono gli strumenti, presenti in azienda o utilizzati direttamente o indirettamente dal lavoratore, dai quali può derivare una possibilità di controllo a distanza dell'attività lavorativa; b) di quali sono le modalità con le quali è possibile utilizzare gli strumenti forniti dal datore di lavoro, soprattutto con riferimento alla eventuale possibilità di utilizzare quegli stessi strumenti per finalità personali; c) delle modalità (ossia del quando, del come e del perché) potranno essere eseguiti dei controlli sui dati registrati dallo strumento installato in azienda e/o messo a disposizione del lavoratore.
Sotto il secondo profilo evocato, l 'esplicito rinvio al Codice della privacy consente di affermare che i limiti da quest'ultimo dettati si pongono sullo stesso piano dei limiti posti dallo Statuto dei lavoratori , assumendo così una diretta incidenza sul legittimo esercizio dei poteri datoriali.
All'interno del quadro così ricostruito assumono un chiaro valore vincolante anche le prescrizioni enunciate dal Garante nell'esercizio conferitigli dall' art. 154, comma 1, lett. c), d.lgs. 196/2003 .
Ciò significa che l'ordinamento ha conferito al Garante il compito di tradurre in prescrizioni concrete le regole dettate dal Codice, identificando le misure che, alla luce dell'esperienza e dell'innovazione tecnologica, appaiono funzionali a garantire, in un dato momento storico, la piena attuazione degli obiettivi di tutela della riservatezza a cui sono finalizzate le norme del d.lgs. 196/2003 . L'immediata conseguenza di tale ragionamento è che, nel sistema del Codice della privacy , le prescrizioni del Garante sono atti dalla cui osservanza dipende la legittimità del trattamento dei dati, poiché un trattamento eseguito in maniera non conforme a tali indicazioni va considerato come un atto in violazione dello stesso Codice. Ne consegue che il rispetto di tali prescrizioni inciderà anche sul legittimo esercizio del potere di controllo.
Sotto questo punto di vista è utile la lettura del provvedimento del Garante del 2.10.2014, qui pubblicato, pronunciato con riferimento all'installazione su autovetture aziendali di un sistema GPS. Pur essendo stato pronunciato sotto il vigore della vecchia disposizione, il ragionamento seguito dal Garante si rivela utile per individuare i limiti che il datore di lavoro potrebbe incontrare anche sotto il vigore della nuova disposizione nell'utilizzazione dei dati registrati dall'apparecchiatura.
Da tale provvedimento emerge in particolare il significato che il Garante attribuisce al limite della “finalità” del trattamento che deve essere rispettato nella lettura dei dati registrati dall'apparecchio. In particolare il Garante afferma che l'impiego dei dati sarebbe consentito solo per perseguire le finalità che avevano motivato l'installazione. Afferma infatti il Garante che “nel caso di specie i dati personali dei dipendenti sono trattati attraverso il sistema di videosorveglianza per finalità di tutela dei beni aziendali e di terzi nonché per finalità di sicurezza e che pertanto eventuali operazioni di trattamento effettuate allo scopo ulteriore di contestare illeciti disciplinari ai dipendenti non siano conformi al principio di finalità del trattamento (cfr. art. 11, comma 1, lett. b) del Codice)”.
Il Garante aggiunge inoltre che i dati registrati non possono essere conservati a tempo indeterminato, ma tale conservazione deve avvenire entro un termine congruo superato il quale il dato stesso deve essere cancellato.
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