27 Aprile 2023

La certificazione dei contratti di lavoro, introdotta dalla riforma Biagi rappresenta uno strumento utile soprattutto nell'ottica di prevenzione del contenzioso del lavoro.Si tratta di una procedura volontaria che consente alle parti possono ottenere la certificazione dei contratti in cui sia dedotta, direttamente o indirettamente, una prestazione di lavoro.

Abstract

Tra gli istituti introdotti dalla Legge Biagi, la certificazione dei contratti di lavoro rappresenta uno strumento utile soprattutto nell'ottica di prevenzione del contenzioso del lavoro. Si tratta di una procedura volontaria che consente alle parti di un contratto di lavoro, di chiedere ad un'apposita commissione la certificazione di un contratto nel quale risulti, anche in via indiretta, una prestazione lavorativa.

I vantaggi sono molteplici perché le parti sono assistite da una commissione tecnica, qualificata e terza, nella qualificazione giuridica del contratto di lavoro e inoltre l'atto amministrativo con cui si conclude la certificazione conserva efficacia tra le parti fino al momento in cui sia stato accolto, con sentenza di merito, uno dei ricorsi giurisdizionali esperibili.

Inoltre, anche in ambito ispettivo, il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali valorizza il ruolo della certificazione, considerandola una forma alternativa di controllo istituzionale.

La certificazione

La certificazione dei contratti di lavoro è un istituto finalizzato a ridurre il contenzioso in materia di lavoro mediante l'ottenimento di un provvedimento amministrativo rilasciato da un organo abilitato che consente di ottenere certezza giuridica a qualsiasi contratto in cui sia dedotta, direttamente o indirettamente, una prestazione di lavoro.

Si tratta di una procedura volontaria che le parti possono congiuntamente decidere di attivare e può essere richiesta sia per i contratti ancora da instaurarsi, che per quelli già in corso di svolgimento.

In tale ultimo caso, gli effetti si producono dal momento di inizio del contratto se la commissione accerta che sin dall'origine il rapporto è stato coerente con quello all'atto della certificazione (v. infra).

I contratti di lavoro certificabili

In sede di prima applicazione dell'Istituto, l'art. 75, D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276, limitava l'utilizzo della certificazione ai soli contratti di lavoro intermittente, ripartito, a tempo parziale, collaborazione a progetto ed al contratto di associazione in partecipazione.

La finalità, che prendeva le mosse dalle legge delega 14 febbraio 2003, n. 30, era di deflazionare il contenzioso del lavoro per quanto riguardava la qualificazione del contratto ed in particolare per consentire di ridimensionare le controversie in ordine alla distinzione tra lavoro autonomo e subordinato, aspetto oggetto di frequenti controversie.

Tuttavia, già il D.Lgs. n. 251/2004, provvedimento correttivo della Riforma Biagi, ha eliminato il riferimento ad alcune tipologie contrattuali estendendone il campo di applicazione a tutti i contratti di lavoro.

Inoltre, a seguito dell'entrata in vigore della Legge 4 novembre 2010, n. 183, l'ambito di applicazione viene ulteriormente esteso e diventa quello oggi vigente che consente l'utilizzo della certificazione per qualsiasi contratto in cui sia dedotta, direttamente o indirettamente, una prestazione di lavoro.

Altra modificazione operata dalla predetta legge riguarda la possibilità di certificazione anche dei contratti in corso di esecuzione, a condizione che la commissione abbia appurato che l'attuazione del medesimo è stata, anche nel periodo precedente alla propria attività istruttoria, coerente con quanto appurato in tale sede (cfr. art. 79, comma 2, D.Lgs. n. 276/2003 inserito dall'art. 31, comma 17, L. n. 183/2010).

Risultano oggetto di certificazione, oltre ai contratti di lavoro di qualsiasi tipologia, anche il contratto di appalto ed il regolamento interno delle cooperative relativo alle prestazioni lavorative dei soci.

Nel primo caso, l'art. 84, D.Lgs. n. 276/2003 prevede espressamente che le procedure di certificazione possono essere utilizzate sia in sede di stipulazione di appalto di cui all'art. 1655 c.c., sia nelle fasi di attuazione del relativo programma negoziale, anche ai fini della distinzione concreta tra somministrazione di lavoro e appalto. Per quanto concerne invece le società cooperative, la finalità è quella di agevolare la gestione del regolamento previsto dell'art. 6, L. 3 aprile 2001, n. 142 che, come noto, deve essere approvato dagli enti che realizzano il proprio scopo mutualistico mediante l'apporto lavorativo del socio.

L'art. 83 del Decreto Biagi consente, a tal fine, la certificazione dell'atto di deposito del regolamento interno delle cooperative riguardante la tipologia dei rapporti di lavoro attuati o che si intendono attuare, in forma alternativa, con i soci lavoratori.

Sarà possibile ricorrere alla certificazione anche per i contratti di somministrazione di lavoro.

Infatti, fermo restando la certificabilità del rapporto fra Agenzia per il lavoro e lavoratore, il Ministero del Lavoro ha chiarito che potendo essere certificato ogni tipo di contratto di lavoro si ritiene che lo stesso possa valere anche per il contratto commerciale fra somministratore e utilizzatore (cfr. Interpello Ministero del Lavoro 22 dicembre 2009, n. 81).

L'art. 27 del Testo Unico sulla Sicurezza n. 81/2008, come modificato dal D.Lgs. n. 106/2009, prevede inoltre che il “sistema di qualificazione delle imprese e dei lavoratori autonomi” deve fare riferimento alla “ applicazione di determinati standard contrattuali e organizzativi nell'impiego della manodopera, anche in relazione agli appalti e alle tipologie di lavoro flessibile, certificati ai sensi del Titolo VIII, Capo I, D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276.”

Da tale disposizione si desume che ogni modello organizzativo concernente l'impiego della manodopera, pure in maniera flessibile e quindi, per quanto qui rileva, anche mediante il ricorso alla somministrazione di lavoro, possa essere sottoposto al vaglio delle competenti commissioni di certificazione (cfr. Interpello Ministero del Lavoro 22 dicembre 2009, n. 81).

Presso le Commissioni di Certificazione è possibile procedere altresì alla tipizzazione cause di licenziamento con le modalità ed alle condizioni previste dall'art. 10, comma 3, L. 4 novembre 2010, n. 183.

In particolare, è previsto che le parti possono prevedere nel contratto individuale alcune ipotesi che che costituiscono giusta causa o giustificato motivo ed il giudice, nel valutare la legittimità di un licenziamento, tiene conto delle clausole concordate dalle parti nel contratto certificato.
Ciò, infatti, è possibile esclusivamente ove le clausole siano state stipulate con l'assistenza e la consulenza delle commissioni di certificazione.

Altra funzione delle commissioni consiste nella certificazione della clausola compromissoria di cui al comma 10 dell'art. 31, L. n. 183/2010.

Attraverso tale clausola le parti possono ricorrere, a determinate condizioni, all'arbitrato irrituale in materia di lavoro. Il legislatore ha previsto che le parti possono deferire ad un collegio arbitrale, le controversie riguardanti il rapporto di lavoro attraverso la sottoscrizione di apposite clausole compromissorie individuali ma a condizione che esse siano certificate, a pena di nullità, dalle commissioni di certificazione. È peraltro previsto che ciò è possibile a condizione che ciò sia previsto dalla contrattazione collettiva ed inoltre sarà necessario che sia decorso il periodo di prova e comunque un periodo minimo di 30 giorni.

Presso le commissioni è possibile altresì esperire il tentativo di conciliazione obbligatorio per le controversie aventi o oggetto contratti certificati, facoltativo (art. 410 c.p.c.) nonché richiedere la certificazione delle rinunce e transazioni. Le commissioni di certificazione, infatti, possono svolgere le funzioni conciliative ai sensi e per gli effetti dell'art. 2113 c.c., nonché quelle arbitrali previste dagli artt. 410 e ss. c.p.c.

Ulteriori funzioni della certificazione sono previste dal D.P.R. 14 settembre 2011, n. 177 nell'ambito dei lavori in ambienti sospetti di inquinamento o confinati.

Infatti, l'art. 2, comma 1, prevede che qualsiasi attività lavorativa nel settore degli ambienti sospetti di inquinamento o confinati può essere svolta unicamente da imprese o lavoratori autonomi qualificati in ragione del possesso di alcuni requisiti, tra i quali, alla lettera c) è stabilito che è necessaria la presenza di personale, in percentuale non inferiore al 30% della forza lavoro, con esperienza almeno triennale relativa a lavori in ambienti sospetti di inquinamento o confinati, assunta con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato ovvero anche con altre tipologie contrattuali o di appalto, a condizione, in questa seconda ipotesi, che i relativi contratti siano stati preventivamente certificati ai sensi del Titolo VIII, Capo I, D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276.

Tale esperienza deve essere necessariamente in possesso dei lavoratori che svolgono le funzioni di preposto.
Il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ha fornito chiarimenti specificamente sul requisito obbligatorio della certificazione dei contratti nell'ambito dei lavori in ambienti sospetti di inquinamento o confinati, con Nota 27 giugno 2013, n. 11649 “Vigilanza nel settore degli ambienti sospetti di inquinamento o confinati. Applicazione dell'art. 2, comma 1, lett. C), del D.P.R. n. 177 del 14 settembre 2011”.

Ulteriori funzioni alle Commissioni di Certificazione sono state da ultimo previste dai Decreti attuativi della L. n. 183/2014 – cd. Jobs Act.

L'art. 6 del D.Lgs. n. 23/2015 in materia di contratto di lavoro a tutele crescenti prevede che presso le Commissioni di Certificazione è possibile perfezionare l'offerta conciliativa nel caso di licenziamento di lavoratori assunti dal 7 marzo 2015. L'istituto ha la finalità di prevenire una possibile lite a seguito del licenziamento e consiste nell'offerta economica che può essere formulata dal datore di lavoro.

La norma - da ultimo modificata in sede di conversione del D.L. n. 87/2018, dalla L. n. 96/2018 - prevede che la somma deve essere pari ad una mensilità della retribuzione utile ai fini del TFR per ogni anno di servizio e comunque non inferiore a 3 e non superiore a 27 mensilità.

Con l'accettazione di tale somma non sarà più possibile impugnare il licenziamento. Il vantaggio è che la somma offerta è neutra sia ai fini fiscali che previdenziali.

Il D.Lgs. n. 81/2015 ha previsto diverse funzioni, vediamole con i relativi riferimenti normativi.

FUNZIONE

NORMA DI RIFERIMENTO

le parti possono richiedere alle commissioni la certificazione dell'assenza dei requisiti in presenza dei quali, ai sensi del comma 1, si applica la disciplina di lavoro subordinato alle collaborazioni coordinate e continuative

art. 2, comma 3

Il nuovo art. 2103 c.c. che disciplina le mansioni consente alle parti di stipulare presso le Commissioni stipulare il patto di demansionamento

art. 3

in materia di contratto a tempo parziale, prevede che, in assenza di disciplina dei contratti collettivi, le parti possono pattuire per iscritto clausole elastiche relative alla variazione della collocazione temporale della prestazione lavorativa ovvero relative alla variazione in aumento della sua durata innanzi alle commissioni di certificazione

art. 6

L'art. 26, comma 7, D.Lgs. n. 151/2015, infine, esclude l'applicabilità della disciplina relativa all'inefficacia nel caso in cui le dimissioni o la risoluzione consensuale intervengono avanti alle Commissioni di certificazione. Le stesse Commissioni sono abilitate altresì alla trasmissione dei moduli relativi alle procedure di dimissioni telematiche.

Va ricordato che il procedimento di certificazione non è applicabile per quanto concerne i contratti di lavoro stipulati con la Pubblica Amministrazione.

Le Commissioni

Gli organi abilitati a svolgere le funzioni di Commissione di certificazione sono individuati dall'art. 7, D.Lgs. n. 276/2003, che assegna peraltro la funzione amministrativa con ambiti di competenza diversi.

Risultano in particolare competenti a svolgere tale ruolo le Commissioni istituite presso:

  • Enti bilaterali costituiti nell'ambito territoriale di riferimento ovvero a livello nazionale quando la commissione di certificazione sia costituita nell'ambito di organismi bilaterali a competenza nazionale; come puntualizzato dall'Ispettorato Nazionale del Lavoro con la Circolare n. 4 del 12 febbraio 2018, occorre tenere presente che, ai sensi dell'art. 2, lett. h), del D.Lgs. n. 276/2003, tali prerogative sono affidate costituiti “a iniziativa di una o più associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative”.
  • Ex Direzioni territoriali del lavoro (tali funzioni vengono svolte dagli uffici territoriali dell'Ispettorato Nazionale del Lavoro ai sensi del D.Lgs. n. 149/2015);
  • Province;
  • Università pubbliche e private, comprese le Fondazioni universitarie;
  • Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali - Direzione generale della tutela delle condizioni di lavoro;
  • Consigli provinciali dei consulenti del lavoro nell'ambito di intese definite tra il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali e il Consiglio Nazionale dei Consulenti del Lavoro, con l'attribuzione a quest'ultimo delle funzioni di coordinamento e vigilanza per gli aspetti organizzativi.


COMMISSIONE

COMPETENZA

NOTE

Enti bilaterali

commissioni costituite dalle rispettive associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro.

Direzioni territoriali del lavoro

le parti stesse devono rivolgersi alla commissione nella cui circoscrizione si trova l'azienda o una sua dipendenza alla quale sarà addetto il lavoratore.

Province

le parti stesse devono rivolgersi alla commissione nella cui circoscrizione si trova l'azienda o una sua dipendenza alla quale sarà addetto il lavoratore.

Università pubbliche e private, comprese le Fondazioni universitarie

Non ci sono limiti.

Per essere abilitate alla certificazione sono tenute a registrarsi presso un apposito albo istituito presso il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali.

Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali - Direzione generale della tutela delle condizioni di lavoro

nei casi in cui il datore di lavoro abbia le proprie sedi di lavoro in almeno due province anche di regioni diverse ovvero per quei datori di lavoro con unica sede di lavoro associati ad organizzazioni imprenditoriali che abbiano predisposto a livello nazionale schemi di convenzioni certificati dalla commissione di certificazione istituita presso il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali.

Consigli provinciali dei consulenti del lavoro

esclusivamente per i contratti di lavoro instaurati nell'ambito territoriale di riferimento.

È peraltro previsto che le Commissioni possono operare in sinergia tra di loro mediante la concludere di apposite convenzioni con le quali prevedano la costituzione di una Commissione unitaria di certificazione.

Le Commissioni non sono un organo passivamente preposto alla gestione burocratica del procedimento amministrativo che porta alla certificazione (o alla mancata certificazione del contratto), ma svolgono una funzione attiva procedendo all'istruttoria della pratica e verificando se il contratto per il quale viene richiesta la certificazione sia coerente con il rapporto di lavoro che le parti intendono svolgere.

Inoltre, anche attraverso la fase di audizione, nei fatti assistono concretamente anche le parti ai fini della corretta qualificazione del contratto.

Infatti, le Commissioni svolgono espressamente, secondo quanto previsto dall'art. 81, D.Lgs. n. 276/2003, anche funzioni di consulenza effettiva alle parti contrattuali, sia in relazione alla stipulazione del contratto di lavoro e del relativo programma negoziale sia in relazione alle modifiche del programma negoziale medesimo concordate in sede di attuazione del rapporto di lavoro, con particolare riferimento alla disponibilità dei diritti e alla esatta qualificazione dei contratti di lavoro.

In tal modo le parti possono avere immediata contezza di eventuali difformità del programma negoziale e modificare di conseguenza quegli aspetti del contratto che non sono coerenti con il modello che intendono adottare. Conseguentemente, decidere se cambiare la scelta dell'istituto contrattuale prescelto individuandone un altro che sia più confacente alla prestazione lavorativa da regolare in via negoziale, ovvero modificare le modalità di svolgimento della prestazione.

È evidente quanto sia utile tale filtro preventivo nell'ottica della prevenzione del contenzioso.

Il procedimento

L'ottenimento della certificazione parte da una istanza delle parti le quali volontariamente decidono di presentarla ad una delle Commissioni appositamente costituite.

La Commissione, dopo una prima valutazione dell'istanza, informa dell'inizio del procedimento l'Ispettorato territoriale del lavoro competente che provvede a inoltrare la comunicazione alle autorità pubbliche nei confronti delle quali l'atto di certificazione è destinato a produrre effetti.

Ciò perché le parti possono richiedere che la certificazione non esplichi effetti solo tra di esse ma anche nei confronti dei terzi.

Potrà dunque avere effetto ai fini civili, amministrativi, previdenziali o fiscali e quindi nei confronti degli organi preposti alla vigilanza in materia del lavoro, previdenza e fiscale.

Il procedimento di certificazione deve concludersi entro il termine di 30 giorni dal ricevimento della istanza, col rilascio dell'atto di certificazione o di mancata certificazione.

Il termine è da intendersi ordinatorio.

I vantaggi

I vantaggi della certificazione sono molteplici:

  • le parti sono assistite da una commissione tecnica, qualificata e terza, nella qualificazione giuridica del contratto di lavoro;
  • a fronte dell'ottenimento della certificazione circa la conformità della prestazione lavorativa svolta o da svolgere al contratto prescelto e certificato, l'atto amministrativo con cui si conclude la certificazione resiste (rectius: conserva efficacia) tra le parti ed anche nei confronti dei terzi fino alla sentenza del tribunale;

Altro effetto è quello relativo alla evidenza della genuinità della scelta del programma negoziale che le parti hanno inteso scegliere per disciplinare il rapporto di lavoro instaurato tra le parti.

In ogni caso, prima di instaurare un contenzioso giudiziario, è obbligatorio per le parti e per i terzi nei cui confronti eventualmente produce effetti la certificazione, esperire un tentativo di conciliazione presso la stessa Commissione che ha certificato il contratto.

In caso contrario, il ricorso è improcedibile fin tanto che la conciliazione non si è esaurita.

Si tratta di aspetti molto importanti perché sono ricorrenti i casi nei quali la controversia di lavoro, sia tra le parti che con i terzi, verte sulla qualificazione del contratto (si pensi alle collaborazioni a progetto o alle associazioni in partecipazione).

L'istituto, pertanto, si presenta come un filtro ex ante, ma anche ex post.

Nella fase iniziale, infatti, le parti possono infatti decidere se prima di instaurare un rapporto di lavoro intendono modificare il contratto prescelto, ovvero le modalità di svolgimento della prestazione alla luce dell'istruttoria del procedimento.

Va infatti evidenziato che le Commissioni svolgono anche funzione di consulenza alle parti.

A posteriori, intanto si presume che quanto certificato sia corretto, salvo i rimedi previsti. In ogni caso, prima della fase giudiziaria, è necessario un tentativo di conciliazione davanti la stessa commissione che ha certificato il contratto.

Il giudice nella qualificazione del contratto di lavoro e nell'interpretazione delle relative clausole, non può distaccarsi dalle valutazioni delle parti espresse in sede di certificazione.

Inoltre, a seguito delle modifiche introdotte dalla L. n. 183/2010, è consentito richiedere la certificazione anche per i contratti di lavoro già stipulati. È previsto altresì che il giudice, nella qualificazione del rapporto di lavoro e nell'interpretazione delle relative clausole, non può discostarsi dalle valutazioni espresse dalle parti in sede di certificazione, se non per i casi di erronea qualificazione del contratto, vizi del consenso, o difformità tra il programma negoziale certificato e la concreta attuazione verificata.

In particolare, l'art. 79 del D.Lgs. n. 276/2003 che disciplina l'efficacia giuridica della certificazione, prevede che “Gli effetti dell'accertamento dell'organo preposto alla certificazione del contratto di lavoro permangono, anche verso i terzi, fino al momento in cui sia stato accolto, con sentenza di merito, uno dei ricorsi giurisdizionali esperibili ai sensi dell'art. 80, fatti salvi i provvedimenti cautelari”.

In buona sostanza, salve le ipotesi che il giudice non rilevi una erronea qualificazione del contratto o la difformità del contratto stipulato ed il concreto svolgimento o in caso di vizi del consenso, la certificazione rende inefficace qualsiasi atto, compresi gli accertamenti degli organi di vigilanza.

Rimane salva peraltro l'eccezione degli eventuali provvedimenti cautelari che fossero stati accolti.

La funzione della certificazione risulta valorizzata anche dal Ministero del Lavoro nell'ambito della fase ispettiva. La Direttiva del 18 settembre 2008 - “ Rilancio della filosofia preventiva e promozionale di cui al D.Lgs. 23 aprile 2004, n. 124, contenente misure di razionalizzazione delle funzioni ispettive e di vigilanza in materia di previdenza sociale e di lavoro, a norma dell'art. 8, L.14 febbraio 2003, n. 30 “ cd. Direttiva Sacconi (pubblicata nella G.U. del 12 novembre 2008, n. 265), fornisce precise indicazioni agli organi ispettivi su come approcciarsi di fronte all'istituto ed ai contratti certificati.

In sede di programmazione dell'attività ispettiva, secondo quanto stabilito dal D.Lgs. n. 124/2004, il Ministero evidenzia che "nella propria opera di direzione e coordinamento la Direzione Generale per l'attività ispettiva dovrà tenere conto, anche al fine di ottimizzare le risorse disponibili, della presenza di forme di controllo sociale (come gli Enti bilaterali) o anche forme di controllo istituzionale alternative (come le sedi di certificazione dei contratti di lavoro e di appalto), riservando una particolare attenzione alle situazioni che sono totalmente esenti da controllo o verifica preventiva.”

Inoltre, nell'ambito delle verifiche sulle collaborazioni coordinate e continuative la Direttiva prevede che il personale ispettivo occorre concentri la propria attenzione “esclusivamente su quelli che non siano già stati sottoposti al vaglio di una delle commissioni di certificazione di cui all'art. 76, D.Lgs. n. 276/2003, in quanto positivamente certificati o ancora in fase di valutazione, salvo che non si evinca con evidenza immediata e non controvertibile la palese incongruenza tra il contratto certificato e le modalità concrete di esecuzione del rapporto di lavoro“.

Anche per quanto concerne le verifiche sugli appalti illeciti, la Direttiva, nel richiamare il personale ispettivo al fatto che i contratti di appalto e di subappalto dovranno essere oggetto di specifico e attento esame da parte degli ispettori del lavoro, non soltanto nel contesto del settore edile, ma in ogni settore produttivo di beni e servizi, sottolinea che “l'attività investigativa, peraltro, dovrà concentrarsi sui contratti che non sono stati oggetto di certificazione “.

Il ricorso avverso la certificazione

Avverso il provvedimento di certificazione del contratto potrà essere proposto ricorso in via amministrativa o giudiziaria.

Nel primo caso, il ricorso potrà essere proposto al TAR nella cui giurisdizione ha sede la commissione che ha certificato il contratto per violazione del procedimento o per eccesso di potere. In tal caso, l'azione riguarda la richiesta di annullamento dell'atto amministrativo di certificazione e non ha alcun effetto sul contratto, ma solo sulla certificazione. Sono legittimate tutte le parti nei confronti dei quali la certificazione produce effetti. Quindi non sono le parti del contratto ma anche i terzi interessati.

La certificazione può inoltre essere inoltre impugnata dalle parte e dai terzi interessati innanzi al giudice del lavoro.

Va infatti ricordato che rimane al giudice il potere di qualificazione del contratto anche se egli, nella qualificazione del contratto di lavoro e nell'interpretazione delle relative clausole, non può distaccarsi dalle valutazioni delle parti espresse in sede di certificazione.

MOTIVI

DECORRENZA

NOTE

Erronea qualificazione del contratto.

Ex tunc, dalla data di decorrenza certificazione.

È un errore di qualificazione della commissione.

Difformità tra il programma negoziale e la sua successiva attuazione.

Dell'accertamento giudiziale decorre dal momento in cui ha avuto inizio la difformità stessa.

Le parti hanno chiesto la certificazione di un contratto ma successivamente lo hanno disatteso nella fase di svolgimento.

Vizi del consenso

L'oggetto di questa impugnazione non è però l'atto di certificazione ma il contratto certificato, il cui annullamento ai sensi degli articoli 1427 ss. c.c. invalida la stessa certificazione.

Riferimenti

Normativa:

  • D.Lgs. n. 151/2015
  • D.Lgs. n. 149/2015
  • D.Lgs. n. 81/2015
  • D.Lgs. n. 23/2015
  • L. n. 183/2014
  • D.P.R. 14 settembre 2011, n. 177
  • L. 4 novembre 2010, n. 183
  • Art. 27, D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81
  • D.Lgs. 23 aprile 2004, n. 124
  • D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276
  • Art. 6, Legge 3 aprile 2001, n. 142
  • L. 14 febbraio 2003, n. 30
  • Art. 1655 e 2113 c.c.
  • Artt. 409, 410, 411, 412, 808 e 808-ter, c.p.c.

Prassi:

  • Circolare INL, 12 febbraio 2018, n. 4
  • Nota MinLav, 27 giugno 2013, n. 11649
  • MinLav, Interpello 22 dicembre 2009, n.81
  • Direttiva MinLav, 18 settembre 2008

Giurisprudenza:

Per i recenti orientamenti sul tema, v.   Tribunale Udine sez. lav., 27 aprile 2023, n.101;  Cass. civ.,  22 febbraio 2023, n. 5471

  • Tribunale Milano, sent. 8 aprile 2013
  • Trib. Milano sent. 5 marzo 2013
  • Tribunale Milano 29 maggio 2012
  • Trib. Bergamo, sent. 20 maggio 2010, n. 416