Contratto atipico non sinallagmatico (premio-fedeltà): non assoggettabile a IVA

La Redazione
26 Ottobre 2017

Relativamente alla detrazione in ordine ai "premi" corrisposti alla società contribuente dai concessionari di pubblicità a titolo gratuito, la Corte di Cassazione ha ricordato che tale conferimento non può essere qualificato come "corrispettivo", piuttosto dev'essere configurato come mera cessione di denaro, non assoggettabile, dunque, a IVA.

Non sussiste il presupposto impositivo individuato dall'art. 3, 1° comma del d.P.R. n. 633/1972, in una prestazione di servizio "verso corrispettivo" dipendente da un contratto od altro titolo idoneo a vincolare obbligatoriamente le parti all'obbligazione unilaterale di corrispondere un "premio", assunta dal concessionario di pubblicità, a condizione del verificarsi di un evento futuro ed incerto, infatti, non corrispondeva alcuna assunzione di un'obbligazione di facere a carico del soggetto destinatario del premio, restando questo del tutto libero di attivarsi o meno per conseguirlo.

In sostanza la mancata realizzazione del risultato, il mancato procacciamento di clienti o ancora il mancato svolgimento dell'attività di intermediazione non integra a carico della società contribuente una responsabilità per inadempimento contrattuale.

Breve analisi:

La Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 25260/2017, si è pronunciata sulla tematica relativa alla dichiarazione IVA.

L'Agenzia delle Entrate aveva ripreso a tassazione l'imposta portata in detrazione in ordine ai "premi impegnativi" corrisposti alla società contribuente dai concessionari di pubblicità, in quanto erano stati ritenuti "premi-fedeltà" versati a titolo gratuito, senza alcuna assunzione di obbligazioni da parte dei clienti, escludendo dunque la relativa detraibilità.

Quello che la Corte rileva è che nel caso concreto stiamo trattando un contratto atipico non sinallagmatico che neppure in conseguenza dell'avveramento dell'evento si trasforma in un contratto a prestazioni corrispettive a titolo oneroso, in quanto il risultato del raggiungimento di un determinato fatturato mediante l'attività svolta dalla società contribuente è stato dedotto in contratto come condizione e non come obbligazione.

Alla luce di quanto detto il "premio" non può essere qualificato come "corrispettivo" ai sensi dell'art. 3, 1° comma del d.P.R. n. 633/1972 e va piuttosto configurato come mera cessione di denaro, non assoggettabile, dunque, a IVA.

Inoltre si legge nella sentenza che tale disposizione è assolutamente in linea con quanto la giurisprudenza comunitaria ha dettato con la VI direttiva 77/388/CEE che utilizza il criterio distintivo degli atti negoziali "a titolo gratuito" ed "a titolo oneroso" per individuare il presupposto impositivo dell'IVA.

Se vogliamo al riguardo dare una nozione più esaustiva di prestazione di servizi, possiamo ricordare che la giurisprudenza è costante nel ritenere che una prestazione di servizi è effettuata "a titolo oneroso", ai sensi dell'art. 2, solo quando tra l'autore della prestazione e il suo destinatario intercorra un rapporto giuridico nell'ambito del quale avviene uno scambio di prestazioni sinallagmatiche (il compenso ricevuto dal primo costituisce il controvalore effettivo del servizio fornito al secondo).

Dunque l'assoggettabilità ad IVA delle prestazioni di servizi presuppone:

  • la configurabilità di un rapporto giuridico da cui scaturiscono le attribuzioni patrimoniali;
  • reciprocità delle attribuzioni, sussistenza di un nesso diretto tra servizio e compenso.

Per questo che la decisione data dalla Commissione regionale non può trovare conferma in Cassazione. I giudici di merito, infatti, hanno ritenuto corretto qualificare i diritti di negoziazione come corrispettivi tipici: appartenenti ai contratti di intermediazione che prestano servizi dietro corrispettivi e realizzano così il presupposoto del tributo.

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