Misure di prevenzione patrimoniali. Impugnazioni e revocazione dopo la legge 161/2017

17 Novembre 2017

Con la legge 161 del 17 ottobre 2017 trovano accesso nel nostro ordinamento giuridico i principi interpretativi cristallizzati dalla Consulta, dai giudici della Suprema Corte, nonché provenienti dalle legittime istanza della cittadinanza.
Abstract

Tornano d'attualità le sempre più stringenti regole normate nel d.lgs. 159/2011 (c.d. codice antimafia). Così, con l'ormai legge 161 del 17 ottobre 2017 (pubblicata nella Gazzetta ufficiale del 4 novembre 2017) trovano accesso nel nostro ordinamento giuridico i principi interpretativi cristallizzati dalla Consulta, dai giudici della Suprema Corte, nonché provenienti dalle legittime istanza della cittadinanza. A quanti, in questi anni, hanno dovuto fare i conti con l'applicazione della normativa special-preventiva contenuta nel d.lgs. 159/2011, sono ben noti i molteplici profili di criticità, lacunosità e contraddittorietà sottesi all'applicazione delle misure di prevenzione personali e patrimoniali. Accogliamo, pertanto, con un plauso la riforma del codice antimafia approvata con larga maggioranza dal nostro Parlamento. Unica pecca, l'evidente deriva giustizialista del concetto di prevenzione.

Le impugnazioni delle misure di prevenzione patrimoniali e la revocazione della confisca alla luce della riforma del d.lgs. 159/2011

La legge 161/2017, con gli artt. 6 e 7 è intervenuta, significativamente, sul regime delle impugnazioni e della revocazione delle misure di prevenzione patrimoniali, novellando gli artt. 27 e 28 del d.lgs. 159/2011 e le norme in essi richiamate (artt. 10, 24, comma 2. e 46 del d.lgs. 159/2011).

Impugnabilità del decreto che dispone o nega il sequestro e del rigetto della richiesta di confisca ante sequestro

Come ben noto, prima della riforma in esame, l'applicazione pratica delle norme contenute nel d.lgs. 159/2011, all'evidenza regolate dal principio della complementarietà normativa, aveva determinato non poche problematiche ermeneutiche. L'introduzione di un nuovo regime dell'udienza camerale nel giudizio d'appello del provvedimento di confisca e la specifica previsione di un termine entro il quale la Corte avrebbe dovuto definire il procedimento, costituivano novità rilevanti volte a rendere più garantista il procedimento di prevenzione, sottratto per definizione a quel severo accertamento probatorio tipico del processo penale. L'apparente lacunosità della normativa special-preventiva imponeva al giurista l'individuazione di tutte quelle norme c.d. comuni che non fossero espressamente incompatibili con la norma speciale.

Da quanto testè rilevato, la disciplina delle impugnazioni in materia di prevenzione, palesò criticità sottese, per lo più, alla necessità di colmare le lacune tipiche di un sistema di norme non autosufficienti e, per detta ragione, claudicanti. Tuttavia, già il Legislatore del 2011 aveva saggiamente previsto di uniformare la disciplina delle misure di prevenzione a quella delle misure di sicurezza, così normando con il comma 4 dell'art. 10 del citato decreto, una clausola di salvezza con espresso rinvio, in quanto applicabili alle norme del codice di procedura penale «riguardanti la proposizione e la decisione dei ricorsi relativi all'applicazione delle misure di sicurezza». Risolta, pertanto, la questione afferente alla incompletezza della disciplina della “prevenzione”, ad onor del vero, chi scrive, fatto salvo il pericoloso ampliamento dei “candidati” alla misura e dei reati costituenti il presupposto dell'attenzione special preventiva, ritiene insufficiente ed inadeguato l'intervento di riforma. Invero, l'intento sistematico continua a non essere adeguatamente raggiunto. Il codice antimafia, il cui ambito applicativo oggi si estende anche ad evasori e corrotti (dette categorie non esauriscono i soggetti ed i reati attenzionati dalla prevenzione), ha semplicemente codificato, sotto il profilo procedurale, quanto già adeguatamente disciplinato dalle norme comuni. Sul punto non può, di certo, sottacersi il pregevole intervento del giudice delle leggi e della dottrina che, a macchia di leopardo, sono via via intervenuti per uniformare, ove possibile e necessario, la disciplina delle misure di prevenzione a quella delle misure di sicurezza, ed a rendere meno contraddittoria con se stessa la legislazione speciale.

Passando all'esame delle novità, o quasi, introdotte dalla l. 161/2017, rileva osservare che tra i soggetti legittimati ad impugnare i provvedimenti di prevenzione, viene oggi inserito, formalmente, anche il difensore. Invero, il principio di complementarietà e la scelta sistemica del nostro Legislatore, non hanno mai generato seri dubbi circa l'autonoma prerogativa del difensore a proporre l'impugnazione. Per la stessa ragione, anche in materia di prevenzione trovano applicazione i principi generali. In materia di impugnazioni, basterebbe avere a mente il tenore dell'art. 680 c.p.p. il cui terzo comma, in materia di misure di sicurezza, espressamente rinvia alle disposizioni generali sulle impugnazioni, specificando l'effetto non sospensivo dell'appello salvo che il tribunale disponga altrimenti.

Rilevato che la riconosciuta “dignità normativa” al difensore non costituisce una novità per il regime delle impugnazioni, passeremo all'esame della riforma avendo riguardo ai provvedimenti impugnabili.

Pertanto, ricordando che alle impugnazioni previste dall'art. 27 si applicano le regole sancite nell'art. 10 dello stesso d.lgs., il difensore prima di proporre impugnazione avverso ad uno qualsiasi dei provvedimenti della prevenzione, dovrà verificare se detto atto rientri tra quelli tassativamente impugnabili. Ed ecco che la riforma segna un punto a suo favore. Infatti, stante il principio di tassatività delle impugnazioni, la vecchia stesura dell'art. 27, comma 1, individuava solo la seguente tipologia di atti impugnabili:

a) provvedimento del Tribunale che dispone la confisca dei beni sequestrati;

b) provvedimento di revoca del sequestro;

c) provvedimento di restituzione della cauzione;

d) provvedimento di liberazione delle garanzie;

e) Provvedimento di confisca della cauzione o la esecuzione sui beni costituiti in garanzia;

ad essi, la novella del 2017, recependo le spinte dottrinarie e giurisprudenziali, anche di rango costituzionale, ha aggiunto:

f) provvedimento di applicazione del sequestro;

g) provvedimento di diniego del sequestro;

h) provvedimento di rigetto della richiesta di confisca qualora non sia stato precedentemente disposto il sequestro.

Prima di procedere oltre, al fine di offrire al lettore un adeguato strumento operativo, si rammenta che tra i provvedimenti impugnabili, vanno inclusi anche quelli indicati dal comma 3 dell'art. 68 e 34, comma 7, che, non a caso, rinviano all'art. 27:

i) provvedimento di decadenza da licenze;

j) provvedimenti di concessioni o iscrizioni nei confronti di terzi;

k) provvedimento che dispone la confisca dei beni che si ha motivo di ritenere siano il frutto di attività illecite o ne costituiscano il reimpiego.

In vero, a mente dell'art. 568 c.p.p. (principio di tassatività dei provvedimenti impugnabili), la portata della riforma non è di poco momento. Oggi rientrano tra i provvedimenti impugnabili anche quelli previsti dagli artt. 20, 21 e 22 per i quali era escluso il gravame. Non può che apprezzarsi il contenuto garantista della norma in esame in quanto anticipatoria di tutele diversamente posticipate al provvedimento ablatorio della confisca.

Individuati i soggetti legittimati a proporre il gravame e i provvedimenti impugnabili, passiamo ad analizzare le novità introdotte sotto i profilo procedurale in senso stretto.

I soggetti indicati all'art. 10, comma 1, possono proporre impugnazione, avverso i provvedimenti tassativamente elencati all'art. 27, comma 1, giusto il rinvio sancito al comma 2 del medesimo articolo, entro il termine perentorio di 10 giorni già previsto dal comma 2 dell'art. 10. Detto termine decorrerà dalla “comunicazione” del provvedimento. L'impugnazione andrà presentata, a pena di inammissibilità (art. 591, comma 1, lett. c) c.p.p.), presso la cancelleria del giudice che ha adottato il provvedimento ablatorio (si applicano le regole generali previste dagli artt. 582 e 583 c.p.p.). In questa fase si inserisce il comma 1-bis dell'art. 10 che offre maggiori garanzie per il soggetto ablato. Il procuratore della Repubblica, avuta conoscenza dell'impugnazione, trasferirà il fascicolo al procuratore generale presso la Corte d'appello competente e in esso confluiranno tutti gli atti eventualmente sopravvenuti dopo la decisione del tribunale; di detti atti la parte avrà immediata conoscenza mediante avviso di deposito degli stessi nella segreteria del procuratore generale.

Il presidente della Corte d'appello fissa l'udienza camerale con le modalità previste dal comma 3 dell'art. 666 c.p.p., inserendo nell'avviso l'avvertimento che l'udienza, a richiesta di parte, potrà essere pubblica (comma 2 art. 10). È appena il caso di ricordare che il diritto alla pubblicità dell'udienza, qualora l'interessato ne faccia richiesta, costituisce, sin dalla prima stesura del comma 2 dell'art. 10, il naturale recepimento del principio già sancito dal giudice delle leggi con la sent. n. 93 del 2010. Ancor prima del citato intervento della Corte costituzionale, la Corte Edu aveva sanzionato l'Italia in relazione al previgente art. 4 della l. 1423 del 1956, ritenuto in aperta violazione dell'art. 6 § 1 Cedu. All'approdo normato al comma 2 dell'art. 10 si è pervenuti tra non poche difficoltà ermeneutiche scaturite dalla necessità di contemperare il diritto alla facoltà di scegliere l'udienza pubblica con la natura special-preventiva delle norme sulle misure di prevenzione. Non è un caso, infatti, che la questione sia stata oggetto di molteplici pronunce degli Ermellini, scaturite dalle sentenze nn. 348 e 349 del 2007 della Corte costituzionale e, da ultimo, dalla sent. n. 80 del 2011.

Il ricorso sarà deciso entro 30 giorni dalla sua proposizione ma detto termine è meramente ordinatorio.

Pendenza del giudizio in Cassazione e sospensione del provvedimento di revoca del sequestro adottato in appello

Il decreto della Corte d'appello può essere gravato da ricorso in cassazione, entro 10 giorni, esclusivamente per violazione di legge giusto il rinvio del comma 4 dell'art. 10 alla disciplina delle misure di sicurezza (l. 1423/1956). Il ricorso va proposto facendo riferimento ai principi generali, sanciti agli artt. 582 e 583 c.p.p., che governano le impugnazioni. La riforma, con l'inserimento del comma 3-bis all'art. 10, estende al ricorso per cassazione le disposizioni previste ai commi 2-bis e 2-ter dello stesso articolo. Pertanto, l'effetto non sospensivo del ricorso per cassazione, già normato ex art. 10, comma 3, con la riforma del comma 1 dell'art. 27 e in combinato disposto con il comma 2 del medesimo articolo e il comma 3-bis dell'art. 10, si applica anche ai provvedimenti di revoca del sequestro adottati in appello. Quanto testé affermato va sempre conciliato con quanto previsto dal comma 3-bis del novellato art. 27. Infatti, qualora la Corte d'appello in riforma del decreto di confisca emesso dal Tribunale disponga la revoca del sequestro, al procuratore generale è consentito di avanzare istanza di sospensione del provvedimento nel termine di 10 giorni dall'avvenuta comunicazione dello stesso. Qualora la Corte d'Appello, nei successivi dieci dalla presentazione dell'istanza, non provveda conformemente, il dissequestro diviene definitivo. Orbene, rilevato che il ricorso in cassazione non ha effetto sospensivo, tanto per il soggetto ablato che per la procura generale, il comma 3-bis dell'art. 27 introduce nel d.lgs. 159/2011 un trattamento di “favore” per la procura generale all'evidenza a danno del proposto. La norma citata consente di aggirare l'esclusione dell'effetto non sospensivo del ricorso per cassazione consentendo alla Corte d'appello di disporre la sospensione della revoca del sequestro fino alla definitiva pronuncia. La norma, pur ponendo in una posizione di privilegio l'autorità inquirente, conferma la natura special-preventiva cui si ispira la legislazione in esame. Pertanto, al soggetto ablato, per poter ritornare in possesso di quanto oggetto di sequestro, non rimarrà che attendere la pronuncia definitiva sulla misura di prevenzione patrimoniale o, come prevede il comma 3 dell'art. 27, che il giudice procedente disponga la revoca.

Quanto ai vizi deducibili, il ricorso per cassazione non potrà essere proposto per lamentare l'illogicità della motivazione ma esclusivamente la mancanza di motivazione in quanto, in tale ipotesi, la decisione gravata si paleserebbe assunta in violazione di norme processuali (art. 606 lett. c) c.p.p.). La questione è stata oggetto di innumerevoli interventi della Consulta e della dottrina ma l'esito degli stessi conduce a una severa e stringente qualificazione della violazione di legge quale unico vizio emendabile in cassazione. Rileviamo, tuttavia, che anche la motivazione meramente apparente possa essere parificata alla motivazione mancante, laddove non può che rilevarsi la violazione dell'obbligo imposto a giudice dell'appello di motivare il decreto.

Applicabilità dell'art. 24 comma 2 anche in caso di annullamento del decreto di confisca con rinvio al tribunale

Trattando delle decisioni conseguenti alle impugnazioni, la riforma, con l'introduzione del comma 3-bis dell'art. 10, estende, sostanzialmente, la disciplina già prevista al comma 3, anche ai provvedimenti della Corte d'appello che, in riforma del decreto di confisca, dispongono la revoca del sequestro. Come accadeva per i provvedimenti del tribunale di revoca del sequestro, i provvedimenti della Corte d'appello divengono esecutivi decorsi 10 giorni dalla comunicazione alle parti se non interviene richiesta di sospensione da parte del procuratore generale; in tal caso, la Corte dovrà decidere, entro ulteriori 10 giorni dalla presentazione della richiesta di sospensione, se accoglierla o respingerla. Al rigetto segue l'esecutività della revoca del sequestro che diversamente rimarrà sospesa fino alla definizione del procedimento di prevenzione.

Pur nella consapevolezza della natura special-preventiva del codice antimafia, a nostro avviso è iniquo il doppio binario previsto in tema di sospensione dell'esecutività dei provvedimenti della prevenzione. Più precisamente, se da un lato può ben comprendersi che il ricorso proposto contro i provvedimenti ablatori non ne sospenda l'efficacia, non riteniamo lo stesso possa dirsi per le sospensioni previste ai commi 3 e 3-bis dell'art. 27 in caso di istanza spiegata dal pubblico ministero o dal procuratore generale. Se la prevenzione, per definizione, può porsi in termini prioritari rispetto ai diritti di rango costituzionale del soggetto proposto, nella fase dell'emergenza, appare ingiustificabile il sacrificio che si chiede a quest'ultimo laddove è già intervenuta un'accurata valutazione giurisdizionale ad opera del tribunale o della Corte d'appello. Ciò non di meno, la riforma, è coerente anche con il recente intervento delle Sezioni unite del 23 febbraio 2017 (depositata il 27 aprile 2017) in relazione all'individuazione degli atti impugnabili ex art. 27, commi 1 e 2.

Per converso, si apprezza l'inserimento del comma 6-bis nell'art. 27. Il Legislatore ha ritenuto, infatti, di estendere la certezza temporale connessa alla durata della confisca in caso di appello, anche all'ipotesi di annullamento del decreto di confisca con rinvio al tribunale; in entrambi i casi la pronuncia del “giudice” dovrà intervenire, pena la perdita di efficacia, entro un anno e sei mesi dal deposito del ricorso o dalla ricezione degli atti in caso di rinvio. Per completezza, si segnala che il rinvio al comma 2 dell'art. 24, come integralmente sostituito dalla legge di riforma, prevede espressamente le ipotesi di proroga e sospensione del termine dianzi indicato.

Giudice competente per la revocazione e le restituzioni ex art. 46

Anche la disciplina della revocazione del provvedimento di confisca ha subito l'intervento riformatorio della l. 161/2017. Nulla cambia, rispetto alla previgente formulazione dell'art. 28 del d.lgs. 159/2011, in ordine ai presupposti per la proposizione dell'istanza che rimangono tassativamente previsti dal comma 1 lett. a), b) e c) dell'articolo in esame. Analogamente immutati sono gli obiettivi cui deve volgere l'istanza di revocazione (comma 2), nonché il termine di proponibilità della stessa e sua decorrenza (comma 3). Gli interventi sostanziali, dei quali si apprezzano l'effetto deflattivo sulla procedura e l'individuazione di coordinate certe in merito alle competenze giurisdizionali, si individuano nella modifica del comma 1 dell'art. 28 e nella sostituzione integrale del comma 4. Sebbene in maniera pleonastica, la norma indica, espressamente, la Corte d'appello quale giudice della revocazione, la Corte competente a decidere deve essere individuata secondo i criteri sanciti dall'art. 11 c.p.p. Si osserva che già la previgente disposizione rinviava all'art. 630 c.p.p. la disciplina della revocazione, sicché, prescindendo dalla novella, non potevano sorgere dubbi interpretativi circa l'individuazione del giudice della revocazione.

Si rileva, per converso, il pregio della integrale modifica del comma 4 dell'art. 28. Il comma abrogato prevedeva, infatti, che alla revocazione della confisca seguisse la trasmissione degli atti al tribunale che aveva disposto la misura al fine di provvedere alle restituzioni ex art. 46 d.lgs. 159/2011. L'effetto deflattivo della riforma evita un inutile, quanto defatigante rimbalzo di competenze in danno del soggetto ablato. Oggi sarà la Corte d'appello a provvedere direttamente, in caso di accoglimento della richiesta di revocazione, alle restituzioni ex art. 46.

In conclusione

La l. 161 del 17 ottobre 2017, risponde, certamente, ad una diffusa esigenza di adeguamento delle previgenti norme contenute nel d.lgs. 159/2011 ai molteplici interventi, sia della Consulta che della dottrina, che negli ultimi sei anni hanno caratterizzato l'uso della prevenzione. Tuttavia, se la riforma merita un plauso in relazione alla risoluzione di palesi contrasti interpretativi, per altro verso rappresenta un'ennesima occasione mancata dal nostro Legislatore verso l'auspicata semplificazione del codice antimafia. La tecnica dei rinvii, l'imprescindibile ricorso al principio della complementarietà tra norme ordinarie e norme speciali, rendono particolarmente complesso il corretto uso dello strumento normativo. Ne discenderà l'invitabile ricorso alla funzione nomofilattica del Supremo Collegio e, verosimilmente, alla Consulta. L'evidente, quanto discutibile, allargamento degli illeciti penali rientranti tra le priorità della prevenzione, rappresenta, a nostro avviso, una preoccupante deriva giustizialista. Percepiamo un evidente rischio di applicazione a maglie larghe delle misure, senza che il “codice” offra, in funzione della natura special-preventiva delle norme in esame, una adeguata e bilanciata tutela giudiziaria. Basti pensare alla sospendibilità, previa istanza e ricorso della procura generale, del provvedimento di revoca del sequestro adottato dalla Corte d'appello. Riteniamo, per converso, apprezzabile l'ampliamento della tassativa previsione dei provvedimenti impugnabili (decreto che dispone o nega il sequestro e rigetto della richiesta di confisca ante sequestro), nonché la previsione di un limite temporale della durata della confisca anche in caso di annullamento del decreto di confisca con rinvio al tribunale (ex art. 27, comma 6-bis), nonché l'attribuzione alla Corte d'appello del potere di disporre direttamente, e senza rinvio al giudice procedente, le restituzioni per equivalente (art. 46).

Riteniamo probabile che nei prossimi anni possa rendersi necessario un ulteriore intervento riformatorio dell'intera disciplina delle misure di prevenzione.

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