La modifica statutaria dei quorum deliberativi e il diritto di recesso

Enrica Piacquaddio
05 Dicembre 2017

La delibera con cui una s.p.a. modifica i quorum deliberativi per l'assemblea ordinaria e straordinaria non legittima il recesso del socio, non comportando una modifica concernente il diritto di voto o di partecipazione ex art. 2437, comma 1, lett. g) c.c.
Massima

La delibera con cui una s.p.a. modifica i quorum deliberativi per l'assemblea ordinaria e straordinaria non legittima il recesso del socio, non comportando una modifica concernente il diritto di voto o di partecipazione ex art. 2437, comma 1, lett. g) c.c.

Il caso

Tre soci recedono da una società per azioni a seguito dell'adozione di una delibera di modifica dello statuto della società che modifica i quorum deliberativi dell'assemblea ordinaria e straordinaria, fino a quel momento stabiliti, rispettivamente, nella maggioranza assoluta e nei due terzi del capitale sociale, riducendoli in conformità alle previsioni degli artt. 2368 e 2369 c.c.

La domanda con cui si richiede di accertare la legittimità del recesso viene accolta in primo grado dal Tribunale di Bergamo e respinta in secondo dalla Corte d'appello di Brescia. I tre soci propongono, quindi, ricorso per cassazione con un unico motivo, avente ad oggetto la corretta interpretazione dell'art. 2437, comma 1, lett. g) c.c., a tenore del quale “hanno diritto di recedere (…) i soci che non hanno concorso alle deliberazioni riguardanti: (..) g) le modificazioni dello statuto concernenti i diritti di voto o di partecipazione”.

Le questioni giuridiche

La Cassazione, che è chiamata per la prima volta ad interpretare la norma sottoposta al suo esame (introdotta, come noto, con la riforma del 2003), respinge il ricorso, ma, al contempo, avverte la necessità di correggere la motivazione della sentenza impugnata.

In un primo passaggio, la Cassazione prende le distanze dall'affermazione della Corte bresciana secondo cui la disciplina del recesso richiederebbe sempre una interpretazione restrittiva, atteso che il recesso comporta un depauperamento del patrimonio sociale e un danno per i creditori sociali.

Riassumendo le novità della riforma del diritto societario, la S. C. ritiene che l'approccio interpretativo restrittivo, formatosi sulla disciplina previgente, è “inattuale”, considerato, fra l'altro, che il legislatore del 2003 “ha nel complesso inteso ampliare l'ambito in cui può dispiegarsi il diritto di recesso (…) e in definitiva ha inteso favorire il disinvestimento allo scopo di promuovere l'investimento in società”. Aggiunge la Corte che non necessariamente il recesso del socio incide sulla consistenza del patrimonio sociale, “dovendo gli amministratori liquidare il socio recedente mediante l'offerta delle azioni in opzione agli altri soci o a terzi, oppure mediante l'acquisto come azioni proprie (art. 2437 quater c.c.)”. Rispetto a queste ipotesi, la liquidazione del socio receduto con la riduzione del capitale sociale, che presuppone altresì la mancanza di utili e riserve disponibili, è un'ipotesi residuale.

Sgombrato il campo dall'opzione ermeneutica necessariamente restrittiva sulla disciplina del recesso, la Cassazione avvia l'esame della norma rilevando che l'espressione “modificazioni dello statuto concernenti i diritti di voto o di partecipazione” si presta a diverse soluzioni, con riguardo all'identificazione dei diritti ed all'incidenza che le modificazioni statutarie devono avere su di essi, se solo diretta o anche indiretta.

Sulla prima questione, la Corte ritiene che i “diritti di voto” siano quelli disciplinati dall'art. 2351 c.c. e che i “diritti di partecipazione” siano soltanto quelli “di partecipazione agli utili” e non anche i diritti amministrativi connessi alla qualità di socio: un'interpretazione estensiva della norma sembra inappropriata alla Corte perchè i diritti amministrativi comprendono il diritto di voto, per cui è evidente che il legislatore ha inteso dare rilevanza alternativa (la norma usa la disgiunzione “o”) ai diritti di voto, fra quelli amministrativi, ed ai diritti di partecipazione agli utili fra quelli economici. Questa soluzione dichiaratamente “restrittiva”, appare preferibile alla Corte “al fine di contemperare la tutela del socio con l'interesse conservativo della società e del patrimonio sociale, così da circoscrivere l'ambito di operatività del recesso in ragione degli effetti disgregativi dell'exit sul capitale sociale e sulla società”.

Su queste premesse, la Corte conclude che la modifica dei quorum deliberativi non incide sui diritti di partecipazione agli utili, né sui diritti di voto, in quanto gli uni e gli altri non vengono in alcun modo pregiudicati dalla modifica, neppure in via indiretta, giacché la delibera impugnata non modifica i criteri di suddivisione degli utili, né di attribuzione dei diritti di voto il diritto agli utili.

Osservazioni

Nell'aderire all'interpretazione restrittiva della norma, ed in particolare dei “diritti di partecipazione”, la Corte ha fatto suoi quei contributi dottrinali orientati in tal senso (fra i quali, Paciello, Commento all'art 2437 c.c., in Società di capitali, Commentario a cura di Niccolini-Stagno d'Alcontres, Napoli, 2004., 1113; Cagnasso, Il recesso, in Trattato di diritto commerciale, diretto da G. Cottino, IV, Le società per azioni, 956 ss.).

La soluzione suscita tuttavia qualche dubbio, alimentato da altri contributi dottrinali e giurisprudenziali.

Ad esempio, pur dichiarando di preferire un'interpretazione restrittiva della normativa sul recesso, altro autore ha ritenuto che non è possibile ravvisare una logica giustificazione nella discriminazione fra diritti di partecipazione patrimoniali e diritti di partecipazione amministrativi (Calandra Buonaura, Il recesso del socio di società di capitali, in Giur. Comm, 2005, 205).

In giurisprudenza (Trib. Milano, 31 luglio 2015 n. 9189) si è affermato - in consapevole dissenso con Trib. Roma 30 aprile 2014 e con App. Brescia 2 luglio 2014 (poi confermata con la sentenza in commento) - che spetta al socio assente o dissenziente il diritto di recesso quando la delibera sopprima il voto di lista che assicurava la nomina di amministratori anche alla minoranza.

Nella sua motivazione, il Tribunale interpreta l'art. 2437, comma 1, lett. g) nel senso che il recesso del socio è legittimo se conseguente all'adozione di una delibera che modifichi i diritti di partecipazione amministrativi, fra i quali “va senz'altro ricompreso il diritto del socio di presentazione di lista per la nomina dell'organo amministrativo, tale presentazione rivolvendosi (…) nella facoltà (…) di “partecipare” (…) ad una delle scelte organizzative vitali per l'ente”.

Occorre dire che, al pari della sentenza in commento, anche il Tribunale di Milano era partito nella sua disamina dall'analisi della nuova normativa di recesso, rilevando che l'ampliamento dei casi di recesso “rappresenta lo strumento più efficace di tutela per il socio”.

Il pregio della sentenza milanese è quello di restare logicamente coerente a queste premesse nella sua decisione del caso concreto.

A sostegno dell'interpretazione del Tribunale milanese si può notare che il codice usa frequentemente il termine “partecipazione” dando per sottintesa la locuzione “al capitale sociale”, con implicito riferimento, ci pare, al complesso di diritti ed obblighi derivanti dalla sottoscrizione di quote od azioni: ad esempio, l'art. 2346 c.c. al primo comma dispone, in tema di società per azioni, che “La partecipazione sociale è rappresentata da azioni” (in senso conforme cfr. l'art. 2452 c.c. in tema di società in accomandita per azioni; in senso opposto cfr. l'art. 2313, comma 2, in materia di società in accomandita semplice: “Le quote di partecipazione dei soci non possono essere rappresentate da azioni”); ancora, l'art. 2361 c.c. disciplina l'assunzione di partecipazioni di una società per azioni in altre società, vietandola “se per la misura e per l‘oggetto della partecipazione ne risulta sostanzialmente modificato l'oggetto sociale”; l'art. 2449 c.c. disciplina il caso di società con partecipazione dello Stato o di enti pubblici al capitale sociale; l'art. 2463 c.c. prescrive che l'atto costitutivo della società a responsabilità limitata deve indicare “la quota di partecipazione di ciascun socio”.

Al contrario, quando intende riferirsi al solo aspetto economico, il codice usa le espressioni “partecipazione agli utili” e/o “alle perdite”: si confrontino, ad esempio, gli artt. 2263, 2264 e 2265 per le società di persone; l'art. 2335 che impone all'assemblea dei sottoscrittori della S.p.A. - se costituita per pubblica sottoscrizione- di deliberare sulla “riserva di partecipazione agli utili fatta a proprio favore dai promotori” (su cui cfr. ancora gli artt. 2340 e 2432).

In conclusione, affermare che i diritti di partecipazione previsti nella norma in commento sono soltanto quelli economici non sembra giustificato né sul piano letterale, né su quello sistematico; l'argomento usato dalla Cassazione, secondo cui i diritti di partecipazione non possono includere anche quelli amministrativi, perché diversamente non avrebbe senso la disgiunzione rispetto ai “diritti di voto” (che sono diritti amministrativi per eccellenza), è assai debole.

In senso diametralmente opposto, infatti, si potrebbe affermare che proprio la disgiunzione usata dalla norma autorizza l'inclusione dei diritti amministrativi di partecipazione fra quelli rilevanti ai fini del recesso, la lettera risultando: “la modifica dei soli diritti di voto o di ogni altro diritto di partecipazione”.

Appaiono condivisibili, invece, due passaggi ulteriori della sentenza che sembrano lasciare aperta la possibilità di una lettura più flessibile della norma esaminata.

La Corte afferma che è ammissibile il recesso del socio quando la delibera incida anche solo indirettamente sui suoi diritti di voto o sui suoi diritti di partecipazione agli utili.

Quale esempio di delibera siffatta, la Cassazione indica l'innalzamento dell'entità degli utili attribuiti alle azioni privilegiate, con conseguente pregiudizio indiretto ai diritti economici del socio detentore di azioni ordinarie.

Con questa lettura della norma, la Corte va di contrario avviso rispetto a quegli autori che ne hanno ritenuto preferibile l'interpretazione restrittiva, con l'effetto di limitare il recesso a quelle delibere che hanno direttamente leso i diritti di voto o di partecipazione dei soci assenti o dissenzienti (fra i quali, Angelici, Sull'art. 2437, primo comma lett. g) del c.c. in Riv. Not., 2014, 871; Maffei Alberti, Commentario breve al diritto delle società, art. 2437, 207, 1194).

Conclusioni

L'interpretazione della Corte sembra ineccepibile, considerato, fra l'altro, che l'ipotesi restrittiva riduce eccessivamente il perimetro di esercizio del recesso ad ipotesi remote- e in molti casi certamente illegittime- nelle quali la maggioranza sopprima diritti di voto o diritti di partecipazione (agli utili) della minoranza.

Da ultimo, con un obiter dictum, la Corte afferma che l'interpretazione restrittiva da essa propugnata non abilita la maggioranza di una società a introdurre modifiche dei quorum deliberativi il cui unico fine sia quello di ridurre il peso delle minoranze, perchè queste delibere sarebbero certamente annullabili sotto il profilo dell'abuso di potere.

Se non avrà diritto di recesso, dunque, il socio di minoranza godrà di uno strumento di tutela alternativo nei confronti di una maggioranza che ne voglia illegittimamente comprimere i diritti.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.