Misure di prevenzione. Cosa cambia in materia di tutela dei terzi e rapporti con le procedure concorsuali?

Claudio Papagno
06 Dicembre 2017

La tutela dei terzi nelle procedure di prevenzione patrimoniale e i rapporti con le procedure concorsuali rappresenta, senza ombra di dubbio, una delle novità più rilevanti della riforma del codice antimafia apportata con la legge 17 ottobre 2017, n. 161. Gli articoli che hanno apportato delle sostanziali modifiche al Titolo IV del Libro I del d.lgs. 159 del 2011 vanno dal 20 e al 22 ma non va trascurato anche ...
Abstract

La tutela dei terzi nelle procedure di prevenzione patrimoniale e i rapporti con le procedure concorsuali rappresenta, senza ombra di dubbio, una delle novità più rilevanti della riforma del codice antimafia apportata con la legge 17 ottobre 2017, n. 161. Gli articoli che hanno apportato delle sostanziali modifiche al Titolo IV del Libro I del d.lgs. 159 del 2011 vanno dal 20 e al 22 ma non va trascurato anche l'articolo 5 della riforma che ha modificato l'art. 23, comma 4, del suddetto codice in relazione alle prerogative partecipative del terza interessato, ampliando il ventaglio dei soggetti legittimati ad intervenire nel camera di consiglio.

La modifica dell'art. 23, comma 4 d.lgs. 159 del 2011

Cominciamo proprio dall'art. 5 della riforma che ha ampliato le prerogative partecipative del terzo interessato e, in particolare, dei «terzi che vantano diritti reali o personali di godimento nonché diritti reali di garanzia sui beni in sequestro». Costoro, infatti, al pari dei proprietari o comproprietari dei beni sequestrati, «nei trenta giorni successivi all'esecuzione del sequestro, sono chiamati dal tribunale ad intervenire nel procedimento con decreto motivato che contiene la fissazione dell'udienza in camera di consiglio».

Vi è, sostanzialmente, una sorta di equiparazione dei titolari di diritti reali o personali di godimento e dei diritti reali di garanzia agli altri terzi interessati, permettendo che anche loro usufruiscano del contraddittorio come forma di garanzia delle proprie ragioni, attesa la possibilità che il provvedimento ablativo possa, potenzialmente, coinvolgere o, meglio, travolgere, le proprie posizioni soggettive.

(Segue). Le prerogative partecipative delle controparti nei giudizi civili di cognizione

Anche per quanto concerne i giudizi civili di cognizione, trascritti prima che sia intervenuto il provvedimento di sequestro (o qualunque atto che determini la conoscenza ufficiale del procedimento di prevenzione), oltre ad essere prevista la sospensione del relativo procedimento giudiziale civile fino alla conclusione del procedimento di prevenzione, è sancita la possibilità per il terzo “parte” del suddetto giudizio civile – a tenore dell'art. 55, comma 3, d.lgs. 159 del 2011, come strutturato a seguito della riforma, di «intervenire nel procedimento di prevenzione ai sensi degli articoli 23 e 57». Come si vedrà da qui a breve, il giudizio di cognizione è suscettibile di incidere su tutte queste posizione soggettive, svuotando di contenuto qualsivoglia posizione ritenuta, sotto il profilo civilistico, degna di assoluta tutela. Cosicché, eliminando ogni possibilità di parallelismo con altri giudizi incidenti su tali beni (non a caso è prevista la sospensione del processo civile), è comunque prevista la possibilità per i titolari di queste posizioni soggettive di intervenire all'interno dello stesso procedimento di prevenzione. Si garantisce, così, il simultaneus processus dinanzi al giudice della prevenzione.

La modifica dell'art. 52 d.lgs. 159 del 2011

In primis, l'art. 20 della legge 161 del 2017 ha modificato l'art. 52 del codice antimafia, nelle due articolazioni, indicate con le lettere a) e b), in cui il Legislatore delinea il compendio patrimoniale cui il creditore – terzo interessato – potrà soddisfarsi per i crediti vantati nei confronti del proposto. Più che una reale novità legislativa, invero, si tratta di un chiarimento – una sorta di interpretazione autentica – da giudicare positivamente per le facilitazioni che si riconoscono al creditore che, suo malgrado, vede colpire da misura di prevenzione il patrimonio del proprio debitore.

La disciplina ante riforma, per il recupero del credito, prevedeva una procedura piuttosto macchinosa e dagli esiti incerti che, spesso, finiva per “scoraggiare” il terzo intenzionato a recuperare il proprio credito. Era previsto, infatti, che la possibilità di rivalersi sul patrimonio sottoposto a misura di prevenzione fosse subordinata alla circostanza che «l'escussione del restante patrimonio del preposto sia risultata insufficiente al soddisfacimento del credito».

Insomma, il creditore intenzionato a far valere il proprio diritto era oberato di un “doppio passaggio”: dapprima, avrebbe dovuto compiere atti esecutivi sui beni del proposto non colpiti dalla misura di prevenzione e, solo dopo aver dimostrato incapienza di tale passaggio, “aggredire” i beni sottoposti a misura di prevenzione. Tale prerogativa, conosciuta con il termine beneficium excussionis, nell'esperienza applicativa si è dimostrata fortemente negativa per le ragioni del creditore laddove, per struttura e natura, il patrimonio del debitore finisce per essere interamente interessato dalla procedura di prevenzione. In questo caso, il primo dei passaggi sarebbe stato del tutto inutile e, una lettura rigorosamente formale del dettato normativo, finiva per danneggiare le ragioni del creditore.

La nuova formulazione ha eleminato il beneficium excussionis, prevedendo che «che il proposto non disponga di altri beni sui quali esercitare la garanzia patrimoniale idonea al soddisfacimento del credito, salvo che per i crediti assistiti da cause legittime di prelazione su beni sequestrati» (art. 52, lett. a), d.lgs. 159 del 2011). Sarebbe più esatto, in realtà, dire che il beneficio in parola non sia stato completamente eliminato, piuttosto, è stato attenuato, sostituendo all'onere del compimento di atti esecutivi, la mera prova circa l'assenza di ulteriori beni (rispetto a quelli attinti dalla misura di prevenzione) riconducibili alla garanzia patrimoniale fornita dal debitore.

Più complessa appare la riforma apportata alla lettera b) dello stesso articolo, laddove si sancisce che il credito vantato dal terzo, per poter essere opposto ai beni sottoposti a misura di prevenzione «non sia strumentale all'attività illecita o a quella che ne costituisce il frutto o il reimpiego, sempre che il creditore dimostri la buona fede e l'inconsapevole affidamento».

In particolare, è il concetto di buona fede a destare più di una perplessità ma non solo: si pensi al collegamento – che non sarebbe più ostativo – tra l'attività illecita e il credito vantato. Più specificamente si parla di buona fede e inconsapevole affidamento, concetti che, dopo una faticosa attività interpretativa, si era riusciti ad inquadrare nel perimetro penalisti di cui all'art. 240 c.p. laddove si rinviene il più penetrante concetto di estraneità al reato inteso come assenza di vantaggio, di qualsiasi natura, rinveniente dall'attività illecita altrui; a meno che, non si dimostri una condizione soggettiva di non conoscenza di siffatta circostanza fattale, nonostante l'uso della normale diligenza.

Di qui, il più affinato presupposto dell'inconsapevole affidamento che si rinviene nella fiducia che si riporrebbe nella liceità di una determinata operazione economica di cui non si potrebbe sospettare, nemmeno utilizzando la normale diligenza.

Insomma l'inconsapevole affidamento sarebbe una particolare esplicazione del concetto più generale di buona fede, il suo inserimento all'interno della norma riformata è dettata, per lo più, dall'esigenza di “statualizzare” l'orientamento sedimentato in sede di giurisprudenza in anni di prassi applicativa.

Il discorso, però, si fa più complesso laddove occorra fornire un confine chiaro e intellegibile del concetto di buona fede. Sul punto, l'eterogeneità dei casi pratici induce a più di una riflessione che, inevitabilmente, si traduce in una rinuncia ad ogni tentativo di astrazione di siffatto concetto. Può, ad esempio, ritenersi non in buona fede il soggetto che sia a conoscenza delle vicissitudini giudiziarie del proprio contraente? O questa circostanza potrebbe rappresentare una spia della illiceità dell'attività condotta da quest'ultimo? Interrogativi a cui la riforma non da risposte – nemmeno potrebbe – ma che lasciano l'operatore nella situazione di partenza, senza offrire un criterio orientativo certo che garantisca l'uniformità di applicazione della norma.

(Segue). La tutela dei diritti reali di garanzia

Ai diritti personali e reali di godimento, la nuova formulazione dell'art. 52, comma 4, d.lgs. 159 del 2011 aggiunge anche i diritti reali di garanzia tra i contratti suscettibili di scioglimento una volta giunto il provvedimento di confisca definitiva. A siffatta statuizione, si contrappone la disciplina di cui all'art. 23, comma 4, d.lgs. 159 del 2011 che riconosce il diritto di costoro alla partecipazione al procedimento di prevenzione. Tuttavia, ove quest'ultimo conduca alla confisca dei beni del proposto, il creditore c.d. privilegiato si troverebbe nelle stesse condizioni del creditore chirografario, nonostante dal punto di vista civilistico le due posizioni giuridiche abbiano una disciplina piuttosto diversa; è solo il caso di ricordare, infatti, che l'art. 2741 c.c. prevede non solo il diritto per il creditore privilegiato di essere preferito rispetto agli altri ma anche il diritto di soddisfarsi sui beni oggetto di garanzia, ancorché questi siano usciti dalla sfera di disponibilità del debitori. Sicché, il privilegio di questi creditori, nell'ambito del procedimento di prevenzione, si tradurrebbe soltanto in una prerogativa di partecipazione al procedimento e nulla di più.

I rapporti tra procedimento di prevenzione e giudizi civili di cognizione

L'art. 55, comma 3, d.lgs. 159 del 2011 prevede che i giudizi civili di cognizione, le cui domande sono state trascritte prime del sequestro e che abbiano ad oggetto «il diritto di proprietà ovvero diritti reali o personali di godimento o di garanzia sul bene, il terzo, che sia parte del giudizio» siano «sospes[i] sino alla conclusione del procedimento di prevenzione».

La logica che assiste tale riforma è sempre la stessa: la reductio ad unum della giurisdizione circa le posizioni giuridiche che coinvolgono i beni oggetto della procedura di prevenzione. Si vuole evitare, insomma, che tali posizioni possano formare oggetto di giudizio di altri giudici impegnati in altre giurisdizioni, pregiudicando le ragione sottese alla prevenzione.

Desta perplessità, però, il fatto che la suddetta disciplina sia circoscritta alle sole domande giudiziali che siano oggetto di trascrizione, tralasciando una serie di azioni giudiziarie che non sono oggetto di trascrizione e che, pure, sono in grado di incidere sui beni giuridici oggetto di sequestro e di richiesta di confisca. Vi sono, altresì, una serie di posizioni soggettive che sebbene non interessino direttamente i beni oggetto di sequestro e di richiesta di confisca, sino comunque in grado di incidere sul valore economico di questi ultimi, in via mediata. Tutte queste posizioni non sembrano trovare disciplina nella norma in commento, creando dubbi ed incertezze sotto il profilo applicativo. Ma, mentre per le posizioni che possono incidere in via mediata sulla massa patrimoniale oggetto di prevenzione, sarà l'amministratore giudiziario a vedersela, subentrando nelle posizioni attive e soggettive del proposto, per quanto riguarda il requisito della trascrizione, la soluzione va individuata in via sistematica. Che sia soggetta, o meno, a trascrizione, sta di fatto che la domanda di cognizione civile che possa coinvolgere i beni oggetto di prevenzione deve essere sospesa in attesa di definizione del procedimento di prevenzione (e, nel caso di mancata sospensione, sarà disposta l'inefficacia del provvedimento del giudice della cognizione), in ossequio alla pregiudizialità della decisione del giudice della prevenzione rispetto a quella del giudice civile.

Si assiste, insomma, ad una sorta di strisciante, mai indicata esplicitamente, prevalenza del giudice dell'esecuzione rispetto alla cognizione del giudice civile. Situazione che si traduce, inevitabilmente, in pregiudizialità della decisione del giudice della prevenzione rispetto alle altre giurisdizioni.

I rapporti tra procedimento di prevenzione e procedure esecutive

La riforma dell'art. 55, comma 2, d.lgs. 159 del 2011, ha dato più organicità alla disciplina dei rapporti tra procedimento di prevenzione e procedure esecutive, statuendo che «le procedure esecutive già pendenti sono sospese sino alla conclusione del procedimento di prevenzione. Le procedure esecutive si estinguono in relazione ai beni per i quali interviene un provvedimento definitivo di confisca. In caso di dissequestro, la procedura esecutiva deve essere iniziata o riassunta entro il termine di un anno dell'irrevocabilità del provvedimento che ha disposto la restituzione del bene».

Dunque, è prevista la sospensione delle procedure esecutive già pendenti al momento in cui interviene la misura cautelare di prevenzione, con l'ulteriore previsione della sua estinzione in caso di confisca definitiva; nel qual caso, sulle ragioni del terzo autore della procedura esecutiva provvederà il giudice della prevenzione.

Ove, invece, dovesse essere rigettata la richiesta di confisca e dovesse essere disposto il dissequestro dei beni oggetto della prevenzione patrimoniale, la procedura deve essere riassunta o iniziata. Con questa disposizione normativa si tende a preservare, in attesa del procedimento di prevenzione, le situazioni giuridiche sorte in epoca precedente al sequestro rispetto a quelle nate in un momento successivo. Tutte le situazioni giuridiche, anche di natura eterogenee, che coinvolgono i beni oggetto del procedimento di prevenzione trovano tutela e disciplina all'interno dello stesso procedimento di prevenzione; cosicché, il legislatore tende ad escludere che altri ambiti giurisdizionali possano minare le peculiarità delle ragioni sottese alla procedura di prevenzione. Di qui, la necessità di “congelare” le azioni esecutive, preesistenti al sequestro, in attesa dell'esito del procedimento di prevenzione.

Ove si procedesse comunque nell'esecuzione sui beni oggetto della misura ablativa, il provvedimento esecutivo sarebbe inefficace e non potrebbe essere eseguito nei confronti della procedura ex lege 159 del 2011.

La definizione dei rapporti contrattuali in corso

L'art. 56 d.lgs. 159/2011 regola la sorte dei vincoli contrattuali in essere al momento in cui interviene il sequestro nell'ambito della procedura di prevenzione. È una regola che vale per qualsivoglia vincolo contrattuale, con la sola eccezione del contratti ad effetti reali già consumati al momento del sequestro. Ebbene, la nuova formulazione del comma 1 del suddetto articola recita così: «se al momento dell'esecuzione del sequestro un contratto relativo all'azienda sequestrata o stipulato dal proposto in relazione al bene in stato di sequestro deve essere in tutto o in parte ancora eseguito, l'esecuzione del contratto rimane sospesa fino a quando l'amministratore giudiziario, previa autorizzazione del giudice delegato, dichiara di subentrare nel contratto in luogo del proposto, assumendo tutti i relativi obblighi, ovvero di risolvere il contratto, salvo che, nei contratti ad effetti reali, sia gia' avvenuto il trasferimento del diritto. La dichiarazione dell'amministratore giudiziario deve essere resa nei termini e nelle forme di cui all'articolo 41, commi 1-bis e 1-ter, e, in ogni caso, entro sei mesi dall'immissione nel possesso».

La regola generale, dunque, è la sospensione automatica di qualunque rapporto contrattuale al momento dell'esecuzione della misura cautelare del sequestro disposta nel procedimento di prevenzione. Sebbene esista solo una eccezione statuita a questa regola (i contratti ad effetto reale con effetti già esauriti al momento dell'esecuzione della misura di prevenzione), la regola della sospensione automatica del vincolo contrattuale non distingue per natura ed oggetto dell'imposizione contrattuale.

La formulazione originaria identificava il rapporto contrattuale con quello «ancora inseguito o non compiutamente eseguito da entrambe le parti», la riforma, invece, riporta il contratto che «deve essere in tutto o in parte ancora eseguito». Non si tratta, a ben vedere, di una modifica di carattere sostanziale atteso che si tratterebbe, comunque, di un contratto il cui perfezionamento è avvenuto prima dell'intervento del della misura cautelare emessa nell'ambito del procedimento di prevenzione e che deve attenere «all'azienda sequestrata» ovvero trattarsi di un contratto «stipulato dal preposto in relazione al bene in stato di sequestro».

Interessante è l'ultima parte del primo comma dell'articolo in commento nella misura in cui si inserisce un limite temporale per l'effettuazione della dichiarazione da parte dell'amministratore giudiziario. Più che altro, è stato disciplinato come tale dichiarazione deve essere effettuata dall'amministratore giudiziario. Per quanto riguarda la prima questione, è stato inserito il limite di sei mesi che, tuttavia, non prevede alcuna conseguenza di carattere processuale. All'interprete la soluzione del dilemma applicativo, con riguardo, soprattutto, alla posizione dell'altro contraente, il quale – nell'attesa della dichiarazione dell'amministratore giudiziario – si trova in un guado in cui non è in grado di sapere se procedere nell'esecuzione del contratto o, invece, interrompere ogni tipo di fornitura. Insomma, deve essere salvaguardata, in primis, l'esigenza di certezza dei rapporti giuridici, cosicché, dobbiamo ritenere che lo scadere del termine di sei mesi, senza la dichiarazione dell'amministratore giudiziario, determini lo scioglimento automatico del contratto ancora in essere e ad esecuzione prolungata.

Per quanto concerne il come debba avvenire la dichiarazione dell'amministratore giudiziario, la nuova formulazione della norma in commento rimanda ai commi 1-bis e 1-ter dell'art. 41 della stessa legge, riportandola, sostanzialmente, alla relazione prevista per le aziende sequestrate e, quindi, al momento cardine in cui si fa il “punto” sulla situazione economica e finanziaria dell'azienda sottoposta a sequestro.

Anche il comma 4 dell'art. 56 d.lgs. 159 del 2011 è interessato dalla riforma e, adesso, prevede che «la risoluzione del contratto in forza di provvedimento del giudice delegato fa salvo il diritto al risarcimento del danno nei soli confronti del proposto e il contraente ha diritto di far valere nel passivo il credito conseguente al mancato adempimento secondo le disposizioni previste al capo II del presente titolo». Due sono le novità: il riconoscimento di una responsabilità in capo al proposto per i danni sofferti dal terzo contraente a seguito del provvedimento del giudice delegato con cui si dichiara risolto il contratto (provvedimento che viene emesso all'esito dell'istanza con cui l'amministratore giudiziario si dichiara contrario al subentro); la seconda novità, invece, attiene alla rimozione del riferimento agli artt. da 72 a 83 della legge fallimentare, in quanto compatibili, nel caso in cui i contratti contratti in corso di esecuzione siano sciolti al momento del sequestro.

Nel complesso, appare una riforma organica e priva di contraddizione sebbene desti qualche perplessità il riferimento alla responsabilità del proposto per lo scioglimento del vincolo contrattuale disposto dall'amministratore giudiziario, dal momento che non si comprende la portata e i limiti della responsabilità del proposto per una cessazione del rapporto contrattuale che a lui non è certamente imputabile.

I rapporti con le procedure concorsuali

La disciplina originaria dei rapporti tra procedure concorsuali e procedimento di prevenzione è imperniata nel sostanziale principio di prevalenza del secondo rispetto al primo: infatti, è prevista l'esclusione dalla massa attiva fallimentare di tutti i beni sottoposti alla misura patrimoniale di prevenzione, indipendentemente dalla sequenza penale. Si inserisce in questo solco interpretativo il disposto del nuovo comma 4 dell'art. 63 d.lgs. 159 del 2011 per cui «quando viene dichiarato il fallimento, i beni assoggettati a sequestro o confisca sono esclusi dalla massa attiva fallimentare. La verifica dei crediti e dei diritti inerenti ai rapporti relativi ai suddetti beni viene svolta dal giudice delegato del tribunale di prevenzione nell'ambito del procedimento di cui agli articoli 52 e seguenti».

Dal comma 6 dell'art. 63 d.lgs. 159 del 2011 viene rimosso l'inutile richiamo all'art. 52 della stessa legge, ove si accertasse che nella massa attiva del fallimento fossero ricompresi esclusivamente beni già sottoposti a sequestro, con conseguente declaratoria di chiusura di fallimento «con decreto ai sensi dell'articolo 119 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, e successive modificazioni». È evidente, infatti, che una volta chiusa la procedura concorsuale, il procedimento di prevenzione riprenda nelle forme ordinarie, con conseguente applicazione della disciplina di cui all'art. 52 della stessa legge, senza che tale norma sia espressivamente richiamata.

Completamente riformato risulta, invece, la disciplina di cui all'art. 63, comma 7, d.lgs. 159 del 2011, la cui nuova versione recita in questo modo: «in caso di revoca del sequestro o della confisca, il curatore procede all'apprensione dei beni ai sensi del capo IV del titolo II del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, e successive modificazioni. Il giudice delegato al fallimento procede alla verifica dei crediti e dei diritti in relazione ai beni per i quali è intervenuta la revoca del sequestro o della confisca. Se la revoca interviene dopo la chiusura del fallimento, il tribunale provvede ai sensi dell'articolo 121 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, e successive modificazioni, anche su iniziativa del pubblico ministero, ancorché sia trascorso il termine di cinque anni dalla chiusura del fallimento. Il curatore subentra nei rapporti processuali in luogo dell'amministratore giudiziario».

Il rigetto della richiesta di confisca e la conseguente revoca del sequestro provocherebbe, in astratto, il ritorno dei beni nella disponibilità dell'ex proposto il quale, però, è stato nelle more sottoposto a procedure concorsuale. Cosicché, è stato rimosso il limite dei cinque anni previsto dall'art. 121 della legge fallimentare, andando ad agganciare la riapertura del fallimento alla chiusura del procedimento di prevenzione ed alla sua durata. Si tratta, invero, di una opportuna norma di coordinamento che contribuisce a fare chiarezza sul rapporto tra le due procedure.

È stato inserito, altresì, un nuovo comma 8-bis in coda all'art. 63 d.lgs. 159 del 2011, a tenore del quale è prevista la facoltà, per l'amministratore giudiziario, nel caso di sequestro di aziende o di partecipazioni societarie di maggioranza, di «presentare al tribunale fallimentare competente ai sensi dell'articolo 9 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, e successive modificazioni, in quanto compatibile, domanda per l'ammissione al concordato preventivo, di cui agli articoli 160 e seguenti del citato regio decreto n. 267 del 1942, nonché accordo di ristrutturazione dei debiti ai sensi dell'articolo 182-bis del regio decreto n. 267 del 1942, o predisporre un piano attestato ai sensi dell'articolo 67, terzo comma, lettera d), del regio decreto n. 267 del 1942».

Al fine di agevolare l'integrità dell''unità produttiva e salvaguardare i livelli occupazionali, la riforma prevede che possa darsi luogo al «l'alienazione dei beni sequestrati anche fuori dei casi di cui all'articolo 48».

L'art. 64 d.lgs. 159 del 2011 esce sostanzialmente innovato dalla riforma del 2017, con abrogazione dei commi 3 e 5 e la modifica dei commi 2, 4, 6 e 7. Il comma 2, nella nuova formulazione, prevede che «i crediti e i diritti inerenti ai rapporti relativi ai beni sottoposti a sequestro, ancorché già verificati dal giudice del fallimento, sono ulteriormente verificati dal giudice delegato del tribunale di prevenzione ai sensi degli articoli 52 e seguenti». Il caso è quello in cui il sequestro di prevenzione, ex art. 20 d.lgs. 159 del 2011, intervenga dopo la dichiarazione di fallimento. È prevista, nella sostanza, un doppio accertamento dei crediti e dei debiti: il primo, nell'ambito del fallimento, e il secondo nell'ambito del procedimento di prevenzione secondo le regole di cui all'art. 52 della legge in commento.

Il motivo di tale doppio accertamento risiede, con ogni probabilità, nella eterogeneità della disciplina di prevenzione rispetto a quella fallimentare anche in ordine all'accertamento delle attività e passività. Logica conseguenza di siffatto ordito normativo è che «I crediti di cui al comma 2, verificati ai sensi degli articoli 53 e seguenti dal giudice delegato del tribunale di prevenzione, sono soddisfatti sui beni oggetto di confisca secondo il piano di pagamento di cui all'articolo 61» (art. 64, comma 6, d.lgs. 159 del 2011).

È fatta salva, comunque, l'ipotesi in cui il sequestro o la confisca di prevenzione hanno, per oggetto, l'intera massa attiva fallimentare ovvero, nel caso di società di persone, l'intero patrimonio personale dei soci illimitatamente responsabili. Nel qual caso, a tenore del successivo comma 7, «il tribunale, sentiti il curatore e il comitato dei creditori, dichiara la chiusura del fallimento con decreto ai sensi dell'articolo 119 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, e successive modificazioni».

In ultimo, e sempre in ossequio al principio di prevalenza della procedura di prevenzione rispetto a quella concorsuale, è previsto, dal comma 4 del disposto normativo in commento, che «se sono pendenti, con riferimento ai crediti e ai diritti inerenti ai rapporti relativi per cui interviene il sequestro, i giudizi di impugnazione di cui all'articolo 98 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, e successive modificazioni, il tribunale fallimentare sospende il giudizio sino all'esito del procedimento di prevenzione. Le parti interessate, in caso di revoca del sequestro, dovranno riassumere il giudizio». Infatti, le doglianze di chi si ritiene pregiudicato nella procedura concorsuale potranno avere sede, semmai persistenti, nel procedimento di prevenzione a norma degli artt. 52 ss. d.lgs. 159 del 2011

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