Reati tributari

Ciro Santoriello
25 Maggio 2020

La disciplina in tema di illeciti tributari è contenuta nel decreto legislativo n. 74 del 2000, il quale è stato poi modificato – sulla base peraltro di impostazioni divergenti – con il decreto legislativo n. 158 del 2015 e poi con il d.l. n. 124 del 2019. La disciplina precedente al D.Lgs. n. 74/2000 si caratterizzava per la scelta del legislatore di abbandonare la cosiddetta pregiudiziale tributaria, formulando cioè le nuove fattispecie di reato in modo che l'esercizio dell'azione penale non fosse condizionato dalla definitiva conclusione della vicenda amministrativa, come era invece in precedenza.
Inquadramento

La disciplina in tema di rilevanza penale degli illeciti tributari è contenuta nel D.Lgs. 10/03/2000, n. 74, recentemente riformato con il D.L n. 124/2019 (conv. con modif. L. n. 157/2019), riforma che segue a quella contenuta nel D.lgs. n. 158/2015.

La disciplina precedente al D.Lgs. n. 74/2000 si caratterizzava per la scelta del legislatore di abbandonare la cosiddetta pregiudiziale tributaria, formulando cioè le nuove fattispecie di reato in modo che l'esercizio dell'azione penale non fosse condizionato dalla definitiva conclusione della vicenda amministrativa, come era invece in precedenza. Tale opzione di fondo determinò la scelta di affidare al codice penale l'entità dell'imponibile o dell'imposta evasa, rimettendo poi all'Amministrazione finanziaria ogni incombenza valutativa inerente la determinazione concreta del debito d'imposta.

Nell'ambito di tale scelta metodologica, il legislatore volle ricorrere a figure di reato a consumazione anticipata, che non punissero, cioè, l'evasione in senso proprio, ma comportamenti di regola prodromici alla stessa; da qui, l'introduzione nel sistema degli illeciti penali tributari di fattispecie criminose di natura contravvenzionale, che perseguivano obblighi di natura formale, punite prevalentemente con pena pecuniaria, sia pur con limiti edittali piuttosto alti. Accanto a tali figure criminose, tuttavia, erano previste anche figure delittuose, che si caratterizzavano per il particolare elemento soggettivo richiesto, ovvero un dolo specifico diretto all'evasione del tributo, mentre sotto il profilo materiale si diversificavano notevolmente, potendo le condotte consistere nella realizzazione di falsità, materiali o ideologiche, ovvero nella soppressione di documenti rilevanti per l'Amministrazione finanziaria. A sé poi stavano i reati in tema di ritenute alla fonte.

Nel giro di pochi anni, emersero le evidenti pecche della riforma legislativa del 1982. La scelta di sanzionare prevalentemente comportamenti e violazioni formali si traduceva in una chiara lesione del principio di offensività, giacché spesso il passaggio dalla realizzazione di tali violazioni di carattere formale all'evasione d'imposta era meramente eventuale, quando non escluso dalla stessa modalità con cui la condotta veniva attuata. Inoltre, la scelta di perseguire una pluralità di comportamenti, lungi dal rappresentare un'efficace risposta dell'apparato statale al fenomeno dell'evasione, ha finito per determinare un fenomeno di “elefantiasi giudiziaria”, con gli uffici praticamente paralizzati dall'obbligo di perseguire una miriade di procedimenti, tutti inevitabilmente destinati alla prescrizione.

Per ovviare a inconvenienti del genere di quello descritto, il legislatore, nel 2000, ha appunto voluto recuperare la dimensione di reale offensività delle condotte penalmente punite, rimettendo invece alla competenza dell'Amministrazione finanziaria la rilevazione e punizione di gran parte delle precedenti violazioni tributarie. Nel perseguire tale intento, si sono abrogate le fattispecie di reato prodromiche all'evasione, abbandonando così il ricorso a reati di pericolo, a consumazione anticipata rispetto all'evasione; di contro, si è concentrata l'attenzione del giudice penale solo su figure di reato aventi natura delittuosa, e consistenti, sotto il profilo materiale, in condotte aventi ad oggetto la dichiarazione dei redditi annuale, momento in cui viene indiscutibilmente in essere la lesione degli interessi dell'Erario.

Inoltre, la volontà di limitare le ipotesi di perseguibilità penale ha suggerito la previsione di soglie quantitative di rilevanza del fatto piuttosto elevate, così da lasciar fuori dall'area di rilevanza penale un gran numero di ipotesi in precedenza assolutamente rilevanti.

A proposito della previsione di soglie di punibilità, lascia fortemente perplessi la scelta di prevedere, quale limite quantitativo, un importo ragguagliato all'entità dell'imposta evasa. Tramite tale previsione, infatti, la pregiudiziale tributaria, abbandonata dal 1982, rientra per la finestra, giacché per accertare il superamento della soglia quantitativa il giudice dovrà determinare previamente l'imposta dovuta, tramite un'operazione di calcolo assai complessa.

Quanto alle fattispecie criminose, il nuovo sistema penale tributario prevede undici delitti puniti tutti a titolo di dolo specifico.

Quattro di questi delitti riguardano l'adempimento dichiarativo (dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture false, dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici, dichiarazione infedele e omessa dichiarazione, delitti previsti negli artt. 2, 3, 4 e 5, D.Lgs. n. 74/2000), mentre gli altri reati riguardano violazioni connesse alla documentazione fiscale di determinate transazioni ed al pagamento del tributo (emissione di fatture false, occultamento o distruzione di documenti contabili e sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte, disciplinate dagli artt. 8, 10, 11, D.Lgs. n. 74/2000); infine, a sé stanno le fattispecie di omesso versamento degli acconti IVA, delle ritenute d'acconto e di indebita compensazione, inerenti la mera attività di pagamento delle imposte.

Tutti i delitti riguardano l'intera platea dei contribuenti, non esistendo più reati propri, come erano in precedenza, ad esempio, i reati previsti in tema di obbligo di tenuta delle scritture contabili.

Come accennato in precedenza, sotto il profilo dell'elemento soggettivo, sono venute meno, unitamente alla scomparsa delle ipotesi contravvenzionali, reati punibili a titolo di colpa, venendo anzi in rilievo solo l'elemento del dolo specifico, dovendo la condotta essere assistita dall'intenzione di frodare l'erario.

L'esame delle singole fattispecie criminose sarà condotto in apposite bussole. Nei prossimi paragrafi invece ci si soffermerà sui profili generali della materia e su alcuni istituti aventi applicazione generalizzata per tutti i delitti previsti dal D.Lgs. n. 74/2000.

Le circostanze aggravanti e cause di non punibilità

Nell'ambito del sistema del diritto penale tributario è prevista – introdotta dal D.Lgs. n. 158 del 2015 – è prevista una causa di non punibilità individuata nella condotta di estinzione del debito tributario, anche se solo per

a) per i reati di cui agli artt. 10-bis, 10-ter e 10-quater, comma 1, se il risarcimento avviene prima dell'apertura del dibattimento di primo grado;

b) per i reati di cui agli artt. 4 e 5 e di cui agli artt. 2 e 3 (ma si tratta di una innovazione introdotta con il D.L. n. 124 del 2019, se il ravvedimento operoso o la presentazione della dichiarazione omessa intervengano prima che l'autore del reato abbia avuto formale conoscenza di accessi, ispezioni, verifiche o dell'inizio di qualunque attività di accertamento amministrativo o di procedimenti penali.

Si conferma in questo modo la tendenza politica a favorire istituti volti a valorizzare la “resipiscenza” del contribuente, sub specie di pagamento all'erario delle somme dovute in conseguenza dell'evasione fiscale (FINOCCHIARO, In vigore la “riforma fiscale”: osservazioni a prima lettura della legge 157/2019 in materia di reati tributari, confisca allargata e responsabilità degli enti, in Sistemapenale.it). Tale innovazione, peraltro, presenta un significativo profilo di criticità posto che la causa di non punibilità in parola non opera per il solo delitto di indebita compensazione con crediti inesistenti, esclusione difficilmente giustificabile – mentre comprensibile che di pagamento del debito tributario non si parli con riferimento ai reati di emissione di false fatture ed occultamento di documentazione contabile, delitti dalla cui commissione di regola non scaturisce un debito nei confronti del fisco (Nel senso, tuttavia, che di debito tributario possa parlarsi anche con riferimento al delitto di cui all'art. 10 D.Lgs. n. 74 del 2000, cfr. Cass., sez. III, 7 gennaio 2020, n. 166).

Viene altresì previsto che, se prima dell'apertura del dibattimento di primo grado, il debito tributario è in fase di estinzione mediante rateizzazione è dato un termine di tre mesi (prorogabile, se necessario, di altri tre mesi) per il pagamento del debito residuo – la disposizione evidentemente opera con riferimento ai reati di cui agli artt. 2, 3, 4 e 5, nelle ipotesi in cui non ricorrano le condizioni per cui tali illeciti diventino non punibili).

Come si vede, il beneficio spettante al contribuente infedele è modulato sulla base del disvalore insito nelle rispettive fattispecie: per gli omessi versamenti (eccettuata l'indebita compensazione mediante crediti inesistenti) il termine per godere della causa di non punibilità è infatti nettamente più favorevole rispetto a quello fissato per i reati di cui agli artt. 4 e 5, in relazione ai quali l'istituto premiale non pare destinato ad avere un cospicuo spazio di operatività.

Il nuovo art. 13-bis invece prevede, con riferimento agli altri reati disciplinati dal decreto 74 del 2000– e cioè nei casi di utilizzo o emissione di fatture relative ad operazioni inesistenti, dichiarazione fraudolenta, occultamento o distruzione di documenti contabili, indebita compensazione con crediti inesistenti e sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte, di cui agli artt. 2, 3, 8, 10, 10-quater, comma 2, e 11– che

a) l'integrale pagamento degli importi dovuti rileva ai fini della concessione di una diminuzione di pena fino alla metà (comma 1). La disposizione evidentemente opera con riferimento ai reati di cui agli artt. 2, 3, 4 e 5, nelle ipotesi in cui non ricorrano le condizioni per cui tali illeciti diventino non punibili;

b) il riconoscimento di tale circostanza attenuante è presupposto necessario per l'applicazione della pena su richiesta delle parti ex art. 444 c.p.p. (comma 2) – anche in questo caso, la disposizione evidentemente opera con riferimento ai reati di cui agli artt. 2, 3, 4 e 5, nelle ipotesi in cui non ricorrano le condizioni per cui tali illeciti diventino non punibili. Tuttavia, la giurisprudenza ha precisato che per i reati di mancato versamento degli acconti I.V.A. e di omesso versamento delle ritenute d'acconto è possibile procedere ad applicazione della pena su richiesta di parte anche se l'imputato, contribuente inadempiente in sede tributario, non ha proceduto ad estinguere, mediante integrale pagamente dell'imposta, il debito erariale (Cass., sez. III, 12 aprile 2018, n. 37684).

Lo stesso art. 13-bis prevede invece un aggravamento di pena quando il reato sia commesso dal correo nell'esercizio dell'attività di intermediazione fiscale, attraverso l'elaborazione di modelli seriali di evasione fiscale.

La c.d. confisca allargata

Con la riforma del 2017, sempre nell'ambito degli strumenti ablatori, è stata prevista l'applicabilità – sancita dal nuovo art. 12-ter - della c.d. confisca allargata ex art. 240-bis c.p. in caso di condanna o patteggiamento per una serie di delitti indicati dalla norma stessa (quelli di cui agli artt. 2, 3, 8, 11), allorché l'evasione fiscale superi una certa entità - da 100.000 euro o 200.000 euro, a seconda dei casi.

Come noto, la confisca c.d. allargata ha ad oggetto il denaro, i beni o le altre utilità di cui il condannato non può giustificare la provenienza e di cui, anche per interposta persona fisica o giuridica, risulta essere titolare o avere la disponibilità a qualsiasi titolo in valore sproporzionato al proprio reddito, dichiarato ai fini delle imposte sul reddito, o alla propria attività economica. Questa confisca, dunque, consiste in una forma di ablazione fondata essenzialmente sulla sproporzione patrimoniale, sproporzione che permette una presunzione iuris tantum di origine illecita dei beni, secondo un meccanismo di accertamento non dissimile da quello proprio della confisca di prevenzione di cui al c.d. codice antimafia ex d.lg. 159 del 2011.

In particolare, nell'ambito degli illeciti tributari a tale misura ablatoria dovrà farsi ricorso in caso di condanna o patteggiamento:

a) per il delitto previsto dall'art. 2, quando l'ammontare degli elementi passivi fittizi è superiore a 200.000 euro;

b) per il delitto previsto dall'art. 3, quando l'imposta evasa è superiore a 100.000 euro;

c) per il delitto di cui all'art. 8, quando l'importo non rispondente al vero indicato nelle fatture o nei documenti è superiore a 200.000 euro;

d) per il delitto di cui all'art. 11, comma 1, quando l'ammontare delle imposte, delle sanzioni e degli interessi è superiore a 100.000 euro;

e) per il delitto di cui all'art. 11, comma 2, quando l'ammontare degli elementi attivi inferiori a quelli effettivi o degli elementi passivi fittizi è superiore a 200.000 euro.

In forza, poi, del rinvio che l'art. 240-bis c.p. opera all'art. 578-bis c.p.p., il giudice di appello o la Corte di cassazione, nel dichiarare il reato tributario estinto per prescrizione o per amnistia, potranno decidere sull'impugnazione ai soli effetti della confisca, purché procedano ad un previo accertamento della responsabilità dell'imputato (quanto alla differenza fra la confisca prevista dall'art. 12-bis D.Lgs. n. 74 del 2000 e la confisca c.d. allargata di cui al testo, si è sostenuto che si distinguerebbero in base all'oggetto della misura patrimoniale: la confisca “ordinaria” avrebbe ad oggetto il prezzo o il profitto del reato tributario mentre la confisca “allargata” avrebbe ad oggetto i beni di valore sproporzionato, BONTEMPELLI, La confisca o le confische da illecito (penale) tributario?, in Sistemapenale.it).

Si ricorda che secondo l'insegnamento della Corte Costituzionale – in specie della decisione n. 33 del 2018 - non è necessario un nesso di pertinenza o di provata derivazione causale tra il reato ed i beni oggetto di confisca (di sequestro, nella fase delle indagini), così come non è necessario ai fini di una valida ablazione che i beni siano stati acquisiti in epoca posteriore al commesso reato né occorre, per asserire l'origine illecita dei beni di cui dispone il singolo, che questi sia stato condannato ma è sufficiente la sproporzione tra detti beni e il reddito dichiarato o le attività economiche del soggetto, sproporzione che – secondo i correnti indirizzi giurisprudenziali – non consiste in una qualsiasi discrepanza tra guadagni e possidenze, ma in uno squilibrio incongruo e significativo, da verificare con riferimento al momento dell'acquisizione dei singoli beni. La presunzione di illegittima acquisizione dei beni oggetto della misura – che va comunque desunta sulla base di elementi forniti dal pubblico ministero in ordine alla sproporzione fra reddito e patrimonio - resta circoscritta in un ambito di cosiddetta “ragionevolezza temporale” poiché il momento di acquisizione del bene non deve risultare talmente lontano dall'epoca di realizzazione del “reato spia” da rendere ictu oculi irragionevole la presunzione di derivazione del bene stesso da una attività illecita, sia pure diversa e complementare rispetto a quella per cui è intervenuta condanna.

Un limite all'operatività della confisca è poi desumibile dalla previsione di cui all'art. 240-bis c.p., secondo cui “in ogni caso il condannato non può giustificare la legittima provenienza dei beni sul presupposto che il denaro utilizzato per acquistarli sia provento o reimpiego dell'evasione fiscale, salvo che l'obbligazione tributaria sia stata estinta mediante adempimento nelle forme di legge”. L'inciso è volto ad escludere dall'oggetto della confisca allargata quanto l'imputato abbia già restituito all'erario, evitando una duplicazione di apprensione del provento illecito: la previsione è conforme al disposto di cui all'art. 12-bis D.Lgs. n. 74 del 2000, secondo cui non può procedersi a confisca del profitto del reato fiscale per la parte che il contribuente ha effettivamente già versato all'erario o che si sia impegnato a versare (Nel senso che a seguito della riforma in commento, la rilevanza dell'impegno a pagare l'imposta evasa ex art. 12-bis, comma 2, operi solamente in relazione alla confisca “ordinaria” prevista da tale articolo, mentre per la confisca allargata introdotta all'art. 12-ter sembrerebbe rilevare solamente l'effettiva restituzione all'erario, FINOCCHIARO, Le novità in materia di reati tributari e di responsabilità degli enti contenute nel c.d. decreto fiscale (d.l. n. 124/2019), in Sistemapenale.it).

La nuova forma di confisca, per espressa previsione normativa, si applicherà “esclusivamente alle condotte poste in essere successivamente alla data di entrata in vigore della legge di conversione”, precludendo così applicazioni giurisprudenziali in senso retroattivo di quella che – a torto o ragione – viene ancora generalmente qualificata come misura di sicurezza, pertanto non soggetta al divieto di retroattività in malam partem. Proprio in ragione di tale qualificazione, peraltro, la presente “clausola di irretroattività” potrebbe essere interpretata nel senso di non ostare alla possibilità che la confisca, pur applicata a condotte poste in essere dopo l'entrata in vigore della legge, vada a colpire cespiti acquisiti in epoca anteriore alla medesima data (Per una tale impostazione, da ultimo, Cass., sez. II, 12 ottobre 2018, n. 56374).

La responsabilità delle società

Con la riforma del 2019 gli illeciti tributari sono stati inseriti nel catalogo dei reati presupposto della responsabilità dell'ente ex D.Lgs. 231/2001.

Dopo la riforma, ai sensi del nuovo art. 25-quinquiesdecies D.Lgs. n. 231 del 2001 sono previste per l'ente le seguenti sanzioni:

a) per il delitto di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti previsto dall'art. 2, comma 1 D.Lgs. n. 74 del 2000, la sanzione pecuniaria fino a cinquecento quote;

b) per il delitto di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti previsto dall'art. 2, comma 2-bis D.Lgs n. 74 del 2000, la sanzione pecuniaria fino a quattrocento quote;

c) per il delitto di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici previsto dall'art. 3 D.Lgs. n. 74 del 2000, la sanzione pecuniaria fino a cinquecento quote;

d) per il delitto di emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti previsto dall'art. 8, comma 1, D.Lgs. n. 74 del 2000 la sanzione pecuniaria fino a cinquecento quote;

e) per il delitto di emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti previsto dall'art. 8, comma 2-bis, D.Lgs. n. 74 del 2000 la sanzione pecuniaria fino a quattrocento quote;

f) per il delitto di occultamento o distruzione di documenti contabili previsto dall'art. 10 d.lg. n. 74 del 2000, la sanzione pecuniaria fino a quattrocento quote;

g) per il delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte previsto dall'art. 11 D.Lgs. n. 74 del 2000, la sanzione pecuniaria fino a quattrocento quote.

Se l'ente ha conseguito un profitto di rilevante entità, la sanzione pecuniaria è aumentata di un terzo.

In tutti questi casi, si applicano le sanzioni interdittive di cui all'art. 9, comma 2, lettera c), Divieto di contrattare con la pubblica amministrazione, salvo che per ottenere le prestazioni di un pubblico servizio, lettera d), Esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi e l'eventuale revoca di quelli già concessi, e lettera e) Divieto di pubblicizzare beni o servizi.

Ovviamente l'ente risulta poi esposto anche all'applicazione del sequestro e della confisca, diretta e per equivalente, del prezzo o profitto del reato tributario realizzato nell'interesse o a vantaggio dell'ente, superandosi così i limiti precedenti – individuati dalla decisione delle Sezioni Unite Gubert – che in caso di illecito fiscale commesso da amministratori o dirigenti di una persona giuridica consentivano il sequestro in capo all'ente del profitto del reato tributario, sub specie di risparmio d'imposta, solo se si trattava di confisca in via diretta

Trattasi di una riforma fortemente sollecitata tanto in sede sovranazionale, si pensi alla c.d. direttiva PIF (BARTOLI, Responsabilità degli enti e reati tributari: una riforma affetta da sistematica irragionevolezza, in Sistemapenale.it; FLORA, Prime riflessioni sulle problematiche penalistiche del recepimento della “direttiva PIF” nel settore dei reati tributari e della responsabilità “penale” degli enti, in disCrimen, 12.11.2019), quanto da una parte consistente della dottrina, non poche sono le criticità che dalla stessa conseguono.

In primo luogo, appare contradittoria l'individuazione dei singoli illeciti che rientrano nel citato art. 25-quinquiesdecies: infatti, a fronte della circostanza che gli obblighi sovranazionali imponevano la riforma solo con riferimento alle imposte (in particolare l'IVA) che impattano sulle finanze europee e che attengono a condotte commesse in sistemi fraudolenti transfrontalieri, il legislatore ha riconosciuto la responsabilità dell'ente anche in caso di reati tributari consistenti nell'evasione di imposte sui redditi esorbitanti dalla competenza unionale e anche a prescindere dal carattere transfrontaliero della condotta, ma incredibilmente ed incomprensibilmente tralasciando di prendere in considerazione il delitto (di particolare gravità ed oggi di significativo impatto per le casse pubbliche) di indebita compensazione per crediti inesistenti di cui all'art. 10-quater, comma 2, D.Lgs. n. 74 del 2000, nonché i delitti (forse meno significativi sotto il profilo dell'incidenza economica, ma comunque contestati assai di frequente) di infedele dichiarazione e di omessa dichiarazione di cui agli artt. 4 e 5. Con tale scelta, da un lato secondo alcuni autor “non paiono pienamente rispettati gli obblighi sovranazionali di incriminazione, oltre che di rispetto del principio di ragionevolezza e uguaglianza” (FINOCCHIARO, In vigore la riforma, cit.), posto che quanto meno il delitto di cui al citato comma 2 dell'art. 10-quater rientra pienamente negli illeciti di frode che offendono gli interessi finanziari della UE secondo la definizione che ne dà l'art. 6 della direttiva PIF, e dall'altro, la mancata ricomprensione tra i reati presupposto dell'art. 5 d.lgs. 74/2000, con conseguente impossibilità di far fronte efficacemente a condotte di evasione mediante esterovestizione societaria, costituisce «un vulnus alla coerenza del sistema, rivelando un deficit di comprensione di alcuni dei più gravi fenomeni di evasione fiscale che avrebbero imposto una più severa risposta sanzionatoria»(RUTA, La riforma dei reati tributari, una prima lettura, in www.questionegiustizia.it.), posto che le evasioni di ammontare elevatissimo sono commesse da enti esterovestiti o muniti di stabile organizzazione nel territorio dello Stato ovvero da soggetti che asseriscono di non essere localizzati nel territorio dello Stato, che quindi non assolvono gli obblighi dichiarativi realizzando così – almeno a seguire una determinata prospettazione – il delitto di cui all'art. 5 D.Lgs. n. 74 del 2000.

In secondo luogo, avendo il legislatore della riforma omesso ogni indicazione in proposito, è destinato prevedibilmente a riaccendersi il tema sui limiti del doppio binario e sugli effetti del ne bis in idem (MAGNELLI, Sulla (in)compatibilità del sistema repressivo degli illeciti fiscali con lo statuto transnazionale del ne bis in idem: tra proporzionalità e 231, in Giurisprudenza Penale Web, 2019, 12), tema assolutamente attuale tant'è che lo stesso è stato affrontato sia in giurisprudenza che dallo stesso legislatore.

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