Riduzione del capitale sociale per perdite

Fabio Signorelli
15 Luglio 2016

La riduzione del capitale sociale per perdite (o, altrimenti, definita, nominale) consiste nell'adeguare la cifra del capitale sociale nominale all'attuale minor valore del capitale reale. La riduzione nominale non comporta alcun rimborso ai soci, ma costituisce la presa d'atto che le perdite hanno non solo prosciugato le eventuali riserve esposte in bilancio, ma anche ridotto il patrimonio (e più esattamente il netto patrimoniale) ad un valore inferiore al capitale. Il meccanismo legale di cui agli artt. 2446 e 2447 c.c. è finalizzato a rappresentare la reale situazione patrimoniale della società, garantendo l'effettiva corrispondenza tra capitale reale e nominale affinché i terzi non facciano affidamento su un capitale (nominale) che, nella realtà, risulta inferiore.
Inquadramento

La riduzione del capitale sociale per perdite (o, altrimenti, definita, nominale) consiste nell'adeguare la cifra del capitale sociale nominale all'attuale minor valore del capitale reale (G. Campobasso, Diritto commerciale, II, Diritto delle società, Torino, 2015, 517; V. Buonocore, Istituzioni di diritto commerciale, Torino, 2004, 216; F. Di Sabato, Manuale delle società, Torino, 2003, 396). La riduzione nominale non comporta alcun rimborso ai soci, ma costituisce la presa d'atto che le perdite hanno non solo prosciugato le eventuali riserve esposte in bilancio, ma anche ridotto il patrimonio (e più esattamente il netto patrimoniale) ad un valore inferiore al capitale (F. Ferrara-F. Corsi, Gli imprenditori e le società, Milano, 2011, 676).

Il meccanismo legale di cui agli artt. 2446 e 2447 c.c. è finalizzato a rappresentare la reale situazione patrimoniale della società, garantendo l'effettiva corrispondenza tra capitale reale e nominale affinché i terzi non facciano affidamento su un capitale (nominale) che, nella realtà, risulta inferiore. Diversamente dalla riduzione reale del capitale sociale ai sensi dell'art. 2445 c.c., i creditori non hanno alcuna facoltà di opposizione perché la riduzione del capitale per perdite si estrinseca in una mera operazione contabile che non può in alcun caso danneggiare i creditori perché il patrimonio della società non viene depauperato, ed i creditori, di tutta evidenza, non hanno motivo di opporsi lamentando un danno che, in realtà, se del caso, si è già verificato.

La riduzione del capitale può essere facoltativa od obbligatoria a seconda dell'entità delle perdite. Se la perdita è inferiore al terzo del capitale, la riduzione è meramente facoltativa e mai obbligatoria. Se la perdita è superiore al terzo del capitale, ma non è stato intaccato il minimo legale di € 50.000,00, la riduzione è momentaneamente facoltativa (art. 2446, comma 1, c.c.) mentre potrebbe diventare obbligatoria in un secondo momento (art. 2446, comma 2, c.c.). Se, infine, la perdita è superiore al terzo del capitale ed è stato intaccato il minimo legale, la riduzione è, senza eccezione, obbligatoria (art. 2447 c.c.).

L'esistenza di perdite comporta automaticamente l'impossibilità di ripartire utili fino a che il capitale non sia reintegrato o ridotto in misura corrispondente (art. 2433, comma 3, c.c.) e, se la perdita è superiore al terzo del capitale, non è possibile aumentare il capitale se non previa riduzione dello stesso (Comitato Triveneto dei Notai, massima H.G.19 – 1° pubbl. settembre 2007 - Aumento di capitale in presenza di perdite rilevanti ai sensi di legge; tuttavia, in senso parzialmente difforme: Consiglio Notarile di Milano, massima n. 122 – 18 ottobre 2011 - Aumento di capitale in presenza di perdite, che afferma la legittimità di una deliberazione di aumento senza preventiva riduzione del capitale a condizione che l'aumento sia di misura tale che da ricondurre le perdite entro il terzo del capitale).

Nozione di perdita del capitale

Dottrina sostanzialmente unanime afferma che il capitale al quale si deve far riferimento per la determinazione dell'esistenza e dell'entità delle perdite è il capitale sociale sottoscritto, senza tener conto di quello versato, né di quello deliberato ma non ancora sottoscritto né di quello soltanto autorizzato (R. Nobili, La riduzione del capitale, in Il nuovo diritto delle società, a cura di P. Abadessa – G. B. Portale, III, Torino, 2007, 318; R. Nobili - M. Spolindoro, La riduzione di capitale, in Trattato delle società per azioni, diretto da G. Colombo-G. B. Portale, VI, Torino, 1993, 301).

Nessun dubbio sembra sussistere sul concetto di perdite, potendosi tranquillamente affermare che si evidenzieranno perdite soltanto quando saranno state erose tutte le riserve, cioè solo quando il patrimonio netto contabile della società (capitale sociale, aumentato delle riserve e degli utili, diminuito di perdite a nuovo) sarà inferiore al capitale sociale, dovendosi coprire le perdite innanzitutto con le riserve (G. E. Colombo, Il bilancio d'esercizio, cit., 508 ss.).

In evidenza: Cass. Civ., 6 novembre 1999, n. 12347

E' nulla ai sensi dell'art. 2379 c.c. la deliberazione dell'assemblea di società per azioni che, in tema di riduzione e contemporaneo aumento del capitale sociale in conseguenza di perdite per oltre un terzo, non utilizza la riserva legale nella determinazione dell'ammontare delle perdite.

Controverso rimane il problema se le perdite debbano superare anche gli utili di periodo, vale a dire il risultato di segno positivo creatosi nel tempo compreso tra la chiusura dell'ultimo esercizio e la data di riferimento della situazione infrannuale, anche se secondo il Consiglio Notarile di Milano (Consiglio Notarile di Milano, massima n. 68 – 22 novembre 2005 - Copertura delle perdite e rilevanza degli <utili di periodo>) e il Comitato Triveneto dei Notai (Comitato Triveneto dei Notai, massima H.G.9 – 1° pubbl. settembre 2005 - Copertura perdite e utile di periodo) affermano che l'utile di periodo debba essere conteggiato ai fini della determinazione della misura della perdita da coprire, sul presupposto che, poiché per le perdite si fa riferimento anche a quelle che si sono manifestate nel corso dell'esercizio sociale, non si vede perché anche per gli utili non debba valere lo stesso principio (L. Genghini – P. Simonetti, Le società di capitali e le cooperative, in Manuali notarili, a cura di L. Genghini, III, Padova, 2012, 774 ss.).

Si procederà alla copertura delle perdite, secondo un ordine ritenuto inderogabile, innanzitutto riducendo le riserve facoltative o liberamente disponibili; indi le riserve statutarie e, infine, la riserva legale. Diversamente, non saranno utilizzabili le riserve che, per loro natura, non sono destinate alla copertura di perdite, come la riserva da azioni proprie, che costituisce soltanto una posta rettificativa dell'attivo. Altra e diversa soluzione possibile in caso di perdite senza dover operare sul capitale è quella rappresentata dai versamenti a fondo perduto nelle casse sociali operati (non necessariamente) da tutti i soci; tali versamenti sono certamente imputabili a riserva e potranno evitare il previsto iter di riduzione del capitale per perdite. Parimenti utilizzabili ad evitare la riduzione del capitale per perdite sono i versamenti dei soci in conto capitale così come la rinuncia ai crediti eventualmente vantati da uno o più azionisti nei confronti della società (Aa. Vv., Le modificazioni dello statuto nelle s.p.a., in Trattato di diritto privato, diretto da Rescigno, XVI, Torino, 2012, 437).

La perdita che non eccede il terzo del capitale sociale

Se la perdita è inferiore al terzo del capitale la riduzione non è mai obbligatoria, tant'è che tale perdita (inferiore al terzo) non è nemmeno contemplata dagli artt. 2446 e 2447 c.c.

Non sussistono motivi ostativi, pertanto, alla riduzione facoltativa del capitale sociale quantomeno per permettere la ripartizione di utili, altrimenti vietata in presenza di perdite, come visto nel paragrafo precedente, e agevolare la sottoscrizione d'un eventuale futuro aumento di capitale da parte di terzi (G. Campobasso, Diritto commerciale, cit., 517). E' stato giustamente fatto osservare che la riforma del diritto societario, eliminando dall'art. 2445 c.c. il requisito dell'esuberanza del capitale sociale, e quindi ampliando la libertà della società di ridurre il proprio capitale, abbia confermato la fattibilità di tale riduzione per ipotesi non obbligatorie (R. Nobili, La riduzione del capitale, cit., 328). Rimane controverso se la riduzione per perdite inferiori ad un terzo sia assimilabile ad una riduzione reale ai sensi dell'art. 2445 c.c. oppure sia una riduzione nominale ex art. 2446 c.c., dovendosi ammettere, nel primo caso, l'opposizione dei creditori. La giurisprudenza (Cass. Civ., 13 gennaio 2006, n. 543) e la dottrina maggioritaria (G. Campobasso, Diritto commerciale, cit., 518, nt. 67), con qualche invito alla prudenza (R. Nobili, La riduzione del capitale, cit., 329, il quale suggerisce di eseguire la deliberazione dopo la scadenza del termine concesso ai creditori per l'opposizione), ritengono che si tratti di riduzione facoltativa ai sensi dell'art. 2446 c.c., in presenza di una diminuzione nominale del capitale, che non comporta alcuna riduzione del patrimonio della società, che sarebbe comunque già diminuito a seguito delle perdite medesime.

Riduzione facoltativa ai sensi dell'art. 2446, comma 1, c.c.

Quando risulta che il capitale è diminuito di oltre un terzo in conseguenza di perdite, gli amministratori o il consiglio di gestione, e nel caso di loro inerzia il collegio sindacale ovvero il consiglio di sorveglianza, devono senza indugio (cioè in tempi ragionevolmente brevi e comunque non oltre trenta giorni dal momento in cui gli amministratori sono venuti a conoscenza delle circostanze che impongono la convocazione, in applicazione dell'art. 2631 c.c.: P. Marchetti, La data di riferimento della situazione patrimoniale nella riduzione del capitale per perdite, in Riv. soc., 1982, 776) convocare l'assemblea per gli opportuni provvedimenti.

La diligenza che devono adottare gli amministratori nell'esercizio del loro mandato impone di rilevare le perdite nella loro formazione diacronica, senza attendere date prestabilite, quali la redazione del bilancio d'esercizio oppure quelle di bilanci interinali. L'espressione usata dal legislatore (“quando risulta”) depone, infatti, nel senso dell'immediatezza, al momento della loro manifestazione, tanto per usare un'espressione icastica, della loro epifanìa. La disciplina legale si differenzia a seconda del fatto che il capitale, a causa delle perdite, si sia ridotto o meno al di sotto del minimo legale (€ 50.000,00). Ed infatti, in quest'ultimo caso, accertata effettivamente la perdita superiore al terzo, gli amministratori devono convocare immantinente l'assemblea con le modalità ed i tempi previsti dallo statuto per gli opportuni provvedimenti che, naturalmente possono essere della più ampia natura: riduzione immediata del capitale, differimento puro e semplice, differimento con atti di ristrutturazione aziendale, cessione e/o affitto di rami d'azienda, ecc.

Tra gli opportuni provvedimenti deve essere annoverata anche la trasformazione della società in un diverso tipo compatibile con il capitale residuo (App. Venezia, 18 dicembre 1985, in Giur. merito, 1987, 339, con nota di Pazzaglia; Trib. Verona, 27 settembre 1985). Viceversa, appare assai incerto far rientrare tra gli “opportuni provvedimenti” la deliberazione di aumento di capitale a pagamento per un importo tale da far rientrare la perdita al di sotto del terzo, anche se, consentito il rinvio a nuovo delle perdite, a maggior ragione dovrebbe ritenersi possibile la delibera di un aumento di capitale (Aa. Vv., Le modificazioni dello statuto nelle s.p.a., cit., 444).

All'assemblea deve essere sottoposta una relazione sulla situazione patrimoniale della società con le osservazioni del collegio sindacale o del comitato per il controllo sulla gestione. Unanimemente si ritiene che l'organo amministrativo debba redigere un bilancio d'esercizio vero e proprio, completo di tutte le sue parti: stato patrimoniale, conto economico e nota integrativa (G. Campobasso, Diritto commerciale, cit., 518; R. Nobili, La riduzione del capitale, cit., 330; App. Milano, 19 settembre 2000; Trib. Verona, 14 marzo 1985, in Soc., 1986, 162, con nota di Salafia).

Dottrina e giurisprudenza si sono a lungo interrogati su quale dovesse essere l'intervallo massimo intercorrente tra la redazione del predetto bilancio e l'assemblea, stabilendo, in modo abbastanza rigido, che detto intervallo non dovesse essere superiore a due, massimo, quattro mesi, mentre più correttamente è stato ritenuto ammissibile un intervallo non superiore a 120 giorni, applicando in via analogica lo stesso termine previsto dall'art. 2364 c.c. per l'approvazione del bilancio e dall'art. 2501-quater c.c. in tema di fusione, dovendo, altresì, fare riferimento al caso concreto, alle dimensioni dell'impresa, il tipo di attività ed alle ragioni che hanno determinato la perdita (Cass. Civ., 17 novembre 2005, n. 23269, in Foro it., 2007, I, 919, con nota di Giargiantonio).

La relazione (rectius: il bilancio) e le osservazioni devono rimanere depositate nella sede della società negli otto giorni che precedono l'assemblea affinché i soci ne possano prendere visione e decidere in modo informato. La querelle circa il termine massimo intercorrente tra la redazione della relazione e l'assemblea si può oggi ritenere praticamente superata posto che nell'assemblea gli amministratori devono dare conto dei fatti di rilievo avvenuti dopo la redazione della relazione. Dovendo deliberare sulla riduzione del capitale e, dunque, su una modifica statutaria, l'assemblea delibererà in sede straordinaria (ai sensi dell'art. 2365 c.c.) con le maggioranze previste per tali tipi di deliberazioni. In dottrina è sorto il dubbio se un'assemblea ordinaria chiamata ad approvare un bilancio evidenziante perdite per oltre un terzo possa decidere in merito alla riduzione oppure non vi possa provvedere stante la sua natura ordinaria, propendendo per la seconda soluzione, a meno che, indipendentemente dalla qualificazione giuridica data nell'avviso di convocazione, sussistano tutte le condizioni previste dalla legge per poter deliberare anche in sede straordinaria, come i quorum costitutivi e deliberativi e la verbalizzazione da parte di un notaio. Diversamente dovrà essere convocata un'apposita assemblea straordinaria (R. Nobili, La riduzione del capitale, cit., 331 e ss.).

Riduzione (differita) obbligatoria ai sensi dell'art. 2446, comma 2, c.c.

Una volta che l'assemblea abbia optato per il rinvio delle perdite a nuovo, cioè all'esercizio successivo (dovendosi intendere come intero esercizio successivo), ed entro questo termine di grazia le perdite non siano diminuite a meno di un terzo del capitale (senza che sia previsto l'obbligo del totale riassorbimento delle perdite), la riduzione non potrà essere ulteriormente posposta, diventando, così, obbligatoria. I provvedimenti che possono essere presi al termine dell'esercizio successivo sono gli stessi adottabili in sede di prima assemblea ad eccezione, com'è evidente, di un ulteriore rinvio delle perdite a nuovo, ovviamente non più consentito. Nessuna riduzione dovrà essere obbligatoriamente deliberata se le perdite, nel frattempo, si siano ridotte a meno di un terzo (potendo, addirittura, questo sistema di stop and go, in ipotesi, continuare all'infinito).

Chiarendo definitivamente una vecchia questione, il legislatore ha stabilito che la deliberazione deve essere approvata dall'assemblea ordinaria (introducendo, in tal modo, un'eccezione al sistema che richiede l'assemblea straordinaria per tutte le modifiche statutarie) proprio perché, vertendosi in un caso di riduzione obbligatoria, è stato così previsto un abbassamento del quorum onde facilitare l'assunzione della relativa deliberazione. Poiché si tratta d'un'ipotesi eccezionale, eventuali altre deliberazioni che dovessero riguardare modificazioni dello statuto, prese contestualmente alla riduzione del capitale, dovranno essere sempre adottate dall'assemblea straordinaria, così, come, parimenti, qualsiasi altra ipotesi di riduzione obbligatoria (artt. 2447, 2343 e 2457 c.c.).

Va precisato che l'art. 2446, comma 2, c.c. va coordinato con l'art. 111-terdecies disp. att. c.c. che prevede l'obbligo di redazione del relativo verbale da parte di un notaio e la sua iscrizione nel registro delle imprese, ai sensi dell'art. 2436 c.c. Il capitale deve essere ridotto in proporzione delle perdite accertate, intendendosi, con tale espressione, che la riduzione non può essere parziale (in modo da ridurre la perdita al di sotto del terzo), ma deve essere coperta integralmente (Cass. Civ., 17 novembre 2005, n. 23269). In ogni caso d'inerzia dell'assemblea, spetterà agli amministratori, ai sindaci o al consiglio di sorveglianza chiedere al tribunale di disporre la riduzione in ragione delle perdite risultanti dal bilancio, con decreto soggetto a reclamo ed iscritto nel registro delle imprese. La diversa espressione usata dal legislatore (“in ragione delle perdite”) rispetto alla prima (“in proporzione delle perdite”) ha suscitato dubbi sulla necessità che l'assemblea debba sempre ridurre le perdite nella loro interezza e non in misura parziale, tanto da diminuirle a meno del terzo del capitale, sul duplice presupposto che una società può sempre operare con perdite inferiori al terzo del capitale e che ridurre “in proporzione” alle perdite non significa ridurre “in misura pari” ad esse (L. Stanghellini, Art. 2446 – Riduzione del capitale per perdite, in Le società per azioni, diretto da P. Abbadessa – G. B. Portale, Milano, 2016, 2726). Se le azioni emesse dalla società sono senza valore nominale, lo statuto può prevedere che la riduzione sia deliberata dal consiglio di amministrazione (ed, in applicazione dell'art. 2436 c.c., il verbale deve essere redatto da un notaio).

Disciplina speciale per s.p.a. start-up innovative e PMI innovative, s.p.a. in stato di crisi, banche e intermediari finanziari

Per le società per azioni start-up innovative, l'art. 26 del D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, convertito con L. 17 dicembre 2012, n. 221 stabilisce che: “Nelle start-up innovative il termine entro il quale la perdita deve risultare diminuita a meno di un terzo stabilito dagli artt. 2446, comma 2, e 2482-bis, comma 4, c.c., è posticipato al secondo esercizio successivo”. La conseguenza di tale norma è che il già richiamato periodo di grazia è di due anni, cosicché solo al termine del secondo anno (rectius: esercizio) si verifica l'ipotesi di cui all'art. 2446, comma 2, c.c., in commento.

Identica disciplina, in forza dell'art. 4, comma 9, D.L. 24 gennaio 2015, n. 3 (c.d. Investment Compact), convertito con L. 24 marzo 2015, n. 33, per espresso richiamo legislativo, si applica anche alle PMI innovative, siano esse s.p.a. o s.r.l.

Se una società che si trova in stato di crisi (nel significato proprio di cui all'art. 161 l. fall.) presenta una domanda di concordato preventivo, oppure di omologazione di accordi di ristrutturazione dei debiti oppure chiede al tribunale protezione dalle azioni esecutive proposte dai creditori, sarà esclusa dall'applicazione dalla disciplina in tema di riduzione obbligatoria del capitale e scioglimento della società per riduzione o perdita del capitale sociale, per tutta la durata della procedura e fino al decreto di omologazione. A mente dell'art. 2486 c.c., richiamato dall'art. 182-sexies l. fall., gli amministratori conservano il potere di gestire la società ai soli fini della conservazione dell'integrità e del valore del patrimonio sociale.

Da ultimo, è importante precisare che gli obblighi connessi alla normativa in esame non si applicano alle banche e agli intermediari finanziari in amministrazione straordinaria, in forza degli artt. 70 e ss. T.U.B. e 56 T.U.F., posto che, con il provvedimento in parola, sono sospese le funzioni dell'assemblea.

Riduzione del capitale sociale al di sotto del limite legale ai sensi dell'art. 2447 c.c.

Affinché si debba applicare la riduzione di cui all'art. 2447 c.c. devono concorrere congiuntamente due condizioni specifiche: perdite di oltre un terzo del capitale e riduzione del capitale al di sotto del minimo legale, con la conseguenza che non si debba procedere nel senso indicato dalla norma quando il capitale sociale è sceso oltre il minimo legale in conseguenza di perdite che non superino il terzo del capitale sociale, coordinando l'art. 2484, comma 1, n. 4) c.c. con l'art. 2447 c.c. (G. Campobasso, Diritto commerciale, cit., 519; O. Cagnasso, Le modificazioni statutarie e il diritto di recesso, in Trattato di diritto commerciale, diretto da Cottino, Padova, 2010, 4, 1019; R. Nobili, La riduzione del capitale, cit., 334 e ss.; R. Nobili – M. Spolidoro, La riduzione di capitale, in Trattato delle società per azioni, cit. 373 e ss.).

L'organo amministrativo ed, in caso d'inerzia, il collegio sindacale o il consiglio di sorveglianza devono convocare immediatamente l'assemblea straordinaria (previa redazione di una situazione patrimoniale aggiornata, condividendo il procedimento previsto dall'art. 2446 c.c., ut supra) affinché questa deliberi ola riduzione del capitale ed il contemporaneo aumento ad una cifra che non sia inferiore al minimo legale di € 50.000,00 ola trasformazione della società (ammettendosi, tuttavia, anche la fusione o la scissione: Trib. Milano, 22 settembre 1995). La rimozione dello stato di liquidazione consegue non alle delibere (di aumento o trasformazione), ma alla sottoscrizione dell'aumento di capitale o all'avvenuta trasformazione (R. Nobili – M. Spolidoro, La riduzione di capitale, in Trattato delle società per azioni, cit. 379 e ss.).

Si è molto discusso se l'aumento di capitale, contestuale alla riduzione, dovesse essere solo deliberato od anche contestualmente sottoscritto, contrapponendosi due esigenze: da una parte, quella di ricostituire il capitale, dotando la società dei mezzi necessari alla sua operatività e, dall'altra parte, quella di tutelare il diritto d'opzione degli azionisti, in particolare, ma non solo, di quelli assenti. Dottrina e giurisprudenza hanno precisato che non è necessaria la sottoscrizione contestuale dell'aumento, sia perché la legge usa il verbo non equivoco “deliberare” sia per tutelare il diritto d'opzione degli azionisti (G. Campobasso, Diritto commerciale, cit., 520 ss.; F. Ferrara – F. Corsi, Gli imprenditori e le società, Milano, 2011, 678 ss.; Consiglio Notarile di Milano, massima n. 38 – 19 novembre 2004 – Azzeramento e ricostituzione del capitale sociale in mancanza di contestuale esecuzione dell'aumento; Comitato Triveneto dei Notai, massima H.G.8 – 1° pubbl. settembre 2004 –Sottoscrizione della ricostituzione del capitale sociale ridotto per perdite; App. Roma 21 gennaio 1999, in Giur. it., 1999, 1239, con nota di Luoni).

In difetto, la società si scioglie ed entra in stato di liquidazione, con la precisazione che uno di tali provvedimenti deve essere preso immediatamente senza ulteriori rinvii all'anno successivo. Per completezza, va ricordato che, ai sensi dell'art. 2484, comma 3, c.c., gli effetti dello scioglimento si determinano alla data dell'iscrizione presso l'ufficio del registro delle imprese della dichiarazione con cui gli amministratori ne accertano la causa, così prevedendo, sembrerebbe, una fattispecie pubblicitaria costitutiva, escludendo l'operatività ipso iure dello scioglimento (Aa. Vv., Le modificazioni dello statuto nelle s.p.a., cit., 455 ss.).

Disciplina speciale per start-up innovative e PMI innovative e s.p.a. in stato di crisi.

L'art. 26 del D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, convertito con L. 17 dicembre 2012, n. 221 stabilisce che nelle società per azioni start-up innovative, che si trovino nelle ipotesi previste dagli artt. 2447 o 2482-ter c.c.,l'assemblea convocata senza indugio dagli amministratori, in alternativa all'immediata riduzione del capitale e al contemporaneo aumento del medesimo a una cifra non inferiore al minimo legale, può deliberare di rinviare tali decisioni alla chiusura dell'esercizio successivo. Fino alla chiusura di tale esercizio non opera la causa di scioglimento della società per riduzione o perdita del capitale sociale di cui agli artt. 2484, comma 1, punto n. 4), e 2545-duodecies c.c.

Se entro l'esercizio successivo il capitale non risulta reintegrato al di sopra del minimo legale, l'assemblea che approva il bilancio di tale esercizio deve deliberare ai sensi degli artt. 2447 o 2482-ter c.c.. In applicazione di tale norma, i provvedimento che devono essere presi dall'assemblea convocata per i provvedimenti di cui all'art. 2447 c.c., possono eccezionalmente essere rimandati alla chiusura dell'esercizio successivo a quello nel quale la perdita è stata evidenziata. Per le società in stato di crisi va ricordato il disposto dell'art. 182-sexies l. fall. si riferisce anche all'art. 2447 c.c., come ricordato al paragrafo precedente al quale si rinvia.

Misure urgenti per garantire la continuità delle imprese colpite dall'emergenza Covid-19

Il D.L. 8 aprile 2020, n. 23 (c.d. Decreto Liquidità), come modificato dalla L. 30 dicembre 2020, n. 178 (c.d. Legge di Bilancio 2021), ha sospeso gli obblighi di riduzione del capitale sociale per le perdite emerse nell'esercizio (in corso) alla data del 31 dicembre 2020.

In particolare, così recita l'art. 6 del predetto D.L. 23/2020, completamente riscritto dalla Legge di Bilancio:

1. Per le perdite emerse nell'esercizio in corso alla data del 31 dicembre 2020 non si applicano gli articoli 2446, secondo e terzo comma, 2447, 2482-bis, quarto, quinto e sesto comma, e 2482-ter del codice civile e non opera la causa di scioglimento della società per riduzione o perdita del capitale sociale di cui agli articoli 2484, primo comma, numero 4), e 2545-duodecies del codice civile.

2. Il termine entro il quale la perdita deve risultare diminuita a meno di un terzo stabilito dagli articoli 2446, secondo comma, e 2482-bis, quarto comma, del codice civile, è posticipato al quinto esercizio successivo; l'assemblea che approva il bilancio di tale esercizio deve ridurre il capitale in proporzione delle perdite accertate.

3. Nelle ipotesi previste dagli articoli 2447 o 2482-ter del codice civile l'assemblea convocata senza indugio dagli amministratori, in alternativa all'immediata riduzione del capitale e al contemporaneo aumento del medesimo a una cifra non inferiore al minimo legale, può deliberare di rinviare tali decisioni alla chiusura dell'esercizio di cui al comma 2. L'assemblea che approva il bilancio di tale esercizio deve procedere alle deliberazioni di cui agli articoli 2447 o 2482-ter del codice civile. Fino alla data di tale assemblea non opera la causa di scioglimento della società per riduzione o perdita del capitale sociale di cui agli articoli 2484, primo comma, numero 4), e 2545-duodecies del codice civile.

4. Le perdite di cui ai commi da 1 a 3 devono essere distintamente indicate nella nota integrativa con specificazione, in appositi prospetti, della loro origine nonché delle movimentazioni intervenute nell'esercizio”.

La norma in commento estende temporalmente la disapplicazione delle norme sull'obbligo di riduzione del capitale e sull'operatività della causa di scioglimento sino al quinto esercizio successivo a quello di emersione delle perdite stesse, precisando che queste ultime devono essere distintamente indicate nella nota integrativa con specificazione della loro origine nonché delle movimentazioni intervenute nell'esercizio.

Nulla cambia, invece, per l'obbligo, previsto dall'art. 2446, comma 1 e 2482-bis, commi 1, 2 e 3, c.c., di convocare l'assemblea dei soci per le deliberazioni conseguenti.

L'espressione “perdite emerse nell'esercizio in corso alla data del 31 dicembre 2020” non chiarisce se si tratti delle sole perdite prodotte nel corso del 2020 oppure di tutte le perdite risultanti dal già menzionato bilancio, comprendenti anche tutte quelle portate a nuovo da esercizi precedenti. Ma prima ancora non è chiaro se tali perdite debbano costituire conseguenza diretta ed immediata della pandemia e, infine, se ci si debba riferire ai bilanci chiusi entro il 31 dicembre 2020 oppure se sia possibile riferirsi anche ai bilanci a cavallo tra il 2020 ed il 2021.

Andiamo con ordine.

Mettendo a confronto il testo originario dell'art. 6 del D.L. in parola con la versione modificata dalla legge di conversione è possibile notare che l'ultima stesura espunge ogni riferimento ai bilanci chiusi entro il 31 dicembre 2020 e, con maggior elasticità, si riferisce, invece, alle perdite emerse nell'esercizio in corso alla data del 31 dicembre 2020, ammettendo, dunque, che ci si possa riferire anche a tutti gli esercizi a cavallo tra il 2020 e il 2021.

Alla domanda se le perdite de quibus debbano essere conseguenza diretta ed immediata della pandemia da Covid-19, benché certamente gli effetti devastanti pandemici siano stati il primo movens del legislatore, appare logico e sensato rispondere che si debbano ricomprendere tutte le perdite “comunque” determinate, siano o non siano esse diretta conseguenza della pandemia, sia perché, da un lato, sarebbe veramente difficile, se non impossibile, determinare con certezza la loro origine sia perché, almeno secondo l'id quod plerumque accidit, le perdite sono la manifestazione di fenomeni economici e finanziari complessi, poliedrici e polivalenti, concause, spessissimo, l'uno dell'altro.

Più complessa è la questione se per “perdite emerse nell'esercizio in corso alla data del 31 dicembre 2020” si debbano intendere le sole perdite prodotte nel corso del 2020 oppure anche tutte le perdite portate a nuovo da esercizi precedenti.

Diversamente dai primi commenti apparsi anche su questo Portale (Sottoriva – Cerri, La proroga della sospensione della disciplina sulla riduzione obbligatoria del capitale nella legge di bilancio 2021) e da un unico (a quanto consta) provvedimento di merito (Trib. Catania, 28 maggio 2020, in questo Portale), il Consiglio Nazionale del Notariato (Studio n. 88-2021) è giunto alla conclusione che si possano “sterilizzare” per cinque anni anche le perdite maturate prima del 2020, sulla base di un articolato e condivisibile ragionamento.

Preliminarmente occorre interpretare con attenzione il più volte citato art. 6 D.L. n. 23/2020, come modificato dalla Legge di Bilancio 2021 e, dunque, nella sua versione definitiva, stabilendo quali siano i rapporti tra i diversi commi della norma, se, cioè, il primo comma individui la fattispecie tipica sulla quale si innestano i commi successivi oppure se il primo comma debba essere considerato a sé stante ed indipendente dai commi successivi.

Le conseguenze che ne derivano, infatti, a seconda dei casi, potrebbero essere dirompenti.

Se si accogliesse la prima interpretazione (fatta propria dalla maggioranza dei commentatori), vi sarebbe la possibilità di rinviare la deliberazione dell'eventuale riduzione del capitale sociale all'assemblea che approvi il bilancio del quinto esercizio successivo.

Se, invece, si accogliesse la seconda interpretazione, si dovrebbe giungere alla conclusione per la quale il primo comma individuerebbe le perdite eventualmente da sterilizzare in via definitiva, stabilmente, mentre i commi secondo e terzo, modificherebbero stabilmente la disciplina di cui agli artt. 2446, 2447, 2482-ter e 2482-quater, consentendo di rinviare al quinto esercizio successivo l'adozione dei provvedimenti imposti da tali norme, tutte le volte che ne ricorressero i presupposti.

Se così fosse, dovremmo prendere atto dell'esistenza (e della permanenza) nel nostro ordinamento di società con patrimonio netto negativo, minando in modo del tutto inopinato i fondamenti stessi del sistema del capitale sociale, tacendo del fatto che consentendo il rinvio di un quinquennio per ogni fattispecie, non sarebbe agevole la ricostruzione della disciplina applicabile alle ulteriori perdite maturate nel quinquennio.

La temporaneità e l'eccezionalità della disciplina in commento fanno, dunque, ritenere certamente preferibile l'interpretazione che individua nel primo comma dell'art. 6 del più volte citato decreto-legge la fattispecie tipica (le perdite evidenziate nel bilancio al 31 dicembre 2020) sulla quale s'innestano i successivi commi che ne costituiscono la specificazione.

Ne deriva, pertanto, che eventuali ulteriori perdite che dovessero evidenziarsi nel quinquennio dovrebbero essere ripianate secondo le regole generali in applicazione dei noti principi sopra esposti, mediante riduzione e conseguente ricapitalizzazione, oppure mediante trasformazione della società o suo scioglimento e messa in liquidazione.

Da ultimo, è bene precisare che, a seconda dell'interpretazione che si voglia dare al termine “perdite rilevanti” ai fini dell'applicazione degli artt. 2446 e 2447, benché si debba dare atto di un orientamento che considera tali solo le perdite emerse dal conto economico relativo al 2020, prescindendo dall'eventuale esistenza di riserve in grado di assorbirle, lo stesso Consiglio Nazionale del Notariato (ut supra) è giunto alla conclusione che sembra preferibile ritenere che qualora una società registri perdite risultanti dal conto economico 2020 ma che siano integralmente coperte da riserve, non vi sarebbero, di fatto, perdite da “sterilizzare”, in quanto coperte dalle riserve stesse. Questo principio è affermato anche dalla giurisprudenza di legittimità che, in più di una occasione ha affermato che le disponibilità delle società devono essere intaccate secondo un ordine che tenga conto del grado di facilità con cui la società potrebbe deliberarne la destinazione ai soci; che il capitale sociale ha un grado di indisponibilità maggiore di quello relativo alla riserva legale, laddove le riserve statutarie e quelle facoltative create dall'assemblea sono liberamente disponibili; e che, pertanto, devono essere utilizzate, nell'ordine, prima le riserve facoltative, poi quelle statutarie, indi quelle legali e, da ultimo, il capitale sociale. Si tratta di una modalità, condivisa dalla prevalente dottrina, inderogabile, in quanto la sua ratio risiede nella circostanza che, come bene è stato osservato, i “diversi strati” del netto, poiché sono progressivamente più vincolati a garanzia dei creditori, possono e devono subire le decisioni dei soci di intaccarli nell'ordine sopra indicato, restando preclusa ai soci la possibilità di far gravare le perdite sul netto meno vincolato, sino a quando esistono parti di netto meno vincolate o non vincolate, tant'è che non si potrebbe neppure parlare correttamente di perdite di capitale se non nella misura in cui tali perdite eccedano l'ammontare delle riserve che sono destinate a costituire un presidio avanzato del capitale medesimo (Cass., 2 aprile 2007, n. 8221, in Giur. Comm., 2008, 5, II, 963).

Misure urgenti in materia di crisi d'impresa e di risanamento aziendale – Dall'imperatività all'assertività

Il D.L. 24 agosto 2021, n. 118, convertito in L. 21 ottobre 2021, n. 147 (che ha introdotto la composizione negoziata per la soluzione della crisi d'impresa e il concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio) all'art. 8, rubricato “Sospensione degli obblighi di cui agli articoli 2446 e 247 del codice civile”, prevede che dalla pubblicazione dell'istanza con la richiesta di misure protettive e sino alla conclusione delle trattative o all'archiviazione dell'istanza di composizione negoziata, non si applicano gli articoli 2446, secondo e terzo comma, 2447, 2482-bis, quarto, quinto e sesto comma e 2482-ter c.c. e la causa di scioglimento della società per riduzione o perdita del capitale sociale di cui agli articoli 2484, primo comma, n. 4), e 2545-duodecies c.c. Tale misura si accompagna a quelle protettive previste dall'art. 6 del medesimo decreto legge se l'imprenditore dichiara, nella stessa istanza con la quale chiede la protezione del proprio patrimonio, che intende avvalersene.

Si è così passati, con un approccio poco sistematico e, forse, troppo improvvisato o poco meditato, dall'art. 182-sexies l. fall. per il quale dalla data del deposito della domanda di concordato preventivo, anche in bianco, oppure di un accordo di ristrutturazione dei debiti non si applicano gli articoli 2446, secondo e terzo comma, 2447, 2482-bis, quarto, quinto e sesto comma, e 2482-ter del codice civile e non opera la causa di scioglimento della società per riduzione o perdita del capitale sociale di cui agli articoli 2484, primo comma, numero 4), e 2545-duodecies del codice civile, all'art 20 CCII che, in tema di composizione assistita della crisi, prevede un controllo giurisdizionale sulla possibilità di sterilizzazione delle norme poste a tutela dell'integrità del capitale sociale, alla mera dichiarazione dell'imprenditore di avvalersi di tale possibilità, accelerando, se possibile, quel percorso di progressivo scolorimento e depotenziamento del sistema del capitale sociale, che sembra avvicinare il nostro ordinamento giuridico a quello dei paesi anglosassoni ed, in primis, degli Stati Uniti d'America, svincolandolo da parametri statici a favore di più attuali strumenti dinamici nell'ottica della conservazione della continuità aziendale (Signorelli, Legal capital e capitale sociale – Un percorso parallelo verso la rilevanza della continuità aziendale, Milano, 2019).

Riferimenti

Normativi

  • artt. 2343, 2364, 2365, 2436, 2445, 2446, 2447, 2457, 2482-ter, 2484, 2486, 2501-quater, 2545-duodecies c.c.;
  • art. 111-terdecies disp. att. c.c.;
  • artt. 161 e 182-sexies l. fall.;
  • art. 6 D.L. 8 aprile 2020, n. 23;
  • art. 8 D.L. 24 agosto 2021, n. 118;
  • art. 20 CCII;
  • art. 70 T.U.B.;
  • art. 56 T.U.F;
  • artt. 25 e 26 D.L. 18 ottobre 2012, n. 179;
  • art. 4 D.L. 24 gennaio 2015, n. 3.

Giurisprudenza

  • Cass. Civ., 17 novembre 2005, n. 23269;
  • Cass. Civ., 6 novembre 1999, n. 12347;
  • Cass. Civ., 13 gennaio 2006, n. 543;
  • App. Milano, 19 settembre 2000;
  • App. Roma 21 gennaio 1999.

Bibliografia

  • G. Campobasso, Diritto commerciale, 2, Diritto delle società, Torino, 2015, 517;
  • Jr. F. Ferrara – F. Corsi, Gli imprenditori e le società, Milano, 2011;
  • L. Genghini – P. Simonetti, Le società di capitali e le cooperative, in Manuali notarili, a cura di Genghini, III, Padova, 2012;
  • AA. VV., Le modificazioni dello statuto nelle s.p.a., in Trattato di diritto privato, diretto da P. Rescigno, XVI, Torino, 2012;
  • L. Stanghellini, Art. 2446 – Riduzione del capitale per perdite, in Le società per azioni, diretto da P. Abbadessa – G. B. Portale, Milano, 2016.
Sommario