Riforma delle intercettazioni. Le nuove disposizioni per i delitti dei pubblici ufficiali contro la P.A.

Irene Coppola
24 Gennaio 2018

La riforma delle intercettazioni contenuta nel decreto legislativo 216/2017 ha previsto, all'art. 6, una disciplina specifica per i delitti commessi dai pubblici ufficiali contro la P.A. e ciò in quanto, su pressante sollecitazione dell'opinione pubblica e a causa della dilagante corruzione che, in tempi recenti, ha visto coinvolto un numero sempre maggiore di ...
Abstract

Nell'ambito della c.d. riforma Orlando, che ha introdotto importanti modifiche al processo penale, particolare attenzione – anche mediatica – ha suscitato la nuova disciplina in tema di , n. intercettazioni di conversazioni o comunicazioni (decreto legislativo 29 dicembre 2017, n. 216, in attuazione della legge delega di cui all'articolo 1, commi 82, 83 e 84, lettere a), b), c), d) ed e), della legge 23 giugno 2017, n. 103), in quanto attesa da tempo e sollecitata – sotto diversi fronti e da svariati interlocutori – al fine di garantire maggior rigore nell'utilizzo di uno degli strumenti investigativi più impiegati nel nostro sistema giudiziario; più incisività dei risultati e, allo stesso tempo, maggior tutela dei diritti di coloro le cui conversazioni sono oggetto di captazione.

I punti chiave della riforma sulle intercettazioni

Il decreto legislativo 29 dicembre 2017, n. 216 Disposizioni in materia di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni è stato emanato in attuazione della delega di cui all'articolo 1, commi 82, 83 e 84, lettere a), b), c), d) ed e), della legge 23 giugno 2017, n. 103.), la c.d. riforma Orlando che ha introdotto numerose modifiche al processo penale.

Il decreto legislativo si compone di 9 articoli riguardanti la riservatezza delle comunicazioni e delle conversazioni telefoniche e telematiche oggetto di intercettazione; la trascrizione, il deposito e la conservazione dei verbali di intercettazione; l'utilizzo di captatori informatici (meglio noti come virus-spia/trojan; la semplificazione delle condizioni per l'impiego delle intercettazioni nei procedimenti per i più gravi reati dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione.

È stato altresì disposto: un utilizzo limitato ai brani essenziali e necessari degli ascolti trascritti per la stesura di atti giudiziari; un divieto per la polizia giudiziaria di inserire materiale irrilevante per le indagini nei verbali sintetici delle operazioni di intercettazione; un divieto assoluto di trascrizione delle conversazioni cliente-avvocato eventualmente intercettate; un divieto di diffondere riprese e registrazioni di comunicazioni fraudolente (ipotesi configurante un reato punibile con la reclusione fino a quattro anni).

Regole particolarmente stringenti sono previste anche in merito alla procedura da adottare, sia ad opera del pubblico ministero che del Gip, suddivisa in due fasi.

Nella prima fase il P.M. deposita le conversazioni e gli atti di autorizzazione delle intercettazioni, così che la difesa possa conoscere gli elementi di cui l'Accusa intende fare richiesta di acquisizione e controllare su ciò che verrà incluso o escluso.

Nella seconda fase, invece, il Gip decide sull'acquisizione delle comunicazioni che ritiene rilevanti, su richiesta del P.M. e dei difensori, dopo un contraddittorio tra le parti. Può altresì procedere allo stralcio delle registrazioni e dei verbali di cui è vietata l'utilizzazione. La documentazione non acquisita verrà restituita al P.M. il quale dovrà curarne la conservazione in un archivio riservato.

Questi i punti chiave della riforma.

Cosa cambia in tema di delitti contro la pubblica amministrazione

La riforma contenuta nel decreto legislativo ha previsto, all'art. 6, una disciplina specifica per i delitti commessi dai pubblici ufficiali contro la P.A. e ciò in quanto, su pressante sollecitazione dell'opinione pubblica e a causa della dilagante corruzione che, in tempi recenti, ha visto coinvolto un numero sempre maggiore di soggetti con funzioni più o meno apicali all'interno di enti pubblici, con evidente danno alla gestione della “cosa comune”, al buon andamento, al prestigio e al funzionamento dell'amministrazione pubblica in generale, si è ritenuto indispensabile ampliare gli strumenti in mano agli inquirenti, per rendere più efficaci alcuni strumenti investigativi, quali le intercettazioni di comunicazioni e di conversazioni, riducendo ma senza eliminarle alcune garanzie costituzionali.

Pertanto, limitatamente ai delitti dei pubblici ufficiali contro la P.A. puniti con la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni, si applicano le disposizioni di cui all'art. 13 del d.l. 13 maggio 1991 n. 152, convertito con modificazioni, dalla l. 12 luglio 1991, n. 203.

L'intercettazione di comunicazioni tra presenti nei luoghi indicati nell'art. 614 c.p. non può essere eseguita mediante l'inserimento di un captatore informatico su dispositivo elettronico portatile quando non vi è motivo di ritenere che ivi si stia svolgendo l'attività criminosa.

Questi dunque gli aspetti focali della riforma:

  1. si fa riferimento ai soli delitti commessi da pubblici ufficiali contro la P.A.;
  2. la deroga vale solo per i delitti con pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni;
  3. solo per tali ipotesi più gravi, si applica la disciplina meno restrittiva dell'art. 13 l. 203/1991 prevista per soggetti appartenenti alle organizzazioni criminali;
  4. l'intercettazione tra presenti nel domicilio o in luoghi ad esso equiparati, non può eseguirsi con captatori informatici su dispositivi elettronici;
  5. è ammesso l'uso di tali strumenti anche nei luoghi di cui al 614 c.p. solo (dunque in via residuale) ove vi sia motivo di ritenere che ivi si stia svolgendo l'attività criminosa oggetto di accertamento.

La disposizione al presente articolo, in sintesi, ammette, nei procedimenti per i reati più gravi dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione, l'accesso alle intercettazioni sulla base dell'esistenza di sufficienti indizi di reato e della necessità di utilizzarle per procedere nelle indagini. Presupposti meno rigorosi secondo il modello già sperimentato e, oramai, consolidato di contrasto alla criminalità organizzata.

Si tratta di una disciplina che, come dichiarato dal Ministro Orlando, «non restringe la facoltà dei magistrati e delle forze dell'ordine di utilizzare le intercettazioni come strumento di indagine» ma anzi «rende più semplice in un passaggio specifico la richiesta di autorizzazione per i reati più gravi contro la P.A. e non interviene sulla libertà di stampa e sul diritto di cronaca».

L'estensione ai reati contro la P.A. delle disposizioni in tema di intercettazioni, già vigenti per i delitti di criminalità organizzata

Per analizzare in maggior dettaglio in che termini e con che modalità si possano utilizzare le intercettazioni per l'ipotesi di cui al richiamato articolo 6 è necessario soffermarsi sulle previsioni contenute nell'art. 13 della l. 203/1991 e nell'art. 267 c.p.p.

Prima della riforma del presente decreto legislativo, ai delitti dei pubblici ufficiali commessi contro la P.A. si applicava il disposto dell'art. 267 c.p.p., che prevede la sussistenza di «gravi indizi di colpevolezza e l'assoluta indispensabilità dell'intercettazione per la prosecuzione delle indagini»

Con la nuova disciplina, invece, e sulla scorta del modello già adottato e ormai consolidato per la lotta alla criminalità organizzata, si semplificano le condizioni per l'utilizzo delle intercettazioni, in quanto è richiesta la sussistenza di «sufficienti indizi di reato e della necessità per lo svolgimento delle indagini», fatta salva però la limitazione delle captazioni con strumenti informatici in luoghi di privata dimora e simili.

Mentre per i delitti di criminalità organizzata, infatti, le captazioni nei luoghi di cui all'art. 614 c.p. sono ammesse anche qualora non vi sia motivo di ritenere che vi si stia svolgendo l'attività criminale, ciò non è consentito per i delitti di cui all'art. 5 del decreto commessi dai pubblici ufficiali.

Una garanzia che si pone come obiettivo quello di salvaguardare quanto più possibile i diritti costituzionalmente garantiti, limitandoli solo nei casi di estrema necessità e in via eccezionale.

L'utilizzo dei captatori informatici nei procedimenti per i reati dei pubblici ufficiali con la P.A.

Importante novità introdotta dal decreto legislativo riguarda l'utilizzo dei captatori informatici, meglio noti come trojan ovvero virus-spia installati all'interno di dispositivi elettronici portatili (quali smartphone e tablet).

Il loro uso, per la captazione di conversazioni o comunicazioni in ambito domiciliare, è consentito nei luoghi di cui al 614 c.p., come detto, solo per i delitti criminalità organizzata o terrorismo, ovvero, anche per le ipotesi di reati contro la P.A. ad opera di pubblici ufficiali, nel solo eccezionale caso in cui all'interno di detti locali sia in atto l' attività criminosa.

Ma vediamo del dettaglio cosa sono i trojan e come avviene la loro attivazione da parte dell'operatore di polizia giudiziaria.

Il trojan è un virus installato nei cellulari, nei tablet e nei computer, il cui utilizzo, fino a oggi, non era stato regolamentato.

Qualora il pubblico ministero ritenga opportuno e necessario utilizzarlo per reati di cui all'art. 6, dovrà farne richiesta al Gip, il quale, a sua volta, dovrà motivare la sua scelta e indicare anche gli ambienti in cui l'intercettazione con questi mezzi dovrà essere svolta.

L'attivazione del microfono, inoltre, dovrà avvenire solo attraverso apposito comando inviato da remoto e non con il solo inserimento del captatore informatico.

L'utilizzo del trojan appare di grande utilità investigativa, in quanto, una volta installato e “lanciato” (cioè attivato da remoto), grazie al download di un file, di un'applicazione o programmi analoghi, consente di individuare e tracciare spostamenti e contenuti degli apparati che sfruttano connessioni internet (come tablet, smartphone, pc).

Trattandosi di strumenti particolarmente invasivi della privacy, si è ritenuto doveroso procedere ad una regolamentazione dettagliata, limitandone quantomeno gli ambiti ed i contesti di utilizzo e circoscrivendo le fattispecie di reato per le quali ne è ammessa l'attivazione.

Già negli anni scorsi la VI Sezione penale della Cassazione sulla questione relativa all'utilizzo dei trojan (per i delitti di criminalità organizzata) «considerata la delicatezza della materia, in cui il ricorso a strumenti di sofisticata tecnica informatica, di così formidabile invadenza nella sfera della privacy e nello stesso tempo di applicazione tendenzialmente semplice, può determinare, da un lato, la compromissione di diritti costituzionali, dall'altro, assicurare una maggiore capacità investigativa finalizzata alla repressione di gravi reati» aveva rimesso alle Sezioni Unite le seguenti questioni: i) se il decreto che dispone l'intercettazione di conversazioni o comunicazioni attraverso l'installazione in congegni elettronici di un virus informatico debba indicare, a pena di inutilizzabilità dei relativi risultati, i luoghi ove deve avvenire la relativa captazione; ii) se, in mancanza di tale indicazione, la eventuale sanzione di inutilizzabilità riguardi in concreto solo le captazioni che avvengano in luoghi di privata dimora al di fuori dei presupposti indicati dall'art. 266, comma 2, c.p.p.; iii) se possa comunque prescindersi da tale indicazione nel caso in cui l'intercettazione per mezzo di virus informatico sia disposta in un procedimento relativo a delitti di criminalità organizzata.

Le Sezioni Unite, con sentenza n. 26889 del 28 aprile 2016 (depositata il 1 luglio 2016), hanno risposto affermativamente, limitatamente a procedimenti relativi a delitti di criminalità organizzata, anche terroristica, affermando i seguenti principi di diritto:

  • «deve escludersi la possibilità di compiere intercettazioni nei luoghi indicati dall'art. 614 c.p., con il mezzo indicato in precedenza, al di fuori della disciplina derogatoria per la criminalità organizzata di cui all'art. 13 d.l. 152 del 1991, convertito in legge 203 del 1991, non potendosi prevedere, all'atto dell'autorizzazione, i luoghi di privata dimora nei quali il dispositivo elettronico verrà introdotto, con conseguente impossibilità di effettuare un adeguato controllo circa l'effettivo rispetto del presupposto, previsto dall'art. 266, comma 2, c.p.p., che in detto luogo «si stia svolgendo l'attività criminosa»;
  • «è invece consentita la captazione nei luoghi di privata dimora ex art. 614 c.p., pure se non singolarmente individuati e se ivi non si stia svolgendo l'attività criminosa, per i procedimenti relativi a delitti di criminalità organizzata, anche terroristica, secondo la previsione dell'art. 13 d.l. 152 del 1991»;
  • «per procedimenti relativi a delitti di criminalità organizzata devono intendersi quelli elencati nell'art. 51, commi 3-bis e 3-quater, c.p.p. nonché quelli comunque facenti capo a un'associazione per delinquere, con esclusione del mero concorso di persone nel reato».

Nella citata sentenza si fa richiamo anche alla tecnica del captatore informatico, ovvero agente intrusore che, trasmettendo i dati in tempo reale all'operatore di P.G., permette di:

  • captare tutto il traffico di dati in arrivo o in partenza dal dispositivo infettato;
  • attivare il microfono e captare i colloqui che si svolgono nella spazio in cui si trova il dispositivo;
  • mettere in funzione la webcam permettendo di acquisire le immagini;
  • decifrare tutto ciò che viene digitato sulla tastiera collegata al sistema (keylogger) e visualizzare tutto ciò che accade sullo schermo del dispositivo bersaglio (attraverso gli screenshot);
  • lasciare il virus attivo nel dispositivo anche in caso di “pulizia” dell'apparecchio.
È evidente l'invasività di tale strumento, che pur consentendo risultati investigativi di grande pregio, deve collocarsi nei limiti costituzionali, garantendo il bilanciamento tra l'azione investigativa – che deve essere la più efficace possibile – e il rispetto della privacy del soggetto. Per tornare ora alle disposizioni della riforma, appare di tutta evidenza come da una parte sia stata estesa l'originaria previsione della Cassazione e dall'altra siano stati introdotti vincoli ben precisi, pur lasciando intatta l'ampia discrezionalità del giudice nel valutare la legittimità dello strumento informatico richiesto.

Il trojan, infatti, a differenza di un normale virus, non ha la capacità di autoriproduzione e diffusione ma è l'utente a scaricarlo, e, una volta eseguito, installa segretamente il file server sul computer della vittima, carpendone tutti i contenuti, siano essi immagini, conversazioni chat, mail e quanto altro, trasmettendoli in tempo reale all'operazione di polizia.

Proprio per tale ragione, non possono essere mantenuti attivi senza limiti di tempo o di spazio, ma vanno attivati da remoto secondo quanto previsto dal pubblico ministero nel proprio programma d'indagine e disattivati se l'intercettazione avviene in ambiente domiciliare, a meno che non vi sia prova che in tale ambito si stia svolgendo l'attività criminosa.

Non solo. Anche il Gip dovrà motivare, quando non si tratti di delitti di criminalità organizzata o terrorismo, sulle ragioni che hanno portato alla scelta di tale modalità intercettiva e indicare gli ambienti in cui la stessa si dovrà svolgere, secondo un progetto investigativo che implica l'individuazione dei luoghi in cui si sposterà il dispositivo mobile controllato.

Dovranno altresì essere indicati, nel verbale, i nominativi dei soggetti appartenenti alla polizia giudiziaria delegati alle operazioni di intercettazione ed i luoghi in cui avviene la captazione, al fine di rendere possibile il controllo fra la corrispondenza delle attività svolte con il contenuto del decreto di autorizzazione; il momento di attivazione del captatore e le modalità di trasmissione dei dati raccolti.

In conclusione

La riforma delle intercettazioni si pone dunque come strumento indispensabile al fine di adeguare le attività investigative allo sviluppo, all'evoluzione tecnologica ed alla rapidità di diffusione informatica, e di consentire alle stesse di stare al passo con i tempi, intervenendo in maniera capillare ed efficace per il contrasto, non solo dei delitti di maggior allarme sociale, ma anche di quelle fattispecie che, nel corso degli ultimi anni, hanno visto un aumento esponenziale con danno alla collettività tutta.

Per tali ragioni il Legislatore è chiamato a trovare soluzioni che, pur contrastando - con risultati effettivi - le fattispecie delittuose di maggior allarme sociale, sappiano, tuttavia, sempre più e con crescente attenzione, salvaguardare quei principi costituzionali che, in uno stato di diritto, non possono essere soffocati e limitati se non in via residuale, eccezionale e motivata.

La tecnologia infatti, o meglio la semplicità e la diffusività del suo utilizzo, deve trovare adeguata disciplina e limiti ben definiti e circoscritti, per consentire a tutti i soggetti in causa di vedere garantiti i propri diritti ed i propri doveri, con beneficio per la collettività e per il buon andamento della macchina statale.