Sul rapporto tra confisca e prescrizione: principi contrastanti nella recente giurisprudenza
26 Gennaio 2018
Abstract
La Suprema Corte si è di recente pronunciata in maniera contrastante sul rapporto tra confisca e prescrizione del reato, rivitalizzando il dibattito tutt'ora aperto circa la legalità della c.d. confisca, specie urbanistica, in assenza di condanna. Il contrasto assume fondamentale importanza per la tutela del diritto di proprietà del terzo in buona fede, spesso tratto a giudizio per l'ipotesi di reato di lottizzazione urbanistica c.d. negoziale senza averne mai avuto coscienza e volontà. Confisca e prescrizione: gli eterogenei riferimenti normativi
È noto che a partire dalla seconda metà dello scorso decennio si è acceso un ampio dibattito dottrinale e giurisprudenziale in merito alla necessità/opportunità di includere sempre e comunque una pronuncia di condanna emessa nel giudizio penale tra i presupposti indefettibili per l'applicazione di quella misura del tutto sui generis che è la confisca e, in particolare (ma non solo), di quelle figure di confisca per le quali tale presupposto non è esplicitamente stabilito a livello normativo (sulla natura giuridica anomala e polifunzionale della confisca, nel contesto di tale dibattito, V. MAIELLO, Confisca, Cedu e Diritto dell'Unione tra questioni risolte ed altre ancora aperte, in Riv. trim. dir. pen. cont., 3.4/2012, 51 ss.; F. MAZZACUVA, La confisca disposta in assenza di condanna viola l'art. 7 Cedu, in Dir. pen. cont., 5 novembre 2013; E. NICOSIA, La confisca, le confische, Torino, 2012, 19 ss.). Il dibattito è emerso in particolare a seguito di una serie di pronunce giurisprudenziali interne e internazionali, relative a diverse figure di confisca. Tali pronunce hanno messo in luce, da un lato, l'ambiguità di talune norme interne sul punto dell'inclusione o meno della pronuncia di condanna penale tra i presupposti essenziali per l'applicazione della misura (circostanza che ha favorito il proliferare di orientamenti discordanti in merito); e, dall'altro, la notevole rilevanza pratica di tale inclusione, rispettivamente in termini di realizzazione delle asserite e molteplici finalità politico-criminali della misura ablativa (punitive, general-preventive, special-preventive, ripristinatorie) oppure, all'opposto, in termini di salvaguardia dei diritti individuali del soggetto destinatario del provvedimento (E. NICOSIA, La confisca, le confische, Torino, 2012, 19 ss.). A questo proposito e in linea generale va evidenziato che «l'inclusione (per espressa previsione normativa o per via di interpretazione giurisprudenziale) della pronuncia di condanna tra i presupposti necessari per l'applicazione della confisca, se da un lato non solleva particolari problemi sul versante della tutela dei diritti individuali (in quanto ancorare la confisca alla pronuncia di condanna in sede penale costituisce una forma di garanzia del fatto che la misura, che può presentare anche connotati punitivo-sanzionatori, venga applicata solo nei confronti di soggetti la cui responsabilità penale è stata oggetto di accertamento), dall'altro lato può tuttavia rivelarsi insoddisfacente o inopportuna, potendosi ravvisare varie ragioni – che vanno dalla necessità di reintegrare l'ordine giuridico violato (funzione compensativo/riparatoria) alla necessità di garantire un effetto deterrente (funzione general-preventiva) o neutralizzante (funzione special-preventiva) – le quali possono indurre a ritenere necessario e/o opportuno applicare la misura ablativa anche indipendentemente da una pronuncia di condanna» (E. NICOSIA, Prescrizione del reato e confisca “urbanistica” dopo le pronunce della Corte europea dei diritti dell'uomo e della Corte costituzionale, in Dir. pen. proc., 2017, 56 ss.). Viceversa, consentire l'applicazione della confisca anche in assenza di condanna, «in modo da garantire comunque il raggiungimento di tutti i suoi suddetti scopi politico-criminali (punitivi, preventivi o ripristinatori), solleva problemi di tutela del diritto del soggetto colpito a non essere sanzionato, in assenza di accertamento di responsabilità, con una misura ablatoria alla quale si riconosce – ormai e sempre più di frequente – anche una componente afflittivo/punitiva» (E. NICOSIA, Prescrizione del reato e confisca “urbanistica” dopo le pronunce della Corte europea dei diritti dell'uomo e della Corte costituzionale, cit., 56 ss.). Il problema dell'applicabilità della confisca senza condanna si pone in quei casi in cui, in assenza di una pronuncia di condanna in senso formale, emerge nel corso del procedimento penale l'obiettiva commissione di un fatto tipico (se non addirittura di un reato perfetto in tutti i suoi elementi), circostanza che potrebbe rendere giustificata l'applicazione della confisca in funzione quantomeno compensativo/riparatoria: «vale a dire, i casi di proscioglimento per l'intervento di una causa di estinzione del reato (esempi tipici: la morte del reo o la prescrizione), ma anche i casi di assoluzione perché il fatto non costituisce reato (per assenza di antigiuridicità o di colpevolezza)» (E. NICOSIA, Prescrizione del reato e confisca “urbanistica” dopo le pronunce della Corte europea dei diritti dell'uomo e della Corte costituzionale, cit., 56 ss.). In questi casi la confisca si presenta spesso come un provvedimento la cui applicazione anche in assenza di pronuncia di condanna può apparire necessaria per ragioni di deterrenza, prevenzione speciale, compensazione/riparazione o comunque giustizia sostanziale. Il problema dell'applicabilità della confisca in assenza di condanna si ricollega all'ambiguità di molte delle norme che prevedono la misura ablativa in relazione alle diverse tipologie di reato o ai suoi diversi oggetti. Il presupposto della condanna è espressamente previsto a livello normativo ai fini dell'applicazione, tra le altre:
In questi casi, pur in presenza dell'accertamento della realizzazione di un fatto tipico, l'eventuale assenza di pronuncia di condanna per qualsiasi ragione (assoluzione per carenza di elemento soggettivo, ovvero estinzione del reato per prescrizione, amnistia, morte del reo, ecc.) sembrerebbe dover precludere senz'altro, per espressa previsione normativa, l'applicazione della misura. Il presupposto della condanna è invece espressamente escluso a livello normativo ai fini dell'applicazione di altre figure di confisca, anche assai eterogenee tra loro, quali in particolare: 1) la confisca delle cose obiettivamente illecite (art. 240, comma 2, n. 2 c.p.), la cui intrinseca illiceità e pericolosità rende evidentemente necessario e opportuno, nella valutazione del legislatore, toglierle comunque dalla circolazione e dalla disponibilità dei privati, anche se non si sia pervenuti ad una pronuncia di condanna per qualsiasi ragione; 2) la confisca c.d. di prevenzione (oggi prevista dall'art. 24, d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159). Infine, «vi sono figure di confisca per le quali il presupposto della condanna non è, a livello normativo, né espressamente escluso né espressamente previsto: il legislatore non ha stabilito nulla in proposito, sicché è toccato alla giurisprudenza stabilire se la condanna rientrasse comunque tra i presupposti necessari della misura ablativa - con ciò aderendo alla tesi che afferma l'essenzialità del presupposto della pronuncia di condanna come una sorta di regola generale - o se, viceversa, alla confisca possa o debba procedersi anche nei casi in cui a tale pronuncia, per le più varie ragioni (assoluzione, estinzione del reato, ecc.) non si sia pervenuti. Gli esiti applicativi mostrano in proposito una certa tendenza "efficientista" della giurisprudenza volta a sminuire, in assenza di espressa previsione normativa, la rilevanza della pronuncia di condanna quale presupposto implicito di applicazione della confisca; tendenza che non ha mancato di sollevare dubbi sotto il profilo del rispetto dei diritti individuali» (E. NICOSIA, Prescrizione del reato e confisca “urbanistica” dopo le pronunce della Corte europea dei diritti dell'uomo e della Corte costituzionale, cit., 56 ss.). Tra tali figure rientrano, tra l'altro:
Le due contrastanti sentenze del novembre 2017 sul tema
Le ultime pronunce che si registrano sull'argomento hanno fissato dei principi di diritto contrastanti tra di loro, testimoniando l'estrema incertezza in subiecta materia. Nello specifico, la sentenza Cass. pen., Sez. I, 20 gennaio 2017 (dep. 27 novembre 2017), n. 53609 è stata chiamata a giudicare il ricorso avverso la pronuncia della Corte territoriale di rigetto dell'istanza di restituzione di somme sequestrate, in materia di reati contro il patrimonio (ricettazione, truffa tentata e consumata). Il ricorrente eccepiva la omessa valutazione da parte dei giudici di merito dei principi fissati dalla giurisprudenza della Corte Edu che considera illegittima la confisca disposta in assenza di condanna, richiamando, in particolare, la pronuncia relativa al caso Varvara Vs Italia (n. 17475/2009). La Corte regolatrice ha statuito il presente principio: «La Corte di appello di Napoli non si è confrontata con la sentenza emessa dalla Corte Edu il 29 ottobre 2013 nel ricorso n. 17475/09, Varvara c. Italia, che ha enunciato il principio di incompatibilità della confisca di un bene con la mancanza di una pronuncia condannatoria nei confronti del titolare dello stesso bene. Il giudice del merito, infatti, avrebbe dovuto chiarire quale peso avesse nel caso in esame il predetto principio, in base al quale la confisca di un bene che sia prodotto o prezzo del reato non può applicarsi nel caso di declaratoria di prescrizione del reato stesso, anche qualora la responsabilità penale sia stata accertata in tutti i suoi elementi, considerata, peraltro, la compiutasi prescrizione dei reati ipotizzati nel caso di specie». Per queste ragioni è stata annullata con rinvio per un nuovo esame l'ordinanza con cui la Corte d'appello di Napoli aveva rigettato l'opposizione avverso l'ordinanza di rigetto, della stessa Corte, della richiesta di restituzione delle somme di denaro sequestrate in quanto il procedimento penale, all'origine del sequestro, era stato definito con declaratoria di estinzione per prescrizione dei reati ascritti. I giudici di legittimità hanno affermato, allineandosi all'orientamento più recente della Cassazione, che «il soggetto che richiede la restituzione della cosa sequestrata e non confiscata deve fornire la prova rigorosa dell'esistenza di un suo diritto legittimo su di essa, non potendosi prescindere, ai fini dell'accoglimento dell'istanza, dall'accertamento dello jus possidendi». Diversamente, con la sentenza Cass. pen., Sez. III, 13 luglio 2017 (dep. 29 novembre 2017), n. 53692, la Suprema Corte è pervenuta a conclusioni opposte. All'attenzione dei giudici è stata sottoposta la questione della applicabilità della confisca – in questo caso urbanistica – nonostante la dichiarata prescrizione del reato edilizio (lottizzazione abusiva). Nella sentenza si legge: «la confisca urbanistica è formalmente una sanzione amministrativa, diversa dalla confisca “tipica”, ma che, sostanzialmente e al tempo stesso, ha natura penale, essendo soggetta dunque all'apparato di garanzie predisposto specificamente per la materia penale, resta fermo anche il dato normativo, contenuto espressis verbis nella legislazione nazionale, secondo il quale, nel processo penale, la confisca urbanistica può essere disposta a seguito di un'azione (penale) di accertamento (dichiarativa) e non necessariamente (anche o solo) di condanna, il che non vuol dire che la declaratoria possa prescindere da un completo e pieno accertamento della responsabilità dell'imputato, come richiesto dalla giurisprudenza di Strasburgo, ma vuol dire che il richiesto accertamento deve essere espletato, per espressa volontà della legge nazionale, anche nell'ipotesi in cui il processo non possa concludersi con una sentenza di condanna in ordine al reato oggetto dell'imputazione penale, cosicché la confisca urbanistica può essere disposta anche in assenza di una statuizione del genere ma all'inderogabile condizione che sia accertato il fatto reato, cioè la lottizzazione abusiva, in tutte le sue componenti oggettive e di imputazione soggettiva colpevole. Ciò non abilita certo ad un esercizio dell'azione penale di mero accertamento, disgiunta dall'esercizio dell'azione penale di condanna in relazione ad un determinato reato, ma impone di considerare, secondo i principi che informano la teoria generale dell'azione, che la domanda di punizione (l'esercizio cioè della pretesa punitiva statuale in senso stretto e quindi diretta all'applicazione delle cd. "pene principali") ossia l'azione (penale) di condanna ad una pena detentiva e/o pecuniaria, come azione (penale) di cognizione, presuppone l'accertamento del fatto oggetto dell'imputazione penale e la sua piena riconducibilità, anche soggettiva, alla persona accusata di averlo commesso. Questo completo accertamento della responsabilità personale - che, di regola, è contenuto nella statuizione di condanna allorquando, esercitata l'azione penale per l'applicazione delle sanzioni espressamente previste dalla norma penale violata, il processo penale procede ordinariamente verso la sua naturale definizione potendo essere applicate, nei casi espressamente previsti dalla legge, anche altre sanzioni di "natura penale", tipologicamente diverse perchè penali-amministrative, accessorie o complementari rispetto all'azione penale in senso stretto - non è precluso (per le misure di sicurezza patrimoniali il principio è positivizzato nell'art. 236 c.p., comma 2, che estende il medesimo principio stabilito dall'art. 205 c.p. per le misure di sicurezza personali) dalla presenza di condizioni che impediscono al processo penale di sfociare in una sentenza di condanna a pene principali (come nel caso della sopravvenienza di cause di estinzione del reato), sempre che l'applicazione di una misura afflittiva personale o reale sia prevista obbligatoriamente dalla legge (come nel caso, ad esempio, della confisca urbanistica che, tra l'altro, esplicitamente ammette la sentenza di accertamento nella previsione che la sentenza penale possa accertare la lottizzazione e disporre la confisca a prescindere dalla formale pronuncia di condanna), l'azione penale "principale" sia stata esercitata e la legge non richieda espressamente la pronuncia di una sentenza di condanna o ad essa equiparabile (sentenza di applicazione della pena)». Secondo tale statuizione, pertanto, l'accertamento incidentale compiuto dal Tribunale della avvenuta consumazione del reato sia nella componente materiale (condotta lottizzatoria) che in quella psicologica (dolo o colpa che informano la condotta) può legittimare la confisca con conseguente perdita del diritto di proprietà. Natura giuridica della confisca e sentenza di condanna
Non è questa la sede per affrontare il citato dibattito che in proposito ha impegnato – e continua a impegnare – dottrina e giurisprudenza, anche a livello europeo; né per addentrarsi nel labirinto delle intersezioni tra diritto penale nazionale e diritto penale convenzionale nel dialogo, su questa materia, fra le Corti dentro il sistema multilivello (V. MANES, Il giudice nel labirinto. Profili delle intersezioni tra diritto penale e fonti sovrannazionali, Roma, 2012, 22 ss.; Id., La "confisca senza condanna" al crocevia tra Roma e Strasburgo: il nodo della presunzione di innocenza, in www.penalecontemporaneo.it, 13 aprile 2015; F. VIGANÒ, La consulta e la tela di Penelope, in Dir. pen. cont. - Riv. trim., 2015, 2, 334 ss.). I termini della questione in tema di confisca "senza condanna" sono del resto ormai noti; e, in estrema sintesi, così riassumibili. Da una parte la giurisprudenza nazionale – ai massimi livelli (Corte cost., 26 marzo 2015, n. 49, che, nel pronunciarsi sulla legittimità costituzionale della confisca urbanistica, ha affermato che la sentenza Varvara non guarderebbe alla forma della sentenza di condanna ma alla sostanza dell'accertamento di responsabilità, il quale potrebbe anche essere contenuto in una sentenza di proscioglimento. Ciò che importa è che la pubblica accusa provi, e il giudice accerti, la piena responsabilità dell'imputato e la mala fede dell'acquirente, «attenendosi ad adeguati standard probatori e rifuggendo da clausole di stile che non siano capaci di dare conto dell'effettivo apprezzamento compiuto»; Cass. pen., Sez. unite, 26 giugno 2015, n. 31617) – non esita a sancire che la confisca debba trovare applicazione anche nelle ipotesi di estinzione dell'illecito penale per maturata prescrizione; promuovendo l'idea che anche una condanna "in senso sostanziale" – quale sarebbe, in certi casi e a determinate condizioni, la dichiarazione di estinzione del reato per il decorso del tempo – legittimi l'adozione della misura ablativa. In questa prospettiva – cui aderisce Cass. pen., Sez. III, 13 luglio 2017 (dep. 29 novembre 2017), n. 53692 – spetta al giudice ricostruire e motivare in modo pieno, all'esito del contraddittorio nella formazione delle prove, la responsabilità penale dell'imputato in relazione a tutti gli elementi (oggettivo e soggettivo) del reato contestato, nella specie di lottizzazione abusiva; anche se poi per una causa diversa, qual è appunto il decorso del tempo, non si pervenga a una pronuncia formale di condanna dell'imputato (art. 533 c.p.p.) e all'irrogazione della pena. In termini più generali, poi, le Sezioni unite (Cass. pen., Sez. unite, 26 giugno 2015, n. 31617) hanno stabilito che la confisca del prezzo del reato prevista dall'art. 240, comma 2, n. 1, c.p. e quella del prezzo e del profitto regolata dall'art. 322-ter, comma 1, c.p. possono essere ordinate anche in caso di prescrizione del reato, a condizione che vi sia stata «una precedente pronuncia di condanna, rispetto alla quale, pur dopo il proscioglimento per prescrizione, il giudizio di merito permanga inalterato quanto alla sussistenza del reato, alla responsabilità dell'imputato e alla qualificazione del bene da confiscare come profitto o prezzo del reato». In effetti, mentre l'art. 322-ter c.p. menziona espressamente il requisito della condanna, l'art. 240, comma 2, n. 1, c.p. si limita ad affermare che la confisca del prezzo è «sempre ordinata», senza pronunciarsi né sulla necessità di una sentenza di condanna, richiesta invece nel comma 1, né sulla sua irrilevanza, come espressamente sancito nel comma 2, n. 2. Inoltre, le misure di sicurezza patrimoniali possono essere ordinate dal giudice penale anche con sentenza di proscioglimento e nonostante il verificarsi di una causa estintiva (artt. 205, 210 e 236 c.p.). Tale pronuncia si incentra esclusivamente sui profili sostanziali: visto che la giurisprudenza di Strasburgo, riletta attraverso il filtro della Corte costituzionale, ammetterebbe la compatibilità tra la prescrizione e le confische sostanzialmente penali, ciò varrebbe a maggior ragione per le confische prive di connotati sanzionatori; alla luce degli Engel/Welch criteria,la confisca del prezzo del reato non presenterebbe «connotazioni di tipo punitivo, dal momento che il patrimonio dell'imputato non viene intaccato in misura eccedente il pretium sceleris»; a tale logica risponderebbe anche l'art. 322-ter, comma 1, c.p., che avrebbe attratto prezzo e profitto «all'interno di un nucleo per così dire unitario di finalità ripristinatoria dello status quo ante»; pertanto, il presupposto processuale di entrambe le confische potrebbe essere anche una condanna non definitiva; invece, la pacifica natura sanzionatoria delle confische per equivalente non consentirebbe di prescindere da un giudicato di condanna; tuttavia, quando il prezzo o il profitto del reato sono rappresentati da somme di denaro depositate su un conto corrente, andrebbe disposta la confisca diretta, e non quella per equivalente, senza dover accertare il nesso di pertinenzialità con il reato commesso. In conclusione
Ragioni di sintesi non consentono di esporre i molti dubbi in merito alla qualificazione della confisca del prezzo e del profitto, al rispetto della presunzione di innocenza, all'ampliamento dell'oggetto della confisca diretta alle somme di denaro non pertinenti al reato. Basti tuttavia osservare che tale pronuncia ha esteso l'operatività della confisca in spregio sia al precedente orientamento delle Sezioni unite, che escludeva la compatibilità tra prescrizione e confisca ordinaria del prezzo, sia all'esplicito incipit che l'art. 322-ter, comma 1, c.p. dedica alla condanna, termine al quale la nostra tradizione giuridica attribuisce il predicato della definitività. In un'ottica diametralmente opposta, la Cedu si è posta da un punto di vista critico dinanzi a questa soluzione (Cedu, Sez. II, 29 ottobre 2013, Varvara c. Italia, n. 17475/09, nella quale la Corte Edu ha ritenuto in contrasto con l'art. 7 Cedu una confisca urbanistica inflitta con sentenza di proscioglimento per prescrizione, perché sarebbe «incoerente esigere per un verso una base legale accessibile e prevedibile, e per un altro permettere una punizione quando, come nel caso di specie, la persona interessata non è stata condannata»; Cedu, Sez. II, 20 gennaio 2009, Sud Fondi c. Italia, n. 75909; Cedu, Sez. I, 23 ottobre 2014, Melo Tadeu c. Portugal, ric. 27785/10; Cedu, Sez. II, 25 settembre 2008, Paraponiaris c. Grecia, ric. 42132/06, laddove la Grecia è stata condannata per la violazione dell'art. 6 Cedu in quanto un giudice di quel paese aveva dichiarato in sede di rinvio a giudizio la prescrizione del reato e contestualmente disposto una sorta di confisca per equivalente a carico dell'imputato. Oltre a ravvisare la violazione del diritto di difesa, perché in quella fase processuale non era ammessa la presenza dell'imputato o del suo difensore, la Corte Edu ha osservato che, nonostante la chiusura del procedimento, l'imputato era stato ritenuto “oggettivamente” responsabile del reato e assoggettato a una sanzione sostanzialmente penale: ma un siffatto ragionamento, basato sulla distinzione «artificiosa» tra accertamento di colpevolezza e accertamento oggettivo» della responsabilità, sarebbe contrario al principio della presunzione di innocenza, violato ogni qual volta «una decisione giudiziaria inerente a un imputato riflette la convinzione che egli è colpevole, nel momento in cui la sua colpevolezza non sia stata legalmente accertata e stabilita»); registrando possibili violazioni di canoni convenzionali di indiscussa matrice garantista (stretta legalità, principio di colpevolezza e presunzione d'innocenza). Si opta così, in un'ottica di forte garanzia, per l'inapplicabilità della confisca, in ragione dei suoi contenuti afflittivi assimilabile a una sanzione penale alla stregua degli Engel/Welch criteria, in mancanza di una sentenza formale di condanna. Sennonché, la disciplina in tema di confisca urbanistica può rivelarsi foriera di equivoci interpretativi, come in effetti si è rivelata; giungendo persino al vaglio del giudice delle leggi che, come si è detto, ha sancito, in certi casi e a determinate condizioni, la compatibilità fra confisca urbanistica e prescrizione del reato. Ma lo ha fatto ragionando (anche) sul disposto dell'art. 44, comma 2, T.U. edilizia che si "accontenta", ai fini dell'adozione della misura ablativa, di una “sentenza definitiva del giudice penale che accerta che vi è stata lottizzazione abusiva”; non reclamando una decisione di “condanna”. Sarebbe pertanto necessaria, in tema di lottizzazione abusiva e nelle altre ipotesi simili, una declaratoria di incostituzionalità dell'univoco dato normativo, cui dovrebbe seguire un intervento legislativo volto a colmare l'eventuale vuoto di tutela creatosi e diretto a consentire la confisca solo in caso di condanna, nel rispetto dei principi di stretta legalità, del principio costituzionale di colpevolezza e di presunzione d'innocenza. Senza considerare che l'approccio interno al tema della confisca in materia di lottizzazione abusiva, anticipato da quelle sentenze che avevano svincolato la nozione di condanna dalla categoria del giudicato formale, crea tensioni con la giurisprudenza europea che pare rispettare, perché aggira con argomenti sostanziali il “divieto per i giudici nazionali di interpretare in modo estensivo la legge a scapito dell'imputato”, e quindi il principio di stretta legalità. Chiare risultano, dunque, le preoccupazioni garantistiche alla base dell'orientamento che ha trovato sbocco nelle pronunce della Corte Edu: ordinare una confisca “intrinsecamente penale” in assenza di una decisione che accerti la colpevolezza del reo significa applicare una “pena senza responsabilità”, violando il nullum crimen sine lege e sine culpa, e la stessa presunzione di non colpevolezza (V. Manes, La "confisca senza condanna" al crocevia tra Roma e Strasburgo: il nodo della presunzione di innocenza, cit.). Detto altrimenti, la necessità di una condanna formale sembra quella più congeniale alla lettura sistematica delle garanzie convenzionali alla luce della giurisprudenza europea, dove va valorizzata sia la prospettiva del rispetto dell'art. 7 § 1 Cedu, sia la prospettiva della violazione della presunzione d'innocenza, garanzia che rappresenta uno degli elementi della più generale nozione di processo equo e che – come si sa – protegge ogni persona sino a che la sua colpevolezza non sia stata legalmente accertata (art. 6 § 2 Cedu): proponendosi anzitutto, dunque, come proiezione dell'assioma garantistico nulla poena, nulla culpa sine iudicio, che impedisce di assimilare l'imputato al colpevole prima di una condanna definitiva (V. MANES, La "confisca senza condanna" al crocevia tra Roma e Strasburgo: il nodo della presunzione di innocenza, cit.). |