Mediazione obbligatoria e cumulo soggettivo e oggettivo

Roberta Nardone
30 Giugno 2020

Il d.lgs. n. 28/2010 disciplina la mediazione cd. obbligatoria senza prendere posizione espressamente sul cumulo di domande né sul sopravvenire, nel giudizio, di domande in precedenza non sottoposte al tentativo di mediazione o all'eventualità che il giudizio coinvolga parti che non hanno presenziato al pregresso tentativo.
Inquadramento

Il d.lgs.n.28/2010 disciplina la mediazione cd. obbligatoria senza prendere posizione espressamente sul cumulo di domande né sul sopravvenire, nel giudizio, di domande in precedenza non sottoposte al tentativo di mediazione o all'eventualità che il giudizio coinvolga parti che non hanno presenziato al pregresso tentativo.

Si tratta di uno dei tanti profili processuali lasciato nell'ombra dall'articolato normativo. In tale ipotesi è demandato al giudice di stabilire se il mancato esperimento della mediazione per le domande e le parti pretermesse comporti l'improcedibilità del giudizio e, quindi se si debba dar luogo a un nuovo tentativo di mediazione.

Così per l'ipotesi di cumulo soggettivo, previsto all'art.33 c.p.c., che consente la deroga alla competenza territoriale, per permettere la realizzazione di quello che si suole chiamare il simultaneus processus tra più cause intercorrenti tra soggetti differenti che risultino, però, connesse per l'oggetto o per il titolo.

Poichè si verte in ipotesi di litisconsorzio facoltativo semplice (iniziale) originato da una connessione per l'oggetto o per il titolo si pone il problema dell'atteggiarsi della condizione di procedibilità della mediazione obbligatoria, sia nel caso in cui l'adempimento sia stato esperito solo nei confronti di alcuni litisconsorti, sia nel caso in cui solo per alcune delle domande connesse esso sia obbligatorio.

Nessuna norma del d.lgs. n.28/2010 prende posizione espressamente sulla questione anche laddove il litisconsorzio facoltativo si estenda per effetto della chiamata in causa di un terzo o sulla disciplina di detta condizione di procedibilità in caso di cumulo oggettivo di domande o di proposizione di domande riconvenzionali.

La simmetria tra domanda giudiziale e oggetto della mediazione obbligatoria

La domanda di mediazione deve contenere i requisiti indicati all'art. 4 d.lgs. n. 28/2010, ossia organismo, parti, oggetto, ragioni della domanda.

Secondo la prevalente dottrina e giurisprudenza (di merito, in difetto di pronunce in materia da parte della Suprema Corte) il contenuto del predetto articolo sarebbe praticamente equivalente a quello dell'art. 125 c.p.c., circa il contenuto degli atti processuali, fatta la sola eccezione per gli “elementi di diritto”. La domanda di mediazione dovrebbe essere identificata dagli elementi delle parti, oggetto e ragioni, corrispondenti in sede processuale alle personae, petitum e causa petendi dell'art. 125 c.p.c.: l'asimmetria, in senso innovativo-ampliativo – sia in senso soggettivo che oggettivo - comporterebbe la pronuncia di improcedibilità.

Con riferimento alle controversie agrarie, per le quali, pure, la legge n.203/1982 prevede l'obbligatorio preventivo esperimento di un tentativo di conciliazione dinanzi agli appositi organi ex art. 46 l. n.203/1982, quale condizione di procedibilità della domanda, la Suprema Corte ha reso una interpretazione rigorosa del precetto normativo ritenuto osservato in quanto, in sede giudiziaria, sia avanzata una pretesa del tutto identica a quella fatta valere in sede di tentativo di conciliazione, per essere identici sia le persone, sia il petitum, sia la causa petendi, non essendo all'uopo sufficiente una identità solo parziale di tali elementi (Cass.civ.,sez.III,1agosto2001,n.10482) con la precisazione, di recente fornita dalla Suprema Corte, che la condizione di procedibilità deve intendersi rispettata nel senso che la pretesa fatta valere in sede di conciliazione sia identica, sotto il profilo soggettivo, del petitum e della causa petendi, a quella avanzata in giudizio, allorchè la domanda giudiziale abbia ad oggetto una richiesta ridotta rispetto a quella contenuta nella diffida, in modo tale che il più di quest'ultima contenga il meno di quella (Cass.civ., sez.III, ord., 26 giugno 2019,n.17059; cfr. anche per le controversie agrarie la recente Cass.civ., sez.III,20 marzo 2018, n. 6839 nella quale si precisa che, affinché sia rispettato l'onere prescritto dall'art. 11 d.lgs. n. 150/2011, non è necessaria una perfetta corrispondenza tra la richiesta a fini conciliativi e la domanda giudiziale, essendo invece sufficiente la puntuale individuazione, nella sede amministrativa, dei fatti costitutivi della pretesa che può anche essere avanzata, in sede giurisdizionale, con differenti conclusioni, sempreché ciò non determini l'alterazione dell'oggetto sostanziale dell'azione oppure l'introduzione di nuovi temi di indagine idonei a sconvolgere la difesa della controparte.

Con riferimento alla mediazione obbligatoria la giurisprudenza di merito ha precisato che, per ritenere avverata la condizione di procedibilità, è sufficiente che “i fatti” posti a fondamento della successiva domanda giudiziale siano gli stessi enucleati nella domanda di mediazione, a nulla rilevando l'esatta qualificazione giuridica della vicenda. Con ciò riferendosi ai “fatti” oggetto della futura causa, mentre l'istanza di mediazione non richiede anche l'indicazione degli “elementi di diritto”, come avviene invece per la citazione, ex art. 163 c.p.c. e, per il ricorso, ex art. 414 c.p.c. (ovvero per gli atti in generale, ex art. 125 c.p.c.), e la qualificazione giuridica della fattispecie è in ogni caso demandata al prudente apprezzamento del giudice di cognizione. La simmetria richiesta è, pertanto, limitata al fatto dedotto nella domanda e nel successivo giudizio, senza che un'eventuale discrasia fra i due – che tuttavia non si sostanzi in un oggetto di causa completamente diverso – possa inficiare la corretta verificazione della condizione di procedibilità.

In questi termini si è espresso il Tribunale di Pordenone (sentenza del 18 febbraio 2019) a fronte della eccezione secondo cui, tra le richieste avanzate in sede di mediazione e le domande promosse nella causa di merito, non vi fosse corrispondenza e identità di ragioni dedotte (nello specifico, veniva rilevato che nell'istanza di mediazione, nella parte riservata alle cd. “ragioni della pretesa”, l'attore avesse dedotto solamente la domanda di risoluzione del contratto e non anche quella conseguente di riduzione del prezzo, poi argomentata nel successivo atto di citazione).

In conclusione ciò che si richiede è una simmetria tra fatti narrati in sede di mediazione e fatti esposti in sede processuale, almeno per quelli principali: diversamente dovrebbe essere dichiarata l'improcedibilità della domanda (o, ove possibile assegnato dal giudice in corso alla prima udienza l'ulteriore termine di gg. 15 per provvedere ad instaurare una nuova e completa mediazione).

L'identità tra l'oggetto della mediazione e quello della domanda giudiziaria, quindi, va accertata in senso sostanziale e non formale, senza fare rigida applicazione dei criteri identificativi dell'azione. L'istanza di mediazione non richiede la esatta individuazione di un bene della vita o di fatti costitutivi specifici o, a fortiori, la formulazione di “conclusioni”, estranee alla natura stessa della mediazione.

Si deve, invece, verificare l'identità di “rapporto” o di “situazione sostanziale” fatta valere nelle due sedi tenendo conto che nella mediazione non esistono preclusioni, potendo le parti affrontare anche aspetti e questioni non inizialmente prospettate nell'istanza (v. Trib.Mantova, 25 giugno 2012, in www.101mediatori.it.). Sarà, quindi, sufficiente che nell'ambito del procedimento di mediazione siano stati in qualunque forma introdotti ed esplicitati l'oggetto e le ragioni della pretesa contenuta nella domanda giudiziale e che la stessa merga dal contenuto del processo verbale formato a norma dell'art.11 del d.lgs n.28/2010.

Procedimento di mediazione e principio del contraddittorio. La mediazione obbligatoria in caso di litisconsorzio necessario

Le personae coinvolte nella mediazione devono essere le stesse di quelle chiamate in sede processuale, sul piano del litisconsorzio necessario: depongono in tal senso una serie di argomenti.

La mediazione è essenzialmente deformalizzata e, pertanto, non sussistono obblighi circa la direzione della chiamata. Tuttavia poiché il previo esperimento del tentativo di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale, ex art. 5 d.lgs. n. 28/2010, il litisconsorte necessario deve essere chiamato anche nella fase di mediazione, altrimenti in sede processuale la domanda non sarà procedibile verso di lui.

La giurisprudenza che si è occupata del problema – con riferimento alle controversie agrarie - si è pronunciata in questo senso (Cass. civ., sez. III, 16 marzo 2005, n. 5693, in Guida al Diritto, 2005, 15, 84; Cass.civ.,sez. III, 2 agosto 1997, n. 7175, in Giust. Civ.,1997, I, 2399).

D'altronde, anche un eventuale verbale positivo non potrebbe spiegare effetti verso il litisconsorte pretermesso (Trib. Catania, sez.I, 1° marzo 2012).

Va precisato che nessuna norma attribuisce al mediatore il potere di estendere il contraddittorio a terzi, neanche se litisconsorti necessari. Molti Organismi, tuttavia, nell'ambito del loro regolamento, hanno previsto che il mediatore possa eccepire l'insufficiente legittimazione passiva o attiva, assegnando tempi per integrare la convocazione in mediazione: dovrà essere assegnato alle parti il termine di 15 giorni per proporre il procedimento di mediazione nei confronti di tutti (comprese le parti che già vi hanno partecipato).

Relativamente alla ulteriore fase di mediazione conseguente all'allargamento dell'ambito del processo derivante dall'ordine di integrazione del contraddittorio che il giudice pronuncia nelle ipotesi di litisconsorzio necessario, va, precisato che il mancato esperimento di una fase di mediazione che coinvolga il litisconsorte originariamente pretermesso non potrà, invero, che condurre ad una pronunzia di chiusura in rito dell'intero giudizio; e ciò, ovviamente, stante l'unitarietà della situazione dedotta in giudizio e la conseguente impossibilità di svolgere validamente il processo in caso di mancata partecipazione allo stesso di tutti i litisconsorti necessari.

Mediazione obbligatoria e processi soggettivamente complessi: l'intervento del terzo

Il d.lgs.n.28/2010 non dedica nessuna disposizione all'ipotesi del cumulo soggettivo nemmeno dopo l'intervento correttivo di cui al d.l. n. 69/2013.

L'art. 5 d.lgs. n.28/2010, infatti, fa riferimento alla parte che «intenda esercitare in giudizio un'azione»: e dunque parrebbe riferirsi all'attore, ovvero agli attori, nei casi di litisconsorzio attivo.

Nei casi di procedimenti complessi dal punto di vista soggettivo, parte della dottrina (Petta) reputa che la condizione di procedibilità debba essere soddisfatta, in caso di più attori, da ciascuno di essi nei confronti di tutti gli eventuali convenuti (v. pure Petta, La mediazione obbligatoria nel giudizio oggettivamente complesso, in Giur. mer., 2012, p. 353).

Estremizzando detta linea di pensiero alcuni sostengono la necessità di rinnovare il tentativo di conciliazione in caso di intervento volontario principale.

Tale fattispecie ricorre quando il terzo interventore fa valere nei confronti di tutte le parti del processo un diritto incompatibile con quello già oggetto di controversia. Una ulteriore fase di mediazione si appalesa necessaria, poiché il terzo, entrando nel processo, propone una domanda nuova idonea ad allargare l'oggetto del giudizio.

In questa ipotesi, quindi, non vi è esigenza di una trattazione e decisione unitaria delle cause che possa giustificare una deroga al regime della mediazione obbligatoria, in quanto il terzo che si afferma titolare di un rapporto incompatibile non subisce alcun pregiudizio dalla decisione che definisce il giudizio tra le altre parti e non è soggetto agli effetti di tale decisione neanche quando questa passi in cosa giudicata. In questa ipotesi quindi il terzo che spiega l'intervento principale è tenuto ad esperire il previo tentativo di mediazione.

In caso di intervento litisconsortile la domanda è formulata nei confronti di alcune delle parti: il terzo introduce nel processo una domanda che avrebbe potuto proporre sin dall'origine contestualmente a quella dell'attore in quanto a questa connessa per l'oggetto o per il titolo. Allorché quindi le parti originarie del giudizio hanno già svolto senza esito la mediazione, la domanda contenuta nell'atto di intervento volontario non è soggetto al regime di cui all'art.5 comma 1 d.lgs. n.28/2010.

Nessun problema pongono, invece, gli interventi non innovativi – come il caso dell'intervento volontario adesivo dipendente (ovvero di chiamata in causa senza estensione della domanda al terzo) perché pur avendosi un ampliamento soggettivo del giudizio, non viene ampliato il thema decidendum. L'intervento adesivo dipendente, infatti, non essendo volto a far valere un proprio diritto, ma soltanto a sostenere le ragioni di una delle parti, non allarga l'oggetto del giudizio.

Chiamata del terzo e chiamata in garanzia, propria e impropria

Sempre a pena di improcedibilità della domanda, una fase di mediazione deve essere avviata anche nei casi di chiamata del terzo (su istanza di una parte originaria o di un terzo chiamato o per ordine del giudice) con proposizione nei suoi confronti di una domanda.

Anche in queste ipotesi, invero, ci si trova dinanzi a vere e proprie domande giudiziali e ad una estensione dell'ambito soggettivo della lite. Il che, alla luce dell'ampia e generica lettera dell'art. 5, comma 1, d.lgs. n.28/2010 determinerebbe la necessità di esperire una nuova fase di mediazione. Nel caso di chiamata del terzo per ordine del giudice l'eventuale pronunzia di improcedibilità, determinata dal mancato esperimento della fase di mediazione, investirà non solo la domanda proposta nei confronti del soggetto chiamato, ma la totalità delle domande contenute nel processo e, dunque, l'intero giudizio.

Qualora, infatti, la pronunzia di improcedibilità colpisse esclusivamente la domanda proposta nei confronti del terzo chiamato, si fornirebbe alle parti l'escamotage per eludere impunemente l'ordine del giudice.

Quanto alla chiamata in garanzia occorre distinguere.

La garanzia impropria, si differenzia da quella propria in quanto non si fonda sullo stesso rapporto sostanziale dedotto in giudizio, ma sorge da rapporti giuridici che hanno un collegamento solo fattuale, senza alcun legame giuridico e senza connessione per il titolo. Quindi, mentre nel caso di domanda di garanzia propria è possibile ritenere non necessario il previo esperimento del procedimento di mediazione nei confronti del garante che lo abbia già esperito atteso il particolare nesso di dipendenza che lega tale domanda alla causa principale, per la domanda di garanzia impropria non si può, invece, derogare al regime della mediazione obbligatoria in quanto tale ipotesi di garanzia ha ad oggetto un diritto indipendente rispetto a quello dedotto con la domanda principale e va tentata la strada alternativa al giudizio.

Mediazione obbligatoria e processi oggettivamente complessi (in genere)

Il d.lgs. n.28/2010 non dedica alcuna disposizione al cumulo di domande e si limita a prevedere che «in caso di più domande relative alla stessa controversia, la mediazione si svolge davanti all'organismo presso il quale è stata presentata la prima domanda» (art.4, comma1d.lgs. n.28/2010). La norma è finalizzata solo a scongiurare il rischio di procedimenti di mediazione paralleli, pur in presenza della medesima lite e per dirimere in questo caso eventuali conflitti di competenza.

Il molteplicarsi delle domande può ricollegarsi ad un cumulo oggettivo, ai sensi dell'art.104 c.p. in cui l'attore abbia trascurato di sottoporre a mediazione tutte le domande ovvero alla proposizione di domande riconvenzionali, o trasversali.

Una parte della dottrina ritiene che la ratio legis sia limitata all'iniziativa processuale che dà vita ad un processo - pena l'incostituzionalità del sistema, per contrarietà all'art.24, comma 1, Cost., per effetto del cumulo dei tempi della mediazione e dei termini di comparizione - senza estendersi anche ai fenomeni di ampliamento dell'ambito oggettivo del giudizio già avviato, ciò al fine di evitare una molteplicità di rinvii del processo e un aumento esponenziale dei costi per le parti. In questo senso, quindi, si è orientata parte della giurisprudenza, che ha escluso dall'ambito della mediazione obbligatoria tutte le domande diverse da quella dell'attore proposta con l'atto introduttivo del giudizio. Tale giurisprudenza invoca il criterio letterale a sostegno della soluzione restrittiva, osservando che l'art. 5 d.lgs. n.28/2010 indica il solo convenuto come la parte legittimata a sollevare il difetto di previo esperimento del tentativo di conciliazione.

Alcuni in dottrina si distingue tra cumulo oggettivo di domande connesse e quello di domande non connesse (Battaglia). La connessione delle domande comporterebbe che fra domande sottoposte a mediazione e domande sopravvenute si verifica una comunanza di fattispecie e di implicazioni in diritto, per cui non vi è bisogno di una nuova mediazione giacchè, in realtà nella precedente si è discussa di una unica materia. Invece, in ipotesi di domande cumulate ma non connesse, il maggior grado di novità delle domande sopravvenute, rispetto a quelle già mediate, suggerirebbe di separare le cause ai sensi dell'art.103, comma 2, c.c., in modo da realizzare la mediazione sulle domande sopravvenute senza pregiudicare il processo di quelle già mediate.

Altri accedono ad una interpretazione estensiva dell'obbligo della mediazione in caso di cumulo oggettivo: Trib. Verona 18 dicembre 2015 (ord.); Trib. Verona, 12 maggio 2016, Trib. Bari, 28 novembre 2016.

ORIENTAMENTI A CONFRONTO

La condizione di procedibilità va verificata solo con riferimento alla domanda dell'attore

Trib. Roma – Ostia, 15 marzo 2012 in Giur.mer., 2012, p. 1092, che richiama anche la soluzione raggiunta in merito all'esclusione dell'obbligatorietà del tentativo ex art. 412-bis c.p.c. con riferimento alla domanda riconvenzionale nel processo del lavoro. Per Trib. Como-Cantù, 2 febbraio 2012, in http://osservatoriomediazionecivile.blogspot

Trib. Reggio Calabria, 22 aprile 2014 e Trib. Palermo, 11 luglio 2011; tesi confermata da: Trib. Taranto, 2 maggio 2019; Trib. Roma, 18 gennaio 2017; Trib. Mantova, 14 luglio 2016; Trib. Palermo, 27 febbraio 2016).

La condizione di procedibilità va verificata anche rispetto alla riconvenzionale, alla reconventio reconventionis dell'attore e alle domande proposte contro o da terzi chiamati o intervenuti

Trib. Roma, 15 febbraio 2012, Trib. Como - Cantù, 2 febbraio 2012 e Trib. Firenze, 14 febbraio 2012; tesi confermata da Trib. Verona, 21 febbraio 2017, Trib. Verona, 12 maggio 2016, Trib. Bari, 28 novembre 2016, Trib. Palermo-Bagheria, 11 luglio 2011

Mediazione e cumulo oggettivo tra domande soggette e non alla mediazione obbligatoria

Una particolare quaestio iuris attiene il profilo della perimetrazione dell'obbligo di introduzione della procedura di mediazione ex art. 5 d.lgs. n. 28/2010 in presenza di un cumulo oggettivo di domande soggette a diversi regimi.

Una causa può infatti presentare insieme domande fra quelle in cui la mediazione è obbligatoria, domande che possono essere affidate solo a mediazione facoltativa e, domande che, avendo ad oggetto diritti indisponibili, non possono essere in assoluto trattate in mediazione (cfr. Nela, Il procedimento, in AA.VV.., La mediazione civile e commerciale a cura di Besso, Torino, 2011, 276 e ss.).

Anche la citata problematica ha trovato soluzioni difformi in giurisprudenza.

Il Trib. Verona 15 settembre 2014 (G.I. Vaccari ) ha ritenuto che in presenza di una pluralità di domande avanzate nello stesso processo da parte dell'attore contro parti diverse, l'una domanda soggetta a mediazione obbligatoria a norma dell'art. 5, comma 1-bis, d.lgs. n. 28/2010, e l'altra non soggetta a tale obbligo “onde favorire appieno la prospettiva conciliativa propria del procedimento di mediazione” fosse opportuno rimettere in mediazione tutte le controversie, valendosi del disposto di cui al comma 2 dell'art. 5d.lgs. n. 28/2010 e, quindi, ricorrendo, per la controversia non soggetta alla mediazione obbligatoria, a quella delegata (cfr. anche Trib. Verona, ord., 25 giugno 2015 - Est. Vaccari).

La soluzione si giustificherebbe tenendo conto la ratio legis sottesa al procedimento di mediazione, ovvero, la deflazione del contenzioso. Una rimessione globale della vertenza potrebbe, si sostiene, giustificare il componimento di esso nella sua integrità, esaurendo la materia del contendere.

La domanda riconvenzionale, la reconventio reconventionis e le domande trasversali

È ancora dibattuta in dottrina e giurisprudenza la assoggettabilità a mediazione della riconvenzionale c.d. inedita, emersa, cioè, solo nella fase giudiziale della lite (ma non anche dinanzi ai soggetti preposti alla conciliazione).

Si contrappongono due tesi.

I fautori della tesi da alcuni definita “panmediativa” sostengono che la perimetrazione applicativa della mediazione obbligatoria riguarderebbe ogni domanda proposta in giudizio (di recente Trib. Verona, 12 maggio 2016; cfr. anche Trib. Roma, 27 novembre 2014, in www.quotidianodiritto.ilsole24ore.com; Trib. Roma 15 marzo 2012, Giur. merito, 2012, 1317; Trib. Como 2 febbraio 2012, id., 1077, con nota di Masoni). Dunque, non solo la domanda introduttiva ma anche quelle successive, aventi ad oggetto una delle materie di cui all'art. 5, comma 1-bis, d.lgs. n. 28/2010.

Alla base di questo orientamento, vengono poste una serie di argomentazioni: a) nella normativa sulla mediazione, il legislatore non precisa se l'esperimento del procedimento di mediazione costituisca condizione di procedibilità della sola domanda introduttiva del giudizio, ovvero di tutte le domande giudiziali, anche se proposte in corso di causa. Anzi, la formulazione dell'art. 5, comma 1, d.lgs. n. 28/2010 è quanto mai generica («chi intende esercitare in giudizio un'azione […] è tenuto preliminarmente ad esperire il procedimento di mediazione […]»), quindi, astrattamente in grado di ricomprendere ogni tipologia di azione, anche quella esercitata dal convenuto in riconvenzione (come dal terzo chiamato o, dall'attore in riconvenzione verso una delle parti del giudizio). Pertanto proprio l'interpretazione letterale dell'art. 5, d.lgs. n. 28/2010, non consente di distinguere tra domande principali e domande successive, talché anche per le seconde vigerebbe la condizione di procedibilità; b) la Corte di cassazione, nell'affrontare la problematica in relazione al rito speciale previsto per i contratti agrari, per i quali l'art.46 l. 3 maggio 1982 n.203, ha introdotto l'obbligo del preventivo tentativo di conciliazione che, se omesso determina la improcedibilità della domanda agraria, ha interpretato la disposizione normativa affermando la sussistenza dell'onere dell'esperimento del tentativo di conciliazione anche nei confronti del convenuto che proponga una riconvenzionale secondo i criteri di collegamento dell'art. 36 c.p.c.; c) il termine “convenuto” usato dall'art. 5, comma 1-bis, d.lgs. n. 28/2010, per indicare il soggetto che eccepisce l'improcedibilità della domanda, ben può essere riferito all'attore rispetto alla domanda riconvenzionale; d) l'esclusione delle domande successive a quella introduttiva del giudizio dall'ambito di applicazione dell'art. 5, comma 1-bis, d.lgs. n. 28/2010provocherebbe un'ingiustificata disparità di trattamento tra attore e convenuto al quale verrebbe attribuita una situazione di privilegio illegittima perché contrastante col principio costituzionale di eguaglianza di cui all'art. 3 Cost. (in dottrina, per questi rilievi, G. Buffone, Diritto processuale della mediazione, in Giur. mer., 2011).

Analogamente nel tempo si è orientata la giurisprudenza con riguardo al processo agrario ed all'interpretazione dell'art. 46 l. n. 203/1982 che costituisce condizione di proponibilità della domanda (ex multis, Cass.civ., sez.III, 15 luglio 2008 n.19436; Cass.civ., sez.III, 16 novembre 2007 n. 23816).

Pertanto la procedura di mediazione sulla riconvenzionale sarebbe necessaria sempre che con la nuova domanda venga ampliato l'ambito della controversia, rispetto ai limiti posti a questa nel tentativo di conciliazione già esperito prima della proposizione della domanda principale.

Il giudice è tenuto a fissare nuova udienza dopo la scadenza del termine di cui all'art. 6 d.lgs. n. 28/2010 (quattro mesi) per consentire alle parti di sperimentare il tentativo di mediazione omesso. Poiché però la necessità del rinvio concerne in questo caso la sola riconvenzionale, il protrarsi della riunione tra domanda dell'attore e di domanda del convenuto, ritarda e rende più gravoso il processo sulla causa principale, sicché il giudice, ex art.103 comma 2 c.p.c., ha facoltà di disporre la separazione della domanda riconvenzionale dalla domanda principale (contrario allo scioglimento del cumulo ex art. 103 c.p.c., il Trib. Palermo 11 luglio 2011, ritenendo poco praticabile la parcellizzazione della mediazione limitata ad una porzione sola della materia del contendere).

La dottrina è sostanzialmente unanime nel recepire le deroghe alla citata regola che la Suprema Corte (Cass. civ., sez. III, 4 settembre 2003 n. 12867 e Cass.civ., sez.III, 27 aprile 1995, n. 4651) ha introdotto per le controversie agrarie allorché ricorrano due presupposti: le parti del giudizio coincidono con quelle del tentativo obbligatorio di conciliazione; la formulazione della domanda riconvenzionale non comporta alcun ampliamento della materia del contendere perché fondata su questioni già esaminate nella prima sede conciliativa. In questi casi la domanda riconvenzionale sarà proponibile (e procedibile) pur se non preceduta dal tentativo di conciliazione, a nulla rilevando che essa abbia l'effetto di ampliare il petitum rispetto alla fase conciliativa.

Pertanto, se la domanda riconvenzionale dipende dallo stesso titolo della domanda principale, riguardando questioni che le parti hanno già affrontato in sede di mediazione, essa non apporta di fatto alcun elemento di novità.

Un opposto orientamento giurisprudenziale, invece, esclude la necessità che anche la domanda riconvenzionale sia preceduta dalla mediazione valorizzando la ratio legis sottesa all'art.5 d.lgs. n. 28/2010 la quale deve intendersi ragionevolmente limitata all'iniziativa processuale che dà vita ad un processo e non si estende ai fenomeni di ampliamento dell'ambito oggettivo del giudizio già avviato (Trib. Roma, sez. V, 18 gennaio 2017).

A conforto di tale orientamento la lettura testuale dell'art. 5, comma 1-bisd.lgs. n. 28/2010 il quale : a) si riferisce solo a colui che intende “esercitare in giudizio un'azione” da intendersi come “chi intende instaurare un giudizio” con la conseguenza che l'obbligo di esperire il procedimento di mediazione graverebbe solo sull'attore; b) nel menzionare la facoltà per il convenuto di eccepire il mancato tentativo di mediazione considera chi viene citato in giudizio” e non già “chi, avendo promosso un'azione risulti a sua volta destinatario di una domanda, collegata a quella originaria. Si aggiunge che: le disposizioni che prevedono condizioni di procedibilità, costituendo deroga all'esercizio del diritto di agire in giudizio, garantito dall'art. 24 Cost., non possono essere interpretate in senso estensivo (Trib. Ivrea 22 dicembre 2004 in Mass. Giur. Lav., 2005, 4,3 08); l'avallo fornito all'interpretazione dell'istituto della mediazione alla luce della direttiva 2008/52/CE.

Tale tesi risulterebbe maggiormente rispettosa del principio, della ragionevole durata del processo (optando per la tesi opposta, infatti, si avrebbe un allungamento dei tempi del processo, in contrasto con l'art. 111 Cost.).

A soluzione analoga era pervenuta la giurisprudenza relativamente alla conciliazione lavoristica precedente alla riforma intervenuta con la l.n. 183/2010, per cui veniva ritenuto che la proposizione di una domanda riconvenzionale non fosse soggetta all'esperimento preliminare del tentativo di conciliazione.

In questo senso si esprimeva anche la Commissione Alpa nella relazione sulla riforma degli strumenti di degiurisdizionalizzazione del 2017 dove veniva chiarito che «la condizione di procedibilità attiene alla sola domanda principale con cui si inizia il processo, risolvendo così la vexata quaestio dei rapporti tra cumulo di domande e mediazione», p. 33 consultabile in forma integrale su http://milanosservatorio.it.

Con riferimento alla cd. reconventio reconventionis, ossia la domanda riconvenzionale dell'attore convenuto in riconvenzionale dalla controparte, valgono le medesime argomentazioni svolte in riferimento alla riconvenzionale del convenuto, sempre che l'oggetto di quella proposta dall'attore cada nell'applicazione dell'art.5 comma 1 d.lgs. n.28/2010.

Una ipotesi di cumulo può derivare anche dalla cd. domanda trasversale, ovvero la domanda riconvenzionale del convenuto contro altro convenuto, e nel lato orizzontale proponibile anche con la comparsa di costituzione non applicandosi l'art. 269 c.p.c. previa notifica della domanda o il convenuto sia contumace. Una parte della dottrina ritiene la necessità del tentativo di mediazione, posto che non vi è coincidenza soggettiva fra le parti del rapporto processuale instaurato con la domanda trasversale. Il principio di ragionevolezza suggerisce tuttavia una applicazione temperata del principio laddove la necessità di un nuovo tentativo di mediazione relativo alla domanda del terzo non abbia il potere di evitare la controversia (per argomentazioni analoghe in materia agraria cfr. Cass. civ., sez.III, 7 luglio 1992, n.8290).

Conclusione

Il fine istituzionale della mediazione è di definire mediante accordi amichevoli il maggior numero possibile di liti, nell'interesse delle parti e della funzionalità del sistema giustizia: qualunque interpretazione che crei un ostacolo al dispiegarsi dell'attività giurisdizionale è da respingere pena lo snaturamento dell'istituto.

La funzione del giudice dovrebbe essere quella di scongiurare pratiche abusive, volte ad utilizzare la mediazione per attardare il processo, come nel caso in cui il convenuto eccepisca la improcedibilità prendendo a pretesto un poco significativo mutamento del processo rispetto a quanto emerso in mediazione (es. domanda di risarcimento danni da inadempimento contrattuale dopo che in mediazione era stata prospettata solo la risoluzione del contratto).

Nell'attesa di chiarimenti ad opera del legislatore, il criterio discretivo, utilizzabile dal giudice per verificare se la mediazione abbia esaurito la materia del contendere, potrebbe essere quello di confrontare il petitum dell'atto giudiziale e l'oggetto della mediazione non in senso formale ma, in senso sostanziale: perché sorga l'onere della mediazione preventiva non è sufficiente che si proponga una domanda “nuova” (riconvenzionale, connessa, trasversale, verso terzi) ma è indispensabile che per effetto della nuova domanda venga ampliato l'ambito della controversia, rispetto ai limiti posti a questa nel tentativo di conciliazione già esperito prima della proposizione della domanda principale. Occorre che la nuova domanda rivesta aspetti nuovi della controversia, che se conosciuti e valutati dalle parti unitamente a quelli per i quali pende già il giudizio, potrebbero condurre ad una definizione bonaria della lite evitando l'intervento del giudice.

Tale scelta interpretativa discende da una lettura sistematica del procedimento di mediazione, concepito dal legislatore come scevro da solennità formali.

Riferimenti
  • AA.VV., La mediazione per la composizione delle controversie civili e commerciali a cura di M. Bove, Padova, 2011;
  • G. Battaglia, La nuova mediazione “obbligatoria” e il processo oggettivamente e soggettivamente complesso, in Riv. Dir. Proc. 2011, pp. 140 e ss.;
  • G. Buffone, Diritto processuale della mediazione, in Giur. mer., 2011, 2359;
  • Cuomo Ulloa, La mediazione nel processo civile riformato, Bologna, 2011, 122-123;
  • F.P. Luiso, Diritto processuale civile, Milano, 2012, 4a ed., IV, 70;
  • Masoni, Mediazione e processo: rassegna della prima giurisprudenza edita, in Giur. mer., 2012, p. 1092;
  • P.L. Nela, Spunti sulla pluralità di domande e di parti nel procedimento di mediazione, in Giur. it., 2012, 231 ss.;
  • Petta, La mediazione obbligatoria nel giudizio oggettivamente complesso, in Giur. mer., n.2 - 2012, p. 343 e ss.
  • Ruvolo M., Mediazione obbligatoria. Casi e questioni. Giuffrè ed. 2011.
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