Maltrattamenti contro familiari e conviventi

04 Aprile 2024

In campo penale non esiste una definizione unitaria di violenza o di famiglia, concetti tra loro antiteci, atteso che la seconda  rappresenta idealmente un potenziale luogo di protezione per i suoi membri ma spesso, come di recente accade, può diventare un ambiente pericoloso per l'integrità fisica e psichica dei soggetti che ne fanno parte. Ciò che giustifica la particolare attenzione repressiva del legislatore nel sanzionare le condotte che mettono in pericolo, oltre che l’incolumità delle persone, l'integrità della famiglia e dei rapporti familiari.

*Bussola aggiornata da A. Nocera

Inquadramento

In campo penale non esiste una definizione unitaria di violenza o di famiglia, concetti tra loro antiteci,  atteso che la seconda  dovrebbe rappresentare idealmente un potenziale luogo di protezione per i suoi membri ma spesso, come di recente accade, può diventare un ambiente pericoloso per l'integrità fisica e psichica dei soggetti che ne fanno parte. Il rapporto affettivo, i legami stabili e la convivenza possono essere terreno fertile e occasione per la commissione di un reato, posto che la relazione di intimità esistente tra le parti le  rende più vulnerabili ed esposte ad atti di violenza e sopraffazione in suo danno.

Per il legislatore del 1930 la famiglia era il perno fondamentale dell'ordinamento, strutturata gerarchicamente nella sottomissione al marito di moglie e figli. Il diritto italiano, ancorato ad una tradizionale concezione della famiglia quale “società naturale basata sul matrimonio” ai sensi dell'art. 29 Cost., è sempre stato restio a frapporsi nei contrasti intrafamiliari. La riforma del diritto di famiglia del 1975, con il riconoscimento, in attuazione del principio posto dall'art. 3 Cost., della pari dignità giuridica dei coniugi, l'introduzione del divorzio e i cambiamenti sociali intervenuti hanno determinato, una maggiore attenzione nei confronti degli episodi di violenza, anche morale, che si verificano all'interno della “famiglia”, non più intesa solo come quella fondata sul matrimonio.

Il bene giuridico tutelato

Il codice Rocco ha collocato la fattispecie di reato tra i delitti contro l'assistenza familiare, mentre nel codice Zanardelli rientrava tra i delitti contro la persona. Ciò rende ancor più difficile, proprio per il mutato  concetto di famiglia, l'individuazione del bene giuridico tutelato.

L’attuale approdo della giurisprudenza di legittimità ritiene che l’interesse primario tutelato sia la  salvaguardia della  l'incolumità personale delle vittime, legate affettivamente o da uno stabile rapporto di convivenza,  all’agente (Cass. pen., sez. VI ,  25 settembre 2019, n. 47887, che accomuna, a fini cautelari, per la reiterazione delle condotte, i delitti di maltrattamenti e di atti persecutori resti della stessa specie che tutelano il medesimo bene giuridico). L’ampliamento delle relazioni tutelabili ha portato alla configurabilità  del reato pur in assenza dei vincoli familiari tradizionali, ove la vittima  versi in una posizione di debolezza a causa della supremazia esercitata da un soggetto convivente.

Rispetto alla  tutela dell'integrità fisica e morale, posta in pericolo o lesa da condotte violente nell’intimità dei rapporti affettivi e familiari, specificamente indicate nella norma, che si connotano, nella voluta labilità dei concetti, per la loro naturale esposizione al pericolo delle persone,  per il legislatore, è recessivo l'interesse dello Stato alla salvaguardia della famiglia in sè considerata.

Come di seguito descritto, la norma sanziona una pluralità di condotte violente che si realizzano all'interno di una serie di situazioni e rapporti diversi ed eterogenei; ecco perché l'oggetto della tutela non può essere limitata alla famiglia nel senso tradizionale, ma deve essere esteso alla dignità personale dei soggetti passivi o anche alla tollerabilità della convivenza.

In evidenza

Il reato di maltrattamenti in famiglia tutela non solo l'interesse dello Stato alla salvaguardia delle relazioni familiari, ma anche e soprattutto l'integrità psicofisica dei suoi membri

Il soggetto attivo

Sebbene la norma si riferisca al soggetto attivo con il termine “chiunque”, si tratta, per costruzione della fattispecie incriminatrice, di un reato proprio, che può essere commesso solo da determinate persone in possesso di determinate qualifiche o di uno status, di volta in volta precisati dalla norma: il soggetto agente deve essere legato alla vittima da un rapporto famigliare oppure essere comunque investito di un'autorità nei suoi confronti oppure trovarsi in una di quelle situazioni di affidamento (per ragione di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia o per l'esercizio di una professione o di un'arte) espressamente previste dalla norma.

La norma assume a presupposto diverse tipologie di relazione. Il punto più discusso riguarda la qualificazione di “persona di famiglia” perché implica il concetto di “famiglia”, accolto dal legislatore in modo mutevole nel corso degli anni, come emerge dal richiamato spostamento del focus sul bene giuridico. Si è passati, infatti, da una concezione tradizionale di famiglia, restrittiva, che faceva riferimento  all'ambito dei rapporti tra consanguinei, affini, adottanti e adottati, ad una più moderna, che accoglie una nozione allargata, in cui rientrano una serie di rapporti, non solo di affinità o parentela, ma più in generale domestici, purché caratterizzati da una situazione di convivenza stabile tra soggetto agente e vittima. In proposito, Cass. pen. sez. VI, 15 gennaio 2020 n. 8145, ha affermato che la condotta penalmente sanzionata dal reato di maltrattamenti in famiglia non richiede la mera esistenza di un rapporto parentale tra l'autore della condotta e la persona offesa, occorrendo l'effettiva convivenza o, quanto meno, rapporti di reciproca assistenza morale ed affettiva, sicchè il reato non è configurabile ove risulti la definitiva disgregazione dell'originario nucleo familiare. Nel caso di specie, la Corte ha escluso la configurabilità del reato nell'ipotesi in cui l'imputato, figlio e fratello delle persone offese, aveva interrotto con queste qualsivoglia rapporto familiare, non potendo integrare il requisito della convivenza la mera condivisione di parti comuni dell'edificio all'interno del quale ciascuno disponeva di un autonomo appartamento.

In conseguenza dell'accoglimento di un concetto allargato di famiglia si è ritenuto che il reato sia configurabile anche se commesso dal convivente more uxorio (Cass. pen., sez. II, 23 gennaio 2019, n.10222, che ha limitato la configurabilità del reato alle sole condotte tenute fino a quando la convivenza non sia cessata, mentre le azioni violente o persecutorie compiute in epoca successiva possono integrare il delitto di atti persecutori), o di coniuge separato in via giudiziale (Cass. pen., sez. VI, 30 settembre 2022, n. 45400; Cass. pen., sez. VI, 17 novembre 2021, n.45095). Nel primo caso la Corte ha ritenuto integrare il reato di maltrattamenti in famiglia, e non quello di atti persecutori, le condotte vessatorie nei confronti del coniuge che, sorte in ambito domestico, proseguano dopo la sopravvenuta separazione di fatto o legale, in quanto il coniuge resta "persona della famiglia" fino allo scioglimento degli effetti civili del matrimonio, a prescindere dalla convivenza. Con tale arresto, la Corte ha precisato che la separazione non elide lo status acquisito con il matrimonio, dispensando dagli obblighi di convivenza e fedeltà, ma lasciando integri quelli di reciproco rispetto, assistenza morale e materiale, e collaborazione, che discendono dall'art. 143, comma 2, c.c.

Analogamente si è ritenuto configurabile il reato di maltrattamenti in situazione di condivisa genitorialità, anche in assenza di convivenza, a condizione che la filiazione non sia stata un evento meramente occasionale ma si sia quantomeno instaurata una relazione sentimentale, ancorché non più attuale, tale da ingenerare l'aspettativa di un vincolo di solidarietà personale, autonomo rispetto ai doveri connessi alla filiazione (Cass. pen. sezVI  25 giugno 2019 n. 37628).

Il vincolo di solidarietà tra i soggetti prescinde dalla durata del rapporto. (Cass. pen., sez. VI, 11 febbraio 2021, n. 17888, secondo cui è configurabile il reato di maltrattamenti in famiglia anche in presenza di un rapporto di convivenza di breve durata, instabile e anomalo, purché sia sorta una prospettiva di stabilità e un'attesa di reciproca solidarietà. Deve, purtuttavia, sussistere  fra l'autore del reato e la persona offesa strette relazioni dalle quali dovrebbero derivare rispetto e solidarietà e che, invece, diventano la precondizione per realizzare le condotte maltrattanti).

In senso conforme, Cass. pen. sez. VI, 18 ottobre 2023, n. 46797, che, con riguardo ai reati di violenza domestica e contro le donne, richiama l'osservanza degli obblighi di matrice sovranazionale, con particolare riguardo alla corretta valutazione e gestione dei rischi di letalità, di gravità della situazione, di reiterazione di comportamenti violenti, come previsto dall'art. 51 della Convenzione di Istanbul dell'11 maggio 2011, ratificata con legge 26 giugno 2013, n. 77, in un'ottica di prioritaria sicurezza delle vittime o persone in pericolo, che non può essere affidata alla iniziativa delle stesse.

In senso opposto, con  altra pronuncia (Cass. pen. sez. VI, 30 marzo 2023, n.31390), la Corte, proprio sulla base dei discussi rapporti di interferenza tra il reato in esame e quello di atti persecutori, afferma, per il divieto di interpretazione analogica delle norme incriminatrici, che i concetti di "famiglia" e di "convivenza" di cui all'art. 572 c.p. devono essere intesi nell'accezione più ristretta, quale comunità connotata da una radicata e stabile relazione affettiva interpersonale e da una duratura comunanza di affetti implicante reciproche aspettative di mutua solidarietà ed assistenza, fondata sul rapporto di coniugio o di parentela o, comunque, su una stabile condivisione dell'abitazione, ancorché non necessariamente continuativa. Da ciò ha ritenuto configurabile l'ipotesi aggravata di atti persecutori di cui all'art. 612-bis, comma secondo, c.p., e non il reato di maltrattamenti in famiglia, quando le reiterate condotte moleste e vessatorie siano perpetrate dall'imputato dopo la cessazione della convivenza more uxorio con la persona offesa.

La condotta

La fattispecie base è descritta dalla norma con il verbo “maltrattare” che indica una

condotta ripetuta nel tempo. Il verbo “maltrattare “comprende qualsiasi tipo di condotta di sopraffazione sistematica dell'altro, volta a porre il soggetto passivo in condizioni di sofferenza ed umiliazione costante, tali da rendere intollerabile la convivenza. Tale effetto può derivare anche da un clima generato all'interno di una comunità familiare ristretta, pur se non riconducibile a comportamenti specifici in sé violenti o di minaccia nei confronti di un determinato soggetto passivo.

Si tratta di un reato a forma libera che può manifestarsi nelle forme e nei contesti più diversi. La condotta di maltrattamenti può assumere i significati più vari: può consistere in comportamenti violenti (per esempio il soggetto che percuote il coniuge o il partner) ma anche in aggressioni verbali o di tipo “morale”.

Per la configurabilità dl reato anche in caso di reciprocità di condotte vessatorie, Cass. pen., sez. VI, 21 gennaio 2020, n. 11777, nel caso in cui le condotte violente e vessatorie siano poste in essere dai familiari in danno reciproco gli uni degli altri, ove la Corte ha precisato che il reato di cui all'art.572 c.p. non prevede il ricorso a forme di sostanziale autotutela, mediante un regime di "compensazione" fra condotte penalmente rilevanti e reciprocamente poste in essere.

Il reato è integrato da comportamenti reiterati, ancorché non sistematici, che, valutati complessivamente, siano volti a ledere, con violenza fisica o psicologica, la dignità e  identità della persona offesa, limitandone la sfera di autodeterminazione (Cass. pen. sez. VI, 03 luglio 2023 n. 37978, in cui la Corte ha annullato agli effetti civili la sentenza che aveva ritenuto la condotta sopraffattrice unilateralmente tenuta dall'imputato ai danni della convivente "more uxorio" come espressiva di ordinaria "litigiosità di coppia", mentre essa presuppone invece che le parti della relazione si confrontino, anche veementemente, ma su un piano paritetico, di reciproca accettazione del diritto di ciascuno ad esprimere il proprio punto di vista).

Tuttavia, si è ritenuto configurato il reato anche in presenza di condotte omissive (Cass. pen. sez. VI, 24 gennaio 2024, n. 8617, in un caso in cui il genitore non aveva provveduto ad assicurare al minore, specie se in tenera età, tutte quelle condotte di cura, assistenza e protezione a fronte di esigenze cui il figlio stesso non può altrimenti provvedere, nel caso di specie consistente nell'accertato abituale deficit di accudimento dei figli minori dovuto all'abuso di sostanze alcoliche da parte della madre).

Sotto il diverso profilo della fattispecie aggravata, Cass. pen., sez. VI, 25 ottobre 2018, n. 2003/2019 ha ritenuto, ai fini della configurabilità della circostanza aggravante dell'essere stato il delitto commesso alla presenza del minore, prevista dall'art. 61, n. 11-quinquies, c.p., che non è necessario che gli atti di violenza posti in essere alla presenza del minore rivestano il carattere dell'abitualità, essendo sufficiente che egli assista ad uno dei fatti che si inseriscono nella condotta costituente reato.

È comunque, un reato necessariamente abituale che può essere commesso con la reiterazione tanto di azioni quanto di omissioni che, prese di per sé, possono anche non costituire reato (Cass. pen., sez.  VI,16 gennaio 2019, n. 7139, ove si fa riferimento a “comportamenti di reiterata sopraffazione”).

L'abitualità incide anche sul momento consumativo e sulla competenza.

Cass. pen., sez. VI, 26 marzo 2019, n. 24206 ha ritenuto che, stante la natura di reato abituale, la competenza per territorio si radica innanzi al giudice del luogo di realizzazione dell'ultimo dei molteplici fatti caratterizzanti il reato .

In altra pronuncia, per il reato di maltrattamenti in famiglia, la competenza per territorio, stante la natura di reato abituale, si è intesa radicata innanzi al giudice del luogo in cui l'azione diviene complessivamente riconoscibile e qualificabile come maltrattamento e, quindi, nel luogo in cui la condotta venga consumata all'atto di presentazione della denuncia. Cass. pen. sez. F, 13 agosto 2019, n. 36132).

Il reato di maltrattamenti, in quanto reato abituale, si consuma nel momento in cui ha luogo la cessazione della condotta, sicché eventuali modifiche del regime sanzionatorio trovano applicazione anche se intervenute dopo l'inizio della consumazione, ma prima della cessazione della abitualità. (Cass. pen., sez. VI, 03 dicembre 2020, n.2979/2021).

Il reato è, come detto, costruito in forma commissiva, vista la semantica del termine “maltratta”.

Essendo reato a condotta plurima, necessariamente reiterata nel tempo, non sono sufficienti ad integrare la condotta tipica singoli o sporadici episodi occasionali di violenza, in quanto i plurimi atti che integrano l'elemento materiale del reato devono essere collegati tra loro da un nesso di abitualità e devono essere avvinti nel loro svolgimento da un'unica intenzione criminosa, quella appunto di avvilire o svilire la personalità della vittima.

Per la configurabilità del reato non occorrono necessariamente manifestazioni di violenza fisica, potendosi concretare gli episodi lesivi anche in condotte vessatorie, prevaricatrici, mortificanti dell'umana dignità che, anche se valutate isolatamente non particolarmente lesive, assumono una complessiva rilevante offensività con riguardo alla libertà morale della vittima per il loro carattere abituale e la loro ripetitività nel tempo, tali da determinare un sistema di vita penoso e mortificante, teso all'annientamento psicologico della vittima. (Cass. pen., sez. III, 19 settembre 2012, n. 35805); viceversa non integra il reato un comportamento che, per quanto fastidioso, valutato in maniera oggettiva non vada oltre l'attitudine a provocare una mera reazione di stizza da parte del soggetto passivo (Cass. pen., sez. VI, 11 luglio 2013, n. 34197), come nel caso di episodici atti lesivi di diritti fondamentali della persona non inquadrabili in una cornice unitaria caratterizzata dall'imposizione ai soggetti passivi di un regime di vita oggettivamente vessatorio (Cass. pen., sez. VI, 02 dicembre 2010, n. 45037).

Integra, inoltre, il delitto maltrattamenti in famiglia, oltre che l'esercizio reiterato di minacce e restrizioni della libertà di movimento di una donna componente del gruppo familiare, anche la sostanziale privazione della sua funzione genitoriale, realizzata mediante l'avocazione delle scelte economiche, organizzative ed educative relative ai figli minori e lo svilimento, ai loro occhi, della sua figura morale (Cass. pen., sez. V, 25 marzo 2019, n.21133).

Ciò che rileva è, dunque, l'abitualità della condotta di sopraffazione, ovvero la reiterazione della stessa in un determinato arco temporale di convivenza.

Tale situazione può in concreto configurare una ipotesi di flagranza, che giustifichi l'arresto dell'agente. In concreto, è stato ritenuto configurabile lo stato di flagranza del reato di maltrattamenti in famiglia allorchè il singolo episodio lesivo non risulti isolato, ma si ponga inequivocabilmente in una situazione di continuità rispetto a comportamenti di reiterata sopraffazione direttamente percepiti dagli operanti.( Cass. pen., sez. VI, 16 gennaio 2019 n. 7139, fattispecie in cui la Corte ha ritenuto che correttamente era stata desunta la flagranza del reato sulla base della constatazione da parte delle forze dell'ordine delle condizioni dell'abitazione, delle modalità con le quali era stato richiesto l'intervento d'urgenza, delle condizioni soggettive della persona offesa, costretta a rifugiarsi presso una vicina per sottrarsi all'aggressione del figlio il quale, anche alla presenza degli agenti, non aveva esitato ad inveire contro la madre, ingiuriandola con epiteti vari).

Tuttavia, quanto al requisito dell'abitualità, la giurisprudenza ha ritenuto che il comportamento del soggetto agente non debba necessariamente persistere in maniera costante, essendo ravvisabile il reato anche nell'ipotesi in cui vi siano periodi intermittenti in cui l'autore del reato non ponga in essere comportamenti aggressivi o lesivi della vittima (Cass. pen., sez. VI, 19 giugno 2014, n. 47896; Cass. pen., sez.VI, 18 marzo 2014, n. 31121).

Così si è ritenuto integrare gli estremi del reato la condotta di chi infligge abitualmente vessazioni e sofferenze, fisiche o morali, a un'altra persona, che ne rimane succube, imponendole un regime di vita persecutorio e umiliante, che non ricorre qualora le violenze, le offese e le umiliazioni siano reciproche, con un grado di gravità e intensità equivalenti (Cass. pen., sez. VI, 23 gennaio 2019, n. 4935).

La violenza assistita

La violenza assistita intrafamiliare è una forma di maltrattamento, oggi configurato come ipotesi aggravata (comma 2, come modificato dall'art. 4, della l. 1 ottobre 2012, n. 172, che ha recepito nel testo anche l'alternativa ipotesi di aggravante del reato commesso in danno di minore),che consiste nell'obbligare il minore ad assistere ad atti di violenza fisica, verbale, psicologica, sessuale consumata all'interno della famiglia su figure di riferimento o su persone a lui affettivamente legate.

infine, deve darsi atto che la legge 19 luglio 2019 n. 69 ha inserito un ultimo comma all'art. 572 c.p.  (introdotto dall'art. 9 comma 2 lett. c) della citata legge) che qualifica  il minore di anni diciotto che assiste ai maltrattamenti come persona offesa dal reato.

L'intervento normativo ha recepito l'orientamento giurisprudenziale che riteneva integrato l'originario reato di maltrattamenti in danno dei figli minori anche da condotte di reiterata violenza fisica o psicologica nei confronti dell'altro genitore o di fratelli o sorelle del minore, quando questo sia reso sistematico spettatore obbligato di tali comportamenti. La ratio dell'aggravamento sanzionatorio è individuata, in quanto tale atteggiamento integra anche una omissione connotata da deliberata e consapevole indifferenza e trascuratezza verso gli elementari bisogni affettivi ed esistenziali della prole.

In particolare,

  • Cass. pen., sez. VI, 22 settembre 2020, n. 27901, ha ritenuto configurabile il reato di maltrattamenti nei confronti di un infante che assista alle condotte maltrattanti poste in essere in danno di altri componenti della sua famiglia, a condizione che tali condotte siano idonee ad incidere sull'equilibrio psicofisico dello stesso. Nella specie, i genitori avevano fatto assistere reiteratamente una bambina dell'età di un anno agli atti di violenza e minaccia posti in essere nei confronti dei fratelli;
  • Cass. pen., sez. VI, 10 maggio 2022, n. 21087, ha ritenuto configurabile l'aggravante del reato di maltrattamenti in famiglia nei confronti di un infante che assista alle condotte maltrattanti poste in essere in danno di altri componenti della sua famiglia, a condizione che tali condotte siano idonee ad incidere sull'equilibrio psicofisico dello stesso. Nel caso di specie, tuttavia, la Corte ha escluso l'aggravante ritenendo che la età di soli tre mesi dell'infante non gli consentisse di percepire il contesto ambientale e le condotte maltrattanti.
  • Cass. pen., sez. VI, 05 ottobre 2023, n. 47121, invece, ha ritenuto configurabile la fattispecie aggravata della c.d. "violenza assistita", a prescindere dall'età del minorenne, purché il numero, la qualità e la ricorrenza degli episodi cui questi assiste siano tali da lasciare inferire il rischio della compromissione del suo normale sviluppo psico-fisico).
  • Cass. pen., sez. VI, 11 ottobre 2023, n. 44335, ha, infine, affermato ex art. 2 c.p., che, qualora alcune delle condotte vessatorie siano state poste in essere prima dell'entrata in vigore della legge 19 luglio 2019, n. 69, ed altre in epoca successiva, e solo le prime siano state perpetrate al cospetto di un minore, non trova applicazione la circostanza aggravante ad effetto speciale di cui all'art. 572, comma 2, c.p., introdotta da tale legge, ma quella, previgente, di cui all'art. 61, comma primo, n. 11-quinquies, c.p.

La relazione tra l'agente e la vittima

Adeguandosi al mutamento del contesto socio-culturale, la giurisprudenza ha notevolmente esteso il concetto di famiglia con una interpretazione più coerente con la società attuale. I giudici di legittimità hanno garantito l'applicazione della norma de qua anche ai maltrattamenti avvenuti in ambiti che nulla hanno a che vedere con il concetto tradizionale della famiglia, purché sia comunque ravvisabile una comunione di affetti analoga a quella che emerge normalmente nel matrimonio.

La tutela penalistica disposta dall'art. 572 c.p. è stata, dunque, riconosciuta, sulla base dell'applicazione dell'art. 2 Cost. nella parte in cui fa riferimento alle “formazioni sociali ove si svolge la personalità” del singolo individuo, anche nell'ambito della cosiddetta famiglia di fatto e del reato commesso dal convivente more uxorio (Cass. pen., sez. II, 23 gennaio 2019, n.10222, cit., quanto alle condotte tenute fino al perdurare della convivenza, atteso che le azioni violente o persecutorie compiute in epoca successiva possono al più integrare il delitto di atti persecutori). Ciò che rileva è la volontà di vivere insieme, di avere figli, di avere beni comuni, di dar vita, cioè, ad un nucleo stabile e duraturo, senza che sia necessario che il rapporto abbia una certa durata, quanto piuttosto che sia istituita in una prospettiva di stabilità, quale che sia stato poi in concreto l'esito di tale comune decisione. Alla luce di quanto sopra, si è ritenuto sussista una pluralità di reati, eventualmente unificati dalla continuazione, nel caso di maltrattamenti in famiglia posti in essere nei confronti di più soggetti passivi, atteso che l'interesse protetto dal reato di cui all'art. 572 c.p. è la personalità del singolo in relazione al rapporto che lo unisce al soggetto attivo. Cass. pen., sez. VI, 18 settembre 2020 n. 29542).

Del pari, il reato è stato ritenuto configurabile nell'ambito di una relazione extraconiugale (Cass. pen., sez. VI, 10 febbraio 2011, n. 7929, con riferimento al caso in cui l'indagato aveva maltrattato la propria amante, cagionandole volontariamente lesioni gravi. ove tra i due soggetti si sia ormai instaurata una relazione stabile tale da determinare reciproci obblighi di solidarietà ed assistenza, nonostante l'agente convivesse ancora con la moglie).

Tuttavia, la più recente giurisprudenza ha ritenuto che, in tema di maltrattamenti in famiglia, non è configurabile una relazione assimilabile a quella familiare nel caso di due persone che, coltivando una relazione clandestina, utilizzino un appartamento esclusivamente quale base dei loro incontri (Cass. pen., sez. VI, 21 ottobre 2020, n. 34086).

In tema di unioni civili si è affermato che, ai fini della configurabilità del delitto, è sufficiente la dichiarazione anagrafica resa dall'imputato e dalla vittima ai sensi dell'art. 1, comma 37, legge 20 maggio 2016, n. 76, contenente la regolamentazione delle unioni civili e la disciplina delle convivenze, esimendo il  giudice da ogni ulteriore accertamento in ordine alla sussistenza di un rapporto di convivenza caratterizzato dalla stabilità e dalla mutua solidarietà, spettando, di contro, all'imputato, che neghi tale circostanza, fornire la prova contraria (Cass. pen., sez. III, 18 ottobre 2018, n. 56673). ai componenti della coppia omosessuale spetta il diritto fondamentale di vivere liberamente una condizione di coppia ottenendone il riconoscimento giuridico con i connessi diritti e doveri – ad esclusione di quello del matrimonio – e con la ragionevole pretesa di una omogeneizzazione del trattamento giuridico a tutela di determinate situazioni, quale potrebbe essere la tutela della violenza all'interno delle mura domestiche. (C. Cost. 15 aprile 2010, n. 138; CEDU 24 giugno 2010, n. 30141/2004, causa Scalk e Kopf c Austria; Cass. civ., sez. I, 15 marzo 2012, n. 4184).

Tuttavia, non è configurabile il reato di maltrattamenti in famiglia, bensì l'ipotesi aggravata del reato di atti persecutori, in presenza di condotte illecite poste in essere da parte di uno dei componenti di una unione di fatto ai danni dell'altro, quando sia cessata la convivenza e siano conseguentemente venute meno la comunanza di vita e di affetti nonché il rapporto di reciproco affidamento. (Cass. pen., sez. VI, 06 settembre 2021, n. 39532).

Infine, nell'ambito del rapporto di lavoro, a condizione che sussista la c.d. parafamiliarità, ovvero la sottoposizione della vittima de relato all'autorità dell'altro in un contesto di prossimità permanente, di abitudini di vita condivise, assimilabili a quelle delle comunità familiari (Cass. pen., sez. VI, 11 aprile 2014, n. 24057; Cass. pen., sez. VI, 8 aprile 2014, n. 18832; Cass. pen., sez. VI, 5 marzo 2014, n. 13088).

Negli stessi termini si è ritenuto configurabile il reato di maltrattamenti in famiglia, anche quando le condotte siano realizzate nell'ambito di una situazione di parafamiliarità, intesa come sottoposizione di una persona all'autorità di un'altra in un contesto di prossimità permanente, di abitudini di vita proprie delle comunità familiari, nonché di affidamento, fiducia e soggezione del sottoposto rispetto all'azione di chi ha la posizione di supremazia (Cass. pen., sez. III, 04 febbraio 2021, n. 1381, (Fattispecie relativa alla condotta posta in essere dalla guida spirituale di una comunità pseudoreligiosa nei confronti degli "adepti").

La convivenza

Secondo l'attuale formulazione all'art. 572 c.p. viene stabilito che il soggetto passivo deve essere «una persona della famiglia o comunque convivente, o una persona sottoposta alla sua autorità o a lui affidata per ragioni di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, o per l'esercizio di una professione o di un'arte».

Il fatto che l'art. 572 c.p. preveda che il soggetto passivo e vittima dei soprusi siano “comunque conviventi” sembrerebbe impedire – esclusa la sussistenza di un rapporto di autorità o di un affidamento per le ragioni esposte nella norma – di ritenere configurato il reato in esame nel caso in cui non sussista una comunanza di tetto.

In realtà, la formula normativa ritiene configurabile il reato ai danni di “una persona della famiglia o “ comunque convivente”; l'introduzione della seconda locuzione è stata interpretata nel senso di estendere l'applicabilità dell'art. 572 c.p. anche a soggetti uniti all'autore del reato da rapporti diversi e distanti da quelli famigliari che però siano (se non membri della famiglia) conviventi.

Nella specie si è ritenuto che, ai fini della configurabilità del delitto di maltrattamenti in famiglia, integra il requisito della convivenza soltanto la coabitazione tra individui legati da una relazione fondata su aspettative di mutuo, duraturo affetto e di reciproca solidarietà, non già la mera e contingente condivisione di spazi abitativi, priva di connotati affettivi e solidali, dovuta a ragioni di mera amicizia. (In Cass. pen., sez. VI, 20 febbraio 2024 n. 1062, in cui la Corte ha annullato la condanna per il reato di cui all'art. 572 c.p. nei confronti di colui che, insediatosi nell'abitazione di un'amica con la quale non intercorreva alcuna relazione sentimentale, né di mutua solidarietà, aveva reagito con condotte minacciose e violente alla richiesta di lasciare la casa).

La giurisprudenza ha dunque chiarito che il delitto di maltrattamenti presuppone la convivenza solo se è diretto nei confronti di persona che non siano familiari; la coabitazione invece non è richiesta, se con la vittima degli abusi vi sia un rapporto familiare anche di mero fatto, desumibile dalla messa in atto di un progetto di vita basato sulla reciproca solidarietà ed assistenza (Cass. pen., sez. VI, 27 maggio 2013, n. 22915; Cass. pen., 19 gennaio 2010, n. 924).

Tuttavia, nel caso di condotta posta in essere da coniuge separato in via giudiziale (Cass. pen., sez. VI, 30 settembre 2022,n. 45400; Cass. pen., sez.VI, 03 novembre 2020, n. 37077), si è ritenuto integrare il reato di maltrattamenti in famiglia, e non quello di atti persecutori, le condotte vessatorie nei confronti del coniuge che, sorte in ambito domestico, proseguano dopo la sopravvenuta separazione di fatto o legale, in quanto il coniuge resta "persona della famiglia" fino allo scioglimento degli effetti civili del matrimonio, a prescindere dalla convivenza. Con la sentenza n. 45400/2020, la Corte ha precisato che la separazione non elide lo status acquisito con il matrimonio, dispensando dagli obblighi affettivi, di convivenza e fedeltà, ma lasciando integri quelli solidaristici, di reciproco rispetto, assistenza morale e materiale, e collaborazione, che discendono dall'art. 143, comma 2, c.c., assimilabili a quelli tipici della famiglia o della convivenza abituale.

L'elemento soggettivo del reato

La mera pluralità di episodi vessatori, quali percosse, ingiurie o minacce non è di per sé sufficiente a integrare il reato, qualora manchi un dolo in grado di abbracciare le diverse azioni ed unire i vari episodi di aggressione alla sfera morale e psichica del soggetto

passivo.

Trattandosi di reato abituale, e non di reato continuato, non è richiesto, per la configurabilità del reato l'esistenza di uno specifico programma criminoso di cui le singole condotte siano espressione (Cass. pen., sez. VI, 19 marzo 2014, n. 15146), essendo, invece, sufficiente il dolo generico, consistente nella sola consapevolezza dell'autore del reato di persistere in un'attività vessatoria, già posta in essere in precedenza, idonea a ledere la personalità della vittima (Cass. pen., sez.I, 28 gennaio 2020, n. 13013).

L'elemento soggettivo doloso infatti non implica l'intenzione di sottoporre la vittima, in modo continuo e abituale, ad una serie di sofferenze fisiche e morali, ma solo la consapevolezza dell'agente di persistere in un'attività vessatoria (Cass. pen., n.1508/2019).

Nè l'autore del reato può invocare, a propria discolpa, l'inesigibilità di un comportamento diverso da quello tenuto siccome coartato dalla volontà di altri, che abbia imposto un proprio modello culturale improntato ad autoritarismo maschilista, in quanto il principio della non esigibilità non trova applicazione al di là delle cause di giustificazione e delle cause di esclusione della colpevolezza espressamente codificate. (Cass. pen., sez. V, 25 marzo 2019, n. 21133).

Analogamente si è affermato che lo straniero imputato di un delitto contro la persona o contro la famiglia non può invocare, neppure in forma putativa, la scriminante dell'esercizio di un diritto correlata a facoltà asseritamente riconosciute dall'ordinamento dello Stato di provenienza, qualora tale diritto debba ritenersi oggettivamente incompatibile con le regole dell'ordinamento italiano, in cui l'agente ha scelto di vivere, attesa l'esigenza di valorizzare - in linea con l'art. 3 Cost. - la centralità della persona umana, quale principio in grado di armonizzare le culture individuali rispondenti a culture diverse, e di consentire quindi l'instaurazione di una società civile multietnica (Cass. pen., n. 8986/2020, fattispecie, in tema di maltrattamenti in famiglia e lesioni personali, di lamentata non considerazione di particolari connotazioni culturali e religiose proprie dell'imputato).

L'abitualità rende incompatibile con il reato l'attenuante della provocazione, essendo il reato connotato, dalla reiterazione nel tempo di comportamenti antigiuridici. (Cass. pen., sez. VI, 05 febbraio 2020, n. 13562, fattispecie in cui è stata esclusa tale attenuante, in quanto invocata solo in relazione all'ultimo episodio di lesioni personali che si inseriva in una condotta di maltrattamenti protrattasi per anni).

Procedibilità

Il reato di maltrattamenti è procedibile d'ufficio; ciò è di particolare importanza alla luce di tre osservazioni.

Per la sua struttura di reato abituale il delitto di maltrattamenti si perfeziona attraverso la commissione di condotte alcune delle quali sono già di per sé reato; alcune di queste ipotesi (ingiurie, minacce non gravi, lesioni lievi) sono procedibili a querela. Ma alla luce dell'assorbimento nel più grave delitto di maltrattamenti, tali condotte vengono perseguite anche se non è stata proposta formale querela.

La procedibilità d'ufficio esprime la valutazione dell'ordinamento che, riscontrata l'estrema gravità del reato (e della preoccupante vastità del fenomeno sottostante, i maltrattamenti sono il delitto più frequente nei reati espressione di violenza di genere) non considera ostativa alla perseguibilità del reo una eventuale volontà contraria della vittima; ciò, tra l'altro, anche per esigenze di tutela di quella vittima.ù

L'ultima importante conseguenza della procedibilità d'ufficio è che essa, quando il reato di maltrattamenti è connesso agli altri due delitti espressione della violenza di genere, violenza sessuale ed atti persecutori, questi ultimi diventano procedibili d'ufficio.

In particolare, Cass. pen., sez. III, 26 maggio 2021, n. 36323 ha affermato, in tema di reati contro la libertà sessuale, che l'estensione del regime della procedibilità d'ufficio ex art. 609-septies, comma 4, n. 4, c.p. ai delitti connessi con altri per cui sia prevista tale forma di procedibilità opera anche qualora l'accertamento del fatto integrante il delitto procedibile d'ufficio sia avvenuto ai soli effetti civili, non potendosene, in tal caso, escludere la rilevanza giuridica per ogni effetto diverso dalla punizione del responsabile (conf., Cass. pen., sez. III, 08 ottobre 2019, n. 8963/2020.

Per le medesime ragioni attrattive, Cass. pen, sez.VI, 22 febbraio 2024  n. 9849 ha ritenuto il reato di lesioni personali, quando commesso in occasione del delitto di maltrattamenti verso familiari, perseguibile d'ufficio anche in caso di lesioni lievissime e - oggi, con l'entrata in vigore dell'art. 2, comma 1, lett. b), d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150 - financo di lesioni lievi, per effetto del richiamo operato dall'art. 582, comma 2, c.p. all'art. 585 e di quest'ultimo, a sua volta, all'art. 576, comma 1, n. 5, c.p.

Rapporti con altri reati

Per la sua struttura di reato abituale proprio e per il bene giuridico tutelato (reato contro la famiglia), il delitto di maltrattamenti assorbe i delitti di ingiurie (art. 594 c.p.), percosse (art. 581 c.p.), violenza privata (art. 610 c.p.), molestie (art. 660 c.p.). Si tratta infatti di condotte che, se reiterate, integrano la materialità del delitto di maltrattamenti, ossia la condotta tipica maltrattante, idonea per la sua abitualità a cagionare l'evento: l'assoggettamento della vittima ad un regime di vita caratterizzato da sofferenza, umiliazione ed aggressioni alla sua integrità fisica, psichica e morale.

Quanto al reato di lesioni personali, tuttavia, Cass. pen., sez. VI, 22 aprile 2022,  n. 17872 ha ritenuto configurabile il concorso formale - e non l'assorbimento - tra le fattispecie incriminatrici previste dagli artt. 572 e 582 c.p. quando le lesioni risultano consumate in occasione della commissione del delitto di maltrattamenti, con conseguente sussistenza dell'aggravante dell'art. 576, comma 1, n. 5, c.p.: in tal caso, infatti, non ricorre l'ipotesi del reato complesso, per la cui configurabilità non è sufficiente che le particolari modalità di realizzazione in concreto del fatto tipico determinino un'occasionale convergenza di più norme e, quindi, un concorso di reati, ma è necessario che sia la legge a prevedere un reato come elemento costitutivo o circostanza aggravante di un altro.

Non c'è assorbimento, ma al contrario concorso di reati, con i delitti di danneggiamento (art. 635 c.p.), estorsione (art. 629 c.p., vedi Cass. pen., sez. II, 01 luglio 2020, n. 28327), abbandono di minori o incapaci (art. 591 c.p.), sequestro di persona (605 c.p., cfr. Cass. pen., sez. V, 12 ottobre 2020,n. 34504, che esclude il concorso quando la condotta di sopraffazione che privi la vittima della libertà personale non si esaurisce nella abituale coercizione fisica e psicologica, ma ne costituisce un picco esponenziale dotato di autonoma valenza e carico di ulteriore disvalore, idoneo a produrre, per un tempo apprezzabile, un'arbitraria compressione, pur non assoluta, della libertà di movimento della persona offesa. (come nel caso di un regime familiare improntato alla costante e continua prevaricazione e violenza del marito nei confronti della moglie, che veniva bloccata a letto per alcune ore con le manette ai polsi), di violenza sessuale (art. 609-bis c.p., con il quale è prevista una ipotesi di connessione  ai fini del regime di procedibilità; cfr. Cass. pen., sezIII,  23 settembre 2020, n. 35700, che ritiene il delitto di maltrattamenti assorbito da quello di violenza sessuale soltanto quando vi è piena coincidenza tra le condotte, nel senso che gli atti lesivi siano finalizzati esclusivamente alla realizzazione della violenza sessuale e siano strumentali alla stessa, mentre vi è concorso tra i due reati in caso di autonomia anche parziale delle condotte, comprendenti anche atti ripetuti di percosse gratuite e ingiurie non circoscritte alla violenza o alla minaccia strumentale necessaria alla realizzazione della violenza).

Il reato di maltrattamenti in famiglia assorbe il delitto di cui all'art. 612 c.p. a condizione che le minacce rivolte alla persona offesa non siano frutto di un'autonoma ed indipendente condotta criminosa, ma costituiscano una delle condotte mediante le quali si realizza il reato di maltrattamenti. (Cass. pen., sez. VI, 25 febbraio 2021, n. 17599).

Non c'è concorso, né assorbimento, ma radicale incompatibilità, con il delitto di abuso dei mezzi di correzione (art. 571 c.p.); se l'agire del reo è motivato dall'esclusivo fine di esercitare illegittimamente lo ius corrigendi (reato a dolo specifico, contrariamente al delitto di maltrattamenti, caratterizzato da dolo generico), l'applicazione in concreto della norma penale incriminatrice prevista dall'art. 571 c.p. esclude quella del delitto di maltrattamenti. Come d'altronde recita l'incipit dell'art. 572 c.p. «Chiunque, fuori dei casi indicati nell'articolo precedente, maltratta una persona……».

Quanto ai rapporti con il reato di violenza privata, è configurabile il concorso materiale nel caso in cui i maltrattamenti non abbiano cagionato una compressione della libertà morale della vittima, sicchè il concomitante compimento di singole condotte di violenza privata produce un'offesa autonoma ed ulteriore, mentre sussiste assorbimento del reato di violenza privata nel caso in cui la condotta di cui all'art.572 c.p. sia tale da aver determinato di per sé una lesione alla libertà morale della persona offesa, con la conseguenza che le singole condotte lesive della libertà di autodeterminazione del soggetto passivo costituiscono una mera forma di estrinsecazione del più grave delitto di cui all'art. 572 c.p. (Cass. pen., sez. VI, 03 marzo 2020 n. 13709; conf. Cass. pen., sez. II, 04 marzo 2020, n. 19545).

Analogamente c'è concorso e non assorbimento tra il reato di maltrattamenti e quello di atti persecutori, nell'ipotesi aggravata, in presenza di comportamenti che, sorti nell'ambito di una comunità familiare, esulino dalla fattispecie dei maltrattamenti per la sopravvenuta cessazione del vincolo familiare ed affettivo o comunque della sua attualità temporale, nonostante la persistente condivisa genitorialità. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto  configurabile  il concorso tra i due reati, sul presupposto della diversità dei beni giuridici tutelati, ritenendo integrato quello di maltrattamenti in famiglia fino alla data di interruzione del rapporto di convivenza e poi, dalla cessazione di tale rapporto, quello di atti persecutori Cass. pen., sez. VI, 16 febbraio 2022, n. 10626).

Casistica

Assorbimento con altri reati

È configurabile il concorso formale - e non l'assorbimento - tra le fattispecie incriminatrici previste dagli artt. 572 e 582 c. p. quando le lesioni risultano consumate in occasione della commissione del delitto di maltrattamenti, con conseguente sussistenza dell'aggravante dell'art. 576, comma 1, n. 5, c.p.: in tal caso, infatti, non ricorre l'ipotesi del reato complesso, per la cui configurabilità non è sufficiente che le particolari modalità di realizzazione in concreto del fatto tipico determinino un'occasionale convergenza di più norme e, quindi, un concorso di reati, ma è necessario che sia la legge a prevedere un reato come elemento costitutivo o circostanza aggravante di un altro (Cass. pen., sez. VI, 22 aprile 2022, n. 17872).

Concorso con il reato di violenza sessuale

In tema di reati contro la libertà sessuale, l'estensione del regime della procedibilità d'ufficio ex art. 609-septies, comma quarto, n. 4, cod. pen. ai delitti connessi con altri per cui sia prevista tale forma di procedibilità opera anche qualora l'accertamento del fatto integrante il delitto procedibile d'ufficio sia avvenuto ai soli effetti civili, non potendosene, in tal caso, escludere la rilevanza giuridica per ogni effetto diverso dalla punizione del responsabile. (Cass. pen., sez. III, 26 maggio 2021, n. 36323 )

Concorso con altri reati

Il delitto di maltrattamenti concorre con quello di lesioni, danneggiamento ed estorsioneattesaladiversaobiettivitàgiuridicadeireati(Cass. pen., sez.II,13 dicembre 2012, n. 15571);

Il reato di maltrattamenti in famiglia assorbe i delitti di percosse e minacce anche gravi, ma non quelli di lesioni, danneggiamento ed estorsione, attesa la diversa obiettività giuridica dei reati (Cass. pen., sez. 3, 29 aprile 2015, n. 50208 ).

Incompatibilità con il delitto di abuso di mezzo di correzione

Il reato di maltrattamenti, aggravato dalla circostanza dell'essere stato commesso alla presenza di un minore, prevista dall'art. 61, n. 11-quinquies, c. p., si differenzia dal reato di maltrattamenti in famiglia in danno di minore, vittima di violenza cd. assistita, perché, ai soli fini della configurabilità dell'aggravante, non è necessario che gli atti di sopraffazione posti in essere alla presenza del minore rivestano il carattere dell'abitualità. (In applicazione del principio, la Corte ha ritenuto non esservi incompatibilità tra l'assoluzione dal reato di maltrattamenti in famiglia in danno di minori e la riconosciuta sussistenza del reato di maltrattamenti in danno della loro madre e della loro nonna, aggravato, ai sensi dell'art. 61, n. 11-quinquies, c.p., dall'avere essi sporadicamente assistito alle condotte prevaricatrici). (Cass. pen., sez. VI,  09 febbraio 2021, n. 8323).

Configurabilità del reato, in assenza di convivenza - parafamiliarità

Ai fini della rituale contestazione del delitto di maltrattamenti di cui all'art. 572, c.p., commesso ai danni di anziani ricoverati in una casa di riposo, non è necessario che il capo d'imputazione rechi l'identificazione anagrafica delle vittime, essendo sufficiente che in esso s siano indicati il luogo e l'arco temporale di compimento delle condotte illecite siano indicati il luogo e l'arco temporale di compimento delle condotte illecite.(Cass. pen., sez. III, n. 1508/2019).

Ai fini della configurabilità del delitto di cui all'art. 572 c.p., commesso all'interno di una comunità per l'assistenza e la cura dei disabili, lo stato di sofferenza e di umiliazione delle vittime può derivare anche dal clima vessatorio generalmente instaurato, per effetto di atti di sopraffazione indistintamente e variamente commessi dal personale a carico dei soggetti ricoverati, i quali, a causa delle proprie condizioni di vulnerabilità, sono vittime del detto reato tanto se patiscano in prima persona le violenze fisiche o verbali, quanto se ne siano meri spettatori. (Cass. pen., sez. VI,  28 marzo 2019,  n. 16583).

Maltrattamenti e mobbing

Integra il delitto di maltrattamenti, nella sua accezione di "mobbing" verticale, la condotta vessatoria che si consuma con l'abituale prevaricazione ed umiliazione poste in essere dal datore di lavoro nei confronti del dipendente, approfittando della condizione subordinata di questi, a nulla rilevando la formale legittimità delle iniziative disciplinari assunte verso il soggetto "mobizzato", anche in relazione a comportamenti reattivi dallo stesso assunti (Cass. pen., sez. VI, 14 giugno 2023, n. 38306).

Sommario