Iva all'importazione: diritto di confine o tributo interno? Conseguenze sulla configurabilità del reato di contrabbando

Davide Galasso
26 Gennaio 2018

Il presente contributo intende soffermarsi sulla natura giuridica dell'Iva all'importazione e sulla possibilità di sussumerla, ai fini penali tributari, nel novero dei diritti di confine. Dalla disamina dei principali orientamenti di giurisprudenza e dottrina sul punto, e come recentemente affermato pure negli ultimi arresti giurisprudenziali della Suprema Corte di cassazione, non appare possibile affermare in modo univoco, da un lato, come l'Iva all'importazione sia un tributo interno ...
Abstract

Il presente contributo intende soffermarsi sulla natura giuridica dell'Iva all'importazione e sulla possibilità di sussumerla, ai fini penali tributari, nel novero dei diritti di confine.

Dalla disamina dei principali orientamenti di giurisprudenza e dottrina sul punto, e come recentemente affermato pure negli ultimi arresti giurisprudenziali della Suprema Corte di cassazione, non appare possibile affermare in modo univoco, da un lato, come l'Iva all'importazione sia un tributo interno e, dall'altro lato, come l'evasione fraudolenta di tale tributo costituisca ipotesi distinta e autonoma rispetto a quella del reato di contrabbando, quale attualmente regolato nel testo unico delle leggi doganali (d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, di seguito, per abbreviazione, Tuld).

Il contesto normativo di riferimento e il reato di contrabbando nel testo unico delle leggi doganali

Al fine di procedere all'esatta configurazione del reato di contrabbando, in relazione alla fattispecie di evasione dell'Iva all'importazione, non può prescindersi dall'individuazione del contesto normativo di riferimento.

In generale, con riguardo alla disciplina dell'Iva all'importazione, l'art. 70, comma 1, d.P.R.26 ottobre 1972, n. 633 così recita: «L'imposta relativa alle importazioni è accertata, liquidata e riscossa per ciascuna operazione. Si applicano per quanto concerne le controversie e le sanzioni, le disposizioni delle leggi doganali relative ai diritti di confine».

La giurisprudenza di legittimità ha ormai da tempo fatto riferimento al Tuld per individuare la normativa applicabile, pur mancando, nella norma de qua, un espresso rinvio a disposizioni analiticamente individuate.

Nello specifico, il Titolo VII del Tuld disciplina le violazioni doganali, distinguendo fra reati di contrabbando da un lato (Capo I), oggi peraltro sanzionati in via amministrativa e contravvenzioni e illeciti amministrativi dall'altro (Capo II).

In merito alle ipotesi di contrabbando, il Legislatore ha previsto una molteplicità di fattispecie criminose, suddivise in ragione della tipologia di merci contrabbandate (individuando una specifica disciplina per i tabacchi lavorati esteri), oltre che in base al luogo o alle modalità della condotta tipica del contrabbando (nel caso di merci diverse dai tabacchi lavorati esteri).

Gli elementi costitutivi del reato di contrabbando sono, sul piano dell'elemento oggettivo, la sottrazione delle merci al controllo doganale e la conseguente evasione dei diritti di confine alla dogana; sul piano dell'elemento psicologico, la necessaria presenza del dolo.

Volendo pertanto dare una definizione del reato di contrabbando, può dirsi che esso consiste nella violazione di un dazio doganale, commessa da chi, con dolo, sottrae merci estere al sistema di controllo istituito per l'accertamento e la riscossione dei diritti di confine (ANTOLISEI).

Il Legislatore, all'art. 34 Tuld, definisce i diritti doganali come «tutti quei diritti che la dogana è tenuta a riscuotere in forza di una legge, in relazione alle operazioni doganali».

Nel novero dei diritti doganali, la medesima norma individua i diritti di confine nei «dazi di importazione e quelli di esportazione, i prelievi e le altre imposizioni all'importazione o all'esportazione previsti dai regolamenti comunitari e dalle relative norme di applicazione ed inoltre, per quanto concerne le merci in importazione, i diritti di monopolio, le sovrimposte di confine e ogni altra imposta o sovrimposta di consumo a favore dello Stato».

Dal mero dato letterale della norma appare evidente che i diritti di confine rappresentano una species del genus dei diritti doganali, pur avendo funzioni diverse.

Mentre infatti la riscossione dei diritti di confine pone la merce estera in posizione di libera pratica comunitaria, la riscossione dei diritti doganali tende a “nazionalizzare” la merce estera, attraverso il meccanismo dell'importazione.

Orbene, come detto, il reato di contrabbando trova il proprio nucleo fondamentale nell'inosservanza dei diritti di confine. Ciò è desumibile anche da un'interpretazione storica della fattispecie de qua: nella precedente formulazione di tale ipotesi incriminatrice (contenuta nel previgente r.d. 2 settembre 1923, n. 1960), si faceva infatti esplicito riferimento ai diritti di confine («è contrabbando la sottrazione comunque avvenuta o tentata delle merci estere al pagamento dei diritti di confine»).

Anche da una disamina della legislazione vigente, contenuta nel Tuld, si evince che le misure da irrogare, nei confronti di soggetti che si rendono responsabili della violazione di contrabbando, nelle sue varie possibili forme, sono applicate con sanzioni amministrative pecuniarie parametrate sull'ammontare dei diritti di confine evasi (cfr. artt. 282, 286, 295, 295-bis del Tuld. Occorre ricordare che, a seguito dell'entrata in vigore dell'articolo 1, comma 1, del d.lgs. 15 gennaio 2016, n. 8, sono depenalizzate tutte le violazioni per le quali è prevista la sola pena della multa o dell'ammenda e, pertanto, le stesse sono soggette alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma di denaro).

L'Iva all'importazione rientra fra i diritti di confine?

È discusso se anche la sottrazione di un bene al pagamento dell'Iva all'importazione possa essere qualificato come contrabbando.

Sul punto, è stato stabilito, secondo un orientamento, fino a qualche anno fa univoco e costante della giurisprudenza di legittimità, che l'introduzione clandestina di merce nel territorio dello Stato, senza il pagamento dell'Iva, non configura il delitto di contrabbando previsto e punito dall'art. 292 Tuld, il quale fa riferimento al pagamento dei diritti di confine, bensì il diverso reato di evasione dell'Iva all'importazione, di cui all'art. 70 del d.P.R. 633/1972.

In altri termini, l'evasione dell'Iva all'importazione costituirebbe un reato distinto e autonomo rispetto a quello di contrabbando. Tale tesi poggia infatti sull'assunto per cui l'Iva all'importazione costituisce un tributo interno, al pari della normale Iva sugli scambi nazionali, e non un diritto di confine (Cass. pen., Sez. III, 4 maggio 2010, n. 16860).

Si tratta di un orientamento che deriva dalla giurisprudenza comunitaria, la quale, fin dalla fine degli anni ottanta del secolo scorso (Corte di giustizia Cee, 25 febbraio 1988, causa Drexl), ebbe a precisare che l'Iva all'importazione, richiesta dallo Stato italiano, ha natura di tributo interno, e può considerarsi compatibile con l'ordinamento comunitario e con il principio di neutralità fiscale soltanto alla duplice condizione che: a) la merce importata non sia soggetta a doppia imposizione (nel Paese d'esportazione ed in quello d'importazione); b) l'infrazione relativa all'Iva all'importazione non sia sanzionata più severamente di quella relativa agli scambi interni.

Inoltre, sul piano della prassi amministrativa, va evidenziato che l'Agenzia delle dogane, con la circolare n. 10/D del 4 marzo 2003, in riferimento al condono tombale di cui alla legge 289/2002, ha esplicitamente affermato che quest'ultimo si può applicare soltanto ai tributi nazionali, fra cui è stata fatta rientrare espressamente l'Iva all'importazione; sono stati invece esclusi i dazi, i quali costituiscono risorsa propria comunitaria.

Diversamente (sempre secondo la circolare in parola), l'Iva all'importazione costituisce un tributo di competenza del bilancio nazionale dello Stato italiano, mentre i dazi (i quali sono di competenza del bilancio comunitario) non possono essere oggetto di atti di disposizione da parte del nostro Legislatore. Pertanto sarebbe inammissibile che una risorsa, della quale lo Stato non può disporre, possa formare oggetto di condono fra l'Italia ed il contribuente italiano.

La natura interna dell'Iva all'importazione si evince altresì dalla disciplina normativa di riferimento in materia. Nello specifico, il citato primo comma dell'art. 70 del d.P.R. 633/1972 si limita ad affermare che le disposizioni delle leggi doganali relative ai diritti di confine, in materia di Iva, si applicano in relazione alle controversie ed alle sanzioni, senza fare riferimento ad ulteriori ipotesi di equiparazione.

Del resto, il principio di interpretazione restrittiva e letterale, che caratterizza la materia tributaria, obbliga ad escludere eventuali interpretazioni estensive e/o analogiche della citata disposizione.

Occorre poi riflettere sulla logica sistematica dell'art. 34 Tuld. Il primo comma di tale articolo stabilisce infatti che sono diritti doganali tutti quelli che la dogana è tenuta a riscuotere in forza di legge; il secondo comma precisa che sono diritti di confine, tra gli altri, tutte le imposte di consumo a favore dello Stato.

Orbene, se l'Iva dovesse essere compresa fra le imposte di consumo, andrebbe qualificata tra quei diritti di confine che costituiscono voci proprie del bilancio comunitario, indisponibili – come detto – per l'Erario italiano.

Tuttavia, l'Iva è voce del bilancio dello Stato. Ciò si desume indirettamente anche dall'art. 1 del d.P.R. 633/1972, secondo cui le importazioni costituiscono operazioni imponibili da chiunque effettuate, senza fare riferimento alla necessità che, con riguardo all'operazione, debba necessariamente configurarsi un consumo.

A tal proposito, va pure rammentato quell'orientamento della Suprema Corte di cassazione (Cass. pen., 14 marzo 1985, n. 117), in base al quale «l'imposta sul valore aggiunto non può essere considerata alla stregua di un'imposta di consumo in favore dello Stato ai sensi del capoverso dell'art. 34 d.P.R. n. 43/1973 […] perché l'art. 1 del d.P.R. 633/1972 stabilisce che essa si applica […] sulle importazioni da chiunque effettuate, e non già sui soli consumi […]».

La tesi volta a escludere che l'Iva debba considerarsi come un'imposta di consumo ai sensi dell'art. 34 Tuld, come tale non rientrante fra i diritti di confine disciplinati dalle disposizioni del d.P.R. 43/1973, bensì avente natura di tributo interno, ha condotto alla conclusione per cui l'evasione dell'Iva, dovuta sulle operazioni di importazione, costituirebbe un reato autonomo, che può concorrere con quello di contrabbando, senza tuttavia essere assorbito dal predetto reato doganale.

Fino a qualche anno fa, l'opinione giurisprudenziale prevalente era schierata a sostegno di questa tesi, avendo peraltro i due prelievi (quello doganale e quello fiscale) funzioni diverse, ed essendo dunque diverso l'oggetto giuridico delle distinte fattispecie criminose: da un lato (nel caso del contrabbando), l'introduzione delle merci nel territorio italiano, al fine di equiparare fiscalmente i prodotti esteri a quelli nazionali similari; dall'altro lato (nell'ipotesi di evasione di Iva all'importazione), l'accertamento della soggezione della merce estera alla generale imposizione Iva (Cass. pen., Sez. III, 23 marzo 1998, n. 5370; Cass. pen., Sez. III, 4 maggio 2010, n. 16860, cit.; Cass. pen., Sez. III, 22 febbraio 2006, n. 6741).

Anche una pronuncia del 2012 della terza Sezione penale della Suprema Corte di cassazione deponeva nel senso che il rinvio alle disposizioni delle leggi doganali, relative ai diritti di confine, di cui all'art. 70, comma primo del d.P.R. 633/1972, avverrebbe soltanto quoad poenam.

L'Iva all'importazione non potrebbe perciò farsi rientrare tra i diritti di confine, in quanto l'imposta sul valore aggiunto ha natura di tributo interno, ed è comunque dovuta, anche nell'ipotesi di abolizione dei dazi doganali (cfr., da ultimo Cass. pen., Sez. III, 7 settembre 2012, n. 34256, cit.).

Ipotesi particolari. Le operazioni con lo Stato della Città del Vaticano, la Repubblica di San Marino, la Confederazione Elvetica e le Isole Cayman

Precipua attenzione meritano poi le fattispecie degli scambi doganali fra l'Italia, da un lato, e il Vaticano, la Repubblica di San Marino, la Confederazione Elvetica e le Isole Cayman, dall'altro.

Secondo un arresto giurisprudenziale di legittimità (Cass. pen., Sez. III, 17 gennaio 2013, n. 2353), nel caso di merci importate dalla Repubblica di San Marino nel territorio italiano, il reato di evasione dell'Iva all'importazione, di cui all'art. 70 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 e art. 292 d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, non è configurabile, in quanto, a seguito dell'Accordo di cooperazione e di unione doganale tra la Comunità economica europea e la Repubblica sammarinese in vigore dal 28 marzo 2002, gli scambi doganali con l'Italia sono effettuati in esenzione da tutti i dazi all'importazione ed all'esportazione.

La pronuncia in esame ha ritenuto dunque infondata la tesi sostenuta dalla pubblica accusa, ed inizialmente avallata dal tribunale del riesame di Rimini, secondo cui l'Iva all'importazione andrebbe qualificata come diritto di confine.

Nel caso di specie, la procura della Repubblica presso il tribunale della città adriatica aveva proceduto al sequestro preventivo di uno yacht, ritenendo configurabile il reato previsto e punito dagli articoli 292 e 295, comma 3, del Tuld, i quali sanzionano l'ipotesi “residuale” di contrabbando, non ricompresa nelle specifiche fattispecie incriminatrici di cui agli artt. 282 e seguenti del nominato Tuld.

In realtà, come rilevato in dottrina (IORIO), dall'analisi della disciplina prevista per gli scambi commerciali con San Marino e la Città del Vaticano (artt. 71 e 17 d.P.R. 633/1972), sembra evidente che, nel caso di transazioni tra operatori economici sammarinesi e italiani, o tra operatori economici sammarinesi e alcune tipologie di enti, assimilate agli operatori economici, non si è in realtà in presenza di Iva all'importazione, ma solo di Iva interna.

Ne consegue pure che, nel caso di irregolare assolvimento dell'Iva dovuta per tali operazioni, risulterà applicabile non già la sanzione di cui all'art. 70 del citato d.P.R. n. 633/1972, bensì quella prevista dall'art. 6, comma 9-bis, d.lgs. 471/1997, relativa al meccanismo di c.d. reverse charge (o inversione contabile), in base al quale il cessionario o committente (nazionale) si rende debitore dell'imposta, attraverso l'emissione di un'autofattura (ovvero mediante l'integrazione della fattura ricevuta), indicante l'Iva dovuta, destinata ad essere annotata sia nel registro delle fatture emesse, sia in quello delle fatture di acquisto.

Quanto agli scambi con la Svizzera, in virtù di un accordo di libero scambio, trasfuso nel regolamento Cee n. 1972/2840, tra la Confederazione Elvetica e gli Stati membri della Comunità europea non sussiste alcun reato di contrabbando nell'importazione di merce, poiché sono soppressi i dazi doganali. Tuttavia, anche nell'ipotesi in cui la merce sia stata prodotta in altro Stato europeo, resta impregiudicata la facoltà di riscossione dell'Iva all'ingresso nel territorio degli stati membri dell'Unione europea (Cass. pen., Sez. III, 25 giugno 2014, n. 45468).

Vi è infine l'ipotesi di scambio fra il nostro Paese e le Isole Cayman. Secondo la Corte di cassazione (Cass. pen., Sez. III, 25 giugno 2014 n. 45468), l'omesso pagamento di Iva su un bene importato da tale località configurerebbe solamente la violazione di omesso versamento di Iva all'importazione, da considerarsi quale tributo interno. A tal proposito, la Suprema Corte ha richiamato il principio comunitario della libera circolazione delle merci. Da ciò deriva che gli Stati membri hanno il dovere di abolire i dazi doganali, anche se di natura fiscale. In altre parole gli stessi Stati, pur potendo imporre l'Iva, potranno farlo a titolo di mero tributo interno, nel rispetto dei vincoli comunitari circa la neutralità fiscale, con conseguente impossibilità di configurare la violazione di contrabbando.

Contrabbando e Iva all'importazione

Secondo altro orientamento della giurisprudenza, l'evasione dell'Iva all'importazione equivale a evasione fraudolenta di un diritto di confine.

In particolare, i fautori della tesi, che qualifica come contrabbando la sottrazione di un bene al pagamento dell'Iva all'importazione, sostengono che tale tributo, pur non costituendo un dazio doganale in senso proprio, è pur sempre a questi accomunato dal presupposto impositivo, costituito dall'ingresso dei beni nel territorio nazionale.

Del resto, dal combinato disposto degli artt. 34 Tuld e 70 d.P.R. 633/1972 emergerebbe che l'Iva all'importazione è uno di quei tributi che l'Autorità doganale è tenuta a riscuotere in forza di una legge, perché si ricollega sistematicamente ad ogni operazione di importazione definitiva, ed a prescindere dall'effettivo consumo del bene importato nel territorio dello Stato. In tal senso, l'Iva rientrerebbe nel novero dei diritti doganali ex art. 34 Tuld (ARMELLA; BISCOTTINI).

Più in generale, è molto diffusa (specie nella prassi investigativa) l'espressione diritto doganale con riguardo all'Iva all'importazione e ad altri tributi, che la dogana è tenuta a riscuotere in relazione ad ogni operazione doganale. In tal senso depone anche la normativa in materia, e segnatamente gli artt. 77 e 84 Tuld che fanno entrambi riferimento ai diritti doganali (e dunque – nel senso sopra specificato – anche all'Iva all'importazione) rispettivamente nelle fasi della riscossione e nel pagamento di somme o di deposito cauzionale.

Anche la Sezione tributaria della Suprema Corte di cassazione (Cass. civ., Sez. trib.,3 febbraio 2012, n. 1575; Cass. civ., Sez. trib., 30 dicembre 2011, n. 30710) ha recentemente qualificato come diritti doganali i prelievi agricoli e l'Iva all'importazione. La Cassazione ha infatti chiarito che«il trattamento dell'evasione dell'Iva all'importazione è omogeneo a quello della sottrazione ai diritti doganali, e in particolare ai diritti di confine» (Cass. pen., Sez. III, 12 febbraio 2001, n. 13831).

A sostegno della tesi che qualifica come contrabbando la sottrazione di un bene al pagamento dell'Iva (che dunque viene in tal modo annoverata tra i diritti doganali) si è schierata gran parte della giurisprudenza di merito, peraltro condivisa da un cospicuo (ma per lo più risalente) orientamento della Corte di cassazione (Cass. pen., Sez. III, 8 luglio 1992, 1298).

Da ultimo, il tribunale del riesame di Rimini, con pronuncia del 20 ottobre 2011 (in Corriere trib., 4/2012, 283 ss.), ha ribadito che, in virtù di quanto disposto dall'art. 34 Tuld, l'Iva dovuta all'importazione è uno dei diritti di confine, avendo natura di imposta di consumo a favore dello Stato, la cui imposizione e riscossione spetta unicamente alla dogana in occasione della relativa operazione di importazione. Nello stesso senso si è pronunciata una parte della giurisprudenza di legittimità, anche in tempi relativamente recenti (Cass. pen., Sez. III, 29 novembre 2010, n. 42161; Cass. pen., Sez. III, 21 gennaio 2003, n. 13102; e ancora, in tempi meno recenti, Cass. pen., Sez. III, 1 febbraio 1985).

Anche la giurisprudenza tributaria di merito ha stabilito che «configura contrabbando l'introduzione di merce sul territorio doganale in violazione dei dazi e diritti doganali» (facendo rientrare, fra tali diritti, l'Iva all'importazione) (cfr. Comm. trib. Reg. Torino, Sez. XXVIII, 14 ottobre 2010, n. 74).

Parimenti, la dottrina (RAPISARDA) ha affermato che «il bene giuridico tutelato con la previsione del reato di contrabbando è costituito dalla potestà dello Stato alla percezione dei tributi (sancita all'art. 53 della Costituzione), che, in relazione al reato di contrabbando, sono rappresentati dai diritti doganali, previsti all'art. 34 del testo unico delle leggi doganali vigenti (d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43)».

Seguendo l'orientamento da ultimo citato, la sottrazione dell'Iva all'importazione costituirebbe quindi sottrazione di materia imponibile a un diritto doganale di confine, sanzionata esclusivamente dalla legge doganale come reato di contrabbando (CAMPANILE).Tale orientamento giurisprudenziale ha trovato vario sostegno negli ultimi arresti, da ultimo in una pronuncia del 2015 della Cassazione penale, secondo cui va considerato contrabbando far entrare della merce in Italia in deposito Iva, se il soggetto giuridico importatore è costituito da società di comodo, messe in piedi proprio per eludere i diritti di confine (Cass. pen., Sez. III, 22 giugno 2015 n. 26202).

In conclusione

Alla luce della disamina giurisprudenziale e dottrinale testè effettuata, possono dunque rilevarsi orientamenti ancora oggi contrastanti, sui quali è auspicabile l'intervento delle Sezioni unite.

Come visto, la giurisprudenza più datata della Suprema Corte di cassazione riteneva che, nella contestazione del reato di contrabbando di cui al d.P.R. 43 del 1973, artt. 292, 293 e 295, ben potesse ricomprendersi l'Iva all'importazione, intesa quale uno dei diritti di confine, avendo natura di imposta di consumo a favore dello Stato, la cui imposizione e riscossione spetta esclusivamente alla dogana in occasione della relativa operazione di imputazione.

La sottrazione dell'Iva all'importazione era, quindi, ritenuta sottrazione ad un diritto doganale di confine, sanzionata esclusivamente dalla legge doganale come reato di contrabbando.

Stante quanto argomentato, tale impostazione non può ritenersi ancora del tutto superata, a fronte di pronunce che tutt'ora vanno in diverse direzioni. Pertanto, non può affermarsi con certezza che l'Iva all'importazione non sia un diritto di confine, solo perché in contrasto con lo stesso dato normativo letterale che – come detto – sembrerebbe rimandare alle disposizioni delle leggi doganali relative ai diritti di confine esclusivamente quoad poenam (come previsto dal primo comma dell'art. 70 del d.P.R.26 ottobre 1972 n. 633).

Guida all'approfondimento

F. ANTOLISEI, Manuale di diritto penale – Leggi complementari, 1990, 816;

S. ARMELLA, Note sulla nozione di diritto doganale nella disciplina interna ed internazionale, in Riv. dir. trib., 2001, III, 30;

G. BISCOTTINI, Profili internazionalistici dell'imposta sul valore aggiunto, in Studi in onore di Udina M., tomo II, Milano, 1975, 963;

F. CAMPANILE, L'Iva risorsa propria e diritto doganale di confine – Il reato di evasione dell'Iva all'importazione, in anasped.it;

A. IORIO, Configurabile il reato di contrabbando per i beni irregolarmente introdotti da San Marino?, in Corriere Tributario, n. 4/2012, 283 ss.;

F. RAPISARDA, Considerazioni sulla disciplina del reato di contrabbando in chiave comunitaria: nuove prospettive, in Il fisco 38 del 17 ottobre 2005, 1-6020.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario