Cade dal proprio cavallo durante una lezione di equitazione: nessuna responsabilità per il centro ippico, né per l'istruttore

Redazione Scientifica
21 Febbraio 2018

La responsabilità per danno cagionato da animale incombe a titolo oggettivo ed in via alternativa o sul proprietario, o su chi si serve dell'animale, intendendo per tale colui che, con il consenso del proprietario, anche in virtù di un rapporto di mero fatto, usa l'animale per soddisfare un interesse autonomo, anche non coincidente con quello del proprietario.

IL CASO Una donna conviene in giudizio un centro ippico e l'istruttore del maneggio affinché il Tribunale ne accerti la responsabilità ex art. 2043 c.c. e/o art. 1218 c.c. per i danni a lei derivati in seguito ad una caduta da cavallo, occorsa 8 anni prima durante l'esecuzione di un esercizio, che le aveva cagionato una frattura biossea scomposta alla gamba sinistra tale da determinare l'insorgere di patologie invalidanti, per le quali la Regione Emilia Romagna le aveva riconosciuto un'invalidità dell'80%. I convenuti si costituiscono in giudizio eccependo l'intervenuta prescrizione del diritto al risarcimento dei danni: l'eventuale responsabilità sarebbe stata riconducibile all'art. 2043 c.c., ma il termine quinquennale era ormai decorso. Il Giudice di prime cure rigetta la domanda ritenendo prescritto il diritto riconducibile alla responsabilità extracontrattuale, ed escludendo l'applicabilità dell'art. 1218 c.c., dal momento che non era stata fornita alcuna prova del rapporto contrattuale tra l'attrice ed il centro ippico. La Corte territoriale, successivamente adita, rigetta l'impugnazione confermando le stesse motivazioni del giudice di primo grado, ribadendo l'intervenuta prescrizione del diritto al risarcimento. Conferma inoltre nel merito l'infondatezza della domanda per il fatto che il cavallo era di proprietà della danneggiata: la caduta poteva, dunque, essere qualificata come fatto fisiologico dell'attività ippica.

La donna ricorre ora in Cassazione, sulla base di tre motivi.

OMESSA VALUTAZIONE DELLA DOCUMENTAZIONE MEDICA? Con il primo motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., 2934, 2943 e 2947 c.c., per avere la Corte territoriale errato nel considerare le patologie derivanti dalla caduta progressiva derivazione del danno immediato. Il giudice di merito avrebbe omesso la valutazione di parte della documentazione ove si accertava che le patologie invalidanti erano sorte in un momento successivo alla caduta, con diagnosi certa solo tre anni dopo. Non sarebbe dunque stato possibile considerare prescritto il diritto all'azione di risarcimento: la decorrenza del termine doveva avere inizio dopo il verificarsi dell'ultima componente del danno.

CORRETTA APPLICAZIONE DELLE REGOLE IN TEMA DI PRESCRIZIONE La Suprema Corte considera tale motivo inammissibile perché richiede una nuova valutazione della prova, non trattandosi della stessa malattia, seppur collegata causalmente con l'incidente. In ogni caso, chiarisce la Corte, sarebbe manifestatamente infondato perché la Corte territoriale ha correttamente applicato le regole in materia di prescrizione. E ricorda infatti che «in materia di diritto al risarcimento del danno da illecito extracontrattuale, qualora si tratti di un illecito che, dopo un primo evento lesivo, determina ulteriori conseguenze pregiudizievoli, il termine di prescrizione dell'azione risarcitoria per il danno inerente a tali ulteriori conseguenze decorre dal verificarsi delle medesime solo se queste ultime non costituiscono un mero sviluppo ed un aggravamento del danno già insorto, bensì la manifestazione di una lesione nuova ed autonoma rispetto a quella manifestatasi con l'esaurimento dell'azione del responsabile» (Cass. civ., Sez. Un., n. 580/2008; Cass. civ., n. 7139/2013).

NESSUNA PATOLOGIA NUOVA ED AUTONOMA DIMOSTRATA La Cassazione precisa che, nel caso di specie, non risultano trascrizioni delle parti delle relazioni mediche che dimostrerebbero l'insorgenza di una patologia nuova ed autonoma rispetto alla frattura scomposta conseguente alla caduta dell'ottobre 2002.

RESPONSABILITÀ ALTERNATIVA Con il secondo motivo la ricorrente denuncia violazione dell'art. 2052 c.c. per non aver la corte di merito individuato la responsabilità alternativa in capo al proprietario dell'animale o in capo a chi se ne serve per il tempo in cui lo ha in uso. Il cavallo, infatti, sebbene di proprietà della danneggiata, era utilizzato dal centro ippico per lo svolgimento di attività imprenditoriale. La donna ritiene che l'accettazione del rischio insito nell'attività svolta non fosse di per sé bastevole ad escludere la responsabilità del centro ippico e dell'istruttore, avendo gli stessi violato le regole poste a salvaguardia dell'incolumità degli allievi.

RESPONSABILITÀ PER DANNO CAGIONATO DA ANIMALE La Suprema corte ritiene anche tale motivo inammissibile sia perché richiede una nuova rivalutazione nel merito della causa, sia perché la corte territoriale aveva fatto corretta applicazione dei principi consolidati in tema di responsabilità per il danno cagionato dall'animale. La Cassazione ricorda infatti che ex art. 2052 c.c. « la responsabilità incombe a titolo oggettivo ed in via alternativa o sul proprietario, o su chi si serve dell'animale», intendendo per tale non un soggetto diverso dal proprietario che vanti un diritto reale o parziale di godimento, che escluda ogni ingerenza del proprietario sull'utilizzazione dell'animale, ma «colui che, con il consenso del proprietario, anche in virtù di un rapporto di mero fatto, usa l'animale per soddisfare un interesse autonomo, anche non coincidente con quello del proprietario» (Cass. civ. n. 16023/2010). Nel caso di specie, nessuna prova dimostra che il medesimo animale fosse in uso a terzi al momento della caduta.

VIOLAZIONE DEGLI ARTT. 1218 E 1228 C.C.? Con il terzo motivo la ricorrente denuncia, infine, l'esclusione della responsabilità contrattuale del centro ippico e dell'istruttore, poiché aveva ritenuta non provata la sussistenza del contratto tra attrice e centro ippico. La Cassazione considera infondato anche questo motivo e ricorda che in realtà il giudice del merito aveva individuato, con congrua e logica motivazione, che il cavallo era semplicemente in pensione presso il centro ippico e che comunque il percorso a ostacoli non presentava particolari difficoltà, oltre ad essere già stato provato dalla danneggiata.

La Suprema Corte quindi rigetta il ricorso e condanna la ricorrente anche al versamento dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato.

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