Le riprese di condotte materiali non comunicative carpite nel corso di intercettazioni audio-video

Luigi Giordano
20 Marzo 2018

Sono utilizzabili le riprese di condotte materiali non comunicative carpite nel corso di intercettazioni audio-video? L'art. 266, comma 2, c.p.p., come è noto, consente «l'intercettazione di comunicazioni tra presenti», precisando che «qualora queste avvengano nei luoghi indicati dall'articolo 614 del codice penale, l'intercettazione è consentita solo se vi è fondato motivo di ritenere che ivi si stia svolgendo l'attività criminosa».

Sono utilizzabili le riprese di condotte materiali non comunicative carpite nel corso di intercettazioni audio-video?

L'art. 266, comma 2, c.p.p., come è noto, consente «l'intercettazione di comunicazioni tra presenti», precisando che «qualora queste avvengano nei luoghi indicati dall'articolo 614 del codice penale, l'intercettazione è consentita solo se vi è fondato motivo di ritenere che ivi si stia svolgendo l'attività criminosa». In deroga a questa disposizione, l'art. 13 del d.l. 152 del 1991 prevede che, quando si tratta di intercettazione di comunicazioni tra presenti disposta in un procedimento relativo a un delitto di criminalità organizzata e che avviene nei luoghi indicati dall'articolo 614 del codice penale, «l'intercettazione è consentita anche se non vi è motivo di ritenere che nei luoghi predetti si stia svolgendo l'attività criminosa».

Al fine di cogliere anche livelli di comunicazione gestuale, l'intercettazione tra presenti, anche in un domicilio, può essere autorizzata anche per mezzo di riprese video (Cass. pen., n. 37751/2010). In questo caso, può capitare che, autorizzate dal giudice delle indagini preliminari le intercettazioni ambientali, si registrino anche mere condotte materiali, di natura non comunicativa, che però assumono un significativo rilievo probatorio. Si pensi, per esempio, all'attività di preparazione o di cessione di stupefacenti ovvero ad uno scambio corruttivo. Si pone, in questi casi, il tema dell'utilizzabilità processuale di tali videoriprese.

L'impiego della registrazione di immagini a scopo investigativo è stato oggetto di una nota decisione della Suprema Corte secondo la quale un simile mezzo è legittimo se disposto in luoghi non fruenti di particolare protezione (pubblici, aperti o esposti al pubblico), mentre è illecito in posti qualificabili ai sensi dell'art. 14 Cost. come domicilio. Manca infatti una normativa che, nel rispetto della riserva di legge prevista dalla Costituzione, consenta le video-registrazioni domiciliari, disciplinandone i casi e i modi, con la conseguenza che è vietata la loro acquisizione e utilizzazione nel processo. Residuano le immagini captate in luoghi non riconducibili al concetto di domicilio, ma meritevoli di tutela ai sensi dell'art. 2 Cost. per la riservatezza delle attività che vi si compiono (come camerini di locali, toilettes). Esse possono essere registrate dalla polizia giudiziaria, ma solo con un livello minimo di garanzie rappresentato da un provvedimento autorizzativo motivato dell'autorità giudiziaria (Cass. pen., Sez. unite., n. 26795/2006).

Secondo un indirizzo giurisprudenziale, in tema di video-riprese in ambiente privato, il fatto che si tratti di immagini di comportamenti comunicativi ovvero non comunicativi, con le conseguenze indicate sul profilo dell'utilizzabilità per la decisione, va apprezzato ex ante, avendo cioè riguardo al momento in cui l'attività viene autorizzata dall'autorità giudiziaria e prescindendo dagli esiti (Cass. pen., n. 12362/2008). Ciò dovrebbe condurre a ritenere utilizzabili le riprese di comportamenti materiali, anche realizzate in un domicilio, se il mezzo di ricerca della prova era stato legittimamente disposto per la captazione di dialoghi.

In senso diametralmente opposto è stato affermato che sono inutilizzabili le video-riprese di comportamenti "non comunicativi" effettuate dalla polizia giudiziaria in ambito domiciliare, anche se le stesse abbiano ad oggetto registrazioni sonore (Cass. pen., n. 16595/2013, in una fattispecie in cui la Corte ha annullato il decreto di sequestro probatorio, motivato con la finalità di compararne il rumore di apertura con quello registrato dalla polizia giudiziaria). Sono state dichiarate analogamente inutilizzabili le riprese video, pur se autorizzate dal Gip, di comportamenti non comunicativi, eseguite all'interno del domicilio anche se esse abbiano registrato attività direttamente criminose come lo scambio corruttivo di denaro (Cass. pen., n. 1287/2012; termini analoghi anche Cass. pen., n. 37751/2010).

La Suprema Corte, peraltro, ha ritenuto utilizzabili le immagini registrate in uno studio professionale, luogo ricompreso nell'ambito della nozione di domicilio, effettuate da persona che era vittima del reato (si trattava della dipendente di uno studio legale che era molestata dal professionista datore di lavoro), verso la quale l'imputato, sebbene proprietario dei locali, non aveva lo jus excludendi, perché l'autrice del video si trovava nel suo abituale ambiente di lavoro che costituiva il suo domicilio per un periodo di tempo limitato della giornata. Tale profilo è stato reputato sufficiente per escludere un'intrusione nell'altrui domicilio che avrebbe reso la prova in contrasto con l'art. 14 Cost. (Cass. n. 37197/2010).

Secondo il giudice di legittimità, invece, costituiscono prove atipiche ai sensi dell'art. 189 c.p.p., con conseguente inapplicabilità della disciplina sulle intercettazioni, le videoriprese di comportamenti non aventi contenuto comunicativo effettuate in luogo lavorativo non rientrante nella nozione di domicilio privato, dovendosi intendere, invece, per comportamenti comunicativi, solo quelli finalizzati a trasmettere il contenuto di un pensiero mediante la parola, i gesti, le espressioni fisiognomiche o altri atteggiamenti idonei a manifestarlo (Cass. pen., n. 11419/2015; Cass. pen., n. 52595/2016).

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