29 Settembre 2017

Il tetto dell'edificio in condominio costituisce una delle «parti» ricomprese nell'elenco (non tassativo) indicato nel testo dell'art. 1117 c.c., che, in funzione di detta ricomprensione, va ritenuto (o meglio, «presunto») comune, salvo che un titolo contrario ne attribuisca la proprietà ad uno o ad un gruppo di condomini. La funzione oggettiva di tale struttura di copertura, da una parte ne comprova la sua natura condominiale, dall'altra è in grado di attribuirne la titolarità ad un gruppo di condomini nel caso in cui sia posto alla sommità di un separato «corpo di fabbrica» e quindi fornisca la sua utilità solo ad una parte del fabbricato.
Inquadramento

Il tetto in un edificio in condominio assume due aspetti distinti.

Da una parte, quello «fisico» secondo il quale si tratta della struttura che funge da copertura al fabbricato; e dall'altra, fa parte dell'insieme di «parti comuni» le quali, a loro volta, contribuiscono a formare il patrimonio del condominio (inteso in senso non propriamente giuridico) sul quale insiste la comproprietà riferibile a tutti i partecipanti.

Per quanto riguarda il primo aspetto, la sua funzione di copertura, oltre ad essere necessaria per l'esistenza stessa dell'edificio, costituisce il criterio per individuare l'utilità fornita ai condomini, dalla quale, in ulteriore conseguenza, è possibile individuare, come si vedrà, la relativa titolarità (comune, parziale, esclusiva).

Relativamente, invece, alla sua qualità di «parte comune» vanno considerate tutte le implicazioni che derivano dall'applicazione del meccanismo previsto dall'art. 1117 c.c. al fine della conformazione del predetto patrimonio, costituito, appunto, dalle «parti comuni».

L'art. 1117 c.c. (l'insieme delle parti comuni)

Va preliminarmente evidenziato che, secondo la concezione del codice civile, il condominio è costituito da una «parte» dell'edificio (e non dall'intera sua struttura, della quale fanno parte anche le proprietà esclusive lambite solo superficialmente dalla relativa disciplina), e che detta «parte» è costituita da un insieme di beni e di impianti (appunto, comuni).

Tale particolare complesso di «cose» ha la specifica e rilevante caratteristica di esser posto a servizio e/o ad ornamento di un'altra parte dell'edificio stesso, costituita, quest'ultima, da un secondo insieme di beni, di cui fanno parte le predette unità immobiliari in proprietà privata.

Tra le parti comuni e le proprietà esclusive sussiste un legame che viene individuato e denominato come vincolo di accessorietà, che, tra l'altro, fornisce il criterio per individuare quale sia esattamente il patrimonio comune.

L'esatto contenuto dell'insieme di parti comuni (cioè, dei beni e degli impianti condominiali) è individuato attraverso una sola norma: l'art. 1117 c.c., il cui funzionamento si rivela fondamentale per comprendere in cosa esattamente consista il condominio dal punto di vista materiale.

Risulta chiaramente che, all'interno dell'art. 1117 c.c., è presente un elenco strutturato in base a tre separati gruppi di «cose», contraddistinti nei tre paragrafi 1), 2) e 3). Tuttavia, i beni/impianti considerati dalla norma, in realtà, si distinguono tra loro in base a due differenti caratteristiche:

a) alcune parti dell'edificio (sostanzialmente quelle indicate al n. 2 dell'art. 1117 c.c.: locali per la portineria e per l'alloggio del portiere, ecc.) sono suscettibili di utilizzazione individuale ed eventuale;

b) le altre «parti» dell'edificio (grosso modo quelle di cui ai nn. 1 e 3) danno luogo ad una modalità di godimento che si pone in termini di assoluta necessità. Da ciò deriva l'affermazione per cui sussistono due distinte categorie di «cose» condominiali: quelle necessariamente comuni e quelle eventualmente tali.

Il tetto – indicato al paragrafo 1) dell'art. 1117 c.c. – fa parte di quelle «cose» la cui esistenza (e fruizione) è essenziale per l'esistenza stessa del fabbricato.

Il meccanismo di individuazione del «patrimonio» condominiale

Come visto, l'art. 1117 c.c. prevede nel suo testo un elenco di beni ed impianti, che qualifica condominiali.

Relativamente a tale lista di «cose», la giurisprudenza ha definitivamente chiarito che l'elenco di beni/impianti, contenuto nell'art. 1117 c.c., non è tassativo ed ha funzione meramente esemplificativa (Cass. civ., sez. II, 5 marzo 2015, n. 4501; Cass. civ., sez. II, 5 marzo 2008, n. 6005). In un certo qual modo, l'affermazione della giurisprudenza, seppur fondamentale per comprende un aspetto della disciplina condominiale, appare scontata. Infatti, è la stessa norma ad evidenziare detta caratteristica di non esaustività. Nel relativo testo, infatti, più volte viene richiamata l'attenzione alla possibilità che il catalogo ivi contenuto possa essere perfezionato (cfr. il par. 1 nel quale è presente la locuzione «tutte le parti dell'edificio necessarie all'uso comune», o il par.3 che contempla «le opere, le installazioni, i manufatti di qualunque genere destinati all'uso comune»). Con medesimi risultati, si afferma che l'art. 1117 c.c. può essere integrato ab estrinseco (Cass.civ., sez. II, 28 febbraio 2007, n. 4787).

In evidenza

L'integrazione dall'esterno dell'elenco di «parti» contenuto nell'art. 1117 c.c. e che, in forza di ciò, sono da considerarsi condominiali, viene (e può essere) effettuato con riferimento alla destinazione oggettiva della «cosa», vale a dire dell'utilità fornita dalla stessa in conseguenza della sua struttura e materialità (indipendentemente dal comportamento dei titolari). Pertanto, qualora una «parte» presti tale utilità generalizzata, dovrà qualificarsi in comproprietà dei titolari delle unità immobiliari che ne beneficiano.

Nel concreto, il funzionamento del meccanismo di individuazione delle parti comuni previsto dall'art. 1117 c.c. può essere ricostruito come segue:

a) nell'edificio in condominio sono presenti due distinti insiemi di beni;

b) tali insiemi sono, da una parte, le unità immobiliari in proprietà esclusiva, e, dall'altra, il complesso delle «cose» condominiali;

c) i beni e gli impianti comuni sono posti a servizio, utilità o ornamento delle proprietà private;

d) l'esatto contenuto dell'insieme di «cose» condominiali è individuato dall'art. 1117 c.c.;

e) tale ultima norma contiene una lista di «cose»;

f) dall'inserimento di una «cosa» in tale elenco consegue la sua natura «comune»;

g) qualora una «cosa» non è menzionata in detto elenco, ma fornisce utilità comune (in forza della sua oggettiva destinazione funzionale), è da considerarsi ugualmente condominiale.

L'eventuale condominialità «parziale»

Il tetto, come qualsiasi bene o impianto presente nell'edificio in condominio, può essere oggetto di una situazione di «condominio parziale».

Il fenomeno rappresenta una conseguenza pratica del principio generale (pacificamente riconosciuto) per cui se un bene non è posto a servizio/utilità di tutti i condomini, ma solo a favore di una parte delle unità immobiliari di loro proprietà, l'art. 1117 c.c. non può applicarsi, con la conseguenza che una «cosa», pur ricompresa nell'elenco ivi indicato, non ha natura condominiale, ma appartiene ai proprietari/intestatari di tali porzioni immobiliari esclusive a favore delle quali il bene presta la sua funzione.

Da ciò, il riconoscimento del c.d. «condominio parziale», in base al quale è possibile che, all'interno del complesso condominiale, debbano essere individuate più comunioni parziali, aventi ad oggetto determinati beni o impianti, e i cui comproprietari sono da individuarsi in un gruppo ristretto di condomini.

La fattispecie è ben rappresentata dall'affermazione per cui il presupposto per l'attribuzione della proprietà comune in favore di tutti i compartecipi viene meno se le cose, gli impianti, i servizi di uso comune, per oggettivi caratteri strutturali e funzionali, siano necessari per l'esistenza o per l'uso (ovvero siano destinati all'uso o al servizio) di alcuni soltanto dei piani o porzioni di piano dell'edificio (cfr., da ultime tra le molte conformi, Trib. Salerno, 3 aprile 2015, n. 1517; Cass. civ., sez. II, 29 gennaio 2015, n. 1680; Cass. civ., sez. II, 17 febbraio 2012, n. 2363).

In pratica, all'interno dell'edificio, oltre a quello ordinario e principale, possono sussistere ulteriori sub-condominii ai quali partecipa solo una parte dei condomini, con conseguenze che spiegano i loro effetti non solo sulla titolarità (parziale, appunto) di tali beni/impianti, ma anche sulla gestione del fabbricato, e consistono nel fatto che ogni atto ed ogni attività di amministrazione e/o di utilizzazione devono essere compiuti all'interno del condominio parziale, escludendo, sotto ogni punto di vista, i partecipanti che non sono interessati a quel particolare bene o impianto (in quanto, dal quale non ricevono alcuna utilità).

Nel caso del tetto, la situazione di «condominio parziale» si verifica allorquando tale struttura di copertura sia posta a servizio (oggettivamente e strutturalmente) di una parte del fabbricato, come quando l'edificio è composto da distinti corpi di fabbrica, dotati ciascuno del suo tetto (lastrico, o struttura di copertura). E' evidente che la separazione di tali corpi è fondamentale perché se l'utilità fornita dal tetto non è separata tra i distinti gruppi di unità immobiliari esclusive (e, quindi, tra i relativi titolari) ma è distribuita tra tutti (anche se con differenze quantitative, che però non rilevano) deve esser comunque riconosciuta la natura condominiale (e quindi la comproprietà tra tutti i partecipanti).

La proprietà esclusiva

Per quanto rappresenta una situazione alquanto rara, anche il tetto – come qualsiasi parte comune – può essere di proprietà esclusiva di un singolo condomino.

Innanzitutto, l'art. 1117 c.c. espressamente prevede che un titolo contrario possa attribuire la proprietà di una «parte» ad uno specifico partecipante (ancorchè la medesima sia contemplata nell'elenco riportato in tale norma) (Cass. civ., sez. II, 4 agosto 2015, n. 16367). Con tale termine si intende un accordo, contenuto in un documento, avente pacifica natura contrattuale, cioè approvato dall'unanimità dei consensi degli aventi diritto (tutti i condomini), in naturale ed ovvia conseguenza della stipulazione di un negozio che ha come finalità e contenuto quello di determinare effetti immobiliari.

E' opinione pacifica che tale titolo contrario può essere contenuto:

  • nel rogito di acquisto delle singole porzioni di piano;
  • nel regolamento di condominio (quello, però, «contrattuale» e non quello «assembleare» approvato a maggioranza ai sensi del combinato disposto degli articoli 1136 e 1138 c.c.).

Oltre a ciò, è necessario che l'accordo contrario contenga una clausola che espressamente e inequivocabilmente dichiari non comune tale parte dell'edificio.

Considerando l'aspetto temporale, è prassi che il titolo contrario sia stipulato (approvato e sottoscritto) all'atto dellac.d. costituzione del condominio (cioè, contemporaneamente alla prima vendita), potendo, in tal modo, essere facilmente assentito da tutti i condomini. Come detto, il «titolo contrario» potrebbe anche essere stipulato successivamente, ma, a prescindere dall'unanimità che non può che essere sempre richiesta, gli effetti sarebbero diversi.

In evidenza

Il superamento della presunzione di «condominialità» contenuta nell'art. 1117 c.c., se avviene al momento della costituzione del condominio, non determina uno spostamento di titolarità da un soggetto ad un altro; se avviene invece durante la vita dell'immobile (successivamente alla nascita del condominio), determinerà un effetto traslativo sulla proprietà del bene/impianto (che passerà da comproprietà condominiale, a proprietà esclusiva/separata di uno o più condomini).

Con riferimento a tale fenomeno, la giurisprudenza afferma che per stabilire se sussista un titolo contrario alla presunzione di proprietà comune, bisogna far riferimento all'atto costitutivo del condominio, cioè al primo atto di trasferimento di un'unità immobiliare dall'originario unico proprietario a un altro soggetto, atto che, essendo fonte comune dei rispettivi diritti delle parti, ne determina l'estensione e i limiti; cosicché, ove in tale atto un bene, rientrante per legge fra quelli di proprietà comune, venga attribuito con univoca e chiara manifestazione di volontà, a uno dei contraenti, la presunzione di comunione viene definitivamente meno.

In conclusione, qualora nello specifico edificio sia presente un «titolo contrario» che attribuisce la proprietà della struttura di copertura (nonostante l'utilità generale fornita a tutti i condomini) ad un singolo partecipante, il tetto non farà più parte del patrimonio condominiale ed i conseguenti onori ed oneri saranno ad appannaggio del (solo) relativo titolare esclusivo.

Il tetto (o il lastrico solare) comune

Come già accennato, il tetto (ed anche il lastrico solare che è «abbinato» al primo nel par. 1 dell'art. 1117 c.c.) sono costituiti dalle strutture di copertura dell'edificio con la sola differenza (costruttiva) che il primo è composto da elementi inclinati o arcuati (c.d. falde), mentre il secondo da un semplice piano orizzontale.

In quanto entrambi svolgenti detta funzione (di copertura) sono considerati comuni dall'art. 1117 c.c. a prescindere, per esempio, dalla praticabilità, o meno, del secondo. In questo senso, infatti, è stato affermato che la copertura a lastrico non rappresenta che una particolare forma costruttiva del tetto (App. Napoli, 23 dicembre 1965).

Con riferimento a tali «parti» i giudici hanno avuto modo di puntualizzare che:

  • il lastrico solare, pur avendo quale funzione primaria quella di proteggere l'edificio e fungere da sua copertura, può ben essere utilizzato in altri usi accessori, come quello di terrazzo, senza che in tale ultimo caso, venga meno la sua utilità comune (e, quindi, la sua condominialità);
  • la struttura di copertura è comune a tutti i condomini a prescindere dalla posizione delle porzioni di piano di proprietà di questi ultimi (quindi, anche a coloro la cui proprietà si svolge in senso orizzontale, rispetto al lastrico o al tetto) (Cass. civ, sez. II, 23 dicembre 1968, n. 4054);
  • qualora tuttavia, l'edificio sia composto da distinti ed autonomi «corpi di fabbrica» la proprietà della copertura sarà determinata dalla titolarità delle porzioni di piano esclusive ricomprese nel relativo «corpo». Quindi, deve escludersi la presunzione di comunione di un lastrico solare che, nel contesto di un edificio costituito da più unità immobiliari autonome, disposte a schiera, assolva unicamente alla funzione di copertura di una sola delle stesse e non anche di altri elementi, eventualmente comuni, presenti nel c.d. «condominio orizzontale» (Cass. civ., sez. II, 4 novembre 2010, n. 22466).

CASISTICA

La proprietà degli elementi accessori del tetto (gronde e canali di scarico)

Le gronde, i doccioni ed i canali di scarico, che convogliano le acque meteoriche dalla sommità di un edificio condominiale, costituiscono parti comuni, atteso che, svolgendo una funzione necessaria all'uso comune, ricadono tra i beni di cui all'art. 1117 c.c., senza che rilevi la circostanza che la copertura del fabbricato, dal quale provengano tali acque, sia costituita da tetto a falda, lastrico o terrazzo di proprietà esclusiva, né trovi applicazione il regime sulle spese stabilito dall'art. 1126 c.c., il quale disciplina soltanto le riparazioni o ricostruzioni del lastrico propriamente inteso (Cass. civ., sez. II, 22 dicembre 2014, n. 27154)

I c.d. «torrini»

In tema di condominio negli edifici, per lastrico solare deve intendersi la superficie terminale dell'edificio che abbia la funzione di copertura - tetto delle sottostanti unità immobiliari, comprensiva di ogni suo elemento, sia pure accessorio, come la pavimentazione, ma non estesa a quelle opere ivi esistenti che, sporgendo dal piano di copertura, siano dotate di autonoma consistenza e abbiano una specifica destinazione al servizio delle parti comuni. Ne consegue che non possono ricomprendersi nella nozione di lastrico solare i torrini della gabbia scale e del locale ascensore con la relativa copertura, i quali costituiscono distinti e autonomi manufatti di proprietà condominiale sopraelevati rispetto al piano di copertura del fabbricato (Cass. civ., sez. II, 13 dicembre 2013, n. 27942)..

Il comignolo

In tema di condominio negli edifici, qualora uno dei condomini, senza violare i limiti di cui all'art. 1102 c.c., faccia uso della cosa comune (nella specie mediante la costruzione di un comignolo sul tetto dell'edificio), la mera mancanza delle concessioni o autorizzazioni amministrative, non può essere invocata dal condominio quale fonte di risarcimento del danno, riflettendosi esclusivamente nei rapporti tra il privato e la pubblica amministrazione. (Cass. civ., sez. II, 8 agosto 1990, n. 8040).

Il diritto di sopraelevazione

E' noto che all'interno della disciplina condominiale è presente l'art. 1127 c.c. che regola il c.d. diritto di sopraelevazione attribuendolo al «proprietario dell'ultimo piano dell'edificio» che «può elevare nuovi piani o nuove fabbriche» (cfr. comma 1). La norma, tuttavia, antepone a detto soggetto, il «proprietario esclusivo del lastrico solare» al quale è attribuita la «stessa facoltà» (cfr. sempre comma 1). Ne deriva che, relativamente a tale diritto, il primo soggetto che può utilizzare la relativa prerogativa è il proprietario esclusivo della struttura di copertura che, nello specifico, è indicata come lastrico solare, ma che nulla vieta sia costituita dal tetto.

In altri termini, l'eventuale proprietario (esclusivo) del tetto possiede, oltre che la titolarità (esclusiva), anche la facoltà di sopraelavare.

Ovviamente, e secondo i principi prima ricordati, affinchè il tetto sia esclusivo è necessario che un titolo contrario attribuisca la relativa proprietà in quanto, nella grande maggior parte dei casi, la presunzione prevista nell'art. 1117 c.c., unitamente alla destinazione oggettiva a favore di tutto l'edificio, fanno di tale parte una «cosa comune».

Sussistendo il titolo (contrario) nulla osta a che il relativo titolare sopraelevi, naturalmente nel rispetto dei canoni previsti dall'art. 1127 c.c.

LA SOPRAELEVAZIONE SUL TETTO: ORIENTAMENTI A CONFRONTO

La costruzione di un'altana

In tema di condominio negli edifici, non costituisce «nuova fabbrica» in sopraelevazione, agli effetti dell'art. 1127 c.c., la cosiddetta «altana» (denominata anche «belvedere»), struttura tipica dei palazzi veneziani consistente in una piattaforma o loggetta, di regola in legno, realizzata sulla sommità del fabbricato, la quale a differenza delle terrazze e dei balconi, normalmente non sporge dal corpo principale dell'edificio, dando luogo ad un intervento che non comporta lo spostamento in alto della copertura, mediante occupazione della colonna d'aria sovrastante il medesimo fabbricato, quanto, piuttosto, la modifica della situazione preesistente, attuata attraverso una diversa ed esclusiva utilizzazione di una parte del tetto comune, con relativo potenziale impedimento all'uso degli altri condomini (Cass. civ., sez. II, 28 febbraio 2013, n. 5039).

Estensione della «nuova fabbrica»

E lecita la sopraelevazione che non si estenda a tutta la superficie del tetto dell'edificio, salvo che ne pregiudichi l'aspetto architettonico (Cass. civ., sez. II, 3 gennaio 1966, n. 28).

Opere di trasformazione del tetto

La sopraelevazione di cui all'art. 1127 c.c. si configura nei casi in cui il proprietario dell'ultimo piano dell'edificio condominiale esegua nuovi piani o nuove fabbriche ovvero trasformi locali preesistenti aumentandone le superfici e le volumetrie, ma non anche quando egli intervenga con opere di trasformazione del tetto che, per le loro caratteristiche strutturali (nella specie, ampliamento della superficie dell'appartamento con spostamento di una parete, nonché realizzazione di un balcone, di due ripostigli e di un abbaino), siano idonee a sottrarre il bene comune alla sua destinazione in favore degli altri condomini ed attrarlo nell'uso esclusivo del singolo condomino (Cass. civ., sez. II, 7 febbraio 2008,n. 2865).

Opere interne al sottotetto

In tema di condominio, l'indennizzo previsto dall'art. 1127 c.c. in favore di ciascun comproprietario in caso di sopraelevazione dell'edificio condominiale va corrisposto nella sola ipotesi di sopraelevazione realizzata mediante la costruzione di nuove opere (nuovi piani o nuove fabbriche) sull'area sovrastante il fabbricato, con conseguente innalzamento dell'originaria altezza dell'edificio, e non anche nel caso in cui il proprietario dell'ultimo piano apporti modificazioni soltanto interne al sottotetto (trasformandolo, come nella specie, in unità abitativa autonoma), contenute negli originari limiti strutturali delle parti dell'edificio sottostanti alla sua copertura (Cass. civ, sez. 24 ottobre 1998, n. 10568).

Pensiline

Le pensiline poste a copertura di mansarde costituiscono parte integrante del tetto, e devono considerarsi di proprietà comune, per cui le relative spese di manutenzione devono ripartirsi tra tutti i condomini secondo il criterio dell'art. 1123, primo comma, c.c. (Trib. Milano, 20 marzo 1989).

Guida all'approfondimento

Costanza, La finestra sul tetto altrui, in Giust. civ., 2013, 3-4, 1, 679.

Santarsiere, Infiltrazioni di acqua dal tetto/lastrico solare di condominio parziale. Ripartizione delle spese occorse in base ai millesimi di proprietà esclusiva, in Arch. loc. cond., 2012, 5, 557.

Toschi, Antenna sul tetto, panorama negato e onde elettromagnetiche: esiste tutela per il valore ridotto dell'immobile?, in Resp. civ., 2009, 10, 826.

Musolino, Costruzione di altana, diritto di sopraelevazione e uso della cosa comune, in Riv. not., 2013, 3, 2, p. 695.

De Franceschi, Condominio - diritto di sopraelevazione, in Studium Juris, 2008, 9, 1002.

De Tilla, Disciplina giuridica ed uso comune ed esclusivo di terrazze, lastrici solari, tetti, coperture, ecc., in Giust. civ., 1991, 4, 1, 978.

Sommario