Le registrazione di conversazioni tra presenti dopo l'introduzione dell'art. 617-septies c.p.

Luigi Giordano
06 Aprile 2018

Alla luce della nuova fattispecie di cui all'art. 617-septies c.p., introdotta dal d.lgs. 216 del 2017, è ancora legittima la registrazione effettuata dal privato di colloqui ai quali partecipa o assiste? L'art. 1 del d.lgs. 29 dicembre 2017, n. 216 ha introdotto la nuova fattispecie di cui all'art. 617-septies (Diffusione di riprese e registrazioni fraudolente) che punisce «Chiunque, al fine di recare danno all'altrui reputazione o immagine, diffonde con qualsiasi mezzo riprese audio o video, compiute ...

Alla luce della nuova fattispecie di cui all'art. 617-septies c.p., introdotta dal d.lgs. 216 del 2017, è ancora legittima la registrazione effettuata dal privato di colloqui ai quali partecipa o assiste?

L'art. 1 del d.lgs. 29 dicembre 2017, n. 216 ha introdotto la nuova fattispecie di cui all'art. 617-septies (Diffusione di riprese e registrazioni fraudolente) che punisce «Chiunque, al fine di recare danno all'altrui reputazione o immagine, diffonde con qualsiasi mezzo riprese audio o video, compiute fraudolentemente, di incontri privati o registrazioni, pur esse fraudolente, di conversazioni, anche telefoniche o telematiche, svolte riservatamente in sua presenza o alle quali comunque partecipa».

La nuova ipotesi di reato si sovrappone parzialmente a quella prevista dall'art. 167 del d.lgs. 196 del 2003 (T.U. sulla privacy), che sanziona l'illecito trattamento dei dati sensibili (tra cui le riprese video o audio di momenti della propria sfera di vita relazionale privata) in violazione delle prescrizioni normative che impongono una corretta e puntuale informazione all'interessato circa le condizioni di trattamento e, soprattutto, richiedono l'espresso consenso di questi alla loro divulgazione.

La condotta materiale di diffusione, che consiste nel divulgare al pubblico il dato riservato (nella specie, la videoripresa o la registrazione abusivamente effettuata), sì da renderla disponibile e accessibile a un numero indiscriminato di soggetti, presuppone la fraudolenza della captazione di immagini, dialoghi o situazioni «svolte riservatamente in presenza o alle quali comunque l'agente partecipi». L'utilizzo di strumenti tecnici di registrazione occulti e insidiosi (si pensi, ai moderni dispositivi portatili che consentono una immediata e contestuale diffusione attraverso l'uso dei social media) comporta necessariamente l'assenza del consenso del soggetto captato alla registrazione e alla successiva diffusione di quanto captato.

All'elemento oggettivo della fraudolenza della registrazione si aggiunge quello soggettivo specializzante del dolo specifico di danno alla reputazione o all'immagine della persona offesa derivante dalla diffusione delle registrazioni fraudolentemente captate dal soggetto partecipe o presente al loro svolgimento.

La norma prevede, tuttavia, una ipotesi speciale di scriminante, che esclude la punibilità delle condotta di diffusione delle riprese o delle registrazioni se consistono nell'utilizzo a fini esclusivamente processuali (conseguenza diretta della «loro utilizzazione in un procedimento amministrativo o giudiziario»), ovvero – ma, sul punto, il richiamo alle ipotesi scriminati di cui all'art. 51 c.p. appare sovrabbondante – riconducibili all'esercizio del diritto di cronaca o di difesa.

La diffusione in ambito processuale o procedimentale deve costituire forma esclusiva di manifestazione della condotta di diffusione.

La norma intende salvaguardare le esigenze di tutela giudiziaria dell'individuo, che deve essere consentita in difetto del consenso dell'interessato, purché avvenga nel rispetto dei principi generali di correttezza, pertinenza e non eccedenza. L'utilizzo delle riprese o registrazioni, pur fraudolente, per ragioni di giustizia richiede un'analisi da parte del giudice circa la liceità sotto il profilo etico-sociale dei motivi che hanno determinato il soggetto al comportamento o alla rivelazione del contenuto delle stesse (Cass. pen., n. 52075/2014).

La legittimità dell'utilizzo è ammessa anche nell'ambito di un procedimento amministrativo, come nei casi di procedimenti sanzionatori o disciplinari, in cui la forma procedimentale è modellata sulla falsariga di quella giurisdizionale.

Secondo l'orientamento consolidato della giurisprudenza della Suprema Corte (Cass. pen., Sez. unite, n. 36747/2003), la registrazione fonografica di conversazioni o comunicazioni realizzata, anche clandestinamente, da soggetto partecipe di dette comunicazioni, o comunque autorizzato ad assistervi, costituisce – sempre che non si tratti della riproduzione di atti processuali – prova documentale secondo la disciplina dell'art. 234 c.p.p., come tale utilizzabile in dibattimento, e non intercettazione "ambientale" soggetta alla disciplina degli artt. 266 e ss. c.p.p., anche nel diverso caso – nel quale certamente non viene in essere l'ipotesi scriminante di cui all'art. 617-septies c.p. – in cui avvenga su impulso della polizia giudiziaria e/o con strumenti forniti da quest'ultima con la specifica finalità di precostituire una prova da far valere in giudizio (Cass. pen., n. 3851/2016, dep. 2017). La registrazione di colloqui, in qualsiasi modo avvenuta, a opera di uno degli interlocutori non è riconducibile al concetto d'intercettazione, in difetto della compromissione del diritto alla segretezza della comunicazione (il cui contenuto viene al contrario legittimamente appreso da chi palesemente vi partecipa o vi assiste), e della "terzietà" del captante.

In tal senso, Cass. pen., n. 50986/2016 ha affermato che la registrazione effettuata da uno degli interlocutori (nella specie, a mezzo di telefono cellulare dalla vittima del reato di estorsione) costituisce una forma di memorizzazione fonica di un fatto storico, utilizzabile in dibattimento quale prova documentale, rispetto alla quale la trascrizione rappresenta una mera trasposizione del contenuto del supporto magnetico contenente la registrazione.

Vi è tuttavia un diverso orientamento giurisprudenziale (da ultimo, Cass. pen., n. 48084/2017) che ritiene non utilizzabili le registrazioni fonografiche di conversazioni occultamente effettuate da uno degli interlocutori, all'insaputa dell'altro, anche d'intesa con la polizia giudiziaria e attraverso strumenti di captazione dalla stessa forniti, in assenza di un provvedimento motivato di autorizzazione del giudice od anche del P.M. (nel senso della insufficienza dell'autorizzazione orale del P.M., Cass. pen., n. 19158/2015).

Ancor più rigido è l'orientamento, da ritenersi minoritario, espresso da Cass. pen., n. 39378/2016, secondo cui la registrazione di conversazioni effettuata da un privato, mediante apparecchio collegato con postazioni ricetrasmittenti attraverso le quali la P.G. procede all'ascolto delle stesse e alla contestuale memorizzazione costituisce un'operazione di intercettazione di conversazioni ad opera di terzi, come tale soggetta alla disciplina autorizzativa dettata dagli artt. 266 e ss. c.p.p., con conseguente inutilizzabilità probatoria della stessa, ove autorizzata dal solo P.M.

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