L'intercettazione può costituire corpo di reato?
10 Aprile 2018
Una intercettazione può costituire corpo di reato?
Deve ritenersi ormai pacifica in giurisprudenza l'affermazione che una conversazione o una comunicazione intercettata possa costituire corpo del reato unitamente al supporto che la contiene, in quanto tale utilizzabile nel processo penale, a condizione che essa integri ed esaurisca la condotta criminosa (Cass. pen., n. 38822/2016, in una fattispecie in cui si è ritenuto sussistere la natura di corpo del reato e la conseguente utilizzabilità delle conversazioni in cui l'imputato aveva rivelato informazioni relative alla pendenza di un procedimento penale a persona diversa dall'interessato, ma ad esso collegata, ritenendo che tale conversazione integrasse la consumazione del reato di favoreggiamento personale). L'identificazione della registrazione o dell'elemento documentale che ne costituisce trascrizione con il corpo del reato, allorché la stessa comunicazione o conversazione integra la fattispecie criminosa, del resto, è espressamente prevista proprio nella materia delle intercettazioni disciplinate dagli art. 266 e ss.c.p.p. Stabilisce, infatti, l'art. 271, comma 3, c.p.p. che «In ogni stato e grado del processo il giudice dispone che la documentazione delle intercettazioni previste dai commi 1 e 2 sia distrutta, salvo che costituisca corpo del reato» (così, Cass. pen., Sez. unite, n. 32697/2014). Se qualificata come corpo del reato, l'acquisizione processuale della conversazione o della comunicazione esula dalla disciplina delle intercettazioni. Pertanto, qualora la captazione fosse stata disposta in un diverso procedimento, non possono trovare applicazione i limiti fissati dall'art. 270 c.p.p. |