Arbitrato
13 Aprile 2018
Inquadramento La risoluzione delle controversie relative alla esecuzione dei contratti pubblici, laddove queste riguardino “diritti soggettivi”, può essere deferita a un collegio arbitrale, secondo le disposizioni di cui agli articoli 209 e 210 del d.gs. 18 aprile 2016, n. 50 (“nuovo codice”). Il bando o l'avviso con cui si indice la gara ovvero, per le procedure senza bando, l'invito, indicano se il contratto conterrà o meno la clausola compromissoria. L'inserimento della clausola compromissoria avviene, necessariamente e a pena di nullità, previa autorizzazione motivata dell'organo di governo dell'amministrazione aggiudicatrice. Tutti gli arbitrati nella materia dei contratti pubblici sono “amministrati” dalla Camera arbitrale per i contratti pubblici istituita presso l'ANAC. Questa, tra l'altro, nomina il collegio arbitrale composto di tre membri, tra cui i due arbitri designati dalle parti e il presidente designato dalla stessa Camera arbitrale. La procedura arbitrale è regolamentata dalle “comuni” disposizioni del codice di procedura civile in tema di arbitrato, con poche eccezioni. La Camera arbitrale provvede alla nomina del consulente quando viene disposto l'espletamento di una consulenza tecnica da parte del collegio arbitrale, nonché alla liquidazione dei compensi spettanti agli arbitri e al consulente tecnico medesimo. Il lodo è impugnabile, oltre che per i profili di nullità di cui all'articolo 829 del c.p.c., anche per ragioni afferenti al “merito” della controversia. Le controversie arbitrabili
L'arbitrabilità delle controversie nella materia dei contratti pubblici ha conosciuto alterne vicende, dal deferimento obbligatorio al divieto assoluto di arbitrato. In linea con alcune prese di posizione della Corte costituzionale, con riferimento alle quali la necessaria tutela del diritto ad agire escluderebbe ogni possibilità di deroghe “autoritative” alla giurisdizione, la previsione dell'articolo 209, comma 1, del “nuovo codice”, così come quella precedente rinvenibile all'articolo nell'articolo 241, comma 1, del d.lgs. n. 163 del 12 aprile 2016 (“vecchio codice”), prevedono la facoltà, e dunque la piena libertà per le parti in lite, di deferire la controversia ad arbitri. Nella materia dei contratti pubblici, quindi, l'arbitrato è uno dei modi possibili di definizione delle controversie (liberamente) alternativo rispetto alla giurisdizione “comune”. Le controversie arbitrabili, così come testualmente si evince dal prima richiamato articolo 209, comma 1, sono solo quelle concernenti diritti soggettivi derivanti dall'esecuzione dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi, forniture, ivi comprese quelle conseguenti al mancato raggiungimento dell'accordo bonario di cui agli articoli 205 e 206 del “nuovo codice”. Con riferimento all'ambito soggettivo di applicazione, peraltro, il “nuovo codice” precisa che la disciplina dell'arbitrato qui descritta si applica anche alle controversie in cui sia parte una società pubblica o a partecipazione pubblica, nonché a quelle aventi ad oggetto opere o forniture comunque finanziate con risorse a carico della finanza pubblica. La coincidenza del dato normativo relativo all'ambito oggettivo di applicazione dell'arbitrato nella materia dei contratti pubblici tra il “nuovo” e il “vecchio” codice consente quindi di continuare a porre riferimento agli orientamenti giurisprudenziali che si erano in quest'ultimo contesto formati. Deve pertanto ritenersi esclusa l'arbitrabilità delle controversie concernenti (eventualmente anche) interessi legittimi, atteso che questi si correlano a interessi pubblici, normalmente “indisponibili” e per la cui attuazione l'espressione di una manifestazione volitiva da parte della pubblica amministrazione si dimostra in linea di principio sempre necessaria (Cassazione civile, sezione prima, 13 gennaio 2014, n. 2126; T.A.R. Campania, Napoli, sezione terza, 25 settembre 2015, n. 4641, punto 2.2). Non si ritengono arbitrabili nemmeno quelle controversie astrattamente riferibili a posizioni di diritto soggettivo che, tuttavia, presuppongono la preventiva statuizione su questioni che attengono all'esercizio del potere amministrativo (come, ad esempio, per il caso in cui venga azionata la pretesa sul quantum della revisione dei prezzi di un appalto pubblico, senza che però sia prima stata esperita alcuna azione concernente l' an della revisione medesima, cfr. T.A.R. Campania, Napoli, sezione prima, 2 dicembre 2013, n. 5468; nonché Cassazione civile, sezioni unite, 9 giugno 2005, n. 22903, punto 7.2). Per converso, si afferma comunemente l'arbitrabilità di questioni che, ancorché riconducibili alla giurisdizione del giudice amministrativo, concernono tuttavia posizioni di diritto soggettivo nell'alveo della giurisdizione esclusiva, ciò peraltro in senso conforme alla disciplina “generale” presente all'articolo 6, comma 2, della legge 21 luglio 2000, n. 205 e adesso riprodotta all'articolo 12 del codice del processo amministrativo (Cassazione civile, sezioni unite, 31 maggio 2016, n. 11375; T.A.R. Lazio, Roma, sezione seconda ter, 14 gennaio 2015, n. 543; Cassazione civile, sezioni unite, n. 22903/2005). E, sempre con riferimento alla giurisdizione esclusiva, si riconosce l'arbitrabilità di controversie (patrimoniali) nel contesto dell'attuazione di accordi di programma fra enti pubblici che riscontra la presenza di soggetti privati comunque interessati alla loro attuazione (Consiglio di Stato, sezione V, 16 marzo 2016, n. 1053; in senso parzialmente diverso, anche perché ivi si considerava la rilevanza concreta del perseguimento di interessi pubblici, cfr. invece T.A.R. Molise, sezione prima, 29 gennaio 2016, n. 42). La recente legge c.d. “anticorruzione” (legge 6 novembre 2012, n. 190) aveva introdotto talune innovazioni nell'alveo dell'arbitrato nella materia dei contratti pubblici, tra cui in particolare la necessità della previa autorizzazione da parte dell'organo di governo della pubblica amministrazione ai fini del (possibile) deferimento della (futura) controversia ad arbitri. Tali novità erano state inserite nell'articolo 241 del d.lgs. n. 163 del 2016, il quale del resto già conteneva, a seguito dell'aggiunta del comma 1 bis ad opera dell'articolo 5 del d.lgs. 20 marzo 2010, n. 53, il divieto del compromesso per la materia dei contratti pubblici. Così, si imponeva alle stazioni appaltanti l'obbligo di indicare nel bando o nell'avviso con cui era indetta la gara, ovvero nelle procedure senza gara nell'invito, se lo stipulando contratto avesse (o meno) contenuto la clausola compromissoria. La disciplina in tema di preventiva autorizzazione all'arbitrato nella materia dei contratti pubblici si trova adesso formulata all'articolo 209, commi 2 e 3 del d.lgs. n. 50 del 2016. In particolare, il comma secondo riproduce l'obbligo per la stazione appaltante di indicare nel bando, nell'avviso o nell'invito se il contratto conterrà o meno la clausola compromissoria, ribadendo altresì il divieto di compromesso. Si continua tuttavia ad attribuire all'aggiudicatario la facoltà di ricusarla entro venti giorni dalla conoscenza dell'aggiudicazione, di modo che la clausola compromissoria non sarà in tal caso inserita nel contratto. Il comma terzo dell'articolo 209 del “nuovo codice”, invece, prescrive la nullità della clausola compromissoria inserita senza autorizzazione nel bando, nell'avviso o, per il caso di procedure senza bando, nell'invito, specificandosi che la richiesta autorizzazione deve essere motivata e deve promanare da parte dell'organo di governo dell'amministrazione aggiudicatrice. Le disposizioni oggetto di analisi, transitate senza modifiche sostanziali dal “vecchio” al “nuovo” codice, hanno dato luogo a più di un dubbio in ordine alla legittimità costituzionale della disciplina dell'arbitrato nella materia dei contratti pubblici conseguente alla c.d. legge anticorruzione. Poiché, infatti, la disciplina transitoria di cui all'articolo 1, comma 25, della legge n. 190 del 2012, esclude(va) la necessità dell'autorizzazione solo per gli arbitrati conferiti o autorizzati prima dell'entrata in vigore della stessa legge, se ne è ipotizzata l'illegittimità in quanto, in contrasto con il principio di irretroattività della legge, essa avrebbe l'effetto di rendere (irrimediabilmente) invalide le clausole arbitrali in precedenza pattuite. Tuttavia la Corte Costituzionale, con la sentenza 13 maggio 2015, n. 108, ha ritenuto non fondati tali rilievi, evidenziando come al riguardo non si ponga propriamente un problema di irretroattività, quanto piuttosto quello dell'inefficacia di una clausola prevista da una norma limitativa dell'autonomia contrattuale che sopravviene nel corso dell'esecuzione di un rapporto. Con la stessa sentenza, il giudice delle leggi ha altresì avuto modo di argomentare in ordine alla legittimità costituzionale di tale limitazione. Infatti, preliminarmente ricordando come, salvo il limite dell'irragionevolezza, sia da riconoscersi al legislatore la discrezionalità di escludere la compromettibilità in arbitrato quando vi siano rilevanti interessi pubblici da tutelare, la Corte ha precisato la piena legittimità della scelta di subordinare il deferimento ad arbitri a una motivata autorizzazione amministrativa per una materia “sensibile” quale è (ritenuta) quella dei contratti pubblici (cfr. ancora Corte Costituzionale n. 108/2015, punto 3 e, in termini, Corte Costituzionale, 6 aprile 2016, ordinanza n. 99). Ad ogni modo, non sembra esporsi alcun “generale” sfavore per l'arbitrato nella materia dei contratti pubblici, subordinando(si) piuttosto il suo concreto espletamento (solo) a una ponderata valutazione degli interessi coinvolti e delle circostanze del caso concreto. Ciò, sempre per la giurisprudenza prima ricordata, consente di ritenere costituzionalmente conforme l'allocazione del potere autorizzativo in capo all'organo di governo piuttosto che alla dirigenza, anche perché quelli da esprimere sono giudizi particolarmente delicati connessi all'esigenza di reprimere corruzione e illegalità nella pubblica amministrazione. La connotazione teleologica propria alla disciplina, anche con riferimento alla sistematica che si desume dalla giurisprudenza costituzionale sul punto, supporta l'opinione per cui, ferma restando l'attuale necessità di autorizzare l'inserimento della clausole arbitrali già a partire dalla disciplina di gara, le clausole compromissorie in precedenza inserite nei contratti rimangono valide e spiegano comunque i loro effetti (almeno ma senz'altro) se e in quanto sia (successivamente) intervenuta l'autorizzazione al riguardo prescritta da parte dell'organo amministrativo (in termini, da recente, Cassazione civile, sezione sesta, 6 dicembre 2017, n. 29255, in particolare punto 2.1). Diversamente, si avrebbe la conseguenza, obiettivamente contraddittoria e, probabilmente, anche discriminatoria, per cui la pubblica amministrazione potrebbe disporre il deferimento ad arbitri per il futuro, ma non anche “confermare” al presente la determinazione di deferire la causa ad arbitri espressa in passato (per considerazioni in tal senso già la determinazione ANAC del 13 dicembre 2015, n. 13, con particolare riferimento al punto 3; ma in senso conforme anche Cassazione civile, n. 29255/2017, dove tuttavia si esprimono difformi modalità attraverso le quali far emergere la volontà di attivare la clausola arbitrale contenuta nel contratto). Tra i commentatori, come anche nelle prime occasioni di confronto giurisprudenziale sull'argomento, sono state espresse opinioni contrastate relativamente alle forme con cui tale “successiva” autorizzazione deve in concreto estrinsecarsi. La giurisprudenza di merito aveva avuto modo di considerare come la stessa non necessitasse sempre e comunque di un provvedimento espresso, potendo anche ricavarsi da comportamenti (univoci e) “concludenti”, come ad esempio la nomina dell'arbitro di designazione pubblica oppure la (precedente) formulazione dell'eccezione di difetto di giurisdizione “ordinaria” in favore di quella arbitrale (così come statuito da T.A.R. Lazio, sezione III, 10 febbraio 2015, n. 4243; pronuncia confermata in sede cautelare da Consiglio di Stato, sezione VI, 19 maggio 2015, ordinanza n. 2201). La più recente giurisprudenza costituzionale, invece, sembra al riguardo ritenere necessaria una autorizzazione espressa, perché - ivi si afferma - solo la motivazione che la stessa (necessariamente) contiene, diversamente dal rilievo che potrebbe essere attribuito al mero comportamento concludente, si dimostra idonea ad assicurare con modalità pubbliche e trasparenti l'estrinsecazione di quella ponderata valutazione degli interessi che, con riferimento alle specifiche circostanze del caso, risulta essere doverosamente presupposta alla scelta dell'amministrazione di deferire la controversia ad arbitri (Corte costituzionale, ordinanza n. 99/2016). Su tale giurisprudenza costituzionale si è più da recente innestata la giurisprudenza della Cassazione civile, che ha in termini piuttosto netti convenuto sulla necessità di una determinazione motivata dell'organo di governo dell'amministrazione, contestualmente escludendo che la volontà di questo possa essere (diversamente) desunta da atti o comportamenti di organi o soggetti diversi (con un riferimento specifico posto alle determinazioni (volitive) degli avvocati all'interno del processo), ritenuti inidonei, in quanto tali, ad esprimere le ragioni della scelta di derogare alla giurisdizione ordinaria (cfr. ancora Cassazione civile, n. 29255/2017, punto 2.1, che però non sembra espressamente richiedere un atto (motivato) ad hoc, sicché non può comunque escludersi che, ancorché non desumibile da comportamenti, la volontà di autorizzare il deferimento della lite in arbitrato possa parimenti ricondursi a (qualsiasi tipo di) atti formati dal competente organo di governo che siano comunque da considerarsi quale motivata manifestazione in tal senso). La camera arbitrale per i contratti pubblici
Tra le novità più rilevanti del “nuovo codice” in tema di arbitrato vi è quella relativa alla soppressione del “doppio binario” tra arbitrati “liberi” e arbitrati “amministrati”, dato che adesso tutti gli arbitrati nella materia dei contratti pubblici sono necessariamente “amministrati” in quanto si svolgono con il necessario intervento della Camera arbitrale per i contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture istituita presso l'ANAC ai sensi dell'articolo 210 del “nuovo codice”. Come è noto, la disciplina previgente attribuiva un ruolo alla Camera arbitrale solo quando vi era disaccordo tra le parti in merito alla nomina del terzo arbitro, che la stessa Camera provvedeva quindi a nominare. La disciplina attuale, invece, attribuisce sempre alla Camera arbitrale la nomina dell'intero collegio arbitrale. In particolare, gli arbitri di parte sono designati dalle parti e nominati dalla Camera arbitrale. Il presidente del collegio, invece, è designato e nominato dalla stessa Camera arbitrale, che lo sceglie tra i soggetti iscritti all'albo che questa forma e detiene (articolo 209, comma 4, d.lgs. n. 50 del 2016 e il comunicato della Camera arbitrale n. 2 del 28 aprile 2016). Se, quindi, tutti gli arbitrati nella materia dei contratti pubblici presuppongono adesso il necessario “intervento” della Camera arbitrale occorre però anche rilevare che ci si trova in presenza di un “arbitrato amministrato” atipico rispetto ai modelli comunemente conosciuti. Alla Camera arbitrale, infatti, non risultano attribuiti quei poteri di “regolamentazione” che caratterizzano invece le comuni procedure arbitrali amministrate. La disciplina del “nuovo codice”, comunque, riconduce alla Camera arbitrale il compito di redigere il codice deontologico degli arbitri camerali (cfr. articolo 210, comma 2, del d.lgs. n. 50 del 2016 e il comunicato della Camera arbitrale n. 4 del 19 maggio 2016). Sul sito dell'ANAC, inoltre, deve essere pubblicato l'elenco degli arbitrati in corso e di quelli definiti, ogni dato relativo alle vicende dei medesimi, nonché il compenso riconosciuto ad arbitri e periti (cfr. articolo 210, comma 13, del d.lgs. n. 50 del 2016). La Camera arbitrale è composta da cinque membri nominati dall'ANAC per una durata di cinque anni, i quali devono possedere una particolare competenza nella materia dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, nonché requisiti di onorabilità stabiliti dalla medesima autorità. Tra tali componenti l'ANAC sceglie il Presidente (art. 210, comma 4, del d.lgs. n. 50 del 2016). Oltre ai poteri di nomina prima ricordati, la Camera arbitrale cura la tenuta di un albo degli arbitri, di un elenco di periti e di un altro elenco dei segretari dei collegi arbitrali. Nella materia dei contratti pubblici, infatti, al fine di potere essere nominati presidente o segretario di un collegio arbitrale, ovvero consulente tecnico in un giudizio arbitrale, occorre essere iscritti, a seconda dei casi, in uno di tali albi o elenchi (articolo 209, comma 4 e articolo 210, commi 8, 10 e 12 del d.lgs. n. 50 del 2016). Possono essere iscritti all'albo degli arbitri della Camera arbitrale gli avvocati abilitati al patrocinio presso le giurisdizioni superiori in possesso dei requisiti per la nomina a consigliere di Cassazione; gli ingegneri e gli architetti iscritti nei relativi albi professionali e abilitati all'esercizio della professione da almeno dieci anni; i professori universitari di ruolo nelle materie giuridiche e tecniche nonché i dirigenti delle pubbliche amministrazioni con provata esperienza nella materia dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture (articolo 210, comma 7, d.lgs. n. 50 del 2016). Possono invece essere iscritti nell'elenco dei periti della Camera arbitrale quei soggetti in possesso di diploma di laurea e di una comprovata esperienza professionale di durata almeno quinquennale, nonché della relativa iscrizione all'albo professionale se richiesta (articolo 210, comma 8, d.lgs. n. 50 del 2016). L'iscrizione avviene su domanda corredata da curriculum e da adeguata documentazione comprovante i requisiti, ha una durata triennale e può essere nuovamente conseguita trascorsi due anni dalla scadenza del triennio. Durante il periodo di iscrizione valgono precise incompatibilità, tra cui quella di non potere espletare nei successivi tre anni incarichi professionali in favore delle parti dei giudizi arbitrali decisi (articolo 210, commi 9 e 10, d.lgs. n. 50 del 2016). Tra le ulteriori attribuzioni della Camera arbitrale vi è quella di liquidare il compenso e il rimborso delle spese dovuti agli arbitri e ai periti (cfr. articolo 210, commi 16 e 18, d.lgs. n. 50 del 2016 e i comunicati della Camera arbitrale nn. 2 e 3 del 23 settembre 2015). La somma complessivamente riconosciuta agli arbitri non può superare, compreso il compenso per il segretario del collegio arbitrale eventualmente nominato, l'importo di 100.000 euro e deve essere in concreto determinata sulla base dei criteri stabiliti con decreto del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti. Fino al momento della sua entrata in vigore, comunque, in relazione alla disciplina transitoria presente all'articolo 216, comma 22, del “nuovo codice”, continuano a rilevare i parametri di cui al decreto ministeriale 2 dicembre 2000, n. 398. Per la liquidazione degli onorari e delle spese della consulenza tecnica eventualmente disposta, invece, rileva il d.p.r. 30 maggio 2002, n. 115 e le tabelle allo stesso allegate. La determinazione della misura del compenso dovuto ad arbitri e periti posto in essere dalla Camera arbitrale si ritiene contestabile in sede giurisdizionale, anche se la natura di “arbitraggio” che gli si riconosce induce ad attribuirne la relativa competenza alla giurisdizione ordinaria (Cassazione civile, sezioni unite, 1 luglio 2008, n. 1793; contra Consiglio di Stato, sezione VI, 10 marzo 2005, n. 1008). L'articolo 210, comma 13, del d.lgs. n. 50 del 2016, prescrive che sul sito dell'ANAC siano pubblicati l'elenco degli arbitrati in corso e definiti, i dati relativi alle vicende dei medesimi, tra cui in particolare i nominativi e i compensi degli arbitri e dei periti. Al fine di implementare (tutte) le garanzie connesse agli sviluppi della pubblicità e della trasparenza, la Camera arbitrale ha, con propria determinazione, disposto l'ostensione completa - mediante integrale pubblicazione sul sito web dell'ANAC - dei lodi soggetti a deposito presso la stessa Camera (cfr. comunicato della Camera arbitrale n. 1 del 19 gennaio 2017, dove comunque si dispongono opportune garanzie a tutela (dei dati) delle persone fisiche che non hanno svolto ruoli funzionali all'interno del procedimento arbitrale). La Camera arbitrale, inoltre, cura la rilevazione dei dati relativi al contenzioso nella materia dei contratti pubblici e li trasmette sia all'ANAC che alla “cabina di regia” istituita ai sensi dell'articolo 212 del “nuovo codice” (articolo 210, comma 6, d.lgs. n. 50 del 2016). La procedura arbitrale
L'unica tipologia di arbitrato esperibile nella materia dei contratti pubblici, così come comunemente si ritiene per gli arbitrati che hanno come parte una pubblica amministrazione, è quella dell'arbitrato rituale. In linea di principio, infatti, questa ricostruzione trova il suo fondamento nel dato per cui se fosse possibile esperire un arbitrato irrituale l'amministrazione verrebbe a trovarsi vincolata al rispetto di una decisione assunta sulla base di criteri non definiti in via preventiva perché costituenti l'espressione di una manifestazione di volontà negoziale, il che palesemente contrasta con i principi fondamentali che regolano l'agere amministrativo (Cassazione civile, sezioni unite, 16 aprile 2009, n. 8987; T.A.R. Pescara, 3 marzo 2015, n. 96; T.A.R. Lombardia, Milano, sezione terza, 19 giugno 2014, n. 1607; T.A.R. Piemonte, sezione prima, 23 maggio 2013, n. 659). Per le stesse ragioni prima indicate, inoltre, non pare possa esservi dubbio in ordine alla circostanza per cui l'arbitrato di cui si discute deve (sempre) essere un arbitrato rituale di diritto. Infatti, proprio per la disciplina del codice dei contratti pubblici, agli arbitrati in questione si applicano le disposizioni del codice di procedura civile (articolo 209, comma 10, d.lgs. n. 50 del 2016) e, soprattutto, si prevede espressamente che il lodo è impugnabile anche per violazione delle regole di diritto relative al merito della controversia (articolo 209, comma 14, d.lgs. n. 50 del 2016). A ciò deve anche aggiungersi che, ai sensi dell'articolo 12 del codice del processo amministrativo, le controversie concernenti diritti soggettivi devolute alla giurisdizione del giudice amministrativo possono essere risolte (solo) mediante arbitrato rituale di diritto. Poiché - come si è già visto - le controversie arbitrabili relative ai contratti pubblici sono anche quelle concernenti diritti soggettivi nelle materie di giurisdizione esclusiva, (quantomeno per ragioni sistematiche) sarebbe davvero irragionevole ritenere che non per queste, ma invece solo per le controversie riconducibili alla giurisdizione del giudice ordinario, sia prospettabile lo svolgimento di un arbitrato rituale (ma) non di diritto. La sede dell'arbitrato viene determinata dalle parti, eventualmente anche presso le sezioni regionali dell'osservatorio per i contratti pubblici. In assenza di indicazione o per il caso di disaccordo tra le stesse parti la sede dell'arbitrato si intende però stabilita presso la Camera arbitrale (articolo 209, comma 9, d.lgs. n. 50 del 2016). Si è detto che i giudizi arbitrali nella materia dei contratti pubblici sono regolati dalle disposizioni del codice di procedura civile, sia pure con quelle eccezioni che lo stesso codice dei contratti prevede. In particolare, adesso il “nuovo codice” prescrive che i termini che gli arbitri indicano alle parti per le loro allegazioni e le loro istanze istruttorie possono essere considerati perentori solo se ciò risulta previsto dalla convenzione di arbitrato o in un atto separato, ovvero se gli stessi arbitri lo hanno espressamente previsto nel regolamento processuale che si sono dati (articolo 209, comma 11, d.lgs. n. 50 del 2016). Un'altra eccezione alle disposizioni del codice di rito, questa già presente nel “vecchio codice”, concerne il giuramento che, in tutte le sue forme, non è ammissibile tra i mezzi di prova (articolo 209, comma 10, d.lgs. n. 50 del 2016). La procedura arbitrale si introduce trasmettendo alla Camera arbitrale la domanda di arbitrato, l'atto di resistenza, le eventuali controdeduzioni e le designazioni degli arbitri di parte affinché questa provveda alla nomina del collegio (articolo 209, comma 8, d.lgs. n. 50 del 2016). Le pubbliche amministrazioni sono tenute in via preferenziale a effettuare la designazione tra i dirigenti pubblici e, solo nel caso in cui con atto motivato decidano di non provvedere in tal senso, possono procedere alla designazione nell'ambito degli iscritti all'albo formato dalla Camera arbitrale. Il Presidente del collegio arbitrale è individuato dalla stessa Camera arbitrale tra i soggetti iscritti in quest'albo che risultano in possesso di particolare esperienza nella materia oggetto del contratto cui l'arbitrato si riferisce ed è quindi nominato dalla stessa Camera nell'osservanza dei principi di pubblicità e di rotazione (articolo 209, comma 4, d.lgs. n. 50 del 2016). Il sesto comma dell'articolo 209 del “nuovo codice” richiama le disposizioni del codice di procedura civile in tema astensione e ricusazione, identificando inoltre ulteriori ipotesi, per lo più riconducibili a situazioni che possono determinare conflitti di interesse, che precludono la nomina. Rispetto al “vecchio codice” occorre segnalare che non possono più essere nominati come arbitri i magistrati, gli avvocati e i procuratori dello stato, i componenti delle commissioni tributarie, sia in servizio che a riposo. Un'altra novità del “nuovo codice” concerne il divieto di nomina, non solo come presidente - ciò che era già previsto dal “vecchio codice” - ma anche come arbitro di parte, per coloro i quali abbiano esercitato nell'ultimo triennio le funzioni di arbitro o di difensore in giudizi arbitrali nella materia dei contratti pubblici, ad eccezione delle ipotesi in cui l'esercizio della difesa costituisca adempimento di un dovere d'ufficio (articolo 209, comma 6,d.lgs. n. 50 del 2016). Da recente è stata dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'articolo 241 del “vecchio codice” laddove prevedeva che il presidente del collegio arbitrale doveva essere scelto, a pena di nullità del lodo, tra coloro che nell'ultimo triennio non avevano esercitato le funzioni di arbitro di parte o di difensore in arbitrati nella materia dei contratti pubblici (Corte costituzionale, 25 novembre 2016, n. 250). La Corte arresta il suo giudizio alla constatazione del superamento dei limiti della legge delega da parte del legislatore delegato, senza quindi svolgere valutazione alcuna rispetto alla disciplina del “nuovo codice”, irrilevante nel giudizio a quo. Peraltro, può constatarsi come la più recente legge delega si caratterizzi per una formulazione più ampia rispetto a quella cui il giudice delle leggi ha da ultimo avuto quale parametro, dato che al criterio della razionalizzazione se ne aggiungono altri determinati dalla necessità di garantire la trasparenza e assicurare il possesso dei requisiti di integrità, imparzialità e responsabilità degli arbitri (legge 28 gennaio 2016, n. 11, articoli 1, comma 1, lettera zz)). Ciò, comunque, non elimina del tutto i dubbi di costituzionalità che, anche al di là di quelli (già) sottoposti alla Corte, permangono (anche) rispetto alla nuova disciplina. Così, per esempio, resta da valutare quanto possa essere ragionevole la nomina di arbitri che debbono essere di provata esperienza nella materia ma che, al contempo, non devono avere esercitato nell'ultimo triennio le funzioni di arbitro e/o di difensore nello stesso ambito (cfr. articolo 209 del “nuovo codice”, rispettivamente ai commi terzo e sesto). Oppure viene da chiedersi quanto possa risultare coerente con il canone dell'imparzialità la necessità (ma potrebbe dirsi la stessa possibilità) di nominare quali arbitri soggetti che sono alle dipendenze di una delle parti della controversia (quella pubblica), tanto più che la garanzia di integrità della procedura (pubblica) riscontra altre rilevanti forme di tutela. Laddove la nomina del collegio arbitrale sia avvenuta senza che siano state rispettate le disposizioni prima indicate, previste e regolamentate ai commi 4, 5 e 6 dell'articolo 209 del d.lgs. n. 50 del 2016, si determina la nullità del lodo (articolo 209, comma 7, d.lgs. n. 50 del 2016). Anche nella materia dei contratti pubblici può presentarsi il caso di un arbitrato con pluralità di parti, la cui regolamentazione è rimessa all'articolo 816 quater del c.p.c. Così, come nella giurisprudenza più recente si è avuto modo di precisare, quando tra le parti processuali vi sono più pubbliche amministrazioni non vi è (sempre) la necessità di un processo litisconsortile e, per conseguenza, il mancato accordo “congiunto” sulla nomina dell'arbitro non determina l'improcedibilità dell'arbitrato ma, invece, la scissione in tanti procedimenti quante sono le parti chiamate in causa da chi ha iniziato l'arbitrato ai sensi dell'articolo 816 quater, comma 2, c.p.c. (cfr. Consiglio di Stato n. 1053/2016). Se il collegio arbitrale ne ravvisa la necessità può essere disposta una consulenza tecnica. La nomina del consulente medesimo e, cioè, la sua concreta identificazione fra gli iscritti all'albo che all'uopo la Camera arbitrale forma e detiene, compete alla Camera medesima (cfr. il comunicato del Presidente della Camera arbitrale n. 31 del 21 gennaio 2011). Il procedimento arbitrale può essere “archiviato”, e per la sua “riattivazione” occorre quindi la presentazione di una nuova istanza (da parte di chi ne abbia interesse), in presenza di eventi che (ne) determinano la stasi e/o l'arresto dello stesso, ora perché non si portino a termine (tutti) gli adempimenti (di parte) necessari alla nomina del Collegio, ora perché, successivamente a tale nomina, la procedura non si attivi e/o subisca un protratto arresto. In tali casi la Camera arbitrale richiede l'adempimento degli atti dovuti, disponendo consequenzialmente l'archiviazione se ciò non avviene, ovvero richiede agli arbitri (tutti) la conferma della manifestazione della volontà a continuare nello svolgimento dell'ufficio, mancando la quale provvede quindi all'archiviazione (cfr. il comunicato della Camera arbitrale n. 1 del 26 febbraio 2016, così per come aggiornato e integrato con delibera del 15 novembre 2017). Nell'ambito del quadro così delineato viene quindi emanato il lodo, il quale si ha per pronunciato (solo) quando interviene l'ultima delle sottoscrizioni degli arbitri. La regolamentazione delle spese processuali avviene ai sensi dell'articolo 92 del c.p.c., ma se la domanda viene accolta parzialmente esse sono compensate in proporzione al rapporto tra il valore della stessa domanda e quello dell'accoglimento (articolo 209, comma 20, d.lgs. n. 50 del 2016). Le parti del giudizio arbitrale, salvo eventuale rivalsa fra loro medesime, sono comunque solidalmente responsabili ai fini del pagamento dovuto agli arbitri, al consulente e per le spese tutte del giudizio arbitrale (articolo 209, comma 21, d.lgs. n. 50 del 2016). Impugnazione ed esecuzione dei lodi arbitrali
Nella materia dei contratti pubblici il lodo arbitrale è impugnabile non solo per motivi di nullità, ma anche per la violazione delle regole di diritto relative al merito della controversia (articolo 209, comma 14, d.lgs. n. 50 del 2016). Nella vigenza del “vecchio codice”, dove si riscontrava una norma di identico contenuto sostanziale, l'interpretazione che ne ha dato la giurisprudenza è stata ampia fino a ricomprendere il giudizio sul fatto alla stregua della disciplina legale, come ad esempio nel caso in cui occorra valutare la tempestività delle riserve (cfr. Cassazione civile, sezione prima, 4 settembre 2012, n.14773). L'impugnazione va proposta alla Corte di Appello del distretto in cui ha avuto sede l'arbitrato nel termine di novanta giorni dalla notificazione del lodo. Essa non può comunque (più) essere proposta quando siano trascorsi centottanta giorni dalla data del deposito del lodo presso la Camera arbitrale (cfr. sempre l'articolo 209, comma 14, del “nuovo codice”). La Corte d'appello è competente a conoscere dei motivi di nullità del lodo e, laddove ciò si dimostri necessario con riferimento all'effetto devolutivo dell'impugnazione medesima, anche del merito della controversia, a nulla quindi in tal caso rilevando che, ove non devoluta agli arbitri, la cognizione di questa sarebbe stata attribuita al giudice amministrativo in sede di giurisdizione esclusiva (Cfr. l'obiter di Cassazione civile, sezioni unite, 31 maggio 2016, n. 11375 che, comunque, richiama il principio di diritto espresso da Cassazione civile, sezioni unite, 5 luglio 2013, n. 16887). Sono impugnabili anche i lodi che decidono parzialmente la controversia ma, secondo quanto da recente statuito dalle sezioni unite, non sono invece immediatamente impugnabili quei lodi che decidono (solo) questioni pregiudiziali o preliminari (Cassazione civile, sezioni unite, 18 novembre 2016, n. 23463). Il lodo dichiarato esecutivo e non più impugnabile può essere portato ad esecuzione anche con lo strumento processuale dell'ottemperanza. Precisamente, così si riteneva anche in passato, ma ciò risulta adesso expressis verbis dall'articolo 112, comma 2 lettera e) del codice del processo amministrativo (cfr. Consiglio di Stato, sezione V, 28 aprile 2011, n. 5242, dove anche per la indicazione della conforme giurisprudenza ante codice). Più da recente, in linea con la giurisprudenza amministrativa prevalente che lo ammette in termini di principio, è stata riconosciuta la possibilità di ricorrere all'ottemperanza anche per l'esecuzione dei lodi arbitrali contenenti pronunce di “mero accertamento” (Consiglio di Stato, sezione V, 14 aprile 2016, n. 1499; T.A.R. Lazio, Roma, sezione II bis, 20 febbraio 2018, n. 1942; T.A.R. Lazio, Roma, sezione II, 17 gennaio 2018, n. 584). Le azioni di restituzione delle somme pagate in esecuzione di un lodo arbitrale successivamente dichiarato nullo, le quali si ritiene abbiano natura “autonoma”, devono essere invece proposte innanzi alla giurisdizione ordinaria (Cassazione civile, sezioni unite, 20 aprile 2016, n. 7949).
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