Natura oggettiva della responsabilità per cose in custodia

20 Aprile 2018

In caso di responsabilità per danni da cosa in custodia rilevano eventuali profili di colpa in capo al custode?
Massima

L'art. 2051 c.c., nell'affermare la responsabilità del custode della cosa per i danni cagionati, individua un criterio oggettivo di imputazione che prescinde da qualunque connotato di colpa, ma opera sul piano oggettivo dell'accertamento del rapporto causale tra lo cosa e l'evento dannoso e della ricorrenza del caso fortuito, rappresentato da fatto naturale o del terzo, connotato da imprevedibilità ed inevitabilità, quale elemento idoneo ad elidere tale rapporto causale.

Il caso

Gli attori citavano in giudizio l'Anas per ottenere il risarcimento dei danni derivanti da un sinistro stradale cagionato dalla presenza di un bovino sulla carreggiata. Nei due gradi di merito, la domanda degli attori era rigettata sul presupposto della assenza in capo al custode di alcun obbligo di recinzione della strada ovvero di vigilanza per l'eventuale attraversamento di animali. La Corte di Cassazione annulla con rinvio, ritenendo che in tema di responsabilità ex art. 2051 c.c., il giudice deve valutare ricorrenza o meno del caso fortuito, prescindendo da ogni valutazione in merito alla sussistenza di eventuali profili di colpa in capo al custode.

La questione

La questione in esame è la seguente: in caso di responsabilità per danni da cosa in custodia rilevano eventuali profili di colpa in capo al custode?

Le soluzioni giuridiche

Con la pronuncia in commento, i giudici di legittimità si pongono nel solco tracciato, ormai da tempo, che partendo dalla natura oggettiva della responsabilità delineata dall'art. 2051 c.c. giunge ad affermare che «ad integrare la responsabilità è necessario (e sufficiente) che il danno sia stato "cagionato" dalla cosa in custodia, assumendo rilevanza il solo dato oggettivo della derivazione causale del danno dalla cosa, mentre non occorre accertare se il custode sia stato o meno diligente nell'esercizio del suo potere sul bene, giacché il profilo della condotta del custode è -come detto- del tutto estraneo al paradigma della responsabilità delineata dall'art. 2051 c.c.».

Da questa premessa si conclude nel senso che «il danneggiato ha il solo onere di provare l'esistenza di un idoneo nesso causale tra la cosa ed il danno, mentre al custode spetta di provare che il danno non è stato causato dalla cosa, ma dal caso fortuito, nel cui ambito possono essere compresi, oltre al fatto naturale, anche quello del terzo e quello dello stesso danneggiato».

Nella odierna fattispecie, al contrario, i giudici di appello si erano limitati a valutare (escludendolo) il profilo soggettivo della colpa del custode, aspetto che tuttavia è estraneo al paradigma della responsabilità custodiale, incentrata unicamente -su un piano prettamente oggettivo- sul rapporto causale intercorrente fra la cosa in custodia e il danno subito dal terzo, con esclusione della possibilità di riconoscere una qualunque rilevanza al profilo della condotta del custode.

Orbene, come noto la funzione dell'art. 2051 è quella di imputare la responsabilità a chi si trova nelle condizioni di controllare i rischi inerenti alla cosa; si intende custode chi di fatto controlla le modalità d'uso e di conservazione della cosa — potendo eliminare le situazione di pericolo insorte ed escludere i terzi dal contatto con la cosa — e non necessariamente il proprietario o chi si trova con essa in relazione diretta, salva la prova, che incombe a carico di tale soggetto, del caso fortuito, interpretato nel senso più ampio di fattore idoneo ad interrompere il nesso causale e comprensivo del fatto del terzo o dello stesso danneggiato.

Secondo un primo orientamento (Cass. civ. n. 5925/1993; Cass. civ. n. 11264/1995; Cass. civ., n. 11015/1996) l'art. 2051 c.c. integrerebbe un'ipotesi di presunzione di colpa. Il sorgere dell'obbligo al risarcimento del danno cagionato da cose in custodia sarebbe dunque connesso all'elemento soggettivo della colpa del danneggiante, il quale, per andare esente da responsabilità, dovrebbe provare il suo comportamento diligente e dunque esente da colpa; il che vorrebbe dire che l'evento dannoso è stato provocato da un fatto (caso fortuito) non evitabile con la diligenza richiesta al custode.

Secondo tale ricostruzione, dunque, per caso fortuito si intenderebbe un evento non prevedibile e non superabile con la diligenza normalmente adeguata in relazione alla natura della cosa.

A sostegno di tale orientamento si osserva quanto appresso. La custodia cui fa riferimento l'art. 2051 implicherebbe un effettivo potere fisico sulla cosa, e dunque il governo e l'uso della medesima, con la conseguenza logico-deduttiva della sussistenza, in capo al custode, di un dovere di sorveglianza e/o controllo.

Secondo l'orientamento opposto – cui aderisce la sentenza in commento - l'art. 2051 c.c. integrerebbe un'ipotesi di responsabilità oggettiva: l'obbligo al risarcimento del danno cagionato da cose in custodia sorgerebbe dunque, secondo tale ricostruzione, a prescindere da qualunque indagine in ordine al profilo soggettivo del custode, la cui condotta diligente o colposa, di conseguenza, non assumerebbe alcun rilievo in ordine al sorgere dell'obbligo risarcitorio (Cass. civ. n. 28811/2008; Cass. civ. n. 21727/2012; Cass. civ. n. 17268/2012; Cass. civ. n. 10860/2012; Trib. Bari 25 ottobre 2012).

La tesi della responsabilità oggettiva del custode ex art. 2051 c.c. trova riscontro nei seguenti rilievi argomentativi.

Dall'analisi letterale dell'art. 2051 c.c. emerge, come detto, l'assenza di qualunque accenno alla colpa del custode. Se, dunque, il legislatore non ha voluto ancorare la responsabilità del custode al comportamento colposo del medesimo, allora, in armonia con l'orientamento interpretativo oramai dominante della Cassazione (Cass. civ. n. 8229/2010), dovrebbe logicamente concludersi per l'irrilevanza dell'indagine in ordine a tali profili.

L'art. 2051 c.c., infatti, non chiede al custode, al fine di essere liberato dall'obbligo al risarcimento del danno, di provare la propria condotta diligente o l'assenza di una sua qualunque colpa (il che condurrebbe ad inquadrare la fattispecie risarcitoria in analisi secondo lo schema della presunzione di colpa); prevede invece quale unica causa liberatoria la prova, in positivo, del caso fortuito.

Anche per la giurisprudenza di merito, la responsabilità per danni ex art. 2051 c.c. ha carattere oggettivo e si fonda sul mero rapporto di custodia e non sul comportamento colposo del custode, rispondendo alla ratio di imputare la responsabilità a chi semplicemente assuma una particolare posizione rispetto alla cosa rappresentata dal potere di controllarla, di modificare la situazione di pericolo creatasi, nonché quello di escludere qualsiasi terzo dall'ingerenza sulla cosa nel momento in cui si è prodotto il danno (Trib. Salerno 4 gennaio 2018, n. 23).

Pertanto, la responsabilità per i danni cagionati da cose in custodia (art. 2051 c.c.) ha carattere oggettivo e perché possa configurarsi in concreto è sufficiente che sussista il nesso causale tra la cosa in custodia ed il danno arrecato, senza che rilevi al riguardo la condotta del custode e l'osservanza o meno di un obbligo di vigilanza, in quanto la nozione di custodia nel caso rilevante non presuppone né implica uno specifico obbligo di custodire analogo a quello previsto per il depositario, e funzione della norma è, d'altro canto, quella di imputare la responsabilità a chi si trova nelle condizioni di controllare i rischi inerenti alla cosa, dovendo pertanto considerarsi custode chi di fatto ne controlla le modalità d'uso e di conservazione, e non necessariamente il proprietario o chi si trova con essa in relazione diretta (Cass. civ. n. 9726/2013; Cass. civ. n. 1769/2012; Cass. civ. n. 26086/2005).

In altri termini, i tratti salienti della responsabilità ex art. 2051 c.c. sono costituiti — sul piano causale — dalla derivazione del danno da una situazione di pericolo connessa in modo immanente alla res e — sul versante soggettivo dell'imputazione della responsabilità — dall'esistenza di un potere di fatto sulla res che consenta di intervenire per impedire o rimuovere le anzidette situazioni di pericolo, potere che dev'essere effettivo, ossia tale da consentire concretamente l'effettuazione di interventi di controllo e manutenzione volti ad inibire gli effetti pericolosi.

Osservazioni

Il riconoscimento della natura oggettiva alla responsabilità ex art. 2051 c.c. comporta che al fine di poterne escludere la sussistenza è necessario a la ricorrenza del caso fortuito, fattore che attiene, non ad un comportamento del responsabile, ma al profilo causale dell'evento, riconducibile, non alla cosa che ne è fonte immediata, ma ad un elemento esterno, recante i caratteri dell'imprevedibilità e dell'inevitabilità.

Nell'ambito della responsabilità di cui all'art. 2051 c.c. il caso fortuito deve essere connotato dall'esclusiva efficienza causale nella produzione dell'evento. L'individuazione di una condotta colposa del danneggiato non consente di ritenere integrato il caso fortuito ove non emerga che sia risultato interrotto qualunque nesso causale tra la cosa in custodia e l'evento (Cass. civ. n. 2479/2018).

Per caso fortuito ex art. 2051 c.c. deve intendersi la presenza di un elemento estraneo alla sfera soggettiva del custode che, interrompendo il nesso di causalità, risulti idoneo ad assurgere a causa esclusiva del danno.

In questi termini, la Cassazione ha precisato che il fortuito dovrà essere connotato da impulso causale autonomo, imprevedibilità nonché assoluta eccezionalità (Cass. civ. n. 5741/2009), descrivendolo come un fatto caratterizzato dall'essere estraneo alla sfera di custodia del soggetto. Il fortuito, quindi, per liberare il custode dall'obbligo risarcitorio, dovrebbe secondo tale visione prospettica essere: a) causa esclusiva del danno; b) del tutto estraneo alla sfera di custodia.

Nella nozione di caso fortuito, con orientamento pacifico, rientrano:

  • l'evento imprevisto ed imprevedibile;
  • il fatto del terzo;
  • il fatto della vittima.

Ai fini di cui all'art. 2051 c.c., il caso fortuito può essere integrato anche dalla colpa del danneggiato, poiché la pericolosità della cosa impone un obbligo massimo di cautela, proprio in quanto il pericolo è altamente prevedibile. E tale prevedibilità con l'ordinaria diligenza è sufficiente ad escludere la responsabilità del custode anche ai sensi dell'art. 2051 c.c. (Cass. civ. n. 6407/2016; Cass. civ. n. 15718/2016, che ha confermato la decisione dei giudici del merito che avevano escluso la responsabilità dell'ente gestore per l'infortunio occorso al danneggiato, inciampato a causa della presenza di un tappeto bagnato dalla pioggia ed attorcigliato su se stesso presente all'interno di una struttura sportiva, atteso che in corso di causa era emerso che la vittima non aveva posto al dovuta attenzione, tenendo un comportamento idoneo ad interrompere il nesso di causalità tra la cosa e il danno).

Ove il comportamento del danneggiato non comporti la interruzione del nesso causale tra cosa e danno lo stesso può tuttavia assumere rilievo ex art. 1227, comma 1, c.c.

La regola dettata da tale norma va infatti inquadrata nell'ambito del rapporto causale ed è espressione del principio che esclude la possibilità di considerare danno risarcibile quello che ciascuno procura a se stesso (Cass. civ. n. 21727/2012; Cass. civ. n. 1769/2012). La colpa, cui fa riferimento l'art. 1227 c.c., va intesa, non nel senso di criterio di imputazione del fatto (perché il soggetto che danneggia se stesso non compie un atto illecito di cui all'art. 2043 c.c.), bensì come requisito legale della rilevanza causale del fatto del danneggiato (Cass. civ. n. 13005/2016).

Pertanto è possibile riassumere quanto riportato come segue:

  • a) l'art. 2051 c.c., stabilendo che ciascuno è responsabile del danno cagionato dalle cose che ha in custodia, salvo che provi il caso fortuito, contempla un criterio di imputazione della responsabilità che, per quanto oggettiva in relazione all'irrilevanza del profilo attinente alla condotta del custode, è comunque volto a sollecitare chi ha il potere di intervenire sulla cosa all'adozione di precauzioni tali da evitare che siano arrecati danni a terzi;
  • b) a tanto, peraltro, fa pur sempre riscontro un dovere di cautela da parte di chi entri in contatto con la cosa: quando il comportamento di tale secondo soggetto sia apprezzabile come incauto, lo stabilire se il danno sia stato cagionato dalla cosa o dal comportamento della stessa vittima o se vi sia concorso causale tra i due fattori costituisce valutazione squisitamente di merito, che va bensì compiuta sul piano del nesso eziologico ma che comunque sottende un bilanciamento fra i detti doveri di precauzione e cautela (Cass. civ. n. 2692/2014);
  • c) e perfino quando la conclusione sia nel senso che, anche in relazione alla mancanza di intrinseca pericolosità della cosa, la situazione di possibile pericolo comunque ingeneratasi sarebbe stata superabile mediante l'adozione di un comportamento ordinariamente cauto da parte dello stesso danneggiato, potrà allora escludersi che il danno sia stato cagionato dalla cosa, ridotta al rango di mera occasione dell'evento, e ritenersi integrato il caso fortuito.

In ultimo, non può essere obliterato il passaggio della sentenza in commento allorquando, i giudici di legittimità scrivono che “incombe al danneggiato l'onere di un'opzione chiara (anche in termini di alternatività o reciproca subordinazione) tra l'azione generale di responsabilità extracontrattuale, ai sensi dell'art. 2043 c.c., e quella di responsabilità per fatto della cosa, ai sensi dell'art. 2051 c.c., visto che le due domande presentano tratti caratteristici, presupposti, funzioni ed oneri processuali assai diversificati”

Infatti, le due azioni di responsabilità per danni di cui agli artt. 2043 e 2051 c.c. implicano sul piano eziologico e probatorio accertamenti diversi e coinvolgono distinti temi d'indagine: la prima azione impone di accertare se sia stato attuato un comportamento commissivo od omissivo dal quale è derivato un pregiudizio a terzi; nell'azione di responsabilità per danni da cosa in custodia, invece, si deve prescindere dal comportamento del custode, che è elemento estraneo alla struttura della fattispecie normativa, nella quale il fondamento della responsabilità è costituito dal rischio che grava sul custode, per i danni prodotti dalla cosa che non dipendano dal caso fortuito.

In tale direzione, è stata esclusa la responsabilità dell'Ente custode per i danni occorsi ad una persona scivolata su una lastra di ghiaccio se la situazione di pericolosità determinata dalla lastra era, per le circostanze di tempo e di luogo, sicuramente visibile e tale da rendere molto probabile se non inevitabile l'evento (Cass. civ. n. 1064/2018).

Guida all'approfondimento

F. AGNINO, Buche e strade dissestate, dall'insidia e trabocchetto alla responsabilità oggettiva: mala tempora currunt per la P.A., in Giur. mer. 2009;

G. COTTINO, voce Caso fortuito (dir. civ.), in Enc. dir., VI, Milano, 1960;

M. FRANZONI, L'illecito, Milano, 2004.

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