Validità della fideiussione prestata dal socio illimitatamente responsabile per le obbligazioni sociali

Giorgio Grossi
04 Maggio 2018

Il socio di una società di persone, ancorché illimitatamente responsabile, può validamente prestare fideiussione in favore della società, giacché questa, pur se sprovvista di personalità giuridica, costituisce un distinto centro di interessi e di imputazione di situazioni sostanziali e processuali, dotato di una propria autonomia e capacità rispetto ai soci stessi.
Massima

Il socio di una società di persone, ancorché illimitatamente responsabile, può validamente prestare fideiussione in favore della società, giacché questa, pur se sprovvista di personalità giuridica, costituisce un distinto centro di interessi e di imputazione di situazioni sostanziali e processuali, dotato di una propria autonomia e capacità rispetto ai soci stessi; la predetta garanzia rientra, infatti, tra quelle prestate per le obbligazioni altrui secondo l'art. 1936 c.c., non sovrapponendosi alla garanzia fissata ex lege dalle disposizioni sulla responsabilità illimitata e solidale, potendo invero sussistere altri interessi che ne giustificano l'ottenimento – alla stregua di garanzia ulteriore – in capo al creditore sociale (quali, ad esempio, l'interesse a che il socio resti obbligato anche dopo la sua uscita dalla società, o quello di potersi avvalere di uno strumento di garanzia autonomo, svincolato tra l'altro dal limite, sia pure destinato ad operare solo in fase di esecuzione, del beneficium excussionis di cui all'art. 2304 c.c.); in tale situazione il socio, il quale sia stato escusso quale fideiussore e, nella qualità, abbia provveduto al pagamento del debito sociale, è legittimato all'esercizio dell'azione di regresso ex art. 1950 c.c. contro la società.

Il caso

La pronuncia in esame trae origine da un ricorso per decreto ingiuntivo con cui il socio accomandante di una s.a.s., nonché suo fideiussore, ha domandato la condanna della società a rimborsargli in via di regresso il pagamento di un debito sociale. Costituitasi nel giudizio di opposizione, la s.a.s. ha domandato la revoca del decreto ingiuntivo emesso a suo carico, contestando la fondatezza del diritto di credito avversario sotto un duplice profilo. Anzitutto, la s.a.s. ha affermato la natura di socio illimitatamente responsabile del ricorrente, nonostante la sua formale carica di accomandante, e la conseguente inammissibilità di una sua azione di regresso verso la società. In secondo luogo, la s.a.s. ha escluso che la pretesa del socio potesse trovare titolo nella fideiussione da lui prestata, da ritenersi invalida vista la sua responsabilità già illimitata per le obbligazioni sociali.

Il giudice di primo grado, rigettando l'opposizione proposta dalla s.a.s., ha confermato il decreto ingiuntivo emesso a favore del ricorrente, in forza del suo diritto ad agire in via di regresso quale fideiussore della società ex art. 1950 c.c..

Il giudice d'appello, riformando la sentenza di prime cure, ha invece negato tale diritto, ritenendo che la fideiussione prestata da un socio già illimitatamente responsabile sia invalida per carenza di causa.

Avverso la sentenza d'appello il socio accomandante ha proposto ricorso per Cassazione, contestando: l'accertamento della sua natura di socio illimitatamente responsabile; in subordine, il principio di diritto applicato in sede di gravame, secondo cui la posizione di socio illimitatamente responsabile sarebbe incompatibile con quella di fideiussore della società.

La Corte di Cassazione, ritenendo assorbente tale ultimo motivo di impugnazione, ha quindi proceduto a risolvere la questione di diritto posta dal ricorrente.

La questione

Nel caso così delineato, la Corte di Cassazione è stata chiamata a stabilire se il socio illimitatamente responsabile possa essere anche fideiussore della società partecipata.

A titolo di premessa, occorre infatti ricordare che l'art. 1936 c.c. descrive il fideiussore come colui che, obbligandosi personalmente verso il creditore, garantisce l'adempimento di un'obbligazione altrui.

Allo stesso tempo, è nozione nota quella secondo cui le società di persone, a differenza delle società di capitali, non sono dotate di personalità giuridica, sicché le stesse non possono dirsi soggetti di diritto del tutto autonomi rispetto ai propri soci (Campobasso, Diritto Commerciale, II, Torino, 2015, 41 ss.). Infatti, mentre per le società di capitali l'art. 2331 c.c. riconduce l'acquisto della personalità giuridica all'iscrizione nel registro delle imprese, una simile disposizione non è prevista per le società di persone. Ne deriva che queste ultime godono di una autonomia patrimoniale “imperfetta” rispetto ai propri soci, i quali rispondono delle obbligazioni sociali in via solidale, illimitata e diretta, seppur in via sussidiaria a fronte di un patrimonio sociale incapiente (artt. 2267, 2268, 2304 c.c.).

Nonostante la carenza di personalità giuridica, è opinione diffusa che le società di persone non coincidano simpliciter con la somma dei propri soci, ma che piuttosto queste siano titolari di propria “soggettività giuridica” (Campobasso, op. cit., 44 ss.; Cian, La nozione di società e i principi generali, in Diritto commerciale, III, Torino, 2017, 68 ss.). In questo senso, quindi, anche le società di persone sarebbero dotate di propria capacità giuridica e di agire, tanto da poter essere considerate veri e propri centri di imputazione giuridica distinti dai propri soci, seppur non del tutto autonomi sotto il profilo patrimoniale (Cass. 12 dicembre 2007, n. 26012).

A fronte di tale sintetico quadro normativo, occorre dunque chiedersi se il socio illimitatamente responsabile possa prestare valida fideiussione a favore della società partecipata, nonostante quest'ultima sia carente di personalità giuridica e, quindi, vi sia un labile confine tra obbligazioni “proprie” del socio e obbligazioni “altrui” della società.

Le soluzioni giuridiche

Per risolvere la questione in esame, la Corte di Cassazione ha ripercorso gli orientamenti interpretativi formatisi sul tema.

Una prima tesi restrittiva, seguita dalla Corte d'Appello nel caso in esame,ha escluso che il socio illimitatamente responsabile possa assumere anche la qualità di fideiussore, non potendosi rinvenire una vera e propria alterità soggettiva tra garante e garantito. A tal riguardo, la tesi in oggetto valorizza il disposto dell'art. 1936 c.c., secondo cui il rapporto di fideiussione presuppone l'esistenza di un debito “altrui” e, quindi, una separazione netta tra il patrimonio del garante e quello del garantito. Tale requisito, del resto, sarebbe giustificato dalla stessa ratio della fideiussione, volta a incrementare la garanzia patrimoniale del creditore affiancando al patrimonio del debitore quello di un terzo garante. Secondo la tesi in esame, il meccanismo appena esposto non potrebbe riprodursi nei rapporti interni tra socio illimitatamente responsabile e società. In primo luogo, infatti, il socio fideiussore non garantirebbe obbligazioni “altrui” ma “proprie”, perché discendenti dall'esercizio in comune dell'attività sociale cui lo stesso partecipa. In secondo luogo, l'eventuale fideiussione prestata a garanzia delle obbligazioni sociali sarebbe invalida per carenza di causa, posto che essa non aggiungerebbe nulla di più rispetto alla garanzia di cui il creditore già gode ex lege sul patrimonio dei soci illimitatamente responsabili.

Alla tesi appena esposta si contrappone un'altra opinione, secondo cui la disciplina legislativa non precluderebbe al socio di regolamentare in via convenzionale i propri rapporti patrimoniali con la società. Infatti, nonostante sia vero che i soci rispondono delle obbligazioni sociali con il proprio patrimonio, è altrettanto vero che la società gode di un'autonomia patrimoniale imperfetta, che rende la responsabilità dei soci sussidiaria rispetto alla capienza del patrimonio sociale. In questo senso, sarebbe quindi ammissibile un rapporto di garanzia convenzionale tra socio e società, volto a integrare il sistema di tutela già predisposto dalla legge a favore dei creditori sociali.

A fronte delle soluzioni ermeneutiche appena esposte, la Corte di Cassazione ha ritenuto di aderire alla seconda tesi, affermando la validità del rapporto fideiussorio tra socio illimitatamente responsabile e società partecipata, come peraltro già espresso in altre occasioni dalla giurisprudenza di legittimità.

A tal riguardo, la Suprema Corte ha innanzitutto precisato il contenuto di altra sua precedente pronuncia (Cass. 5 novembre 1999, n. 12310), impropriamente citata da alcuni a sostegno della tesi più restrittiva. Si è chiarito, infatti, come tale sentenza non prenda posizione sul tema in esame, ma esprima un principio di diritto differente: la diversità ontologica del rapporto socio-società rispetto a quello fideiussore-debitore, con conseguente esclusione del diritto del socio ad agire in via di regresso per il pagamento di un debito sociale. Diversamente, la pronuncia nulla dice circa l'ipotesi in cui il socio agisca in via di regresso non in forza del mero vincolo societario, ma in base a diversa garanzia personale prestata a favore della società.

Sul punto, la Corte di Cassazione ha invece affermato ripetutamente la validità del rapporto fideiussorio tra socio e società (Cass. 12 dicembre 2007, n. 26012; Cass. 26 febbraio 2014, n. 4528; Cass. 5 maggio 2016, n. 8944).

A sostegno di tale conclusione, la Suprema Corte ha anzitutto ricordato come la carenza di personalità giuridica delle società di persone non preclude che le stesse possano essere titolari di rapporti giuridici con i propri soci, vista la propria soggettività giuridica che le rende “un distinto centro di interessi e di imputazioni di situazioni sostanziali e processuali”. Proprio in ragione di tale postulato, la fideiussione prestata dal socio a favore delle società può dirsi legittima, avendo questa a oggetto un'obbligazione “altrui” perché assunta da un soggetto giuridicamente distinguibile dal garante.

Inoltre, la fideiussione prestata dal socio illimitatamente responsabile neppure può dirsi priva di causa. Tale negozio, infatti, risponde a un interesse giuridico meritevole di tutela, ossia arricchire il creditore sociale di un'ulteriore forma di garanzia mediante la quale aggredire il patrimonio del socio-fideiussore, eventualmente anche fuoriuscito dalla compagine sociale, senza dover rispettare il c.d. beneficium excussionis di cui all'art. 2304 c.c..

Riconosciuta la validità del negozio fideiussorio, la Cassazione ne fa discendere le naturali conseguenze applicative, in particolar modo con riferimento al diritto di regresso del socio-garante verso la società-garantita. Sul punto, infatti, non sarebbe “logicamente e giuridicamente corretto (vista, tra l'altro, la norma del comma 2 dell'art. 1936 c.c.), spezzare l'applicazione delle regole fideiussorie a seconda del rapporto che si vada a considerare”, per applicarle a quello tra creditore e socio-garante, da un lato, e disapplicarle nei rapporti interni tra socio-garante e società-garantita, dall'altro.

In conformità ai principi di diritto appena espressi, la Corte di Cassazione ha quindi accolto l'impugnazione promossa dal socio-fideiussore, riconoscendogli il diritto ad agire in via di regresso nei confronti della società-debitrice per il pagamento delle obbligazioni sociali oggetto di garanzia.

Osservazioni

Con la pronuncia in esame, la Corte di Cassazione ha riaffermato un principio di diritto già sostenuto dalla giurisprudenza di legittimità e, tuttavia, non sempre condiviso dalle Corti di merito. I dubbi interpretativi maggiori nascono dalla distinzione teorica tra personalità e soggettività giuridica, che la giurisprudenza pone a fondamento delle proprie decisioni. Richiamando tale postulato, infatti, la S.C. afferma contemporaneamente che le obbligazioni sociali non possono dirsi estranee ai soci, nella misura in cui questi partecipano a un'attività sociale condotta senza il filtro di una persona giuridica, e che queste stesse obbligazioni devono ritenersi comunque “altrui”, per il fatto di essere imputabili a un ente dotato di soggettività giuridica. Parafrasando i termini della Cassazione, quindi, i soci illimitatamente responsabili rispondono per “obbligazioni proprie ma assunte da altri” o, detto in altre parole, per obbligazioni “oggettivamente proprie e soggettivamente altrui”. La parziale altruità delle obbligazioni sociali, quantomeno sotto il profilo soggettivo, induce la giurisprudenza ad affermare la validità della fideiussione prestata dal socio a favore della società, essendo rispettato il presupposto dell'alterità soggettiva tra garante e garantito di cui all'art. 1936 c.c.. La sottigliezza di questa distinzione, tuttavia, è tale da non poter escludere ogni profilo di dubbio, soprattutto ove si osservi che la stessa Corte di Cassazione, nella sua composizione a Sezioni Unite, afferma che “il socio illimitatamente responsabile non può (…) essere considerato terzo rispetto all'obbligazione sociale, ma debitore al pari della società per il solo fatto di essere socio tenuto a rispondere senza limitazioni”, con la conseguenza che l'atto di garanzia ipotecaria rilasciata dal socio accomandatario per un debito della società “non può essere considerato costitutivo di garanzia per un'obbligazione altrui, ma va qualificato quale atto di costituzione di garanzia per una obbligazione propria” (Cass., Sez. Unite, 16 febbraio 2015, n. 3022). In definitiva, se da un lato la fideiussione tra socio e società pare meritevole di tutela sotto il profilo causale, dall'altro maggiori incertezze si pongono circa l'effettivo rispetto del presupposto di alterità soggettiva tra terzo-garante e debitore-garantito di cui all'art. 1936 c.c., circostanza che presumibilmente indurrà le Corti di merito a porre ancora in discussione il principio di diritto appena confermato in sede di legittimità.