Investimento stradale e decesso avvenuto per cause sopravvenute

11 Maggio 2018

Con la sentenza in commento il tribunale di Spoleto ha risolto un caso in cui un pedone, di anni 93, era stato investito da un automobilista il 13 giugno 2007 ed era deceduto il successivo 19 giugno 2007. Il tribunale, dopo aver stigmatizzato l'insufficienza delle indagini preliminari – che non aveva consentito di verificare le esatte modalità dell'incidente e quindi, anche sotto questo profilo, di accertare la colpa dell'imputato – ha ritenuto altresì che non ...
Abstract

Con la sentenza in commento il tribunale di Spoleto ha risolto un caso in cui un pedone, di anni 93, era stato investito da un automobilista il 13 giugno 2007 ed era deceduto il successivo 19 giugno 2007. Il tribunale, dopo aver stigmatizzato l'insufficienza delle indagini preliminari – che non aveva consentito di verificare le esatte modalità dell'incidente e quindi, anche sotto questo profilo, di accertare la colpa dell'imputato – ha ritenuto altresì che non potesse ritenersi provata l'esistenza del rapporto di causalità tra l'incidente e l'evento mortale.

Massima

Nel caso di morte di un pedone, sopravvenuta a seguito di incidente stradale da investimento, il giudice deve accertare (oltre all'esistenza della colpa la cui esistenza nella specie non è stata ritenuta provata per l'insufficienza delle indagini preliminari) che il decesso sia causalmente ricollegabile all'incidente ed escludere l'esistenza di cause sopravvenute da sole sufficienti a escludere il nesso di condizionamento; esistenza che, nel caso di specie, è stata invece ravvisata nell'esecuzione di un intervento chirurgico in tempi troppo ravvicinati rispetto al trauma.

Il caso

Il caso si riferisce a un incidente stradale consistito nell'investimento di un pedone di anni 93 deceduto alcuni giorni dopo il sinistro. Il giudice, dopo aver lamentato la lacunosità delle indagini preliminari (respingendo peraltro le richieste di integrazione probatoria ex art. 507 c.p.p.) e avere ritenuto non provata l'esistenza dell'elemento soggettivo del reato, ha ritenuto di escludere anche il rapporto di causalità sotto il profilo che era stato accertato un elemento sopravvenuto idoneo a farlo ritenere interrotto.

Il tribunale ha infatti ritenuto che un intervento medico-chirurgico ricostruttivo, eseguito sugli arti inferiori del paziente che avevano riportato fratture ossee, fosse stato erroneamente eseguito in tempi troppo ravvicinati rispetto al trauma iniziale con la conseguente esposizione del paziente a maggiori rischi cardiocircolatori dai quali era derivata la morte della persona.

Questa condotta è stata ritenuta idonea a far ritenere interrotto il rapporto di causalità tra la condotta dell'automobilista e l'evento. Si trattava infatti di un intervento chirurgico necessario ma non urgente e il giudice ha ritenuto che, se eseguito dopo la stabilizzazione delle condizioni del paziente, «di certo migliore sarebbe stata la sua reattività al nuovo trauma (chirurgico), più sicura sarebbe stata l'azione dei sanitari, e, soprattutto, egli avrebbe potuto, con un buon margine di probabilità, favorevolmente superare l'intervento medesimo».

L'esclusione della colpa

Il mancato accertamento dell'elemento soggettivo del reato viene ricondotto, dal tribunale, all'insufficienza delle indagini preliminari. Né il giudice ritiene, benché richiesto, di svolgere attività integrativa d'indagine ai sensi dell'art. 507 c.p.p. Si tratta di un accertamento e una valutazione in fatto che non presenta aspetti di particolare interesse.

Il rapporto di causalità tra la condotta e l'evento

Com'è noto il codice penale vigente ha accolto (anche se non v'è consenso unanime su questa affermazione) la teoria della condicio sine qua non (teoria condizionalistica o dell'equivalenza delle cause) come risulta dal testo dell'art. 40, comma 1, c.p. con la previsione che l'evento dannoso o pericoloso, da cui dipende l'esistenza del reato, debba essere conseguenza della sua azione od omissione; e con quella, prevista dal successivo art. 41, comma 1, c.p. che ha dato rilievo anche alle cause preesistenti, simultanee o sopravvenute. In base a questa costruzione giuridica all'accertamento del rapporto di causalità si perviene, come tradizionalmente si afferma, con un procedimento di eliminazione mentale: un'azione è causa di un evento se non può essere mentalmente eliminata senza che l'evento venga meno o si verifichi con modalità diverse.

Questo metodo, peraltro, si rivela spesso approssimativo, come è stato in più occasioni dimostrato, e non sempre consente di pervenire a una ragionevole soluzione del problema della causalità. È stato infatti affermato che «dire di un'azione che è condizione sine qua non quando si accerta che, eliminandola mentalmente, l'evento lesivo non si sarebbe verificato, significa rifugiarsi dietro una vistosa tautologia, giacché ciò che resta da stabilire è proprio il criterio al quale ci si deve riferire per sostenere che, in assenza dell'azione, l'evento non si sarebbe verificato».

Ancora si è affermato che «una simile formula euristica potrà avere al più un valore indiziante, non essendo in grado di indicare nulla di preciso circa la natura del nesso di collegamento tra condotta e evento»e, più recentemente, si è rilevato che «tale metodo […] fallisce in tutti i casi segnati da un minimo di complessità, dove si rivela una limitata capacità euristica e quindi una sostanziale inutilità».

Interruzione del rapporto di causalità

Nel nostro caso, peraltro, l'esistenza del rapporto di causalità non è in discussione; il tribunale si è invece trovato ad affrontare uno dei problemi più complessi del diritto penale vigente che si pone invece quando si passi all'interpretazione dell'art. 41, comma 2, c.p. secondo cui «le cause sopravvenute escludono il rapporto di causalità quando sono state da sole sufficienti a determinare l'evento». Si tratta di norma di carattere generale applicabile ai reati dolosi, colposi e nei casi di responsabilità oggettiva (o da rischio totalmente illecito).

Si tratta diuna norma di fondamentale importanza all'interno dell'assetto normativo che il codice ha inteso attribuire al tema della causalità e lo scopo della norma, secondo l'opinione maggiormente seguita, è quello di temperare il rigore derivante dalla meccanica applicazione del principio generale contenuto nel primo comma dell'art. 41 c.p. in esame che, come si è detto, si ritiene abbia accolto il principio condizionalistico o dell'equivalenza delle cause (condicio sine qua non). Anzi, secondo taluni autori questa norma escluderebbe che il codice abbia voluto accogliere integralmente la teoria condizionalistica essendo, il concetto di causa sopravvenuta, estraneo a questa teoria così come è da ritenere estraneo alla teoria della causalità adeguata.

Siamo in presenza quindi di una norma che disciplina il concorso di cause e che pone fondamentalmente due problemi: il primo è quello di individuare il concetto di causa “sufficiente” e di stabilire in che cosa si distingua dalla causa “necessaria”; il secondo è invece quello di spiegare il concetto di causa sopravvenuta da sola idonea a determinare l'evento.

Sotto il primo profilo va chiarito che la causa sufficiente è l'insieme di tutte le condizioni che rendono possibile (ma non certo o probabile) il verificarsi dell'evento; perché sia possibile che si sviluppi un incendio ammettiamo che si possa dire che è necessaria la presenza di un materiale infiammabile, di ossigeno o di un altro comburente, di un innesco. La presenza di ciascuno di questi elementi costituisce una condizione necessaria per il verificarsi dell'incendio perché, in mancanza anche di una soltanto, l'incendio non si può verificare. L'insieme di tutte e tre gli elementi costituisce invece condizione sufficiente perché, appunto, la loro presenza è sufficiente per il verificarsi dell'incendio (che, peraltro, non è detto debba necessariamente verificarsi).

È però da rilevare, come è stato affermato in dottrina, che se il secondo comma in esame venisse interpretato nel senso che il rapporto di causalità dovesse ritenersi escluso solo nel caso di un processo causale del tutto autonomo verosimilmente si tratterebbe di una disposizione inutile perché, in questi casi, all'esclusione si perverrebbe con la mera applicazione del principio condizionalistico previsto dal comma 1 dell'art. 41 c.p.

Deve pertanto trattarsi, secondo questo orientamento, di un processo non completamente avulso dall'antecedente, di una concausa che deve essere, appunto, sufficiente a determinare l'evento. Ma questa sufficienza non può essere intesa come avulsa dal precedente percorso causale perché, altrimenti, torneremmo al caso del processo causale del tutto autonomo per il quale il problema è risolto dal comma 1 dell'art. 41 c.p. Su questa affermazione di principio deve ritenersi raggiunto un sufficiente consenso in quanto gli orientamenti (peraltro, a quanto risulta, quasi esclusivamente dottrinali) che sostenevano la tesi della completa autonomia dei processi causali non sembrano essere stati più riproposti negli ultimi decenni.

Ma anche sulla nozione di causa sopravvenuta sembra essersi formato un certo consenso con l'accoglimento della teoria c.d. della causalità umana, (fatta propria anche dalla nota sentenza Franzese delle Sezioni unite penali della Cassazione) risalente a Francesco Antolisei, secondo cui il rapporto di causalità è escluso quando l'evento è riconducibile causalmente ad una conseguenza eccezionale dell'azione o dell'omissione.

Del resto a non diversi risultati conduce una teoria sorta proprio per superare i limiti del metodo condizionalistico che mirano a eliminare gli inconvenienti della teoria della condicio sine qua non. In particolare mi sembra necessario segnalare – anche perché ha un certo seguito nella giurisprudenza di legittimità - la teoria c.d. del rischio che conduce a escludere il nesso di condizionamento nei casi in cui l'evento verificatosi in concreto sia estraneo all'area di rischio coperta dalla previsione cautelare (il pedone investito da un veicolo va salvaguardato come persona che ha diritto ad essere curato adeguatamente; ma le ragioni della tutela non riguardano la protezione dal crollo del soffitto dell'ospedale). Teoria che conduce a risultati non diversi da quella condizionalistica.

In conclusione

La sentenza che si annota sembra discostarsi dai precedenti di legittimità che hanno affrontato, negli ultimi anni, il tema delle cause sopravvenute idonee ad escludere il rapporto di causalità. Questa giurisprudenza – proprio nel campo della responsabilità medica conseguente ad errori nella trattazione di patologie conseguenti ad incidenti stradali o infortuni sul lavoro – ha sempre richiesto, perché potesse ritenersi integrata l'ipotesi prevista dal secondo comma dell'art. 41 c.p., che la causa sopravvenuta, pur non essendo completamente autonoma, rispetto al processo causale innestato dalla condotta dell'agente, avesse carattere di eccezionalità.

Insomma il nuovo elemento determinativo dell'evento deve avere caratteristiche di assoluta anomalia ed eccezionalità e collocarsi al di fuori della norma o, come è stato pure affermato con la già ricordata diversa impostazione del problema, deve aver innescato un rischio del tutto eccentrico rispetto a quello originario attivato dalla prima condotta.

Nel caso esaminato dal tribunale di Spoleto (che ha fondato la sua valutazione su una consulenza di parte) non sembra che possa ravvisarsi una tale situazione: i medici hanno compiuto un intervento richiesto e reso necessario dalla situazione patologica creatasi a seguito dell'incidente. E l'unico addebito che può ad essi essere rivolto è quello di averla svolta anticipatamente quando le condizioni del paziente non erano ancora ristabilite. Anche se in ipotesi erronea questa scelta non si configura quindi come un evento eccezionale che fa venir meno l'efficienza causale del primo evento o che fa fuoriuscire il caso dall'area di rischio in cui il caso è stato inquadrato. Non è sufficiente un errore diagnostico o terapeutico per far ritenere eccezionale la condotta sanitaria che abbia contribuito all'evento rivelatosi dannoso per la persona.

L'errore terapeutico costituisce infatti un rischio prevedibile dell'attività medico sanitaria che non vale ad interrompere il rapporto di causalità tra la condotta lesiva che questa attività ha reso necessaria e l'evento dannoso; ciò potrà avvenire nei soli casi in cui l'errore sanitario, o la disfunzione ospedaliera, vengano ad assumere carattere di abnormità o comunque di fuoriuscita dall'area di rischio considerata. Per es. se al paziente, ricoverato per una lieve ferita, viene somministrato sangue di gruppo diverso oppure viene praticata una terapia, della quale si conosce la potenzialità lesiva, non prevista dalle linee guida, che provoca una danno alla sua salute.

Se, in conclusione, il paziente viene invece sottoposto a una terapia corretta che, nella sua applicazione, viene erroneamente adattata alle caratteristiche della patologia ci troviamo in presenza di errori prevedibili che non possono valere a ritenere interrotto il percorso causale.

Guida all'approfondimento

F. ANTOLISEI, Il rapporto di causalità nel diritto penale, Torino, 1960.

R. BLAIOTTA e G. CANZIO, Causalità (dir. pen.), voce del Dizionario di diritto pubblico, vol. II, p. 821, Milano, 2006;

C. BRUSCO, Il rapporto di causalità. Prassi e orientamenti, Giuffrè, Milano, 2012;

M. CAPECCHI, Appunti in tema di interruzione del nesso causale, in Corriere del merito, 2008, 181;

O. DI GIOVINE, Il problema causale tra scienza e giurisprudenza (con particolare riguardo alla responsabilità medica), in Indice penale, 2004, 1115;

A. DI LANDRO, Interruzione del nesso causale e accertamento della causalità “modello Franzese”, in Foro it., 2008,II,180;

C. MACALUSO, Il nesso di causalità e la sua interruzione nei reati in materia di prevenzione infortuni, in Riv. pen., 2008, 105;

E. MORSELLI, Il problema della causalità nel diritto penale, in Indice penale, 1998, 879 (p. 915);

A. PAGLIARO, Causalità (rapporto di), voce dell'Enc. dir. Annali, vol. I, Giuffrè, Milano, 2007, 153;

P. PIRAS, La condotta medica eccentrica quale causa sopravvenuta interruttiva del rapporto causale, in Dir. Pen. Contemp. del 16 gennaio 2017;

F. STELLA, Leggi scientifiche e spiegazione causale nel diritto penale, Giuffrè, Milano, 1975;

In senso difforme con riferimento alla teoria condizionalistica:

Cass. pen., Sez. IV, 26 ottobre 2017, n. 53541

Cass. pen., Sez. IV, 2 maggio 2017, n. 25560

Cass. pen., Sez. IV, 2 dicembre 2016, n. 3312

Cass. pen., Sez. I, 18 giugno 2015, n. 36724 (in caso di omicidio doloso)

Cass. pen., Sez. II, 18 marzo 2015, n. 17804 (in caso di lesioni conseguenti a rapina)

In senso difforme con riferimento alla teoria del rischio:

Cass. pen., sez. IV, 3 maggio 2016, n. 25689

Cass. pen., sez. IV, 10 marzo 2016, n. 15493

Cass. pen., sez. IV, 5 maggio 2015, n. 33329

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario