Il nuovo assegno di divorzio: funzione assistenziale, compensativa e perequativa

24 Luglio 2018

La Suprema Corte di cassazione reinterpreta la disciplina dell'assegno divorzile, sul presupposto dei principi espressi dalla sentenza Cass. n. 11504/2017, che vengono integrati, atteso che viene riconosciuta all'assegno di divorzio una funzione non solo assistenziale ma anche compensativa e perequativa, alla luce dei criteri individuati dalla prima parte dell'art. 5, comma 6, l. n. 898/1970.
Il quadro normativo: gli effetti economici della crisi coniugale

I criteri per il riconoscimento e la quantificazione dell'assegno divorzile sono fissati dall'art. 5, comma 6, l. n. 898/1970, come novellato dalla l. n. 74/1987 (applicabili anche in caso di scioglimento dell'unione civile, ai sensi dell'art. 1, comma 25, l. n. 76/2016). La dottrina ha sempre messo in evidenza la poca chiarezza della norma, che si rileva principalmente nel fatto che la stessa inserisce prima i parametri di quantificazione dell'assegno e solo in seguito ne indica i presupposti facendoli precedere dall'avverbio «quanto». Con la sentenza che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, il tribunale, tenuto conto delle condizioni dei coniugi, delle ragioni della decisione, del contributo personale ed economico dato da ciascuno alla condizione familiare e alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, del reddito di entrambi, e valutati tutti i suddetti elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio, dispone l'obbligo per un coniuge di somministrare periodicamente a favore dell'altro un assegno quando quest'ultimo non ha mezzi adeguati o comunque non può procurarseli per ragioni oggettive. La norma è stata oggetto, fin dall'introduzione, di divergenti interpretazioni giurisprudenziali, anche di legittimità. I contrasti iniziali furono però superati, fin dal 1990, da quattro sentenze gemelle delle Sezioni Unite della Corte di cassazione : Cass. 29 novembre 1990, n. 11490; Cass. 29 novembre 1990, n. 11489; Cass. 29 novembre 1990, n. 11491; Cass. 29 novembre 1990, n. 11492. Secondo l'interpretazione offerta dalla giurisprudenza di legittimità, i parametri indicati dall'art. 5, comma 6, l. div., attengono alla fase, successiva ed eventuale, in quanto si procede solo in caso di accertamento positivo dell'an debeatur, della quantificazione in concreto dell'assegno.

La lettura giurisprudenziale

Le Sezioni Unite intervennero per risolvere un contrasto insorto nella giurisprudenza della Sezione I civile della Corte tra la posizione che poneva l'assegno divorzile in sostanziale continuità con quello di mantenimento in sede di separazione e divorzio e l'indirizzo che, invece, qualificava come mezzi adeguati quelli atti a garantire una vita libera e dignitosa, con esclusione del diritto a mantenere il pregresso tenore di vita. Le decisioni delle Sezioni Unite stabilirono che l'assegno divorzile andava determinato in astratto sulla base del tenore di vita matrimoniale (an debeatur) e in concreto (quantum) alla stregua dei criteri moderatori di cui all'art. 5, comma 6, l. n. 898/1970, come modificata dalla l. n. 74/1987, la cui applicazione poteva portare eventualmente anche al diniego dell'assegno. Le due fasi erano pertanto interdipendenti, atteso che il criterio della conservazione del tenore di vita assumeva una rilevanza solo tendenziale, dovendo essere poi bilanciato, con riferimento al caso concreto, con tutti gli altri criteri indicati dall'art. 5, comma 6, l. div.. Le S.U., in sostanza, affermavano che il presupposto per concedere l'assegno nel giudizio di divorzio era costituito dall'inadeguatezza dei mezzi del coniuge richiedente a conservare un tenore di vita analogo a quello avuto in costanza di matrimonio. Secondo l'orientamento tradizionale non era necessario che il coniuge “debole” dovesse trovarsi in uno stato di bisogno per avere riconosciuto il diritto a percepire l'assegno. Il principio è stato ricordato dalla sentenza Cass. n. 11504/2017, che con riferimento all'indirizzo espresso dalla giurisprudenza precedente ricorda che : «il presupposto dell'attribuzione dell'assegno è, quindi, nell'inadeguatezza dei mezzi del coniuge istante (comprensivi di redditi, cespiti patrimoniali ed altre utilità di cui egli possa disporre) ai fini della conservazione del medesimo tenore di vita avuto in costanza di matrimonio o che poteva ragionevolmente configurarsi sulla base delle aspettative maturate nel corso del rapporto. L'assegno serve così ad evitare o ridurre lo scarto tra il tenore di vita che il coniuge istante potrebbe garantire a sé stesso con i propri mezzi dopo il divorzio e quello precedente (…) il giudizio sull'assegno si risolve in un confronto tra le condizioni economiche degli ex coniugi, per fare in modo che il coniuge meno abbiente riceva un contributo, a carico dell'altro, che gli consenta di conservare, seppure tendenzialmente ma per un tempo indeterminato, il medesimo tenore di vita avuto durante il rapporto matrimoniale. Non è necessario che egli si trovi in condizioni di “bisogno” o che non abbia mezzi adeguati a vivere una vita autonoma e dignitosa, né basta a fare cessare la solidarietà post coniugale, di cui l'assegno è espressione, che il coniuge beneficiario veda nel tempo migliorate le proprie condizioni economiche, quando questo miglioramento non sia idoneo a fargli raggiungere un tenore di vita analogo a quello avuto in costanza di matrimonio».

Il tenore di vita è quello offerto dalle potenzialità economiche dei coniugi. La giurisprudenza ha cercato di individuare una distinzione tra tenore di vita e stile di vita, ma unanimamente ha affermato che il giudizio di adeguatezza dei mezzi a disposizione del coniuge richiedente l'assegno deve essere rapportato al primo e non al secondo (Cass. n. 23442/2013).

La prassi giudiziaria tuttavia, anche prima della sentenza Cass. n. 11504/2017 nella sostanza ha disapplicato tali principi, tenuto conto che il coniuge debole che aveva un reddito decoroso raramente otteneva un assegno divorzile, così come raramente otteneva un assegno di mantenimento al momento della separazione. Ciò anche nel caso in cui l'altro coniuge avesse un reddito o un patrimonio che gli avrebbe consentito un tenore di vita superiore, senza che potesse assumere rilievo il fatto che egli, o ella, avesse dedicato alle esigenze della famiglia e alla cura dei figli le proprie energie, sottraendole al lavoro. Né poteva assumere rilievo il fatto che dopo la crisi del matrimonio non vi fosse più alcuna possibilità per il coniuge debole di recuperare il tempo perduto e incrementare i propri redditi.

La sentenza della Cassazione 10 maggio 2017, n. 11504

L'indirizzo sopra illustrato rimane immutato fino alla sentenza Cass. n. 11504/2017 che, sul presupposto della natura essenzialmente assistenziale dell'assegno divorzile, separa nettamente le due fasi dell'an e del quantum e individua un diverso parametro cui rapportare la nozione di adeguatezza dei mezzi del richiedente l'assegno divorzile: l'autosufficienza economica. Il principio dell'autosufficienza economica viene mutuato da quello che regolamenta il mantenimento dei figli maggiorenni, come disciplinato dall'art. 337-septies c.c., secondo il principio della cd. autoresponsabilità. Secondo la Corte, se il raggiungimento dell'indipendenza economica del figlio maggiorenne determina la perdita del diritto al mantenimento da parte dei genitori, analogamente chi perde lo status di coniuge perde il diritto ad essere mantenuto dal partner. Secondo la Suprema Corte la ratio dell'art. 337-septies c.c.che regola l'attribuzione dell'assegno al figlio maggiorenne non autosufficiente, come quella dell'art. 5, comma 6, l. n. 898/1970, che regola l'attribuzione dell'assegno all'ex coniuge, risultano comunque ispirate al «principio di autoresponsabilità economica, che appartiene al contesto giuridico europeo, essendo presente da tempo in molte legislazioni dei Paesi dell'Unione, ove è declinato in termini rigorosi e radicali che prevedono, come regola generale, la piena autoresponsabilità economica degli ex coniugi, salvo limitate, anche nel tempo, eccezioni di ausilio economico, in presenza di specifiche e dimostrate ragioni di solidarietà». Pertanto, soltanto nella fase di accertamento del quantum debeatur è legittimo procedere a un giudizio comparativo delle condizioni economiche dei due ex coniugi, sul fondamento degli indici di cui all'art. 5, comma 6, l. n. 898/1970.

Il principio di diritto enunciato è il seguente: «Il diritto all'assegno di divorzio, di cui all'art. 5, comma 6, l. n. 898/1970, come sostituito dall'art. 10 l. n. 74/1987, è condizionato dal suo previo riconoscimento in base a una verifica giudiziale che si articola necessariamente in due fasi, tra loro nettamente distinte e poste in ordine progressivo dalla norma (nel senso che alla seconda può accedersi solo all'esito della prima, ove conclusasi con il riconoscimento del diritto): una prima fase, concernente l'an debeatur, informata al principio dell'autoresponsabilità economica di ciascuno dei coniugi quali “persone singole” e il cui oggetto è costituito esclusivamente dall'accertamento volto al riconoscimento , o meno, del diritto all'assegno divorzile fatto valere dall'ex coniuge richiedente; una seconda fase, riguardante il quantum debeatur, improntata al principio della solidarietà economica dell'ex coniuge obbligato alla prestazione dell'assegno nei confronti dell'altro quale persone economicamente più debole (artt. 2 e 23 Cost.), che investe soltanto la determinazione dell'importo dell'assegno stesso. La sentenza, inoltre, chiarisce che l'accertamento dell'indipendenza economica “attiene esclusivamente alla persona dell'ex coniuge richiedente l'assegno come singolo individuo, cioè senza alcun riferimento al preesistente rapporto matrimoniale».

La giurisprudenza successiva si è posta il problema di individuare la soglia oggettiva, indipendente dal tipo di rapporto matrimoniale, nonché dalle pregresse condizioni di vita dei coniugi, al di sopra della quale i “mezzi” del coniuge richiedente vanno ritenuti sufficienti a garantirgli l'autosufficienza economica, mancando un metro di giudizio sicuro a cui riferire l'adeguatezza dei redditi e del patrimonio. Non vi è dubbio che tale soglia non possa essere individuata nello “stato di bisogno”, che caratterizza l'assegno alimentare, indicazione del tutto assente dalla disposizione legislativa, occorre fare riferimento al criterio individuato dalla successiva pronuncia della Suprema Corte n. 11538/2017 (conf. Cass. n. 2043/2018) che ha specificato come l'assegno debba essere riconosciuto in favore della parte istante che disponga di «redditi insufficienti a condurre un'esistenza libera e dignitosa». Si è anche precisato, con riferimento all'autosufficienza che si deve considerare tale parametro come necessariamente elastico, rapportato «in un ambito necessariamente duttile, ma non arbitrariamente dilatabile» (Cass. n. 3015/2018). Tale criterio non può essere esaminato in senso oggettivo e universale (come sembra affermare la sentenza Cass. n. 11504/2017), ma in senso soggettivo, quindi relativo e personale (Cass. nn. 2042/2018 e 2043/2018).

Secondo l'indirizzo espresso dalla sentenza Cass. n. 11504/2017 il giudizio circa la spettanza dell'assegno divorzile (an debeatur) deve essere effettuato verificando l'adeguatezza, o meno, dei mezzi a disposizione del coniuge richiedente, e pertanto se possa ritenersi che egli abbia comunque raggiunto l'indipendenza economica, oppure non l'abbia conseguita e neppure sia in grado di raggiungerla per ragioni oggettive. Il giudizio di adeguatezza dei mezzi dovrà essere svolto sul fondamento di una pluralità di parametri principali, prendendo in considerazione, in particolare:

a) il possesso dei redditi di qualsiasi specie;

b) il possesso di cespiti mobiliari ed immobiliari:

c) le capacità e le possibilità effettive di lavoro personale;

d) la stabile disponibilità, o meno, di casa di abitazione.

Questi parametri potranno, però, se del caso, essere integrati dalla considerazione, nel singolo caso, di «altri elementi, che potranno eventualmente rilevare». La prova del difetto della indipendenza economica deve essere offerta dall'ex coniuge richiedente l'assegno, ed il giudizio sarà espresso sulla base delle pertinenti allegazioni, deduzioni e prove, offerte dallo stesso, fermo il diritto all'eccezione e alla prova contraria da riconoscersi all'altro ex coniuge. Una volta accertata l'inadeguatezza dei mezzi, il giudice dovrà quindi procedere alla stima del quantum debeatur e in questa sede terrà conto dei criteri di valutazione indicati dall'art. 5, comma 6, l. div..

La sentenza delle Sezioni Unite 11 luglio 2018, n. 18287

La dottrina dopo la sentenza Cass. n. 11504/2017 pone in evidenza come nei matrimoni di lunga durata sia possibile, pur essendosi esaurite o ridotte le incombenze legate allo svolgimento della vita familiare, che si riscontri una incapacità di procurarsi mezzi adeguati che uno dei coniugi ha progressivamente acquisito nel corso del matrimonio. In questo caso l'assegno divorzile dovrebbe assolvere alla finalità di eliminare o quantomeno ridurre il divario che venga a crearsi tra le condizioni patrimoniali degli ex coniugi, consentendo di realizzare un'equa condivisione delle capacità di reddito e di raggiungere una situazione di tendenziale riequilibrio. Secondo alcuni Autori (E. Al Mureden, L'assegno divorzile tra autoresponsabilità e solidarietà post- coniugale, Fam. e Dir. 7/2017, 636) è opportuno valorizzare una funzione assistenziale–compensativa dell'assegno divorzile nella quale ha certamente importanza il contributo dato alla conduzione della vita familiare e gli eventuali sacrifici sopportati nel corso del matrimonio di lunga durata.

Le Sezioni Unite della Corte di cassazione, con la sentenza Cass. 11 luglio 2018, n. 18287 (v. A. Simeone, Il nuovo assegno di divorzio dopo le Sezioni Unite: ritorno al futuro?, in ilFamiliarista.it), risolvendo questione di massima di particolare importanza, hanno enunciato il seguente principio di diritto: «Ai sensi dell'art. 5, comma 6, l. n. 898/1970, dopo le modifiche introdotte con la l. n. 74/1987, il riconoscimento dell'assegno di divorzio, cui deve attribuirsi una funzione assistenziale ed al pari compensativa e perequativa, richiede l'accertamento dell'inadeguatezza dei mezzi o comunque dell'impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, attraverso l'applicazione dei criteri di cui alla prima parte della norma i quali costituiscono il parametro di cui si deve tenere conto per la relativa attribuzione e determinazione, ed in particolare, alla luce della valutazione comparativa delle condizioni economico–patrimoniali delle parti, in considerazione del contributo fornito dal richiedente per la conduzione della vita familiare e per la formazione del patrimonio comune e personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio e all'età dell'avente diritto». La Corte sembra aver recepito le istanze di quella dottrina che sottolineava la necessità di tenere conto dei sacrifici che il coniuge, soprattutto nei rapporti di lunga durata, aveva fatto nell'interesse della famiglia. Si pone in evidenza come l'applicazione equilibrata dei tre criteri, assistenziale, compensativo e risarcitorio, sia stata ritenuta adeguata alla varietà delle situazioni concrete e idonea a far emergere l'effettiva situazione di squilibrio (o equilibrio) conseguente alle scelte ed all'andamento effettivo della vita familiare, tenuto conto delle condizioni economico-patrimoniali degli ex coniugi e delle cause, con particolare riferimento a quelle maturate nel corso del matrimonio, che hanno concorso a determinarle.

Si rileva come i ruoli all'interno della relazione matrimoniale rappresentano un fattore, molto di frequente, decisivo nella definizione dei singoli profili economico-patrimoniali post matrimoniali e sono frutto di scelte comuni fondate «sull'autodeterminazione e sull'autoresponsabilità di entrambi i coniugi all'inizio e nella continuazione della relazione matrimoniale. Inoltre, non può trascurarsi, per la ricchezza ed univocità dei riscontri statistici al riguardo, la perdurante situazione di oggettivo squilibrio di genere nell'accesso al lavoro, tanto più se aggravata dall'età».

La Corte ritiene che la valutazione effettuata nella sentenza Cass. n. 11504/2017, per quanto rilevante, si presenti incompleta «in quanto non radicata su fattori oggettivi e interelazionali che determinano la condizione complessiva degli ex coniugi dopo lo scioglimento del vincolo». Il limite dell'incompletezza viene colto anche nella ratio posta a sostegno del criterio attributivo dell'assegno di divorzio, individuato nella assenza di autosufficienza economica, e la difficoltà maggiore viene colta nella scelta operata dalla Corte con la sentenza citata, laddove lo scioglimento del vincolo coniugale comporta una netta soluzione di continuità «tra la fase di vita successiva e quella anteriore». Si coglie, quindi, la ragione della scelta, basata sul riconoscimento della natura strettamente assistenziale dell'assegno, ancorata alla mancanza di autonomia economica «da valutare in considerazione della condizione soggettiva del richiedente, del tutto svincolata dalla relazione matrimoniale ed unicamente orientata, per il presente e per il futuro, dalle scelte e responsabilità individuali». I principi di autoresponsabilità e autodeterminazione sostengono la scelta degli ex coniugi di unirsi in matrimonio e determinano il modello di relazione coniugale da realizzare, la definizione dei ruoli, il contributo di ciascun coniuge all'attuazione della rete di diritti e dei doveri fissati dall'art. 143 c.c..

La Corte ritiene, quindi, validi i criteri individuati dalla sentenza Cass. n. 11504/2017, ma al fine di indicare un percorso interpretativo che tenga conto sia dell'esigenza riequilibratrice posta a fondamento dell'orientamento proposto dalle Sezioni Unite nella sentenzaCass. n. 11490/1990, sia della necessità di attualizzare il riconoscimento dell'assegno di divorzio anche in relazione agli standard europei, occorre abbandonare la rigida distinzione tra criteri attributivi e determinativi dell'assegno di divorzio, alla luce di una interpretazione dell'art. 5, comma 6, l. div. più coerente con il quadro costituzionale di riferimento costituito, come già individuato, dagli artt. 2, 3 e 29 Cost.. A tale riguardo si richiama la sentenza Corte cost. n. 11/2015 che introduce un modello di matrimonio fondato sui principi di uguaglianza, pari dignità dei coniugi, liberà di scelta, reversibilità della decisione e autoresponsabilità.

Si pone in rilievo la funzione assistenziale dell'art. 5, comma 6, l. div., atteso che si riconosce all'ex coniuge il diritto all'assegno di divorzio quando non abbia mezzi “adeguati” e non possa procurarseli per ragioni oggettive. Tuttavia il parametro dell'adeguatezza presenta una «intrinseca relatività» e richiede necessariamente una valutazione comparativa, che porta a una «esegesi dell'art. 5, comma 6, diversa da quella degli orientamenti passati». Importante l'innovativo ruolo attribuito dalla norma al giudice atteso che si impone una valutazione concreta ed effettiva dell'adeguatezza dei mezzi e dell'incapacità di procurarseli per ragioni oggettive fondata in primo luogo sulle condizioni economico patrimoniali delle parti, da accertarsi anche utilizzando «poteri istruttori officiosi». La verifica deve coordinarsi con altri indicatori contenuti nella prima parte dell'art. 5, comma 6, l. div. al fine di accertare se l'eventuale rilevante disparità della situazione economico-patrimoniale degli ex coniugi sia dipendente da scelte di conduzione della vita familiare adottate e condivise in costanza di matrimonio, con il sacrificio di aspettative professionali «di una delle parti in funzione dell'assunzione di un ruolo trainante endofamiliare», tenendo conto della durata.

In questo contesto prevale il ruolo assunto da ciascun coniuge nella conduzione dell'economia familiare, il suo contributo alla formazione del patrimonio comune e/o dell'altro coniuge, oltre che le effettive potenzialità professionali e reddituali valutabili alla conclusione della relazione matrimoniale, anche in relazione all'età del coniuge richiedente. In sostanza, occorre accertare se la condizione di squilibrio economico patrimoniale sia da ricondurre alle determinazioni comuni e ai ruoli endofamiliari. L'analisi delle cause dello squilibrio devono essere esaminate sulla base degli indicatori di cui all'art. 5, comma 6, l. n. 898/1970.

È la stessa Corte a evidenziare che il parametro della adeguatezza ha nello stesso tempo funzione equilibratrice e assistenziale–alimentare: «la funzione assistenziale dell'assegno di divorzio si compone di un contenuto perequativo–compensativo che discende direttamente dalla declinazione costituzionale del principio di solidarietà e che conduce al riconoscimento di un contributo che, partendo dalla comparazione delle condizioni economico-patrimoniali dei due coniugi, deve tenere conto non soltanto del raggiungimento di un grado di autonomia economica tale da garantire l'autosufficienza, secondo un parametro astratto ma, in concreto, di un livello reddituale adeguato al contributo fornito nella realizzazione della vita familiare, in particolare tenendo conto delle aspettative professionali ed economiche eventualmente sacrificate, in considerazione della durata del matrimonio e dell'età del richiedente».

In questa valutazione assume molta importanza il fattore età del richiedente. Questa valutazione, ovviamente basata sul caso concreto, fa assumere al tempo un ruolo determinante perché non può non tenersi conto delle concrete difficoltà da parte del richiedente, ormai avanti con l'età, di ottenere un «adeguato ricollocamento sul mercato del lavoro».

La Corte evidenzia come la soluzione prospettata sia certamente in linea con i principi espressi dalla legislazione della Comunità europea, e soprattutto con l'ordinamento francese e tedesco che evidenziano la natura specificamente perequativa e compensativa attribuita all'assegno di divorzio correlata alla previsione della temporaneità dell'obbligo in quanto finalizzata a colmare la disparità economico patrimoniale determinatasi con lo scioglimento del vincolo. Il nuovo indirizzo è certamente conforme al principio solidaristico come interpretato dalla CEDU, dovendo procedersi all'effettiva valutazione del contributo fornito dal coniuge economicamente più debole alla formazione del patrimonio comune e alla formazione del profilo economico patrimoniale dell'altra parte, anche in relazione alle potenzialità future.

In conclusione

Con la sentenza n. 18287/2018, le Sezioni Unite reinterpretano l'art. 5, comma 6, l. n. 898/1970, dopo le modifiche introdotte con la l. n. 74/1987, alla luce di principi espressi dalla legislazione europea e tenendo conto dei presupposti già espressi dalla sentenza Cass. n. 11504/2017, pertanto il riconoscimento dell'assegno di divorzio,cui deve attribuirsi una funzione assistenziale e al pari compensativa e perequativa, richiede l'accertamento dell'inadeguatezza dei mezzi o comunque dell'impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, attraverso l'applicazione dei criteri di cui alla prima parte della norma i quali costituiscono il parametro di cui si deve tenere conto per la relativa attribuzione e determinazione, e in particolare, alla luce della valutazione comparativa delle condizioni economico–patrimoniali delle parti, in considerazione del contributo fornito dal richiedente per la conduzione della vita familiare e per la formazione del patrimonio comune e personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio e all'età dell'avente diritto. Viene in questo modo potenziato il ruolo officioso del giudice, imponendosi l'obbligo della produzione dei documenti fiscali dei redditi delle parti.

Le Sezioni Unite ci tengono a precisare che il superamento della distinzione tra criterio attributivo e criteri determinativi dell'assegno di divorzio non determina un incremento ingiustificato della discrezionalità del giudice del merito, perché tale superamento «non comporta la facoltà di fondare il riconoscimento del diritto soltanto su uno degli indicatori contenuti nell'incipit dell'art. 5, comma 6, essendone necessaria una valutazione integrata, incentrata sull'aspetto perequativo compensativo, fondata sulla comparazione effettiva delle condizioni economico-patrimoniali alla luce delle cause che hanno determinato la situazione attuale di disparità. Il criterio dell'adeguatezza dei mezzi assume un contenuto prevalentemente perequativo – compensativo che, secondo la Corte, non può essere limitato né a quello assistenziale né a quello dettato dal raffronto oggettivo delle condizioni economico patrimoniali delle parti.

Guida all'approfondimento

E. Al Mureden., L'assegno divorzile tra solidarietà e autoresponsabilità: dal parametro del tenore di vita coniugale a quello dell'indipendenza economica del richiedente? in Giustizia civile.com, 15 luglio 2017;

C. Rimini, Assegno di mantenimento e assegno divorzile: l'Agonia del fondamento assistenziale, in Giur. ital. 8-9/2017, 1795;

R. Russo, L'ultima sentenza sull'assegno di divorzio. Diagnosi e terapia, in Judicium, 2017.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario