Giudizio disciplinare dinanzi al CNF: conseguenze dell’omessa elezione del domicilio “fisico” nel circondario dell’autorità giurisdizionale adita
12 Settembre 2018
Massima
La notificazione d'ufficio della sentenza del Consiglio nazionale forense, che – in mancanza di elezione di domicilio della parte incolpata in Roma - sia stata eseguita presso la segreteria del CNF anziché all'indirizzo di posta elettronica certificata dell'avvocato, è inidonea a far decorrere il cd. termine breve di impugnazione quando l'indirizzo PEC del destinatario non risulti inaccessibile per causa imputabile al medesimo. Il caso
All'esito di più procedimenti disciplinari riuniti, celebrati dinanzi al Consiglio dell'Ordine forense territoriale (secondo la disciplina vigente anteriormente alla l. 31 dicembre 2012, n. 247) con decisione annullata una prima volta dal Consiglio nazionale forense (“CNF”) per vizi formali e poi nuovamente emessa, il CNF – in parziale accoglimento del gravame interposto dall'avvocato incolpato – applicava al medesimo una sanzione diversa e più lieve rispetto a quella originariamente irrogata.
Avverso tale ultima sentenza, notificatagli d'ufficio presso la segreteria del CNF (stante la mancata elezione del domicilio in Roma), il legale interponeva – dopo il trentesimo giorno da detta notifica - ricorso per cassazione alle Sezioni unite, denunciando in via preliminare (per quanto qui interessa) la nullità di tale notificazione e la conseguente inidoneità della medesima a produrre il decorso del cd. termine breve di impugnazione (30 giorni, appunto, ai sensi dell'art. 36, comma 6, della l. n. 247/2012 e dell'art. 56, del r.d.l. 27 novembre 1933, n. 1578). La questione
Il Supremo Collegio ha dunque affrontato in limine litis la problematica della tempestività del ricorso in esame, domandandosi se – ed in quali termini – dovesse applicarsi alla fattispecie il disposto dell'art. 60, ultimo capoverso, del r.d. 22 gennaio 1934, n. 37 (richiamato per i nuovi processi disciplinari dall'art. 37 della l. n. 247/2012), a norma del quale “Ai fini della comunicazione preveduta nel precedente comma, come di ogni altra, nonché delle notificazioni prescritte, le parti interessate devono tempestivamente eleggere il proprio domicilio in Roma presso una persona od un ufficio e darne avviso alla segreteria del Consiglio nazionale. In mancanza della elezione di domicilio, le comunicazioni e le notificazioni sono fatte mediante deposito nella segreteria del Consiglio nazionale”. Le soluzioni giuridiche
La Corte di Cassazione ha affermato che:
Osservazioni
La pronuncia della Suprema Corte estende ai giudizi dinanzi al CNF quanto ormai pacificamente da essa (v. tra le più recenti Cass. civ., sez. VI, 14 dicembre 2017, n. 30139, e Cass. civ., sez. III, 11 luglio 2017, n. 17048) acclarato per i procedimenti contenziosi civili: e, cioè, che dopo la codificazione dell'istituto del cd. domicilio digitale l'elezione di domicilio “fisico” ha perduto gran parte della propria importanza, essendo remota l'ipotesi in cui la casella PEC del difensore costituito, destinatario dell'atto/provvedimento, sia non funzionante per causa imputabile al medesimo.
La sentenza qui in commento, certamente apprezzabile per la volontà di imprimere (anche) al procedimento disciplinare una svolta antiformalista attraverso la rimozione di precetti – con gli annessi devastanti corollari sanzionatori – non più in linea con le nuove forme tecnologiche di invio delle informazioni riguardanti gli atti di causa (cfr. sul punto l'esaustivo excursus svolto da Cass. civ., Sez. un., 20.6.2012, n. 10143), pecca di precisione sotto più di un profilo; nel dettaglio: (i) intanto, il rinvio sancito dall'art. 37, l. n. 247/2012 (la cui applicabilità alla fattispecie non è scontata, trattandosi di procedimento disciplinare iniziato dinanzi al Consiglio dell'Ordine territoriale e quindi verosimilmente prima dell'entrata in vigore della legge n. 247/2012 testé citata) alle norme e principi del codice di procedura civile opera solo “se necessario” e sul piano del tenore letterale non sembra concernere norme e princìpi che in quel codice non sono contenuti; (ii) l'art. 16-sexies del d.l. n. 179/2012 ha ad oggetto le sole “notificazioni” (non anche le comunicazioni) eseguite “ad istanza di parte”, mentre quella menzionata sub artt. 36 l. n. 247/2012 e 56 r.d.l. n. 1578/1933 è definita “notificazione d'ufficio” dalla stessa Corte di Cassazione; (iii) l'indirizzo PEC costituente ex lege il cd. domicilio digitale del difensore non è quello comunicato al Consiglio dell'Ordine di appartenenza, bensì quello risultante dall'Indice nazionale degli indirizzi di posta elettronica certificata delle imprese e dei professionisti (cd. INI-PEC: v. art. 6-bis d.lgs. 7 marzo 2005, n. 82), o quello ricompreso nel Registro generale degli indirizzi elettronici tenuto dal Ministero della Giustizia ai sensi dell'art. 7 del d.m. 21 febbraio 2011, n. 44; (iv) anche nei giudizi di cassazione la rilevanza dell'omessa elezione in Roma del domicilio “fisico” appare abbastanza trascurabile, la notificazione presso la cancelleria potendo validamente avvenire – nei casi diversi dal malfunzionamento colpevole della casella di posta certificata - solo quando il difensore destinatario non abbia indicato nel suo atto l'indirizzo PEC segnalato all'Ordine (art. 366, comma 2, c.p.c.). |