22 Marzo 2024

Il “domicilio digitale” segna l'evoluzione del concetto base di “domicilio” - già intrinsecamente legato ad un'ubicazione fisica - verso la sua virtualizzazione mediante l'individuazione di un recapito telematico, assistito da determinate garanzie di affidabilità che ne rendono vantaggiosa l'utilizzazione nelle comunicazioni, anche in ambito giudiziario. 

Inquadramento

Il “domicilio digitale” segna l'evoluzione del concetto base di “domicilio” - già intrinsecamente legato ad un'ubicazione fisica - verso la sua virtualizzazione mediante l'individuazione di un recapito telematico, assistito da determinate garanzie di affidabilità che ne rendono vantaggiosa l'utilizzazione nelle comunicazioni, anche in ambito giudiziario.

Il passaggio è stato determinato dall'avvento delle nuove tecnologie e, in prima battuta, dai sistemi di posta elettronica certificata (PEC) di cui al d.P.R. n. 68/2005 (ma vedi anche: codice dell'amministrazione digitale - C.A.D. - emanato con il d.lgs. n. 82/2005 nonché la disciplina tecnica di dettaglio di cui al d.m. 2 novembre 2005).

L'uso della PEC, grazie al ruolo svolto dai “soggetti gestori di PEC” (ossia i soggetti pubblici o privati che svolgono funzioni di “provider di PEC” e che, a tal fine, devono essere preventivamente autorizzati dall'Agenzia per l'Italia Digitale), offre garanzie in ordine all'identità degli autori della comunicazione, all'invio e alla ricezione dei messaggi, al riferimento temporale, assicurando anche l'integrità e l'autenticità del messaggio (art. 9, comma 2, d.P.R. n. 68/2005 e art. 1, comma 1, lett. d, decreto 2 novembre 2005), oltre che la sicurezza della sua trasmissione (art. 11, d.P.R. n. 68/2005 e artt. 3, 4, 6, 10, d.m. 2 novembre 2005). Si rinvia per approfondimenti alla Bussola dedicata alla PEC.

Tali caratteristiche hanno condotto all'individuazione della PEC come lo strumento privilegiato per lo sviluppo del concetto di “domicilio digitale”, incentrato sull'adozione di un ben identificato indirizzo di posta elettronica certificata, per agevolare le comunicazioni anche in campo giudiziario. Occorre, però, subito evidenziare che, a seguito delle modifiche apportate al C.A.D. per allineare l'ordinamento italiano al Regolamento 23 luglio 2014 UE n. 910 (v. in dettaglio infra, nella sezione dedicata alla normativa generale), solo nell'applicazione specifica del “mondo giustizia” il concetto di domicilio digitale è rimasto ancorato pressoché esclusivamente all'utilizzo di un indirizzo PEC (v. art. 16-sexies del d.l. 18 ottobre 2012,  n. 179 su cui infra, nella sezione dedicata al domicilio digitale nella normativa speciale sul processo telematico), mentre a livello generale tale riferimento è stato adeguato per recepire la nozione di “servizio elettronico di recapito certificato qualificato”, quale standard europeo (v. art. 1, comma 1, lett. n-ter),  C.A.D., in tema di definizione di ‘domicilio digitale': “un indirizzo elettronico eletto presso un servizio di posta elettronica certificata o un servizio elettronico di recapito certificato qualificato, come definito dal Regolamento UE 23 luglio 2014 n. 910 del Parlamento europeo e del Consiglio in materia di identificazione elettronica e servizi fiduciari per le transazioni elettroniche nel mercato interno e che abroga la direttiva 1999/93/CE, di seguito “Regolamento eIDAS”, valido ai fini delle comunicazioni elettroniche aventi valore legale”).

Di conseguenza, lo sviluppo che si sta già delineando comporterà l'adeguamento della normativa sul processo civile telematico - che prevale in virtù del principio di specialità  espressamente sancito dall'art. 2, comma 6, C.A.D. - alle disposizioni generali e soprattutto alle cogenti indicazioni del Regolamento europeo, aprendosi a soluzioni tecniche diversificate, intese a “superare” l'utilizzo della PEC nell'infrastruttura dei sistemi informatici civili (v. in particolare infra, nella sezione dedicata all'adozione della PEC nel processo civile).

L'adozione della PEC nel processo civile

L'art. 4, comma 2, d.l. 29 dicembre 2009, n. 193, convertito nella l. 22 febbraio 2010, n. 24, ha segnato l'adozione della PEC nel sistema giustizia, secondo le regole tecniche demandate ad uno o più decreti del Ministro della giustizia, in attuazione dei principi previsti dal C.A.D.

È stato così emanato il Regolamento di cui al d.m. 21 febbraio 2011 n. 44, che prevede, per quanto di interesse nel presente contesto:

a) la pubblicazione degli indirizzi di PEC degli uffici giudiziari e degli UNEP, dedicati ai servizi giudiziari, sul portale dei servizi telematici (art. 4);

b) la garanzia della conservazione dei log dei messaggi transitati attraverso il gestore di posta elettronica certificata del Ministero della giustizia per cinque anni (art. 4);

c) l'istituzione del registro generale degli indirizzi elettronici (ReGInde), gestito dal Ministero della giustizia, contenente i dati identificativi e l'indirizzo PEC dei soggetti abilitati esterni e degli utenti privati, costituito, per quanto attiene ai professionisti iscritti in albi ed elenchi istituiti con legge dello Stato, mediante la raccolta dei dati contenuti negli elenchi riservati predisposti dai rispettivi ordini sulla base degli indirizzi PEC comunicati dagli iscritti, a norma dell'art. 16, comma 7, d.l. 29 novembre 2008, n. 185, convertito nella l. 28 gennaio 2009, n. 2, ed inviati al Ministero della giustizia, e, per quanto attiene ai soggetti abilitati esterni non iscritti negli albi, mediante la raccolta dei dati contenuti nell'indice di cui all'art. 6-quater del C.A.D., ove disponibili (art. 7, come modificato dall'art. 2, comma 1, lett. b), d.m. 29 dicembre 2023, n. 217);

d) la comunicazione o la notificazione per via telematica da un soggetto abilitato interno (i.e. ufficio giudiziario) ad un soggetto abilitato esterno o all'utente privato avviene mediante invio di un messaggio dall'indirizzo di posta elettronica certificata dell'ufficio giudiziario mittente all'indirizzo di posta elettronica certificata del destinatario, indicato nel registro generale degli indirizzi elettronici, ovvero negli altri pubblici elenchi previsti dalle legge, salvo che non sia diversamente stabilito dalla legge (art. 16, sostituito dall'art. 2, comma 1, lett. n), d.m.  n. 217/2023);

e) la previsione di specifici requisiti della casella di PEC del soggetto abilitato esterno (art. 20).

Va, qui, annotato che – verosimilmente – nella linea evolutiva intesa al progressivo superamento dello strumento della PEC, cui si è fatto cenno nella parte finale del precedente paragrafo, è stato abrogato il comma 1 dell'art. 7 del d.m. n. 44/2011 (con l'art. 2, comma 1, lett. b), d.m. n. 217/2023), in cui si prevedeva che “il Ministero della giustizia si avvale di un proprio servizio di posta elettronica certificata conforme a quanto previsto dal codice dell'amministrazione digitale” (anche se, invero, è rimasta non modificata la rubrica “Gestore della posta elettronica certificata del Ministero della giustizia”). D'altro canto, anche il comma 1 dell'art. 20 del d.m. n. 44/2011 è stato modificato nel senso di prevedere che il soggetto abilitato esterno possa scegliersi di dotarsi “di un recapito certificato ai sensi del Regolamento UE n. 910/2014 (eIDAS)” in alternativa alla “casella di posta elettronica conforme agli obblighi previsti dal decreto del Presidente della Repubblica 11 febbraio 2005, n. 68 e dal decreto ministeriale 2 novembre 2005, recante «Regole tecniche per la formazione, la trasmissione e la validazione, anche temporale, della posta elettronica certificata»”, già individuata come unico strumento tecnico anteriormente alle modifiche apportate dal d.m. n. 217/2023 (anche in questo caso, però, conservando la rubrica “Requisiti della casella di PEC del soggetto abilitato esterno”).

Di portata più significativa, nella chiave evolutiva indicata, è la modifica disposta dall'art. 2, comma 1, lett. g), n. 1), d.m. n. 217/2023 all'art. 13 del predetto d.m. n. 44/2011 in tema di “Trasmissione dei documenti da parte dei soggetti abilitati esterni”, nel senso che, rispetto alla pregressa formulazione, incentrata sull'utilizzo della PEC (“I documenti informatici di cui agli articoli 11 e 12 sono trasmessi da parte dei soggetti abilitati esterni e degli utenti privati mediante l'indirizzo di posta elettronica certificata risultante dal registro generale degli indirizzi elettronici, all'indirizzo di posta elettronica certificata dell'ufficio destinatario, secondo le specifiche tecniche stabilite ai sensi dell'articolo 34”), la versione attuale prevede un generico riferimento a “modalità telematiche, secondo le specifiche tecniche stabilite dall'articolo 34”, in tal modo non solo evitando di fare riferimento alla PEC ma, in effetti, prescindendo dall'adozione di una determinata tecnologica, la cui individuazione è stata rimessa direttamente alla fonte secondaria rappresentata dal decreto dirigenziale del Responsabile S.I.A. (si rinvia, per ogni opportuno approfondimento, alla Bussola sul deposito telematico).

L'adozione della PEC nel processo civile ha comportato la necessità di adeguare le disposizioni del codice di procedura civile funzionali alle comunicazioni e notificazioni.

In particolare, l'attenzione si è concentrata sull'art. 125 c.p.c., in tema di contenuto degli atti di parte, con la (iniziale) previsione dell'obbligo, a cura del difensore, di indicare il proprio indirizzo PEC. La successione degli interventi normativi effettuati sulla citata disposizione rispecchia l'evoluzione stessa dell'uso della PEC nel processo, sino all'elaborazione giurisprudenziale del concetto di “domicilio digitale”, poi effettivamente recepito e sancito a livello normativo primario.

Le modifiche all'art. 125 c.p.c.

Introduzione dell'obbligo per il difensore di indicare nell'atto «il proprio indirizzo di posta elettronica certificata e il proprio numero di fax».

art. 2, comma 35-ter, lett. a), d.l. 13 agosto 2011, n. 138, conv. in l. 14 settembre 2011, n. 148

L'indirizzo PEC che il difensore deve indicare è quello «comunicato al proprio ordine», al fine di assicurare la coerenza tra tale indicazione e le disposizioni del regolamento che prevedono l'utilizzazione dell'indirizzo PEC del professionista risultante dal ReGInde, siccome trasmesso dall'ordine in base alla comunicazione effettuata dall'interessato.

art. 25, comma 1, lett. a), legge 12 novembre 2011, n. 183, a decorrere dal 1° febbraio 2012

Eliminato l'obbligo per il difensore di specificare l'indirizzo  PEC in quanto già contenuto nel ReGInde, sicché l'annotazione nell'atto a carico del professionista, oltre che superflua, rischiava di essere addirittura fuorviante ove l'avvocato avesse indicato un indirizzo PEC diverso (magari semplicemente per effetto dei disallineamenti dovuti ai tempi di comunicazione e trasmissione degli elenchi dall'ordine al Ministero della giustizia), dovendosi comunque eseguire la comunicazione esclusivamente all'indirizzo censito nel ReGInde (art. 16 d.m. n. 44/2011).

art. 45-bis, comma 1, d.l. 24 giugno 2014, n. 90, conv. con mod., in l. 11 agosto 2014, n. 114

In considerazione del più stringente obbligo già prescritto dall'art. 125, comma 1, c.p.c., con l'art. 25, comma 1, lett. c), l. n. 183/2011, la previsione già contenuta nell'art. 134 c.p.c. (introdotta dall'art. 2, comma 3, d.l. 14 marzo 2005, n. 35, convertito in l. 14 maggio 2005, n. 80, secondo cui la comunicazione dell'ordinanza pronunciata fuori udienza poteva essere effettuata al numero di fax o all'indirizzo PEC che, a tal fine, il difensore era tenuto ad indicare nel primo scritto difensivo utile) è stata abrogata a decorrere dal 1° febbraio 2012.

Parzialmente diversa la storia dell'evoluzione normativa dell'art. 366 c.p.c., norma speciale in tema di contenuto-forma del ricorso per cassazione.

Le modifiche all'art. 366 c.p.c.

Introdotto il comma quarto, secondo cui per le comunicazioni di cancelleria e le notificazioni tra i difensori exartt. 372 e 390 c.p.c. si poteva utilizzare il numero di fax o l'indirizzo PEC indicato in ricorso dal difensore che così dichiarava di volerle ricevere.

art. 5, d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40

Modifica del comma 4, nel senso di rinviare alla normativa generale di cui all'art. 136, comma 2 e 3, c.p.c.

art. 25, comma 1, lett. i), n. 2) l. 12 novembre 2011, n. 183, con decorrenza dal 1° febbraio 2012

Introdotta la facoltà (non l'obbligo) per il difensore di indicare l'indirizzo PEC comunicato al proprio ordine come alternativa all'elezione di domicilio in Roma al fine di evitare la notificazione presso la cancelleria della Corte di cassazione (comma 2).

art. 25, comma 1, lett. i), n. 1, l. 12 novembre 2011, n. 183, a decorrere dal 1° febbraio 2012

Abrogati, nell'ottica del riordino della disciplina sul processo telematico, il comma secondo, la cui previsione risultava ormai assorbita dall'introduzione della disposizione generale sul domicilio digitale, ed il comma quarto, di rinvio alla disciplina generale prevista per le comunicazioni di cancelleria dall'art. 136 c.p.c.

art. 3, comma 27, lett. d), n. 2), d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, si applica ai giudizi introdotti con ricorso notificato a decorrere dal 1° gennaio 2023

Anche in questo caso la successione degli interventi normativi rispecchia lo sviluppo dell'adozione della PEC nel processo: la prima modifica, disposta già nel 2006, mirava ad agevolare le comunicazioni tramite l'utilizzo dell'indirizzo di PEC all'uopo appositamente indicato dal difensore nel ricorso; la seconda modifica, disposta con la l. n. 183/2011contestualmente alla parallela modifica dell'art. 125 c.p.c. sopra riportata, era coerente con il coevo intervento effettuato sull'art. 136 c.p.c., e se da un lato ha modificato il comma 4 nel senso di rinviare proprio alla disposizione generale in tema di comunicazioni, dall'altro ha introdotto la facoltà per il difensore di avvalersi dell'indirizzo PEC comunicato all'ordine in luogo dell'elezione di domicilio in Roma per ricevere le notificazioni; proprio perché in quest'ultimo caso si tratta di un'elezione di domicilio facoltativamente rimessa alla scelta del difensore, non poteva procedersi (pur nell'apparente, ma solo apparente, assimilazione della situazione a quella regolata dall'art. 125 c.p.c.), all'abolizione dell'indicazione dell'indirizzo PEC nell'atto difensivo introduttivo. Tale esigenza, tuttavia, è ormai soddisfatta dall'introduzione in via generale nel 2014 del nuovo istituto del domicilio digitale (v. infra nella sezione dedicata alla previsione del domicilio digitale nella normativa speciale sul processo telematico), così da superare la necessità di mantenere la specifica disposizione nell'ambito del giudizio in cassazione; analogamente, la previsione della disciplina generale in tema di comunicazioni di cancelleria ha consentito di eliminare l'apposito rinvio da ultimo contenuto nel comma quarto dell'art. 366 c.p.c., siccome modificato nel 2011.

L'elaborazione della figura del “domicilio digitale” nella giurisprudenza di legittimità

In virtù del quadro normativo sopra esposto, la Corte di cassazione a sezioni unite (Cass. civ., sez. un., 20 giugno 2012, n. 10143), con innovativa pronuncia, è giunta ad elaborare, nella sostanza, la figura del “domicilio digitale”, in tal modo reinterpretando l'obbligo di cui all'art. 82 R.D. 22 gennaio 1934, n. 37, secondo cui gli avvocati - i quali esercitano il proprio ufficio in un giudizio che si svolge fuori della circoscrizione del tribunale al quale sono assegnati - devono, all'atto della costituzione nel giudizio stesso, eleggere domicilio nel luogo dove ha sede l'autorità giudiziaria presso la quale il giudizio è in corso, intendendosi, in difetto, lo stesso eletto presso la cancelleria dell'autorità giudiziaria adita. Infatti, i giudici del Supremo consesso hanno ritenuto che a «partire dalla data di entrata in vigore delle modifiche degli artt. 125 e 366 c.p.c., apportate dall'art. 25, l. 12 novembre 2011, n. 183, esigenze di coerenza sistematica e d'interpretazione costituzionalmente orientata inducono a ritenere che, nel mutato contesto normativo, la domiciliazione ex lege presso la cancelleria dell'autorità giudiziaria, innanzi alla quale è in corso il giudizio, ai sensi dell'art. 82, R.D. n. 37/1934, consegue soltanto ove il difensore, non adempiendo all'obbligo prescritto dall'art. 125 c.p.c. per gli atti di parte e dall'art. 366 c.p.c. specificamente per il giudizio di cassazione, non abbia indicato l'indirizzo di posta elettronica certificata comunicato al proprio ordine».

Il ragionamento seguito dalla Corte prende le mosse dalla finalità sottesa all'onere di domiciliazione di cui all'art. 82, R.D. n. 37/1934 (identificata nell'agevolare e velocizzare le comunicazioni e notificazioni degli atti processuali), per poi soffermarsi sul nuovo contesto rappresentato dal progresso tecnologico e dalle conseguenti modifiche intervenute anche sul corpo del codice di procedura civile, sino a ritenere che, a decorrere dal 1° febbraio 2012 (epoca di entrata in vigore delle sopra riportate modifiche degli artt. 125 e 366 c.p.c.), si venga a determinare un'irragionevolezza intrinseca (poiché l'introduzione di una modalità di notificazione estremamente agevole, quale quella a mezzo PEC, viene a soddisfare ex se l'esigenza di semplificazione e rapidità sottesa alla ratio dell'art. 82, non giustificandosi più, in tal caso, la domiciliazione ex lege in cancelleria), nonché un'ingiustificata differenziazione (perché nel giudizio di cassazione l'indicazione in ricorso dell'indirizzo PEC già vale ad escludere la domiciliazione ex lege in cancelleria, mentre ciò non varrebbe nel giudizio di merito, per il quale l'art. 125 c.p.c. prevede solo l'obbligo di indicare l'indirizzo PEC).

In tale contesto normativo, significativamente mutato anche in virtù della giurisprudenza costituzionale (la sentenza della Corte cost. n. 365/2010, ha introdotto, con pronuncia additiva, modalità alternative all'elezione di domicilio in caso di opposizione ad ordinanza ingiunzione), la Corte di legittimità ha affermato che «sarebbe di assai dubbia ragionevolezza (art. 3, comma 1, Cost.) e compatibilità con la garanzia della tutela giurisdizionale (art. 24 Cost.) far derivare dalla mancata elezione di domicilio di cui all'art. 82 l'effetto della domiciliazione ex lege presso la cancelleria dell'autorità giudiziaria innanzi alla quale è in corso il giudizio anche nei caso in cui il difensore abbia indicato l'indirizzo di posta elettronica certificata comunicato al proprio ordine; ciò che parimenti soddisfa l'esigenza sottesa all'art. 82 di semplificazione del procedimento di notificazione e comunicazione degli atti». Pertanto, in base ad un'interpretazione adeguatrice, è stato affermato che, in simmetria con l'art. 366 c.p.c. e coerentemente alla nuova formulazione dell'art. 125 c.p.c., anche ai sensi dell'art. 82 cit. all'onere dell'elezione di domicilio si affianca - a partire dal 1° febbraio 2012 - la possibilità di indicazione dell'indirizzo PEC (strumento più spedito e di maggiore garanzia per il destinatario rispetto alla notifica in cancelleria), con la conseguente preclusione della notifica in cancelleria in caso di indicazione del “domicilio digitale”.

L'innovativa strada aperta dalle Sezioni Unite, che ha saputo cogliere, in base al mutato contesto normativo, le potenzialità offerte dall'impiego degli strumenti telematici nel processo, attraverso il pieno riconoscimento delle garanzie (certezza, celerità, economicità) che la PEC è in grado di offrire, è stata seguita e confermata da diverse pronunce (da ultimo, in senso conforme, Cass. civ., sez. II, 28 novembre 2017, n. 28374), che hanno contribuito alla elaborazione della nuova figura del “domicilio digitale”.

L'espressa previsione del “domicilio digitale” nella normativa speciale sul processo telematico

L'elaborazione giurisprudenziale e la speditezza delle comunicazioni e notificazioni telematiche hanno indotto il legislatore a prevedere espressamente la figura del domicilio digitale con specifiche applicazioni al “mondo giustizia”.

Infatti, con il d.l. 18 ottobre 2012, n. 179, convertito in l. 17 dicembre 2012, n. 221, e le successive modificazioni, è stato profondamente innovato il sistema delle comunicazioni di cancelleria, generalizzando l'obbligo della modalità telematica, da eseguire all'indirizzo PEC risultante da pubblici elenchi o comunque accessibili alle pubbliche amministrazioni (art. 16, comma 4, d.l. 18 ottobre 2012, n. 179), e sancendo espressamente la “sanzione” del deposito in cancelleria nell'ipotesi di mancato assolvimento all'obbligo di munirsi di un indirizzo PEC (per i soggetti per i quali è prescritto) nonché nei casi di mancata consegna del messaggio di PEC per cause imputabili al destinatario (art. 16, comma 6, d.l. 18 ottobre 2012, n. 179). È stata, inoltre, introdotta la facoltà per la parte che sta in giudizio personalmente di indicare un indirizzo PEC al quale vuole ricevere le comunicazioni e notificazioni relative al procedimento (art. 16, comma 7, d.l. 18 ottobre 2012, n. 179) nonché l'obbligo per le pubbliche amministrazioni di comunicare al Ministero della giustizia l'indirizzo PEC a cui ricevere le comunicazioni e notificazioni (art. 16, comma 12, d.l. 18 ottobre 2012, n. 179). Particolari disposizioni sono state previste per le procedure concorsuali (art. 17 d.l. 18 ottobre 2012, n. 179).

È stata, quindi, razionalizzata la materia, con l'espressa indicazione dei pubblici elenchi degli indirizzi PEC rilevanti ai fini delle comunicazioni e notificazioni in ambito giudiziario (art. 16-ter d.l. 18 ottobre 2012, n. 179 e successive modificazioni). Si rinvia per approfondimenti alla “Bussola” Comunicazioni di cancelleria telematiche.

Inoltre, con l'art. 52, comma 1, lett. b), d.l. 24 giugno 2014, n. 90, convertito, con modificazioni, nella l. 11 agosto 2014, n. 114, è stato introdotto l'art. 16-sexies d.l. n. 179/2012, espressamente rubricato «Domicilio digitale», in virtù del quale «Quando la legge prevede che le notificazioni degli atti in materia civile al difensore siano eseguite, ad istanza di parte, presso la cancelleria dell'ufficio giudiziario, alla notificazione con le predette modalità può procedersi esclusivamente quando non sia possibile, per causa imputabile al destinatario, la notificazione presso l'indirizzo di posta elettronica certificata, risultante dagli elenchi di cui all'art. 6-bis del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, nonché dal registro generale degli indirizzi elettronici, gestito dal ministero della giustizia», con pieno recepimento dell'innovativa interpretazione adottata dalle Sezioni Unite nella fondamentale sentenza n. 10143/2012 e ‘assorbimento', per effetto della modifica disposta dall'art. 20, comma 1, d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, della disciplina speciale già prevista dal secondo comma dell'art. 366 c.p.c. per il giudizio in cassazione.

Infine, la disponibilità – imposta o elettiva – di un domicilio digitale ha consentito l'ulteriore evoluzione attuata con la cd. riforma Cartabia, nel senso che la disciplina in tema di notificazioni ad istanza di parte è stata profondamente innovata (e, per certi versi, ‘rivoluzionata') con la previsione dell'obbligo per gli avvocati – ai sensi degli artt. 137 c.p.c. e 3-ter della l. 21 gennaio 1994, n. 53, introdotto dall'art. 12, comma 1, lett. b), d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149 – di procedere alla notificazione telematica nei confronti dei soggetti per i quali la legge prevede l'obbligo di munirsi di un domicilio digitale risultante dai pubblici elenchi ovvero che abbiano eletto domicilio digitale ai sensi dell'art. 3-bis, comma 1-bis, C.A.D., e correlato divieto per gli ufficiali giudiziari di provvedere se non in caso di impossibilità o esito negativo della notificazione telematica, come da apposita dichiarazione del difensore, di cui dare atto nella relata di notificazione (si rinvia per approfondimenti alla Bussola sulle notificazioni telematiche).

In questo modo, si è proceduto ad un ulteriore, qualificante, passaggio nella linea evolutiva dell'applicazione del domicilio digitale nel processo civile, da mero strumento di semplificazione delle comunicazioni, che, per le sue caratteristiche precludeva la notificazione “in cancelleria”, all'obbligatorietà del suo utilizzo – almeno in via prioritaria e per i soggetti tenuti ad istituirlo e manutenerlo – e della correlata necessità di adottare esclusivamente (salvi i casi di impossibilità o malfunzionamenti) mezzi di comunicazione telematici, sia a cura della cancelleria che su impulso dei difensori.

Il domicilio digitale nella normativa primaria generale

In via generale, al fine di semplificare i rapporti fra i cittadini e la pubblica amministrazione, già con l'art. 4, comma 1, del citato d.l. 18 ottobre 2012, n. 179, era stato introdotto l'art. 3-bis d.lgs. 7 marzo 2005, n. 82, rubricato «domicilio digitale del cittadino», che prevedeva per l'appunto la facoltà per ogni cittadino di indicare alla pubblica amministrazione un proprio indirizzo PEC quale domicilio digitale personale, con la conseguenza di obbligare - a decorrere dal 1° gennaio 2013 e salvo i casi previsti dalla legge - sia le pubbliche amministrazioni sia i gestori o esercenti di pubblici servizi a comunicare con il cittadino esclusivamente tramite il domicilio digitale così dichiarato, escludendo che potessero prodursi effetti pregiudizievoli a carico del destinatario nell'ipotesi di ogni altra forma di comunicazione alternativa alla PEC.

Tale disposizione, tuttavia, è stata significativamente modificata dapprima con il d.lgs. 26 agosto 2016, n. 179, a decorrere dal 14 settembre 2016, e poi con il d.lgs. 13 dicembre 2017, n. 217, a decorrere dal 27 gennaio 2018, essenzialmente per adeguare il C.A.D. al Regolamento UE n. 910/2014eIDAS - electronic IDentification Authentication and Signature. Ulteriori modifiche sono state poi apportate dal d.l. 16 luglio 2020, n. 76, conv. con modif. dalla l. 11 settembre 2020, n. 120, e dal d.l. 31 maggio 2021, n. 77, conv. con modif. dalla l. 29 luglio 2021, n. 108.

Ai limitati fini della presente trattazione, può sinteticamente osservarsi che nella rubrica è stato eliminato il riferimento al “cittadino” ed aggiunto il nuovo concetto di “identità digitale” (la nuova rubrica, per l'appunto, recita “identità digitale e domicilio digitale”), ma, soprattutto, la nozione di “domicilio digitale” è stata “sganciata” dalla necessaria associazione ad un indirizzo PEC (con il quale, in buona sostanza, si identificava) per l'esigenza di allineare la normativa interna a quella internazionale, che non “conosce” la PEC bensì il servizio elettronico di recapito certificato (art. 3, n. 36, regolamento eIDAS) ovvero il servizio elettronico di recapito certificato qualificato (art. 3, n. 37, regolamento eIDAS, che rinvia all'art. 44 del medesimo regolamento).

Infatti, l'art. 1, comma 1-ter, C.A.D., aggiunto dal d.lgs. 26 agosto 2016, n. 179 e successivamente modificato dal d.lgs. 13 dicembre 2017, n. 217, prevede espressamente che «Ove la legge consente l'utilizzo della posta elettronica certificata è ammesso anche l'utilizzo di altro servizio elettronico di recapito certificato qualificato ai sensi degli articoli 3, numero 37), e 44 del Regolamento eIDAS». Pertanto, la disposizione sul domicilio digitale è stata ridisegnata eliminando l'espresso riferimento alla PEC e prevedendo, da un lato (art. 3-bis, comma 1), l'obbligo di eleggere domicilio digitale a carico di determinati soggetti tramite l'iscrizione negli elenchi di cui agli artt. 6-bis (Indice nazionale dei domicili digitali delle imprese e dei professionisti) o 6-ter (Indice dei domicili digitali delle pubbliche amministrazioni e dei gestori di pubblici servizi) del C.A.D., dall'altro (art. 3-bis, comma 1-bis), la facoltà per “chiunque” di eleggere il proprio domicilio digitale da iscrivere nell'elenco di cui all'art. 6-quater C.A.D. (Indice nazionale dei domicili digitali delle persone fisiche, dei professionisti e degli altri enti di diritto privato, non tenuti all'iscrizione in albi, elenchi o registri professionali o nel registro delle imprese), di nuova istituzione.

Di più, si rimette alla previsione di un apposito decreto (d.P.C.M. o del Ministro per la semplificazione) l'individuazione della data a decorrere dalla quale le comunicazioni con i soggetti “pubblici” di cui all'art. 2, comma 2, C.A.D., avverranno esclusivamente in forma elettronica, mettendo a disposizione un domicilio digitale anche per coloro che non abbiano effettuato l'elezione di domicilio (art. 3-bis, comma 3-bis, C.A.D.). È quindi prescritto l'uso “diligente” del proprio domicilio digitale (art. 3-bis, comma 1-quater, C.A.D.), con onere di comunicare ogni modifica o variazione del medesimo.

Per le modalità attraverso cui i soggetti possono procedere all'elezione e variazione dei domicili digitali il comma 1-ter rinvia alle linee guida di cui all'art. 71 C.A.D.

Casistica 

Immediata applicabilità del domicilio digitale ex art. 16-sexies d.l. n. 179/2012

In materia di notificazioni al difensore, la regola del c.d. “domicilio digitale”, prevista dall'art. 16-sexies, d.l. 18 ottobre 2012, n. 179, conv., con modif., dalla l. 17 dicembre 2012, n. 221, come modificato dal d.l. 24 giugno 2014, n. 90 (conv., con modif., dalla l. 11 agosto 2014, n. 114), che impone di eseguire le notificazioni e le comunicazioni esclusivamente all'indirizzo PEC che ciascun avvocato ha indicato al Consiglio dell'Ordine di appartenenza, ha immediata efficacia nei giudizi in corso per gli atti compiuti successivamente alla vigenza del d.l. 24 giugno 2014, n. 90, in applicazione del generale principio del tempus regit actum (Cass., sez. VI-3, 14 dicembre 2017, n. 30139).

Nullità notifica eseguita in cancelleria se indirizzo PEC del difensore risultante da pubblici elenchi

In materia di notificazioni al difensore, a seguito dell'introduzione del “domicilio digitale”, corrispondente all'indirizzo PEC che ciascun avvocato ha indicato al Consiglio dell'ordine di appartenenza, previsto dall'art. 16-sexies, d.l. n.18 ottobre 2012, n. 179, conv., con modif., dalla l. 17 dicembre 2012, n. 221, come modificato dal d.l. 24 giugno 2014, n. 90 (conv., con modif., dalla l. 11 agosto 2014, n. 114), non è più possibile procedere - ai sensi dell'art. 82 R.D. 22 gennaio 1934, n. 37 - alle comunicazioni o alle notificazioni presso la cancelleria dell'ufficio giudiziario innanzi al quale pende la lite, anche se il destinatario ha omesso di eleggere il domicilio nel comune in cui ha sede quest'ultimo, a meno che, oltre a tale omissione, non ricorra altresì la circostanza che l'indirizzo di posta elettronica certificata non sia accessibile per cause imputabili al destinatario.

(Cass. civ., sez. III, 11 luglio 2017, n. 17048; conformi, Cass. civ., sez. VI-III, 14 dicembre 2017, n. 30139, Cass. civ., sez. II, 9 settembre 2018, n. 20698; Cass. civ., sez. II, 28 dicembre 2018, n. 33547).

Modalità delle comunicazioni e notificazioni di cancelleria

La notificazione al difensore del decreto di fissazione dell'adunanza in camera di consiglio e della proposta del relatore, exart. 380-bis c.p.c., ove eseguita successivamente al 15 febbraio 2016 (data di entrata in vigore del d.m. Giustizia del 19 gennaio 2016), va necessariamente compiuta per via telematica, ex art. 16, comma 4, d.l. 18 ottobre 2012, n. 179/2012, conv., con modif., dalla l. n. 221/2012, salva la possibilità di procedere secondo quanto previsto dai successivi commi 6 ed 8 del medesimo art. 16 - e, cioè, mediante deposito presso la cancelleria ovvero ai sensi degli artt. 136, comma 3, e 137 ss. c.p.c. - per il caso di impossibilità, imputabile o meno al destinatario, di ricorrere alla posta elettronica certificata. (Cass. civ., sez. VI, 13 marzo 2017, n. 6369).

Inidoneità della notifica della sentenza eseguita presso un indirizzo PEC non censito in pubblici elenchi a far decorrere il termine breve per impugnare

La notificazione con modalità telematica, ai sensi degli artt. 3-bis e 11 della l. 21 gennaio 1994, n. 53, deve essere eseguita a pena di nullità presso l'indirizzo PEC risultante dai pubblici elenchi di cui all'art. 16-ter d.l. n. 179/2012, conv. con modif. in l. n. 221/2012, quale domicilio digitale qualificato ai fini processuali ed idoneo a garantire l'organizzazione preordinata all'effettiva difesa; ne consegue che non è idonea a determinare la decorrenza del termine breve di cui all'art. 326 c.p.c. la notificazione della sentenza effettuata ad un indirizzo di PEC diverso da quello inserito nel Reginde e comunque non risultante dai pubblici elenchi, ancorché indicato dal difensore nell'atto processuale.

(Cass. civ., sez. VI, 25 maggio 2018, n. 13224; conformi, Cass. civ., sez. VI, 17 ottobre 2018, n. 25948, e Cass. civ., sez. lav., 4 gennaio 2019, n. 83, rispettivamente in tema di notificazione del decreto di fissazione di udienza e di proposizione del reclamo nell'ambito del cd. rito Fornero).

Validità della notifica eseguita all'indirizzo PEC del difensore in luogo che al domiciliatario

In tema di procedimento ex art. 380-bis c.p.c., la notificazione del decreto di fissazione dell'udienza camerale e della proposta del relatore è validamente effettuata all'indirizzo PEC del difensore di fiducia, quale risultante dal Reginde, indipendentemente dalla sua indicazione in atti, ai sensi dell'art. 16-sexies, d.l. 18 ottobre 2012, n. 179, conv., con modif., dalla l. 17 dicembre 2012, n. 221, non potendosi configurare un diritto a ricevere le notificazioni esclusivamente presso il domiciliatario indicato.

(Cass. civ., sez. VI, 24 maggio 2018, n. 12876). Nel senso che non può attribuirsi rilievo all'indicazione di una PEC diversa da quella riferibile al legale in base agli appositi registri e riconducibile ad altro professionista, senza una chiara assunzione di responsabilità qual è quella sottesa alla dichiarazione di domiciliazione, Cass. civ., sez. III, 23 febbraio 2021, n. 4920, Cass. civ., sez. I, 7 giugno 2021, n. 15783, Cass. civ., sez. III, 19 ottobre 2022, n. 30720.

Inesistenza della notifica eseguita al domiciliatario “solo” fisico

La notifica telematica di un provvedimento impugnabile non può essere effettuata presso il procuratore domiciliatario in senso fisico, in mancanza di elezione dell'indirizzo PEC dello stesso come domicilio digitale della parte, risultando una tale notifica inesistente ed insuscettibile di sanatoria per raggiungimento dello scopo ex art. 156 c.p.c. con conseguente inapplicabilità del termine breve per l'impugnazione.

(Cass. civ., sez. I, 22 agosto 2018, n. 20946).

Inidoneità a determinare la decorrenza del termine breve per l'impugnazione la notifica della sentenza effettuata al domiciliatario “fisico” invece che presso l'indirizzo PEC indicato nell'atto di citazione in appello

In presenza di un indirizzo PEC ufficiale indicato dal difensore, non esplicitamente circoscritto alle sole comunicazioni, la circostanza che il difensore abbia eventualmente eletto domicilio ai sensi dell'art. 82 del r.d. n. 37 del 1934 «non può elidere il principio, di valenza costituzionale inerente il diritto di difesa, del rispetto della scelta legittimamente effettuata dalla parte», in tal modo configurando un obbligo del notificante di utilizzare in via esclusiva la notificazione telematica.

Cass. civ., sez. VI, 1° giugno 2020, n. 10355; in continuità, Cass. civ., sez. VI, 24 marzo 2021, n. 826251.

Alternatività fra domicilio digitale e domiciliazione “tradizionale”, ai sensi dell'art. 82 del r.d. n. 37 del 1934 (presso la cancelleria dell'ufficio giudiziario innanzi al quale pende la lite)

Ai fini della decorrenza del termine breve per proporre ricorso per cassazione, anche dopo l'introduzione del “domicilio digitale” (art. 16-sexies del d.l. 18 ottobre 2012, n. 179, conv. con modif. in l. n. 221 del 2012, come modificato dal d.l. n. 90 del 2014, conv., con modif., in l. 11 agosto 2014), resta valida la notificazione effettuata – ai sensi dell'art. 82 del r.d. n. 37 del 1934 - presso la cancelleria dell'ufficio giudiziario innanzi al quale pende la lite, ove il destinatario abbia scelto, eventualmente in associazione a quello digitale, di eleggervi il domicilio. 

Cass. civ., sez. III, 29 gennaio 2020, n. 1982; in continuità Cass. civ., sez. lav., 11 febbraio 2021, n. 3557, e Cass. civ., sez. III, 14 dicembre 2021, n. 39970.

Validità dell'indirizzo PEC del destinatario risultante dall'albo professionale corrispondente a quello inserito nei pubblici elenchi

In materia di notificazioni al difensore, in seguito all'introduzione del “domicilio digitale”, previsto dall'art. 16-sexies, d.l. 18 ottobre 2012, n. 179, conv., con modif., dalla l. 17 dicembre 2012, n. 221, come modificato dal d.l. n. 90/2014 (conv., con modif., dalla l. n. 114/2014), è valida la notificazione al difensore eseguita presso l'indirizzo PEC risultante dall'albo professionale di appartenenza, in quanto corrispondente a quello inserito nel pubblico elenco di cui all'art. 6-bis del d.lgs. n. 82 del 2005, atteso che il difensore è obbligato, ai sensi di quest'ultima disposizione, a darne comunicazione al proprio ordine e quest'ultimo è obbligato ad inserirlo sia nei registri INI PEC, sia nel ReGindE, di cui al d.m. 21 febbraio 2011 n. 44, gestito dal Ministero della Giustizia.

(Cass. civ., sez. un., 28 settembre 2018, n. 23620). Nel senso che non occorre l'indicazione dell'indirizzo PEC e che, comunque, non potrebbe essere indicato uno diverso da quello comunicato al proprio ordine, Cass. Sez. L, 12 novembre 2021, n. 33806.  

Validità della notificazione eseguita presso anche un solo avvocato del collegio difensivo, irrilevanti eventuali diverse indicazioni inserite nell'atto

E' rituale la notificazione della sentenza, ai fini del decorso del termine breve per l'impugnazione, effettuata all'indirizzo PEC di uno dei codifensori, ancorché in atti fosse stato espressamente richiesto che le comunicazioni di cancelleria venissero eseguite agli indirizzi PEC degli altri due difensori nominati, in quanto validamente effettuata all'indirizzo PEC di uno dei tre difensori di fiducia, quale risultante dal ReGIndE, indipendentemente dalla sua indicazione in atti, ai sensi dell'art. 16-sexies del d.l. 18 ottobre 2012, n. 179, conv., con modif., nella l. 17 dicembre 2012, n. 221, non potendosi configurare un diritto a ricevere le notificazioni esclusivamente presso il domiciliatario indicato e non potendo, quindi, avere portata idonea ad escludere tale notificazione la limitazione della parte dell'indicazione del detto indirizzo per le sole comunicazioni (richiamandosi espressamente, quanto all'ultimo profilo, Cass. civ., sez. II, n. 3685 del 2021).

(Cass. civ., sez. lav., 12 novembre 2021, n. 33806).

Saturazione capienza casella PEC quale evento imputabile al destinatario

Il mancato buon esito della comunicazione telematica di un provvedimento giurisdizionale dovuto alla saturazione della capienza della casella PEC del destinatario è evento imputabile a quest'ultimo; di conseguenza, è legittima l'effettuazione della comunicazione mediante deposito dell'atto in cancelleria, ai sensi dell'art. 16, comma 6, del d.l. 18 maggio 2012, n. 179, conv. in l. 17 dicembre 2012, n. 221, come modificato dall'art. 47 del d.l. 24 giugno 2014, n. 90, conv. in l. 11 agosto 2014, n. 114, senza che, nell'ipotesi in cui il destinatario della comunicazione sia costituito nel giudizio con due procuratori, la cancelleria abbia l'onere, una volta non andato a buon fine il primo tentativo di comunicazione, di tentare l'invio del provvedimento all'altro procuratore.

(Cass. civ., sez. lav., 20 maggio 2019, n. 13532).

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