Amministrazione di sostegno e donazione: il punto della situazione in attesa della Consulta

25 Settembre 2018

La sentenza della Cassazione 21 maggio 2018, n. 12460 ritorna, a distanza di pochi mesi dalla questione di legittimità costituzionale sollevata dal Giudice Tutelare di Vercelli (per asserito conflitto tra l'art. 774, comma 1, c.c. e gli artt. 2 e 3 Cost.), sulla delicata coesistenza tra i due principi informatori dell'amministrazione di sostegno: la protezione (patrimoniale) del soggetto debole e il rispetto complessivo delle di lui aspirazioni (ideali). Emblema dell'immanente criticità è la controversa possibilità di effettuare donazioni da parte del beneficiario dell'amministrazione di sostegno, con le conseguenti problematiche per il Giudice tutelare nel conformare lo statuto giuridico del beneficiario.
Il quadro normativo

Il dubbio circa la possibilità per il beneficiario di amministrazione di sostegno di effettuare donazioni si è posto sin dall'entrata in vigore della legge 9 gennaio 2004, n. 6, in quanto i riformati artt. 404-413 c.c. hanno omesso di trattare esplicitamente e organicamente della questione (l'inopportunità di un simile vuoto normativo è evidenziata da E. Calice, Commento agli artt. 404 ss. cod. civ., sub art. 405, in Cod. civ. ipertest. (a cura) di G. Bonilini, M. Confortini, C. Granelli, Torino, 2009, 797).

Non possono, infatti, fornire apporto decisivo per dirimere tale dubbio né il secondo né il terzo comma dell'art. 411 c.c. i quali rispettivamente prevedono:

a) l'estensione all'amministratore di sostegno del disposto di cui all'art. 779 c.c. (che - a sua volta - sancisce la nullità della donazione fatta a favore di chi è stato tutore o protutore prima dell'approvazione del conto o dell'estinzione dell'azione per il relativo rendiconto);

b) la validità delle convenzioni in favore dell'amministratore di sostegno che sia parente entro il quarto grado, coniuge o persona stabilmente convivente rispetto al beneficiario (sulla portata del termine “convenzioni”, tuttavia, esistono differenti opinioni: l'ordinanza del Giudice tutelare di Vercelli di rimessione alla Consulta, meglio analizzata infra, afferma come «Il comma 3 della norma, accostando la fattispecie a quella, analoga, delle disposizioni testamentarie, volutamente evita di menzionare la donazione, e parla genericamente di “convenzioni”, con ciò avvalorando l'idea che il Legislatore abbia inteso escludere l'ipotesi del beneficiario donante»; idem, P. Matera, G. Salito, Amministrazione di sostegno: il ruolo del notaio, in Notariato, 2004, 662; contra, B. Malavasi, L'amministrazione di sostegno: le linee di fondo, in Notariato, 2004, 3, 326; G. Bonilini, La capacità di testare e di donare del beneficiario dell'amministrazione di sostegno, in Famiglia, Persone e Successioni, 2005, 1, 12).

Posto, infatti, che i citati commi costituiscono un punto di equilibrio tra i casi in cui l'amministratore può (vedasi il comma 3) ovvero non può (vedasi il comma 2) rendersi donatario rispetto all'amministrato, resta fatalmente incerta l'enunciazione di un principio generale di riconoscimento della capacità donativa in capo all'amministrato ove non ci si trovi esattamente nelle situazioni regolate, in senso permissivo o proibitivo, dal legislatore.

Occorre dire che alla lacuna legis ben potrebbe porre rimedio il Giudice tutelare attraverso una duplice via: da un lato, avvalendosi della facoltà concessagli dall'art. 411, u.c., c.c. di disporre per l'amministrato l'estensione di determinati effetti e/o limitazioni e/o decadenze previste dalla legge per l'interdetto, fra i quali sarebbe lato sensu sussumibile l'incapacità di donare per «coloro che non hanno la piena capacità di disporre dei propri beni» ex art. 774 c.c. (così su tutti G. Bonilini, La capacità di donare del beneficiario dell'amministrazione di sostegno. Le donazioni, in Trattato di diritto delle successioni e delle donazioni (a cura) di G. Bonilini, Milano, 2009, VI, 315); dall'altro, stabilendo nel provvedimento di nomina che all'amministrato sia inibito genericamente il compimento degli atti di alienazione, nel cui perimetro non potrebbe che essere inclusa anche la donazione (per un provvedimento di siffatta ampia portata si veda Trib. Roma 22 marzo 2004, in Notariato, 2004, 3, 249 con nota di E. Calò).

Tuttavia, ben può accadere che nulla sia previsto nel decreto di nomina di modo che spetterà all'interprete trovare le necessarie chiavi interpretative per affrontare la questione.

Il dibattito in dottrina

Una corrente di pensiero (F. Loffredo, Atti tra vivi. Legge notarile. Casistica, Milano, 2005, 258; P. Matera, G. Salito, op. cit., 666; S. Monosi, N. Taccone, Studio CNN n. 623-2016/C, L'amministrazione di sostegno; E. Calò, Amministrazione di sostegno. Legge 9 gennaio 2004, n. 6, Milano, 2004, 129; A. Jannuzzi, P. Lorefice, Manuale della volontaria giurisdizione, Milano, 2004, 322; G. Marcoz, Rapporti contrattuali e successori tra amministratore di sostegno e beneficiario, in Riv. Not., 2006, 1496; T. Romoli, Le invalidità nell'amministrazione di sostegno, in L'amministrazione di sostegno (a cura) di S. Patti, Milano, 2005, 134) reputa il beneficiario dell'amministrazione di sostegno un soggetto ontologicamente privo della capacità di donare. Tale convincimento si fonda innanzitutto sulla base dell'ampia portata letterale del già citato art. 774 c.c. il quale, vietando la possibilità di donare «a coloro che non hanno la piena capacità di disporre dei propri beni», inesorabilmente non potrebbe che riguardare anche il beneficiario dell'amministrazione di sostegno. Ma oltre alla questione lessicale, dirimente sarebbe la duplice ratio sottesa al divieto di cui al cit. art. 774 c.c. individuabile sia nell'esigenza di impedire il depauperamento patrimoniale di un soggetto in re ipsa debole sia nella strutturale incompatibilità tra personalità e spontaneità del negozio donativo e il suo ipotetico perfezionamento per il tramite di un rappresentante legale: entrambe le citate esigenze, infatti, sarebbero pienamente rinvenibili anche in capo al beneficiario di amministrazione di sostegno (sull'impossibilità di sostituzione del donante-amministrato da parte dell'amministratore di sostegno stante il divieto di cui all'art. 777 c.c., si veda la pronuncia del Trib. Mantova, 7 maggio 2009).

Altra corrente(G. Bonilini, La capacità di testare e di donare del beneficiario dell'amministrazione di sostegno, op. cit., 15; M. N. Bugetti, Della famiglia. Norme applicabili all'amministratore di sostegno, in Commentario al Codice Civile diretto da E. Gabrielli e (a cura) di L. Balestra, Torino, 2009, 329; G. Campese, L'istituzione dell'amministrazione di sostegno e le modifiche in materia di interdizione e inabilitazione, in Famiglia e dir., 2004, 2, 126, 129; A. A. Carrabba, Donazioni, in Trattato di diritto civile del Consiglio Nazionale del Notariato diretto da P. Perlingieri, Napoli, 2010, 144; G. Lisella, Questioni tendenzialmente definite e questioni ancora aperte in tema di amministrazione di sostegno, in Nuova Giur. Civ. Comm., 2013, 5, 2, 292; S. Delle Monache, Prime note sulla figura dell'amministrazione di sostegno: profili di diritto sostanziale, in Nuova Giur. Civ. Comm., 2004, 1, 2, 55; A. Torrente,A. Torrente, La donazione, in Trattato di diritto civile e commerciale già diretto da A. Cicu, F. Messineo, L. Mengoni, continuato da P. Schelisinger (a cura) di U. Carnevali e A. Mora, Milano, 2006, 411), all'opposto, respinge ogni aprioristico coinvolgimento del cit. art. 774 c.c., in quanto dall'art. 409 c.c. emergerebbe chiaramente la suddivisione tra due macrocategorie (tra loro impermeabili) di atti: quelli per i quali (eccezionalmente) l'amministrato ha perduto la capacità d'agire e quelli per i quali (per principio generale) l'ha conservata. Ad ulteriore corredo sistemico si è, altresì, notato quanto segue:

a) a fronte di un'indiscussa capacità di testare in capo all'amministrato, risulterebbe distonico un differente trattamento in sede donativa;

b) sarebbe singolare consentire all'amministrato di effettuare donazioni a favore dei soggetti indicati dall'art. 411, comma 3, c.c. per poi impedirglielo nei confronti di diverse persone, venendo a determinare una sorta di capacità donativa ad intermittenza;

c) è innegabile una linea evolutiva tale per cui la compressione delle prerogative dell'amministrato di sostegno debba essere il più possibile circoscritta e ponderata (sul punto: Cass. 12 giugno 2006, n. 13584, in Famiglia e Diritto, 2007, 1, 31, con nota di M. Sesta; Cass. 29 novembre 2006, n. 25366, in Famiglia e Diritto, 2007, 2, 121, con nota di A. Chizzini; contra, minoritaria, Cass. 25 ottobre 2012, n. 18320 in base alla quale «può il giudice tutelare conferire all'amministratore di sostegno l'incarico a tempo indeterminato con il potere di assistere il beneficiario in tutti gli atti di ordinaria amministrazione e, previa specifica autorizzazione del giudice tutelare, di straordinaria autorizzazione, annullando con ciò la capacità di agire del beneficiario»). Ove, quindi, il beneficiario sia nel caso concreto in grado di formare in modo lucido ed equilibrato il proprio convincimento in ordine all'animus donandi pare immotivato - e finanche lesivo del principio costituzionale di uguaglianza sostanziale - inibirgli l'accesso allo strumento donativo. Giova, infine, precisare che una volta ammessa la possibilità di donare per l'amministrato, questi potrà procedervi senza che occorra - trattandosi di atto strettamente personale - né qualsivoglia intervento dell'amministratore di sostegno né autorizzazione giudiziale di sorta.

La giurisprudenza di merito

Sino alla presa di posizione della Cassazione con l'ordinanza Cass. n. 12460/2018, unica effettiva pronuncia sul punto era quella espressa da Trib. La Spezia 2 ottobre 2010 (in Nuova Giur. Civ. Commentata, 2011, 2, 1, 77, con nota di G. Donadio) che ha proposto una ricostruzione in chiave (eccessivamente) protezionistica dell'amministrato statuendo da un lato come l'atto di donazione non sia di per sé a questi precluso, ma dall'altro imponendone sia la preventiva autorizzazione giudiziale sia il suo perfezionamento per il tramite dell'amministratore di sostegno. Tale soluzione - peraltro - non è scevra da criticità, dato che se può condividersene il punto di partenza dato dall'insussistenza nel nostro sistema di un principio generale di incapacità di donare in capo all'amministrato, meno plausibili sono gli ulteriori corollari cui giunge il Giudice spezzino. Infatti: in primo luogo, pare difficilmente armonizzabile con l'assunto di partenza l'imposizione di un placet giudiziale (ancorché motivato dal nobile fine di vagliare l'assenza di pregiudizio patrimoniale per l'amministrato); in secondo luogo, non può che lasciare perplessi l'attribuzione della legittimazione a compiere un atto personalissimo in capo all'amministratore (ancorché motivata sia dall'esigenza materiale che la volontà dell'amministrato possa trovare debita esternazione sia dalla non eccezionalità in subiecta materia dell'intervento lato sostitutivo dell'amministratore con chiaro riferimento alla nota tematica dei trattamenti sanitari).

La questione di legittimità costituzionale

Nel quadro interpretativo sopra esposto, si inserisce - quasi inaspettatamente vista la rara produzione giurisprudenziale sul punto - il Giudice Tutelare di Vercelli che, chiamato a pronunciarsi sul ricorso depositato da un amministratore di sostegno finalizzato ad ottenere l'autorizzazione del Giudice a porre in essere in favore della figlia dell'amministrata «una donazione di modico valore, tramite la corresponsione della somma di euro 10.000,00», con ordinanza in data 19 febbraio 2018 reputava «rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 774, comma 1, c.c., nella parte in cui non prevede che siano consentite, con le forme abilitative richieste, le donazioni da parte del beneficiario di amministrazione di sostegno, in riferimento agli artt. 2 e 3 (comma 1 e comma 2), Cost.» (per un primo commento a detta ordinanza, si veda A. Ambanelli, Qual è la capacità di donare del beneficiario dell'amministrazione di sostegno?, in www.quotidianogiuridico.it del 19 marzo 2018). In questa sede si possono esaminare solo brevemente i passaggi argomentativi che hanno indotto l'organo giudicante a rimettere gli atti alla Consulta e così riassuntivamente:

1) all'apertura di qualsiasi amministrazione di sostegno consegue necessariamente una deminutio della capacità di agire del beneficiario;

2) da detta deminutio ne deriva, a sua volta, l'imprescindibile vaglio dell'autorità giudiziaria relativamente agli atti dispositivi;

3) stante quanto detto sopra è innegabile che il beneficiario dell'amministrazione di sostegno non abbia piena capacità di disporre dei propri beni e, dunque, di porre in essere donazioni;

4) l'art. 774, comma 1, c.c. sarebbe passibile di violazione degli artt. 2 e 3 Cost., in quanto discriminerebbe i beneficiari di amministrazione di sostegno - ai quali per quanto detto sopra sarebbe in re ipsa precluso il negozio donativo - rispetto a interdetti e inabilitati ai quali, invece, l'art. 777 c.c. consente - seppur in casistiche residuali - di effettuare donazioni.

La sentenza della Cassazione n. 12460/2018

In questo panorama giuridico è intervenuta la Suprema Corte con la sentenza Cass. 21 maggio 2018, n. 12460 che, seppur incidentalmente, ha affrontato (per quanto consta per la prima volta) il problema della capacità dell'amministrato di donare e vi ha provveduto sgombrando il campo da tutte le articolate argomentazioni svolte dal Giudice tutelare di Vercelli.

Il caso riguardava un decreto del 4 novembre 2014 con cui il Giudice tutelare del Tribunale di Ravenna, avvalendosi della facoltà sancita dall'art. 411, u.c., c.c. di disporre per l'amministrato l'estensione di determinati effetti e/o limitazioni e/o decadenze previste dalla legge per l'interdetto, aveva precluso al beneficiario - tra l'altro - di effettuare donazioni; successivamente, la Corte d'appello di Bologna con decreto del 30 marzo 2015 rigettava il reclamo dell'amministrato che, dunque, ricorreva in Cassazione proponendo quale unico motivo d'impugnazione la violazione e/o la falsa applicazione degli artt. 407 e 411 c.c..

In particolare, a detta del ricorrente non sarebbero state estensibili all'amministrazione di sostegno quelle norme che seppur previste in tema di interdizione e inabilitazione sarebbero state tali da determinare «uno snaturamento della funzione protettiva dell'istituto, caratterizzato da una tendenziale conservazione della capacità di agire».

Per la Suprema Corte, tuttavia, la possibilità d'imporre limitazioni alla capacità di donare è fuori discussione, in quanto spetta al «giudice tutelare di conformare il libero esercizio delle facoltà del beneficiario e la correlata ampiezza dei poteri d'intervento dell'amministratore in base alle esigenze di protezione della persona e di gestione degli interessi patrimoniali emergenti da una valutazione in concreto delle condizioni psico-fisiche dell'interessato»: pertanto, si è in presenza di «un quadro di estrema duttilità dell'istituto, volto a superare l'alternativa secca tra capacità ed incapacità». Ma i giudici di legittimità - ad ulteriore sostegno del proprio assunto - hanno altresì esplicitato che in assenza di una siffatta, e come detto pienamente legittima, preclusione in capo all'amministrato, a questi non potrebbe affatto inibirsi la possibilità di effettuare donazioni e ciò «avuto riguardo alla previsione dell'art. 411, comma 2, c.c. che estende all'amministratore l'incapacità a ricevere prevista dallo art. 779 c.c. per il tutore, e a quella del comma 3 del medesimo articolo, che dichiara valide le "convenzioni" (ivi comprese, quindi, le donazioni) in favore dell'amministratore che sia coniuge o convivente o parente entro il quarto grado del beneficiario». In sintesi: il provvedimento di nomina ben può estendere al beneficiario di amministrazione di sostegno il divieto di cui all'art. 774, comma 1, c.c., proprio per il fatto che - diversamente - il divieto stesso non potrebbe trovare applicazione (sia per principio generale di residuale capacità sia per chiari indici normativi desumibili dai commi 2 e 3 dell'art. 411 c.c.).

In conclusione

Da quanto sopra esposto appare lungi dall'essere definita, soprattutto nell'attesa che la Consulta si pronunci, una questione in seno alla quale si intersecano valutazioni patrimoniali e aspirazioni ideali riconducibili al beneficiario.

Si può sostenere, comunque, come un percorso argomentativo fondato sui contrapposti dati letterali (e financo ideologici) di cui agli artt. 409 e 774 c.c. non consenta di trovare soluzioni appaganti dal punto di vista squisitamente dogmatico, in quanto il ragionamento sarebbe fatalmente condizionato da una tanto assiomatica quanto arbitraria prevalenza di una norma sull'altra.

Assodato che l'amministrazione di sostegno sia uno strumento intrinsecamente dotato di una flessibilità a servizio delle specifiche esigenze della persona debole, appare scelta obbligata quella di ripudiare soluzioni preconcette al fine di orientarsi - invece - verso un'analisi mirata del caso concreto: e così, partendo in prima istanza dal contenuto estrinseco del provvedimento di nomina e in seconda battuta passando per la sua più intima connotazione plasmante dello statuto giuridico dell'amministrato.

Solo una simile visione concettuale, che ripudi l'angusta prospettiva di un amministrato relegato nel recinto ideologico inibitorio, può consentire la valorizzazione delle tensioni ideali dell'individuo che la legge 9 gennaio 2004, n. 6 non ha voluto depotenziare, bensì rafforzare.

Da un punto di vista pratico - infine - potrebbe essere chiesto all'operatore giuridico, e in prima battuta al Notaio stante il disposto di cui all'art. 782 c.c. che ne impone in linea di principio il ministero, di valutare la legittimità di una donazione perfezionanda da parte di un soggetto sottoposto ad amministrazione di sostegno allorquando il provvedimento di nomina nulla avesse disposto in proposito. Al quesito non potrebbe darsi, tuttavia, una soluzione univoca e aprioristica, in quanto - nel quadro della residuale capacità d'agire dell'interessato - decisiva sarebbe un'analisi della concreta genuinità del procedimento formativo della di lui volontà: vero è che il decreto di nomina ben potrebbe fornire indizi in un senso (si pensi a una procedura apertasi a seguito di grave deficit intellettivo dell'amministrato) o nell'altro (si pensi alle ipotesi di mero impedimento fisico), ma occorre in un certo senso “rassegnarsi” all'idea che il nodo possa essere sciolto solo tramite un accertamento fattuale della situazione nel caso concreto, senza potersi affidare a un (apparentemente) più tranquillizzante esclusivo controllo documentale.

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