Whistleblowing. Primi orientamenti giurisprudenziali e prospettive di tutela europea

Andrea Nocera
01 Ottobre 2018

Con la sentenza n. 35792/2018, Coco, la Cassazione ha completato la valutazione dell'impatto sull'ordinamento penale dell'istituto del whistleblowing. La Corte ha inteso definire i confini del legittimo comportamento del whistleblower, In particolare, traendo spunto dal consolidato indirizzo giurisprudenziale...
Abstract

Con la recente sentenza n. 35792 del 21 maggio 2018, Coco, la Sezione V penale della Corte di cassazione ha completato la valutazione dell'impatto sull'ordinamento penale dell'istituto del whistleblowing, misura anticorruzione originariamente prevista nel nostro ordinamento, solo per il pubblico impiego, dall'art. 54-bis del d.lgs.30 marzo 2001, n. 165, norma profondamente emendata dalla legge 30 novembre 2017 n. 179, contenente Disposizioni per la tutela degli autori di segnalazioni di reati o irregolarità di cui siano venuti a conoscenza nell'ambito di un rapporto di lavoro.

Con la citata sentenza la Corte ha inteso definire i confini del legittimo comportamento del whistleblower. In particolare, traendo spunto dal consolidato indirizzo giurisprudenziale in tema di agente provocatore, ha escluso la configurabilità della scriminante dell'adempimento del dovere della condotta del pubblico dipendente – nel caso di specie, imputato del delitto di accesso abusivo a sistema informatico (art. 615-ter c.p.) - che, al fine di verificare la possibilità di segnalare comportamenti illeciti sul luogo di lavoro e di sperimentare la vulnerabilità del sistema riservato, facendo uso di account e password di un collega, si era introdotto nel sistema automatizzato di un Istituto Comprensivo comunale ed aveva elaborato un falso documento di fine rapporto, poi immediatamente cancellato.

La pronuncia rappresenta l'occasione per una prima ricognizione delle prassi applicative in ambito penale in tema di whistleblowing. Infatti, con due precedenti arresti (Cass. pen., Sez. VI, 31 gennaio 2018, n. 9041) la Corte ha già trattato i temi della utilizzabilità delle segnalazioni mediante canale whistleblowing a fini di intercettazione.

L'analisi dei primi orientamenti giurisprudenziali in tema di whistleblowing fornisce, al contempo, le prime chiavi interpretative della proposta di direttiva comunitaria di tutela del whistleblower, adottata dalla Commissione europea il 23 aprile 2018, per la protezione e la salvaguardia del pubblico interesse e dell'incolumità delle persone che segnalino agli organi di vigilanza o riferiscano pubblicamente di illeciti perpetrati in ambito lavorativo, in ossequio al diritto alla libertà di stampa ed alla libertà di espressione sanciti dall'art. 11 della Carta di Nizza.

Il whistleblowing come misura anticorruzione

L'introduzione del whistleblowing nel nostro ordinamento è avvenuto, solo per il pubblico impiego, con l'art. 54-bis del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, poi successivamente modificato dalla legge 30 novembre 2017, n. 179, contenente Disposizioni per la tutela degli autori di segnalazioni di reati o irregolarità di cui siano venuti a conoscenza nell'ambito di un rapporto di lavoro.

Il Legislatore italiano ha disciplinato solo il profilo tipicamente giuslavoristico e disciplinare del pubblico dipendente, assicurando allo stesso piena tutela da misure ritorsive nell'ambito del rapporto di lavoro quando intenda o provveda a segnalare in via riservata al Responsabile anticorruzione ovvero all'Autorità anticorruzione illeciti che si verificano sul luogo di lavoro. Nella specie, il comma 1 del citato art. 54-bisd.lgs. 165/2001 vieta che il segnalante possa «essere sanzionato, demansionato, licenziato, trasferito, o sottoposto ad altra misura organizzativa avente effetti negativi, diretti o indiretti, sulle condizioni di lavoro determinata dalla segnalazione».

La segnalazione deve avere a oggetto una condotta illecita perpetrata sul luogo di lavoro o comunque connessa allo svolgimento di tale attività. La tutela del dipendente virtuoso, al contempo, è funzionale alla segnalazione effettuata, vietando la possibilità di sanzioni disciplinari o misure discriminatorie dirette od indirette nei confronti del segnalante.

Sul piano storico-dogmatico l'istituto riporta alla mente la figura c.d. ;sicofante, di ampia diffusione nell'ordinamento giuslavoristico. La norma disciplinante il whistleblowing è, infatti, collocata, all'interno delle disposizioni giuslavoriste vigenti per il settore del pubblico impiego.

L'art. 3 dello statuto dei lavoratoriconsente al datore di lavoro di acquisire da propri dipendenti notizie relative all'inadempimento di altri colleghi, proprio al fine di prevenire il pericolo del diffondersi di casi di delazione all'interno dell'ambiente lavorativo). Tale collocazione esprime una precisa scelta del Legislatore di non realizzare una autonoma disciplina del whistleblowing, come misura anticorruzione ma di limitarsi a garantire la tutela del soggetto, legato da rapporto pubblicistico con il datore di lavoro, che intenda rappresentare fatti antigiuridici commessi sul luogo di lavoro.

Come detto, la norma non prevede un obbligo informativo a carico del lavoratore tale da assumere rilevanza in ambito penale nel senso di escludere la antigiuridicità della condotta del segnalante che si attivi concretamente, ponendo in essere atti induttivi od espressione di partecipazione materiale all'illecito, pur se al solo fine di disvelare o accertare la condotta illecita (non solo penalmente rilevante) altrui.

Alla tutela da ritorsioni di carattere disciplinare o paradisciplinare nei confronti del whistleblower corrisponde, nella lettura del comma 2 dell'art. 54-bisd.lgs. 165/2001, sin dalla originaria formulazione, non la garanzia di anonimato del denunciante ma la semplice riservatezza delle sue generalità, non ostensibili nell'ambito di procedimenti disciplinari, se non per la tutela del segnalante, salvo ovviamente il consenso dell'interessato alla divulgazione dei propri dati identificativi. Il divieto di divulgazione dell'identità del dipendente è in ogni caso subordinato al fatto che la contestazione «sia fondata su accertamenti distinti e ulteriori rispetto alla segnalazione», poiché, ove detta contestazione si basi, in tutto o in parte, sulla segnalazione stessa, «l'identità può essere rivelata ove la sua conoscenza sia assolutamente indispensabile per la difesa dell'incolpato».

Nel caso di denuncia di gravi episodi corruttivi, ad esempio, la disposizione è finalizzata ad evitare che il dipendente, che in qualsiasi modo sia venuto a conoscenza delle condotte illecite poste in essere da un collega di lavoro od un superiore, ometta di segnalarle per il timore di subire conseguenze pregiudizievoli in ambito lavorativo.

Nella nuova formulazione del comma 2 dell'art. 54-bisd.lgs. 165/2001, come modificato dalla recente l. 179 del 2017, che ha esteso l'applicazione dell'istituto anche ai dipendenti di enti pubblici economici e degli enti di diritto privato sottoposti a controllo pubblico, nonché « ;ai lavoratori e ai collaboratori delle imprese fornitrici di beni o servizi» per la P.A. ai sensi dell'art. 2359 c.c., la funzione in via esclusiva di garanzia di una efficace tutela del dipendente denunciante è ancor più evidente, atteso che, in contrapposizione alla tutela disciplinare, «nell'ambito del procedimento penale, l'identità del segnalante è coperta dal segreto nei modi e nei limiti previsti dall'articolo 329 del codice di procedura penale».

Il primo ed il secondo comma dell'art. 54-bisd.lgs. 165/2001escludono in tal modo la possibilità di accesso civico ovvero che possa trovare applicazione la l. 241/1990, in quanto il disvelamento della identità riservata del segnalante è consentita solo nei casi in cui sia indispensabile per la difesa dell'incolpato.

La l. 179/2017 (art. 2) ha inoltre previsto che i modelli di organizzazione, gestione e controllo dell'ente devono contenere canali che consentano ai denuncianti di presentare segnalazioni circostanziate di condotte illecite o di violazioni del modello di organizzazione e gestione dell'ente e al codice etico, nell'ambito dell'obbligo per il dipendente di informare con tempestività il proprio responsabile diretto dell'insorgenza di dinamiche che possano interferire con la corretta gestione dell'attività lavorativa. A tal fine sono realizzati canali appositamente dedicati ;tramite i quali tutti coloro che vengano a conoscenza di eventuali comportamenti di qualsiasi natura (anche omissivi) posti in essere in violazione del codice etico riferiscono, liberamente, direttamente ed in maniera riservata, ad un apposito organismo di Vigilanza.

Da ultimo, con regolamento del 14 settembre 2018 (in comunicazione per osservazioni fino al 30 settembre) l'Anac, nel rispetto dei principi generali di cui alla l. 241 del 1990, nel disciplinare le sanzioni nella tutela del whistleblower, ha fornito specifiche istruzioni operative ai segnalanti circa il corretto utilizzo della piattaforma informatica, dotata di sistema di crittografia al fine di migliorare le garanzie di tutela della identità del segnalante, del contenuto della segnalazione e della documentazione ad essa allegata.

Nel regolamento è ribadito l'invito alle amministrazioni a collaborare adempiendo agli obblighi informativi e di individuazione del responsabile anticorruzione nell'apposito settore della Amministrazione trasparente. Viene, inoltre, stabilito un preciso ordine di priorità nella trattazione delle comunicazioni, distinguendo le ipotesi di violazione delle norme poste a garanzia del whistleblower, in ordine di gravità (quali, ad esempio, l'adozione di misure discriminatorie nei confronti del segnalante, l'omessa predisposizione del canale riservato o l'inerzia nello svolgimento della attività di verifica delle segnalazioni), dalla trattazione delle segnalazioni in via riservata.

Quanto all'oggetto della segnalazione, il riferimento esplicito alle notizie o fatti «di cui sia venuto a conoscenza in ragione del rapporto di lavoro» limita la possibilità di segnalazione alle sole informazioni acquisite in ambiente lavorativo.

I destinatari della comunicazione sono, infatti, oltre all'autorità giudiziaria ordinaria o contabile, il superiore gerarchico del dipendente pubblico e, per effetto dell'orientamento n. 40 dell'Anac, il responsabile anticorruzione, organo interno alla pubblica amministrazione.

L'istituto della segnalazione riservata si conforma strutturalmente alla previsione di cui all'art. 361 c.p. (Omessa denuncia di reato), pur se assume una propria autonomia applicativa quanto agli evidenziati presupposti di operatività, nella tensione tra i profili della tutela del rapporto di lavoro e quello del potenziamento delle misure preventive di contrasto al fenomeno della corruzione.

Sotto il profilo giuslavoristico rilevano le garanzie del lavoratore da condotte ritorsive o pregiudizievoli nell'ambito del rapporto di lavoro, assicurando la disciplina uno status speciale per il soggetto segnalante. Sotto il profilo penale, in un'ottica special-preventiva, la diffusione del sistema di segnalazione riservata favorisce l'emersione di fatti illeciti all'interno della pubblica amministrazione e costituisce una della più valide ed efficaci forme di contrasto alla corruzione.

Le prospettate criticità interpretative dell'art. 54-bisd.lgs. 165/2001, il cui dettato sembra limitare la tutela della fonte alle sole notizie e informazioni acquisite in ragione del rapporto di lavoro, alla luce del più ampio dettato dell'art. 361 c.p. che fa riferimento alle denunce relative a fatti conosciuti casualmente sul luogo di lavoro, possono essere superate attraverso l'estensione, per via interpretativa, della protezione anche per la segnalazione di notizie di illecito riscontrate in occasione del suddetto rapporto.

L'istituto del whistleblowing ha trovato una più ampia applicazione nell'ordinamento statunitense. Con il Whistleblower Protection Act (WPA) del 1989, infatti, per una precipua finalità di contrasto alla corruzione, furono introdotti idonei meccanismi di protezione per gli impiegati federali che intendano denunciare atti illegali o gravi irregolarità mantenendosi al riparo da possibili ritorsioni. Successivamente il Government Performance and Results Act (GPRA) del 1993 orientò la disciplina al miglioramento della gestione dei programmi governativi attraverso l'introduzione di sistemi di misurazione e valutazione delle performance degli uffici federali, e, quindi, con il GPRA Modernization Act (GPRAMA) del 4 gennaio dell'anno 2010 fu realizzata la codificazione definitiva dell'istituto, continuamente aggiornata attraverso l'attività di revisione a cura dell'Office of the Law Revision Counsel, ufficio parlamentare amministrativo della Camera dei Rappresentanti.

Il legittimo utilizzo del whistleblowing

Con la sentenza n. 35792 del 21 maggio 2018, la Sezione V penale della Corte di cassazione definisce i margini per il legittimo utilizzo del canale whistleblower individuando, in particolare, le modalità e i mezzi attraverso i quali può essere esplicato l'intervento del segnalante.

Richiamando la ratio dell'istituto e l'esigenza di assicurare misure di piena tutela in ambito lavorativo del dipendente che effettua la segnalazione, la Corte esclude che l'acquisizione della notizia dell'illecito possa derivare da una condotta attiva del segnalante, che non può adoperarsi concretamente per l'acquisizione delle informazioni, né svolgere in tal senso una impropria attività investigativa o di approfondimento delle stesse, in violazione dei limiti imposti dalla normativa attuale.

Il caso posto all'attenzione della Suprema Corte riguardava la contestazione del delitto di accesso abusivo a sistema informatico (art. 615-ter c.p.) nei confronti di un pubblico dipendente che, al fine di verificare l'inviolabilità dell'applicativo in uso sul canale riservato di segnalazione e dimostrarne la scarsa sicurezza, dopo aver trafugato account e password di un collega di lavoro, si era introdotto nel sistema informatico di un Istituto Comprensivo comunale ed aveva elaborato un falso documento di fine rapporto, poi immediatamente cancellato.

Sull'eccezione della difesa di carenza di antigiuridicità della condotta illecita, posto che la condotta di accesso abusivo era ispirata in via esclusiva dalla finalità di denuncia della vulnerabilità della piattaforma di segnalazione e dell'applicativo posto a protezione, la Corte ha escluso in modo netto che possano ritenersi scriminate, anche solo in forma putativa, le condotte di partecipazione causalmente determinante del dipendente segnalante. Ciò non solo sotto il profilo dell'adempimento del dovere (art. 51 c.p.), per effetto della mancata previsione normativa di un obbligo di segnalazione – che non consente di dar rilevanza all'errore scusabile circa l'esistenza del dovere di segnalazione – ma anche dell'esercizio del diritto, così confermando l'antigiuridicità della condotta di reato contestata.

La condotta concreta del segnalante, infatti, lungi dal limitarsi ad una mera attività di osservazione, controllo e denuncia di comportamenti illeciti altrui sul luogo di lavoro, si è sostanziata in attività violative della segretezza dei dati sensibili degli altri dipendenti.

Del resto, osserva la Corte, la giurisprudenza cristallizzatasi in tema di agente provocatore consente di ritenere penalmente giustificata solo la condotta del soggetto che non si inserisca con rilevanza causale nell'iter criminis ma si limita ad intervenire, in modo indiretto e marginale, mantenendo una posizione di mera osservazione ed al più di controllo e contenimento della azioni illecite altrui.

(Segue). I parametri discriminatori dell'azione dell'agente provocatore

L'attuale disciplina in tema di whistleblowing non consente, dunque, al pubblico dipendente di acquisire in modo attivo le informazioni sugli illeciti perpetrati sul luogo di lavoro o, ancor più, come nel caso di cui alla sentenza n. 35792 del 2018, di assumere un ruolo partecipativo diretto nella realizzazione degli stessi.

La tutela apprestata dalle norme sul whistleblowing, in particolare, non si armonizza con le linee applicative elaborate dalla giurisprudenza di legittimità in tema di agente provocatore. L'illecita acquisizione di credenziali di accesso riservato ad un sistema informatico da parte di un soggetto non legittimato, infatti, non può in alcun modo essere ricondotta nell'ambito dell'attività dell'agente provocatore, non consentendo questa una ipotesi di partecipazione diretta ed attiva, con rilevanza causale, nelle condotte illecite altrui destinate ad essere segnalate in via riservata.

Sul tema, la Corte ribadisce il principio ormai consolidato secondo cui la condotta del c.d. agente provocatore – cioè di colui che provoca altri a commettere un reato, con la peculiarità che egli ha interesse non già alla commissione del reato per trarne i relativi illeciti vantaggi, bensì alla scoperta e alla punizione del soggetto provocato – è scriminata dall'adempimento del dovere soltanto allorquando non si inserisca con rilevanza causale nell'iter criminoso ma rappresenti un intervento indiretto e marginale che si concretizzi prevalentemente in un'attività di osservazione, di controllo e di contenimento delle azioni illecite altrui (Cass. pen., Sez. IV, n. 47056/2016; in senso conforme, Cass. pen., Sez. IV, n. 11634/2000). Non può farsi discendere dall'obbligo della polizia giudiziaria di ricercare le prove dei reati e di assicurare i colpevoli alla giustizia, previsto in via generale dall'art. 55 c.p.p., l'esclusione della responsabilità dell'agente provocatore, poiché l'adempimento del dovere è finalizzato a perseguire i reati commessi, non già a suscitare azioni criminose al fine di arrestarne gli autori. Per Cass. pen., Sez. I, n. 10695/2008, D'Amico e altri, il riconoscimento della scriminante dell'adempimento del dovere è subordinato alla duplice condizione che il soggetto che collabori ad un'operazione di polizia abbia effettivamente agito in forza di un ordine dell'autorità e il suo contributo non abbia travalicato i limiti di un'attività che abbia contenuto di mero controllo, osservazione e contenimento rispetto all'agire illecito altrui.

L'elaborazione di siffatti parametri di contenimento dell'azione dell'agente provocatore è stata oggetto di riconoscimento normativo nella legislazione speciale relativa alla prevenzione e repressione di gravi fenomeni criminosi. Nella specie, la figura dell'agente provocatore è disciplinata dall'art. 97 del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope; dall'art. 12-quater della legge 7 agosto 1992, n. 356 in tema di contrasto alla criminalità mafiosa; dall'art. 14, commi 1 e 2, della legge 3 agosto 1998, n. 269, in materia di sfruttamento della prostituzione e della pornografia minorili, nonché del turismo sessuale in danno di minori; dall'art. 4 del d. l. 18 ottobre 2001, n. 374, convertito nella legge 15 dicembre 2001, n. 438 e con l'art. 10 della legge 11 agosto 2003, n. 228, in tema di terrorismo e di tratta delle persone; dall'art. 1-ter del d.l. 14 settembre 2004, n. 241, convertito nella legge 12 novembre 2004, n. 271, che ha esteso la disciplina dell'attività di indagine sotto copertura ai procedimenti relativi a talune fattispecie dirette alla repressione della immigrazione clandestina.

Dal sistema delle norme speciali in tema di agente provocatore si desume che, ai fini del riconoscimento della sussistenza dell'esimente dell'adempimento del dovere, la collaborazione prestata (da un cittadino) ad un operazione di polizia, ove assuma nella veste di "agente provocatore", è subordinato all'accertamento che la condotta di ausilio non travalichi i limiti della richiamata attività di mero controllo e osservazione. Viene esclusa dunque l'esimente nel caso in cui l'agente provocatore abbia oltrepassando i limiti sopra definiti, svolgendo in concreto un'opera di istigazione al reato (Cass. pen., Sez. III, n. 31415/2016, in tema di commercio di sostanze stupefacenti; in senso conforme, Cass. pen., Sez. VI, n. 14677/2002).

La S.C., del resto, pone in parallelo il comportamento del privato che abbia una condotta attiva o realizzi un intervento causale nell'illecito penale altrui e la condotta più complessa dell'agente sotto copertura. La condotta dell'agente infiltrato assume rilevanza penale solo se non giustificata dall'ordine legittimo dell'autorità e nel caso in cui il privato, adempiendo fedelmente all'ordine ricevuto per tutto il tempo in cui si protrae l'attività degli esecutori materiali, si adopera in maniera da impedire il reato o da farne cessare le conseguenze e da determinare l'arresto dei complici; se, invece, l'agente svolge una attività che ha una diretta efficacia causale rispetto all'evento delittuoso, ovvero tradisce la fiducia degli inquirenti, non comunicando fatti rilevanti per la prevenzione o repressione dei reati, così da agevolare l'attività degli esecutori materiali e da impedire la identificazione di questi ultimi, la sua condotta non può essere scriminata ed egli è punibile per la sua compartecipazione morale o materiale nel reato (Cass. pen., Sez. IV, n. 17025/2008; Cass. pen., Sez. IV, n. 16397/2014).

Riflessi processuali in tema di intercettazioni di comunicazioni

Sul piano processuale, con due coeve sentenze (Cass. pen., Sez. VI, n. 9041/2018) la Corte ha affrontato il tema della rilevanza delle segnalazioni (nella specie, di illeciti perpetrati da dipendenti infedeli addetti al servizio di ispezioni e certificazioni ipotecarie dell'Agenzia del Territorio) mediante canale whistleblowing ai fini dei requisiti di ammissibilità delle intercettazioni sotto il profilo della sussistenza del presupposto cautelare della gravità indiziaria, ha puntualizzato la rilevanza e la natura dell'atto di segnalazione interna all'ufficio del R.P.C.

La questione riguardava, in particolare, il riconoscimento della segnalazione inoltrata alla stregua di un documento proveniente da fonte anonima ai sensi dell'art. 203 c.p.p., utilizzabile solo in via indiretta e mediata dagli atti investigativi successivamente compiuti. La Corte ha escluso in via generale che lo sola fonte anonima o l'informazione confidenziale possa essere utilizzata per la valutazione dei gravi indizi di reità ex art. 267 c.p.p. Infatti, i risultati delle intercettazioni di conversazioni disposte sulla base di siffatte fonti, acquisite dalla polizia giudiziaria, sono utilizzabili a condizione che queste ultime non siano gli unici elementi posti a supporto della valutazione sulla sussistenza dei gravi indizi di reato e che le operazioni siano state autorizzate anche sulla base di altri elementi emersi che le integrino (Cass. pen., Sez. VI, n. 42845/2013).

La S.C. ha affermato che nessuna preclusione sussiste ai fini delle intercettazioni per il pieno utilizzo del canale whistleblowing. La denuncia o segnalazione inoltrata con le forme istituzionali “riservate” previste dal comma 1 del citato art. 54-bis d.lgs. 165/2001, garantisce la riservatezza del segnalante e, al contempo, rende possibile, attraverso le credenziali adoperate, l'individuazione del whistleblower.

Il comma 2 della norma, come novellato dalla legge 179/2017, non lascia spazio alcuno all'anonimato in caso di utilizzo della segnalazione nel procedimento penale e, tanto meno, alla tutela della riservatezza delle generalità del denunciante.

L'orientamento giurisprudenziale maturato in tema di agente sotto copertura, che come detto presenta riflessi comuni a quelli del whistleblowing, assume rilevanza anche in ordine ai canoni di valutazione della gravità indiziaria in sede di autorizzazione delle intercettazioni.

Infatti, l'utilizzo delle informazioni fornite da agenti di polizia giudiziaria operanti sotto copertura, la cui identità non sia disvelata, è condizionato al rispetto della procedura autorizzativa prevista dalla legge, non essendo equiparabili le stesse alle informazioni di fonte confidenziale o anonima indicate nell'art. 203 c.p.p. (Cass. pen., Sez. IV, n. 25247/016; Sez. 4, n. 6778/2013). Il divieto di utilizzazione non opera quando la stessa polizia giudiziaria, che ha acquisito notizie indiziarie presso informatori exart. 267, comma 1-bis, c.p.p. in relazione all'art. 203, comma 1-bis, c.p.p., abbia indicato negli atti le generalità complete dell'informatore ed abbia precisato in una relazione di servizio il contenuto delle notizie riferite da quest'ultimo (Cass. pen., Sez. IV, n. 6844/2011).

La segnalazione di comportamenti illeciti perpetrati sul luogo di lavoro comporta l'attivazione in via autonoma e parallela (art. 55-ter del d.lgs. 165 del 2001, introdotto dal d. lgs. n. 150 del 2009 e poi modificato dall'art. 14 del d.lgs. 75 del 2017) del procedimento disciplinare e di quello amministrativo dell'Audit interno o dell'Autorità di vigilanza, oltre all'eventuale procedimento penale nei casi in cui siano segnalati fatti-reato (ad esempio, casi di corruzione, come nel caso di specie). Per tale via, la segnalazione processata attraverso il canale riservato è da ritenersi un documento pienamente utilizzabile ex art. 267 c.p.p. per disporre le intercettazioni. Il suo utilizzo processuale penale fa venir meno le garanzie di riservatezza, assumendo valore processuale tipico in relazione al suo contenuto (ad esempio, come dichiarazione accusatoria a tutti gli effetti, proveniente da fonte qualificata ed individuabile).

Del resto, la norma fa salvi, in via di eccezione alla garanzia di riservatezza della fonte, i casi in cui la denuncia integri gli estremi dei reati di calunnia o diffamazione, o provochi un danno ingiusto ovvero qualunque lesione di interessi tutelati dall'ordinamento giuridico ai sensi dell'art. 2043 c.c.

Sulla base dell'interpretazione letterale e sistematica del citato art. 54-bis, d.lgs. 165/2001 la Corte ha, dunque, chiarito che la segnalazione di condotte corruttive inviata mediante segnalazione via mail interna al RPC non costituisce mero spunto investigativo, ma “assurge al rango di vera e propria dichiarazione accusatoria”, alla quale sono destinate ad aggiungersi le eventuali risultanze dei successivi accertamenti compiuti a riscontro dalla Direzione Centrale Audit (nella specie, gli accessi ingiustificati al sistema da parte dei dipendenti denunciati), come probante conferma della generale veridicità della segnalazione.

Ulteriori criticità applicative dell'istituto

Al di là della scarna previsione normativa, che comprime nel solo art. 54-bis d.lgs. 165/2001 la regolamentazione del whistleblowing, le criticità applicative emergenti dagli orientamenti giurisprudenziali esaminati derivano dalla pressocchè totale carenza di armonizzazione dell'istituto con le altre misure anticorruzione, oltre che con strumenti collaterali di promozione e, soprattutto, di incentivo all'utilizzo del canale riservato.

Tale è, ad esempio, l'assenza di una puntuale disciplina sulle segnalazioni anonime inviate a mezzo canale whistleblowing.

In via più generale si segnala che non sono regolamentate le ipotesi di segnalazioni non processate attraverso il sistema previsto per il pubblico impiego dal d.lgs. 165/2001, pur se di derivazione interna e destinate al R.P.C., ovvero ancora le segnalazioni che vengano inviate, in alternativa al canale interno, direttamente all'Autorità nazionale anticorruzione (Anac) o le denunce all'autorità giudiziaria ordinaria o a quella contabile priva di sottoscrizione o di elementi di certa identificabilità del denunciante.

Nelle ipotesi di intercettazioni deve in proposito ritenersi che tali segnalazioni esterne al canale whistleblowing o per le quali non sia garantita l'individuabilità dell'autore siano utilizzabili a condizione che non siano gli unici elementi posti a supporto del mezzo di ricerca della prova, dovendo essere integrate da altri elementi acquisiti od emersi a seguito della segnalazione indiziante.

Del pari non costituisce misura incentivante alla segnalazione riservata la necessità, contemplata dal comma 2 dell'art. 54-bis d.lgs. 165/2001 che possa essere rivelata l'identità del segnalatore (ove la sua conoscenza sia “assolutamente indispensabile” per la difesa dell'incolpato), per le evidenti ripercussioni negative sul luogo di lavoro per il segnalante.

Inoltre, il Legislatore non ha ritenuto di indicare un ordine di scelta del ventaglio di destinatari della segnalazione riservata, né ha inteso regolamentare il processo di gestione di tali segnalazioni tra i vari organi preposti all'interno degli enti, né ha incluso tra i destinatari qualificati i soggetti responsabili dei vari comparti organizzativi ovvero il superiore gerarchico diretto.

Sul punto, già nel First and Second Evaluation Round, Compliance Report on Italy del maggio 2011, si prospettava la necessità di un quadro di protezione più completo e dettagliato per i dipendenti pubblici che segnalano episodi sospetti di corruzione, indicando quali misure concrete da adottare la previsione di “linee di segnalazione” interne ed esterne che garantiscano maggior riservatezza, e meccanismi più adeguati di protezione dall'azione ritorsiva (come forme di ricompensa per il segnalante).

La proposta di direttiva della Commissione europea del 23 aprile 2018

Con la recente Proposta di direttiva per la protezione di coloro che denunciano violazioni del diritto UE del 23 aprile 2018 la Commissioneeuropea, in riforma della precedente direttiva 2392/Ue/2015 del 17 dicembre 2015 e della Raccomandazione del Consiglio d'Europa del 2014 sulla protezione dei whistleblowers, ha inteso perseguire il precipuo obiettivo di rafforzare i meccanismi di protezione dei dipendenti segnalanti illeciti per violazione alle norme europee.

Nella presentazione della nuova proposta di Direttiva la Commissione evidenzia che i whistleblowers possono svolgere un ruolo importante nello scoprire attività illecite, in particolare i fenomeni corruttivi, che danneggiano l'interesse pubblico e il benessere collettivo.

Le nuova disciplina è finalizzata a:

  1. determinare canali sicuri per la segnalazione all'interno di un'organizzazione e della pubblica amministrazione;
  2. proteggere gli informatori contro il licenziamento, demansionamento e altre forme indirette di ritorsione;
  3. ad obbligare i singoli Stati membri a dare una compiuta informazione ai cittadini e garantire la formazione per le autorità pubbliche sulle modalità di trattamento degli informatori; in via indiretta, a proteggere tutti i lavoratori che assumono qualità di fonte giornalistica, perché contribuiscono a garantire che la libertà di espressione e della stampa.

Attualmente la protezione fornita agli informatori dagli Stati membri in ambito unionale è frammentaria e, soprattutto, disomogenea, in quanto nel documento si stima che solo in 10 Stati, tra cui l'Italia, sia garantita una piena forma di tutela per gli informatori, mentre nella magggior parte degli ordinamenti statali la protezione è parziale e per specifici settori o categorie di dipendenti.

La nuova proposta intende garantire la protezione per le segnalazioni di un ampio ventaglio di violazioni della normativa Ue, quale quella in materia di appalti pubblici, di svolgimento di attività e servizi finanziari, di riciclaggio di denaro e finanziamento del terrorismo; di sicurezza dei prodotti e dei trasporti, di tutela ambientale e sicurezza nucleare, di sicurezza degli alimenti, di salute pubblica, di protezione del consumatore, di protezione dei dati e sicurezza della rete e sistemi di informazione, di privacy.

La tutela si estende anche alle ipotesi di segnalazione di violazioni delle regole di concorrenza dell'UE, degli abusi di mercato e finanziari, delle norme fiscali di interesse Ue.

La nuova proposta di direttiva è applicabile non solo agli enti pubblici (Stato, amministrazioni regionali e comuni con oltre 10.000 abitanti), ma anche a tutte le società con più di 50 dipendenti o con un fatturato annuo di oltre 10 milioni di euro. Tali amministrazioni ed aziende dovranno istituire organismi interni e prevedere una procedura interna per la gestione delle comunicazioni degli informatori con un chiaro percorso di informazione.

Le disposizioni organizzative dovranno prevedere, quale standard minimo di protezione (art. 4):

  • canali riservati di segnalazione, all'interno e all'esterno della amministrazione pubblica o della società;
  • un sistema di segnalazione a tre livelli che privilegia la comunicazione per canale interno all'ente o all'azienda. In concreto, l'informatore che abbia acquisito notizia di violazioni di norme UE è tenuto a rivolgersi in via primaria per via interna all'organismo deputato alla raccolta delle informazioni. Ove il canale interno non funzioni, il whistleblower può rivolgersi alle autorità competenti mediante canale esterno e, in una terza fase, alla stampa ed ai media
  • l'estensione delle misure antiritorsione attraverso la garanzia di forme di assistenza e consulenza gratuita ovvero l'adozione di determinazioni volte a porre fine alle molestie sul posto di lavoro od impedire il licenziamento, con inversione dell'onere della prova circa la finalità di rappresaglia della misura adottata contro chi denuncia;
  • l'esonero dalla responsabilità per la divulgazione delle informazioni per gli informatori.

La direttiva incoraggia gli Stati membri a elevare gli standard minimi di tutela, completando il quadro regolamentare deputato alla protezione degli informatori, in armonia con i principi base fissati.

Particolari misure di tutela sono altresì previste per coloro che sono oggetto di segnalazione sul luogo di lavoro. In particolare, al fine di tutelare le sole forme di whistleblower responsabile e prevenire un danno ingiustificato alla reputazione del segnalato, la proposta di direttiva scoraggia le segnalazioni dannose o abusive. Coloro che sono oggetto di segnalazione godranno pienamente della presunzione di innocenza, avranno diritto ad efficaci tutele procedimentali, ad un processo equo e per essi è salvaguardato il diritto alla difesa.

In conclusione

Le poche pronunce della giurisprudenza di legittimità in tema di whistleblowing, sia riguardo a questioni tipicamente processuali, quali quelle legate all'utilizzabilità delle segnalazioni da fonte riservata a fini di intercettazione, sia quelle relative a temi di diritto penale sostanziale, come la configurabilità della scriminante ex art. 51 c.p. nel caso di condotta del whistleblower che operi alla stregua di un agente provocatore, forniscono una prima chiave di lettura sui confini applicativi della misura anticorruzione in esame, disciplinata dallo scarno dettato dell'art. 54-bis del d.lgs 30 marzo 2001, n. 165, modificato dalla legge 30 novembre 2017 n. 179.

Il percorso seguito dalla giurisprudenza anticipa l'intervento del Legislatore eurounitario ed indirettamente risponde alle esigenze di migliorare l'efficienza delle misure di lotta contro la corruzione, obbligando gli Stati membri ad adottare norme puntuali per l'utilizzo del canale whistleblowing, in armonia con i principi di tutela minimale fissati dalla direttiva e con l'obiettivo di omogeneizzare le prassi applicative in ambito unionale.

Le forme di protezione europea riservate agli informatori presuppongono che essi agiscano nell'interesse pubblico e che il canale di segnalazione sia utilizzato in modo responsabile. Di qui la programmata introduzione di meccanismi premiali per il soggetto segnalante e la rigorosa previsione dei casi di rivelazione della identità della fonte riservata; ma anche ulteriori norme a tutela dei soggetti segnalati.

La finalità di rendere più efficace la lotta alla corruzione emerge dalla estensione delle ipotesi di tutela del segnalante per le violazioni delle regole di concorrenza dell'UE, degli abusi di mercato e finanziari, delle norme fiscali di interesse unionale. Sotto il profilo soggettivo, di contro, l'estensione al settore privato è già stata attuata dalla legge 30 novembre 2017 n. 179, pur senza i limiti previsti per le società con più di 50 dipendenti o con un fatturato annuo di oltre 10 milioni di euro.

A tali esigenze di trasparenza e chiarezza nell'utilizzo del mezzo anticorruzione risponde, infine, l'obbligo per gli enti e le aziende di istituire appositi organismi interni e di disciplinare nel dettaglio una procedura interna per la gestione delle comunicazioni degli informatori, con un chiaro percorso di informazione, consentirebbe di superare le lacune dell'attuale normativa in tema di whistleblowing sulle modalità di processare le segnalazioni di derivazione interna, sui rapporti tra il canale interno e quello che vede quali destinatari l'Autorità nazionale anticorruzione (ANAC) e l'autorità giudiziaria ordinaria o contabile.

Guida all'approfondimento

R. CANTONE, La tutela del whistleblower. L'art. 54-bis del d.lg. n. 165/2001 (art. 1, comma 51), in B. G. Mattarella - M. Pellissero, La legge anticorruzione. Prevenzione e repressione della corruzione, Torino, Giappichelli, 2013, p. 244 ss.

F. GANDINI, Il whistleblowing negli strumenti internazionali in materia di corruzione, in G. Fraschini - N. Parisi - D. Rinoldi (a cura di), Il whistleblowing nuovo strumento di lotta alla corruzione, Catania, 2011, p. 89 ss.;

F. GANDINI, La protezione dei whisteleblowers, in F. Merloni - L. Vandelli (a cura di), La corruzione amministrativa. Cause, prevenzione e rimedi, Passigli, Firenze, 2010, p. 167 ss.

R. LATTANZI, Prime riflessioni sul c.d. whistleblowing: un modello da replicare « ;ad occhi chiusi ;», in Riv. it. dir. lav., 2010, p. 335 ss.

A. ZAMBELLI – D. CONTINI, La recente Direttiva europea sui sistemi di prevenzione degli abusi di mercato e le prospettive nazionali in materia di whistleblowing, in Dir. banc., 2018.

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