Codice Civile art. 2633 - Indebita ripartizione dei beni sociali da parte dei liquidatori (1).Indebita ripartizione dei beni sociali da parte dei liquidatori (1). [I]. I liquidatori che, ripartendo i beni sociali tra i soci prima del pagamento dei creditori sociali o dell'accantonamento delle somme necessario a soddisfarli, cagionano danno ai creditori, sono puniti, a querela della persona offesa, con la reclusione da sei mesi a tre anni. [II]. Il risarcimento del danno ai creditori prima del giudizio estingue il reato. (1) V. nota al Titolo XI. InquadramentoIl reato di indebita ripartizione dei beni sociali da parte dei liquidatori, introdotto dal d.lgs. n. 61/2002, tutela il patrimonio sociale, sanzionando significativamente la condotta dei liquidatori, che nella fase finale della vita della società, ripartendo indebitamente i beni tra i soci, cagionano danni ai creditori, vanificano le ragioni di questi ultimi. Nella fase della liquidazione, infatti, l'integrità del patrimonio sociale non è tutelata in sé, perché in primo piano stanno le ragioni dei creditori e più precisamente il diritto di essere soddisfatti prima dei soci (Musco, 300); la garanzia dei creditori si trasferisce dal capitale sociale – ormai inesistente – al patrimonio sociale, rispetto al quale i creditori hanno un diritto di prelazione ed i soci sono posposti ad essi (Torre, 222). L'art. 2633 c.c. contempla un reato a forma vincolata di evento, quest'ultimo rappresentato dal danno arrecato ai creditori dall'illegittima distribuzione dei beni sociali nella fase della liquidazione. Tale reato riprende il previgente delitto di cui all'art. 2625 c.c., in tema di violazione degli obblighi incombenti ai liquidatori, differenziandosi da esso, oltre che per la necessaria esistenza del danno, per la previsione della procedibilità del reato a querela e l'introduzione della causa di estinzione del reato, rappresentata dal risarcimento del danno prima del giudizio (Antolisei, 258-259). In tema di bancarotta fraudolenta impropria da reato societario, l'art. 223, comma 2, n. 1, della l. n. 267/1942 (legge fallimentare), ha riprodotto tra i fatti-reato che possono essere causa o concausa di dissesto societario, quello di cui all'art. 2633 c.c. Bene giuridicoLa norma tutela il diritto di prelazione dei creditori rispetto ai soci nella ripartizione dei beni costituenti il patrimonio della società e, quindi, l'interesse generale che i liquidatori svolgano correttamente il loro compito (Vaciago, 466). In particolare, il diritto di prelazione dei creditori viene tutelato non sotto il profilo procedurale, ma nella sua dimensione patrimoniale. Con essa, infatti, non si intende proteggere una garanzia generica ed eventuale, ma assicurare un risultato: la reale soddisfazione dei creditori sociali (Sciumbata, 119; Torre 222). La indebita restituzione assume rilevanza penale, sempre che produca un danno ai creditori e i liquidatori non possono invocare a loro discolpa l'errato convincimento circa l'insussistenza di un credito, in quanto il loro compito consiste proprio nel salvaguardare con opportuni accantonamenti le eventuali ragioni creditizie (Vaciago,468). Soggetti attiviIl reato di indebita ripartizione dei beni sociali da parte dei liquidatori è un reato proprio, i cui soggetti attivi sono rappresentati dai liquidatori. L'apertura della fase di liquidazione costituisce, quindi, un presupposto della fattispecie. Antecedentemente ad essa non sono operative le norme civilistiche che regolano il corretto percorso della liquidazione e, di conseguenza, i trasferimenti patrimoniali operati dagli organi sociali a favore dei soci possono solo integrare le distinte fattispecie punitive poste a tutela del capitale sociale nella fase di esercizio della società. Nel caso in cui i soci o gli amministratori procedano al riparto senza nominare i liquidatori incorreranno nello stesso reato, alla luce del disposto i cui all'art. 2639 c.c., dovendo ritenersi liquidatori di fatto (Vaciago, 470). Nei confronti del socio che beneficia dell'illecita ripartizione, in ossequio al divieto di analogia risultante dal combinato disposto degli artt. 25, comma 2, Cost. e 1 c.p., deve escludersi che possa essere estesa la punibilità ai sensi dell'art. 2633 c.c. Tuttavia, occorre distinguere tra l'ipotesi in cui il socio si limiti a percepire quanto assegnatogli illegittimamente dal liquidatore – ipotesi nella quale non potrà essergli mosso alcun rimprovero – e quella in cui, invece, egli ponga in essere comportamenti diversi ed ulteriori rispetto alla mera percezione, fornendo un contributo causale significativo alla verificazione del danno: in tale ultimo caso, infatti, potrà rispondere in concorso con il liquidatore ex art. 110 c.p., sempre che abbia determinato o contribuito a determinare la verificazione del danno, da valutarsi anche sotto il profilo del rafforzamento dell'intento criminoso (Antolisei, 260). Fatto tipicoIl fatto tipico consiste nel cagionare un danno ai creditori della società attraverso la ripartizione tra i soci dei beni sociali, ossia l'attivo, prima del pagamento dei creditori stessi, ovvero dell'accantonamento delle somme necessarie a soddisfarli. La rilevanza penale del fatto è vincolata a due alternative condizioni negative menzionate dalla norma: il mancato pagamento liberatorio di tutti i creditori sociali o il mancato accantonamento delle somme necessarie a soddisfarli, prima di procedere alla ripartizione dei beni sociali (Musco, 303). L'elemento focale dell'illecito è, quindi, la causazione dell'evento di danno per i creditori, che chiaramente non potrà ritenersi sussistente qualora il debito sia stato già estinto con il pagamento, o sia stata già accantonata la somma corrispondente al debito stesso. Ne consegue, pertanto, l'irrilevanza della problematica relativa all'inquadramento sistematico della condotta di ripartizione dei beni sociali prima del pagamento o dell'accantonamento: sia che la si consideri un presupposto della condotta o, invece, parte di una complessa condotta di azione ed omissione, ai fini della configurabilità del reato occorrerà comunque che essa possegga una rilevanza causale rispetto all'evento di danno; rilevanza causale che, come anticipato, potrà esservi solo se la ripartizione sia avvenuta prima del pagamento o dell'accantonamento (Torre, 223). La natura del "danno ai creditori", rilevante ai fini della realizzazione dei reati previsti dagli artt. 2629 e 2633 c.c., è patrimoniale, vista la peculiarità dei soggetti (titolari di situazioni giuridiche di esclusiva natura economico- patrimoniale, relative alle ragioni di credito vantate) su cui parametrare la lesione (Cass.pen . V, n. 29605 del 11/02/2014). Quanto alla condotta di «ripartizione», essa consiste in qualsiasi forma di attribuzione o di distribuzione dei beni, anche in forma simulata, da intendersi, dunque, in senso ampio quale trasferimento della proprietà o della titolarità dei beni sociali (Mucciarelli, 339). Essa, inoltre, potrebbe essere considerata legittima (e quindi non «indebita») qualora sia avvenuta con il previo consenso di tutti i creditori: in siffatta ipotesi, infatti, la condotta potrebbe ritenersi scriminata, secondo il disposto dell'art. 50 c.p.; ciò sempreché i liquidatori siano in grado di escludere l'esistenza di altre passività e l'insorgere di nuovi debiti in relazione alla procedura di liquidazione (Antolisei, 263). Peraltro, essendo il reato di indebita ripartizione dei beni sociali da parte dei liquidatori procedibile a querela della persona offesa, in caso di consenso, difficilmente verrà proposta querela da parte dei creditori. Per «beni sociali», costituenti l'oggetto della condotta, devono intendersi tutti gli elementi economicamente valutabili che fanno parte della società. E’ stato escluso che nella nozione di "bene sociale" possano rientrare somme che non competevano alla società, ovvero mancanti di definitività e certezza a cagione della pendenza di un giudizio, sicché in tal caso non si configura il delitto di cui all'art. 2633 c.c., dal momento che le somme in questione non possono ritenersi, neanche astrattamente, un bene sociale, nel senso di bene potenzialmente liquidabile a favore del ceto creditorio ovvero, all'esito del pagamento o dell'accantonamento, a beneficio dei soci stessi (Cass. pen. V, 33110/2018). In ordine alle nozioni di «pagamento» ed «accantonamento», la prima fa riferimento a qualunque forma di estinzione del debito, mentre la seconda consiste nella separazione delle somme dal patrimonio e nel loro deposito presso un garante (Mucciarelli, 340). Pertanto, non potrà essere considerato un accantonamento la mera previsione in bilancio delle somme destinate al pagamento dei creditori, né la prestazione di garanzie da parte di terzi (Mangione, 444). Il momento di consumazione del reato deve individuarsi in quello in cui si verifica l'evento di danno, che può consistere anche in un parziale inadempimento dei debiti a favore di uno solo dei creditori. Il tentativo e la desistenza attiva si ritengono configurabili nella fattispecie, laddove meno pacifica è l'ammissibilità del recesso attivo. Ed invero, l'esistenza di una causa di estinzione del reato prevista dallo stesso art. 2633 c.c., operante in caso di risarcimento del danno, crea un'aporia rispetto all'applicazione della disciplina del recesso attivo. L'aver impedito la verificazione del danno patrimoniale implicherebbe, infatti, solo un'attenuazione della pena (Riverditi, 338). L'elemento soggettivoL'elemento soggettivo del delitto in commento consiste nel dolo generico ossia nella coscienza e volontà da parte dei liquidatori degli atti di ripartizione effettuati in favore dei soci nella consapevolezza di danneggiare i creditori (Torre, 224), l'evento di danno ed il relativo nesso causale. La struttura della norma deve ritenersi compatibile anche con il dolo eventuale, e quindi con la mera accettazione del rischio che dalla condotta si produca l'evento del danno. Ai fini del corretto inquadramento dell'elemento soggettivo caratterizzante il delitto in esame, occorre dare atto della sovrapposizione del reato in commento con la norma di cui all'art. 2491, comma 2, c.c. Ed invero, la disposizione da ultimo citata consente ai liquidatori di ripartire tra i soci «acconti sul risultato della liquidazione», dunque, prima del pagamento integrale dei creditori o dell'accantonamento delle somme necessarie a soddisfarli; ciò però, sempreché dai bilanci risulti che la ripartizione non incida sulla disponibilità di somme idonee alla integrale e tempestiva soddisfazione dei creditori sociali. Orbene, alla luce dell'intreccio tra la fattispecie civilistica e quella penale, è stato correttamente evidenziato come risulti problematico individuare il confine fra l'effettiva configurazione di un errore sulla norma extrapenale – che si tradurrebbe in un errore sul fatto ex art. 47, comma 3, c.p. – e l'errore sulla disciplina civilistica che, riflettendosi sul contenuto precettivo, sarebbe inescusabile – in applicazione dell'art. 5 c.p. – salvo che non si dimostri inevitabile (Torre, 224). Causa di estinzioneIl secondo comma dell'art. 2633 c.c. contempla una speciale causa estintiva fondata sull'avvenuto risarcimento del danno prima del giudizio. L'introduzione di tale causa estintiva rappresenta l'ulteriore dimostrazione del carattere spiccatamente privatistico della tutela accordata con la norma de qua, che vale anche a differenziarla dal suo antecedente normativo costituito dal previgente art. 2625 c.c. Una simile scelta si giustifica con il venir meno dell'interesse pubblico al perseguimento incondizionato dei fatti di reato, che trova ulteriore avallo nella previsione della procedibilità a querela da parte della persona offesa. Inoltre, poiché la norma non fa alcun riferimento alla necessità che l'autore dell'atto risarcitorio debba necessariamente coincidere con l'autore del reato, si ritiene che il risarcimento possa provenire anche da un soggetto terzo, o dal socio che ne abbia indebitamente beneficiato. Il chiaro riferimento al risarcimento «prima del giudizio» implica che esso deve avvenire prima della chiusura delle formalità di apertura del dibattimento (Antolisei, 266), deve essere integrale (ossia deve comprendere anche i danni da rivalutazione e gli interessi, nonché i danni morali) ed a favore di tutti i creditori danneggiati. BibliografiaAntolisei, Manuale di diritto penale, leggi complementari, I, Reati ed illeciti amministrativi in materia societaria, finanziaria e bancaria, Milano, 2013; Mangione, L'indebita ripartizione dei beni sociali da parte dei liquidatori, in I nuovi reati societari: diritto e processo, a cura di Giarda, Seminara, Padova, 2002; Mucciarelli, La tutela penale del capitale sociale e delle riserve obbligatorie per legge, in Il nuovo diritto penale delle società, a cura di Alessandri, Milano, 2002; Musco, I nuovi reati societari, Milano, 2007; Riverditi, Sub art. 2633 c.c., in Reati societari, a cura di Rossi, Torino, 2005; Sciumbata, I reati societari, in La riforma del diritto societario, a cura di Lo Cascio, Milano, 2008; Torre, L'art. 2633 c.c.: La lesione del diritto di prelazione dei creditori nella ripartizione dei beni sociali durante la fase liquidatoria, in Aa.Vv., Diritto penale dell'economia, a cura di Cadoppi, Canestrari, Manna, Papa, Milano, 2017; Vaciago, Indebita ripartizione dei beni sociali da parte dei liquidatori, in Diritto penale delle società, Accertamento delle responsabilità individuali e processo alla persona giuridica, a cura di Canzio, Cerqua, Luparia, Milano, 2016. 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