L'espropriazione dei beni indivisi: casistica

Paolo Fraulini
14 Novembre 2018

La fattispecie in esame si presenta ogniqualvolta l'esecuzione forzata colpisca uno o più beni indivisi, ossia beni che appartengono al debitore soltanto pro quota.
Inquadramento

La fattispecie in esame si presenta ogniqualvolta l'esecuzione forzata colpisca uno o più beni indivisi, ossia beni che appartengono al debitore soltanto pro quota.

La peculiarità consiste nella circostanza che la legittimazione all'esecuzione forzata coinvolge soggetti non debitori.

Ne deriva una sovrapposizione della disciplina dell'esecuzione forzata con quella dello scioglimento della comunione.

Gli effetti di tale concorso di norme si rinvengono sia sul piano sostanziale che su quello processuale.

Casistica

In generale va ricordato che il giudizio con cui si procede alla divisione su istanza di uno dei comproprietari non esecutato (cd. divisione endoesecutiva), pur costituendo una parentesi di cognizione nell'ambito del procedimento esecutivo, dal quale rimane soggettivamente ed oggettivamente distinto, tanto da non poterne essere considerato né una continuazione né una fase, è, tuttavia, ad esso funzionalmente correlato.

Tale collegamento funzionale ha come detto alcune conseguenze sia sostanziali, cioè connesse alla natura e alla tipologia dei beni suscettibili di pignoramento, sia processuali, in relazione ai rimedi esperibili avverso i singoli provvedimenti giudiziali presi nel corso del processo.

A livello sostanziale va ricordato che il giudizio di divisione dei beni pignorati non può essere iniziato e, se iniziato, non può proseguire ove venga meno in capo all'attore la qualità di creditore e, con essa, la legittimazione e l'interesse ad agire, a meno che a tale deficienza – originaria o sopravvenuta – non si rimedi con una valida domanda di scioglimento della comunione formulata dal debitore convenuto, da altro creditore munito di titolo esecutivo, o, ancora, da alcuno dei litisconsorti necessari indicati nell'art. 1113, comma 3, c.c. (Cass. civ., 20 febbraio 2003, n. 2624). Questo perché la regola generale del processo esecutivo (art. 474 c.p.c.) secondo cui è necessario che durante l'intera procedura esista un titolo esecutivo (il ché spiega la ragione della legittimazione dei creditori intervenuti con autonomo titolo) soffre nel giudizio di divisione endoesecutiva un'eccezione, logicamente correlata alla sovrapposizione della disciplina della divisione, per cui il processo prosegue anche in mancanza di un titolo esecutivo ove sia stata formulata domanda di divisione ad opera di un partecipante alla comunione sul bene oggetto di espropriazione.

Sempre a livello sostanziale, vanno rammentati alcuni principi fondamentali di disciplina: a) è possibile l'espropriazione forzata dell'intera quota dei beni compresi in una comunione spettante ad un compartecipe; ma se nella comunione esistono beni di diversa natura, occorre che siano oggetto di pignoramento beni indivisi di una singola specie (immobili, mobili o crediti), non potendo ammettersi la confusione tra beni aventi diversa natura e diversa disciplina in sede di divisione e separazione in natura; b) iniziata l'espropriazione, il giudice dell'esecuzione può disporre la separazione in natura della quota spettante al debitore esecutato, se questa è possibile, o, in caso contrario, ordinare che si proceda alla divisione, oppure disporre la vendita della quota indivisa; c) non è ammissibile l'espropriazione forzata della quota di un singolo bene indiviso, quando la massa in comune comprenda più beni della stessa specie, perché, potendo, in sede di divisione, venire assegnato al debitore una parte di un altro bene facente parte della massa, il pignoramento potrebbe non conseguire i suoi effetti, per inesistenza nel patrimonio del debitore, dell'oggetto dell'esecuzione (Cass. civ., 19 marzo 2013, n. 6809)

A livello processuale occorre identificare con attenzione la natura del provvedimento da impugnare, dovendo distinguersi tra provvedimenti autenticamente esecutivi, oggetto dei rimedi tradizionali previsti dagli artt. 615, 617 e 619 c.p.c.), da quelli aventi invece esclusiva efficacia divisoria, oggetto invece di impugnazione secondo le previsioni della relativa disciplina.

Così gli atti del giudice relativi al procedimento di vendita sono soggetti al rimedio dell'opposizione agli atti esecutivi di cui agli artt. 617 e 618 c.p.c., dovendo escludersi l'esperibilità di un'autonoma azione di nullità avverso il decreto di trasferimento conclusivo del procedimento di vendita. Invero, la finalità del procedimento di vendita dei beni immobili non è diversa nel giudizio divisorio o nel procedimento esecutivo e l'esplicito rinvio, contenuto nell'art. 788 c.p.c., a norme del processo esecutivo, sono la manifestazione di un richiamo ad esse che va inteso come sistematico; sicché non avrebbe senso scandire il procedimento di vendita con i passi del processo esecutivo e sovrapporgli un apparato rimediale del tutto diverso, privo di quell'efficacia e di quella celerità che deriva sia dalla tipologia delle opposizioni, sia dal meccanismo della sanatoria processuale (Cass. civ., Sez.Un., 29 luglio 2013, n. 18185).

Inoltre, l'ordinanza adottata ai sensi dell'art. 600 c.p.c., con la quale il giudice dell'esecuzione dispone la vendita della quota indivisa spettante al debitore esecutato – avendo natura di provvedimento esecutivo volto ad assicurare un ordinato svolgimento della procedura in vista del soddisfacimento coattivo dei diritti del creditore procedente – è revocabile dallo stesso giudice che l'ha adottata ed è impugnabile con opposizione agli atti esecutivi, ma non è ricorribile per cassazione ex art. 111 Cost.. Infatti, qualora durante il procedimento di divisione il giudice istruttore disponga, ai sensi dell'art. 788 c.p.c., la vendita di beni immobili già oggetto di pignoramento, la circostanza per cui il giudizio divisorio si collega funzionalmente al procedimento esecutivo non rende per questo applicabili, almeno nella fase anteriore alle operazioni di vendita, i rimedi propri del processo esecutivo, ma sempre e solo quelli del giudizio di divisione; ne consegue che il provvedimento sopra menzionato emesso dal giudice istruttore è soggetto al regime di impugnazione del processo di cognizione, per cui, se di carattere meramente ordinatorio, è revocabile o modificabile con la sentenza di merito e, se risolutivo di controversie nel frattempo insorte, direttamente appellabile, ma insuscettibile di opposizione agli atti esecutivi (Cass. civ., 24 febbraio 2011, n. 4499).

Qualora le operazioni di divisione siano curate dal notaio, si rammenti che avverso i relativi atti è inammissibile il reclamo ex art. 591-ter c.p.c. atteso che, ai sensi dell'art. 790 c.p.c., tutte le contestazioni devono essere sottoposte al giudice istruttore mediante trasmissione del relativo verbale per essere decise con ordinanza, avverso la quale è esperibile opposizione agli atti esecutivi (Cass. civ., 29 dicembre 2016, n. 27346).

In tema di espropriazione per pubblica utilità, di frequente accadimento nella pratica, va rammentato che allorché si proceda all'espropriazione di un bene indiviso, l'opposizione alla stima dell'indennità effettuata in sede amministrativa dal singolo comproprietario estende i suoi effetti anche agli altri comproprietari, con la conseguenza che il giudice deve determinare l'indennità in rapporto al bene considerato nel suo complesso ed unità, e non alle singole quote spettanti ai compartecipi (Cass. civ., 29 dicembre 2017, n. 31177); in tale eventualità va disposto il deposito dell'intera indennità (o della differenza fra quest'ultima e quella che già sia stata eventualmente depositata), salvo che vi siano posizioni di comproprietari già definite (nella specie, mediante cessione volontaria), dovendosi ritenere, in tale evenienza, irragionevole e non giustificato il deposito dell'intera somma (Cass. civ., 5 giugno 2014, n. 12700).

Si rammenti infine che la separazione della quota in natura spettante al debitore esecutato è consentita, ai sensi degli artt. 599, 600 e 601 c.p.c., solo se i comproprietari dei beni indivisi, non siano tutti condebitori solidali del creditore procedente, sicché la separazione va esclusa quando, intrapresa l'espropriazione dell'immobile appartenente "pro indiviso" a due coobbligati, uno di essi sia dichiarato fallito e nel procedimento esecutivo contro costui sia subentrato, ex art. 107 l. fall., il curatore del fallimento (Cass. civ., 17 ottobre 2014, n. 22043).

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