Estinzione del processo
18 Gennaio 2016
Inquadramento
Il termine estinzione del processo indica la fine prematura del procedimento, che non riesce ad arrivare alla sua conclusione naturale ovvero alla decisione del giudice che definisce la controversia, pronunciando sul merito della causa. In ambito tributario, il D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 prevede le seguenti fattispecie di estinzione:
Le norme tributarie si applicano ai giudizi innanzi alle Commissioni Tributarie Provinciali e Regionali, mentre l'estinzione del processo innanzi alla Cassazione, anche in materia tributaria, è disciplinato dagli artt. 390 e ss. c.p.c. (in virtù del rinvio operato dall'art. 62, co. 2, D.Lgs. n. 546/1992). Rinuncia al ricorso
Ai sensi dell'art. 44, co. 1, D.Lgs. 546/92, “Il processo si estingue per rinuncia al ricorso”.
Natura e procedimento La fattispecie in commento rappresenta la rinuncia agli atti del giudizio, ossia al ricorso introduttivo e a tutti gli atti processuali successivi compiuti fino a tale evento estintivo. La dichiarazione di rinuncia deve essere:
Nel silenzio della legge, si discute se la rinuncia e la correlata accettazione possano essere effettuate anche nella forma della dichiarazione orale resa nel corso della pubblica udienza (come previsto espressamente nel processo civile ex art. 306, co. 2, c.p.c.), debitamente trascritta nel relativo processo verbale e sottoscritta dal dichiarante e dal suo difensore (in tal senso la dottrina prevalente: RUSSO P., Manuale di diritto tributario - Il processo tributario, Milano, 2013; TESAURO F., Manuale del processo tributario, Torino, 2014; MANDRIOLI C., Diritto processuale civile, Torino, 2015). Secondo l'Amministrazione finanziaria invece tale forma non è ammissibile (Ministero dell'Economia e delle Finanze, Circolare 23 aprile 1996, n. 98/E); diversamente la Cassazione, secondo la quale “una dichiarazione resa in udienza, alla presenza del segretario e del Collegio, integra gli estremi del verbale-atto pubblico, fidefacente (…), pertanto la sostituzione della forma scritta con la dichiarazione a verbale in corso di udienza è da considerarsi ammissibile” (Cass. 15.03.2004, n. 5270; nello stesso senso, Cass. n. 305/2006 e n. 3519/2010).
La dichiarazione di rinuncia non deve essere notificata, ma va depositata presso la Segreteria della Commissione adita entro la data di trattazione della causa.
La rinuncia produce effetto solo ove accettata dalle altre parti costituite che hanno “effettivo interesse alla prosecuzione del processo”: secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, siffatto interesse sussiste solamente quando la controparte ha proposto una domanda di merito, il cui accoglimento gli procurerebbe un vantaggio maggiore rispetto all'estinzione del giudizio; viceversa, se la controparte ha sollevato un'eccezione di rito, ancorché insieme alla domanda di merito, è escluso l'interesse alla prosecuzione del giudizio, in quanto le eccezioni di rito vanno esaminate prima di quelle di merito.
In caso di litisconsorzio necessario, tutte le parti intervenute devono manifestare concorde volontà in ordine alla cessazione della lite; diversamente, nell'ipotesi di litisconsorzio facoltativo, in virtù dell'autonomia dei diversi rapporti processuali, la rinuncia può essere effettuata anche solo da alcuni litisconsorti e, in tal caso, avrà effetto esclusivamente nei loro confronti (Circ. Min. n. 98/E/1996). Nell'ambito del processo tributario di primo grado, è da escludere in linea generale che l'ufficio resistente abbia interesse alla prosecuzione del giudizio, in quanto la rinuncia del ricorso introduttivo, di regola, rende definitivo l'atto impositivo impugnato; similmente, la rinuncia all'atto di appello da parte del contribuente produce il passaggio in giudicato della sentenza di merito appellata, pertanto, non avrebbe interesse alla prosecuzione del gravame l'ufficio che non l'ha impugnata, salvo che abbia proposto appello incidentale.
L'accettazione ha le stesse caratteristiche della rinuncia, pertanto va manifestata nelle stesse forme. L'estinzione del giudizio è dichiarata, previa verifica della regolarità della rinuncia e dell'accettazione, dal Presidente della sezione cui è assegnato il ricorso con decreto o dalla Commissione con sentenza, a seconda che la rinuncia intervenga, rispettivamente, prima o dopo la fissazione dell'udienza di discussione. Il provvedimento, presidenziale o collegiale, ha natura meramente dichiarativa in quanto l'effetto estintivo si produce automaticamente in virtù dell'accordo fra rinunciante e accettante. Tale pronuncia può essere contestata dalla parte che la ritenga infondata: avverso il decreto presidenziale è ammesso reclamo alla Commissione (ai sensi dell'art. 28, D.Lgs. n. 546/92), mentre la sentenza collegiale è soggetta ai normali mezzi di gravame.
Effetti L'estinzione per rinuncia al ricorso incide solo sul processo in corso, nella fase in cui lo stesso si trova, ossia determina l'inefficacia degli atti processuali compiuti fino al perfezionarsi della fattispecie estintiva (eventuali atti processuali compiuti dopo l'evento estintivo e fino alla pronuncia di estinzione sono ritenuti nulli) ma non priva di validità eventuali sentenze di merito già rese, nonché, entro certi limiti, quelle sulla competenza e sulla giurisdizione. In proposito, secondo l'orientamento prevalente, si applica anche al processo tributario l'art. 310, co. 2, c.p.c., secondo il quale “L'estinzione rende inefficaci gli atti compiuti, ma non le sentenze di merito pronunciate nel corso del processo e le pronunce che regolano la competenza”.
Nello specifico:
Secondo la Cassazione (sez. I, 25 luglio 2008, n. 20480), per il combinato disposto degli artt. 2943 e 2945 c.c., la notificazione dell'atto introduttivo del giudizio interrompe la prescrizione del diritto sostanziale in contesa, e tale interruzione perdura fino al passaggio in giudicato della sentenza che definisce il processo: se però il processo si estingue, l'estinzione elimina tale effetto interruttivo permanente della prescrizione, salvo quello interruttivo istantaneo, prodotto dalla domanda giudiziale come atto di costituzione in mora. Parimenti, se il processo si estingue viene meno anche l'effetto del relativo ricorso introduttivo a c.d. impedimento della decadenza (Cass. civ., sez. I, 14 aprile 1994, n. 3505).
Regime delle spese Ai sensi dell'attuale comma 2, dell'art. 44 del D.Lgs. n. 546/1992, il soggetto che rinuncia “deve rimborsare le spese alle altri parti, salvo diverso accordo tra loro” e, alla relativa liquidazione, provvede il Presidente della sezione o la Commissione con ordinanza non impugnabile.
L'art. 9, comma 1, lett. p), del D.Lgs. n. 156/2015 ha novellato il comma 2, secondo periodo, dell'art. 44 sopra esposto, eliminando le parole: “che costituisce titolo esecutivo”.
In altri termini, dal 1° gennaio 2016 (i.e., data di entrata in vigore del D.Lgs. n. 156/2015), l'unico strumento esecutivo a favore del contribuente utilizzabile sarà il giudizio di ottemperanza, anche per il ristoro delle spese legali; diversamente, per le spese liquidate in favore dell'Amministrazione finanziaria è prevista l'iscrizione a ruolo a titolo definitivo dopo il passaggio in giudicato della sentenza.
Contro detta ordinanza (non impugnabile), tuttavia, è ammesso ricorso straordinario per cassazione a norma dell'art. 111 Cost., avendo tale provvedimento contenuto decisorio e carattere di definitività (Cass. civ., sez. III, 17 ottobre 1992, n. 11407 e 13 giugno 1992, n. 7254. Nello stesso senso, Circ. Min. n. 98/E/1996 cit.).
In caso di rinuncia il giudice adito pronuncerà dunque due distinti provvedimenti: uno (decreto o sentenza) che dichiara l'estinzione del processo; l'altro (ordinanza) che liquida le spese processuali a carico della parte rinunciante. Tale articolata procedura è stata largamente criticata in dottrina, evidenziando che, ogni volta che la pronuncia di estinzione venga impugnata e annullata, si pone il problema della sorte della pronuncia sulle spese: in tali ipotesi, secondo l'opinione prevalente, la sentenza di annullamento della pronuncia di estinzione travolge anche l'ordinanza di condanna alle spese (DELLA VALLE E., FICARI V., MARINI G., Il processo tributario, Padova 2008).
Ai sensi dell'art. 45, co.1, D.Lgs. n. 546/92, “Il processo si estingue nei casi in cui le parti alle quali spetta di proseguire, riassumere o integrare il giudizio non vi abbiano provveduto entro il termine perentorio stabilito dalla legge o dal giudice che dalla legge sia autorizzato a fissarlo”.
Natura e procedimento Ai sensi della norma tributaria, il processo si estingue nelle ipotesi tassativamente previste dalla legge, nelle quali le parti sono onerate del compimento di atti necessari alla prosecuzione del processo, entro un termine perentorio, e rimangono inerti. In particolare, si fa riferimento alle fattispecie contemplate dallo stesso D.Lgs. n. 546/92:
Come nel processo civile, l'estinzione opera automaticamente al perfezionarsi della fattispecie estintiva ma deve essere appurata e dichiarata dal Presidente della sezione con decreto o dalla Commissione con sentenza, a seconda che la stessa intervenga, rispettivamente, prima o dopo la fissazione dell'udienza di discussione (il provvedimento, presidenziale o collegiale, pertanto ha natura meramente dichiarativa). Secondo l'espressa previsione del co. 3 dell'art. 45, l'estinzione può essere “rilevata anche d'ufficio” ma“solo nel grado di giudizio in cui si verifica”: non è necessaria, dunque, un'apposita eccezione di parte, in quanto anche il giudice può, di sua iniziativa, appurare il comportamento inerte delle parti e dichiarare, di conseguenza, l'estinzione del processo. Secondo consolidata dottrina, il limite del grado del giudizio in cui si è verificato l'evento estintivo è operante anche per le parti, le quali pertanto non possono proporre l'eccezione di estinzione nella successiva fase di merito: in mancanza della relativa eccezione durante il primo grado, se il processo continua in quanto l'estinzione non è stata rilevata dal giudice, la sentenza che decide il merito (senza dichiarare l'estinzione) non può essere impugnata per tale ragione; viceversa, ove l'estinzione sia stata eccepita dalla parte interessata ma non riconosciuta dal giudice di prime cure, tale vizio della pronuncia può essere denunciato in sede di gravame: se il giudice dell'appello riconosce il verificarsi della fattispecie estintiva (nel grado precedente) annulla la sentenza appellata e dichiara l'estinzione del processo, con effetto dal primo grado di giudizio. L'estinzione per inattività delle parti determina effetti diversi a seconda della fase processuale in cui viene dichiarata:
Infine, l'estinzione in commento non elimina l'effetto interruttivo della prescrizione del diritto fatto valere in giudizio (ai sensi dell'art. 2945, co. 3, c.c.), mentre viene meno quello c.d. impeditivo della decadenza.
Regime delle spese Le spese del processo estinto per inattività delle parti restano a carico delle parti che le hanno anticipate, derogando, pertanto, al criterio della soccombenza; tuttavia, qualora la pronuncia di estinzione venga impugnata da una delle parti, la sentenza che definisce tale giudizio liquiderà le relative spese processuali secondo il criterio della soccombenza. Cessazione della materia del contendere
Ai sensi dell'art. 46, co. 1, D.Lgs. n. 546/92, “Il giudizio si estingue, in tutto o in parte, nei casi di definizione delle pendenze tributarie previsti dalla legge e in ogni altro caso di cessazione della materia del contendere”.
Natura e procedimento La norma tributaria contempla le ipotesi in cui il processo si estingue a seguito del verificarsi di un fatto o un evento che fa venir meno la lite sostanziale tra le parti. In proposito, è opportuno distinguere tra:
In particolare, sono qualificabili in termini di “cessazione della materia del contendere” tutte le fattispecie in grado di determinare la definizione dell'oggetto del processo tributario (è tale anche l'adempimento spontaneo della pretesa dell'Amministrazione finanziaria da parte del contribuente, a prescindere da una formale rinuncia al ricorso). In tale ambito, l'ipotesi più rilevante è l'annullamento dell'atto impositivo impugnato in via di autotutela, da parte dello stesso ufficio che lo ha emanato: si avrà cessazione della materia del contendere quando l'autotutela è stata determinata dall'accoglimento di uno dei motivi proposti nel ricorso introduttivo a pena di nullità/annullamento dell'atto impugnato (Cass. civ., sez. trib., 21 settembre 2010, n. 19947; in particolare si ritiene che in tali ipotesi la cessazione della materia del contendere sia rilevabile d'ufficio in ogni stato e grado del processo - Cass. civ., sez. trib., 2 luglio 2008, n. 18054 e 13 gennaio 2006, n. 634).
In proposito, tuttavia, ancora non vi è unanimità di vedute:
Anche secondo autorevole dottrina l'estinzione del processo non sarebbe condizionata alla integrale soddisfazione delle pretese sostanziali del contribuente, essendo sufficiente la mera rimozione del provvedimento impugnato (cfr. BASILAVECCHIA M., Gli effetti processuali della reiterazione dell'accertamento, in Riv. dir. trib., I, 1995, 174 ss.).
L'estinzione opera automaticamente al perfezionarsi della fattispecie estintiva, ma deve essere dichiarata - ai sensi dell'attuale comma 2 dell'art. 46 in commento - “salvo quanto diversamente disposto da singole norme di legge”, dal Presidente della sezione con decreto o dalla Commissione con sentenza, a seconda che intervenga, rispettivamente, prima o dopo la fissazione dell'udienza di discussione.
L'art. 9, comma 1, lett. q), n. 1), del D.Lgs. n. 156/2015 ha novellato il comma 2 dell'art. 44 sopra esposto, eliminando le parole: “salvo quanto diversamente disposto da singole norme di legge”. In altri termini, la riforma ex D.Lgs. n. 156/2015 ha previsto che, dal 1° gennaio 2016, l'estinzione del giudizio potrà essere dichiarata solo con sentenza o con decreto presidenziale, sopprimendo il riferimento ad altre leggi speciali, le quali avrebbero potuto disporre diversamente.
Il decreto presidenziale è reclamabile innanzi alla Commissione ai sensi dell'art. 28, D.Lgs. n. 546/92, mentre la sentenza collegiale è censurabile con gli ordinari mezzi di impugnazione, compreso il ricorso per Cassazione (in termini di “error in procedendo”). In particolare, se l'estinzione doveva essere dichiarata in primo grado, ricorrendone i presupposti, provvederà il giudice del gravame; viceversa, se l'estinzione è stata erroneamente pronunciata dal Collegio di prime cure, il giudice di appello annullerà la sentenza appellata e rimetterà la causa al giudice di primo grado, ai sensi dell'art. 59, co. 1, D.Lgs. n. 546/92.
La cessazione della materia del contendere è rilevabile d'ufficio, purché il fatto che la determina risulti dagli atti del giudizio o vi sia concorde dichiarazione in tal senso delle parti (Cass. civ., sez. I, 30 maggio 2003, 8822; ancora 10 febbraio 2003, n. 1950).
Effetti Si ritiene che la pronuncia di estinzione per cessata materia del contendere rappresenti il mero riflesso processuale del venir meno della ragione sostanziale del processo: accerta il sopravvenuto venir meno dell'interesse alla situazione giuridica sostanziale dedotta in giudizio e attesta, appunto, la cessata materia del contendere. Si discute se tale pronuncia abbia carattere di mero rito oppure se incida anche sul merito della pretesa:
Sotto certi profili, anche la giurisprudenza conferma l'orientamento della dottrina prevalente laddove sostiene che la pronuncia di estinzione per cessata materia del contendere comporti la caducazione, oltre che degli atti processuali compiuti, anche di tutte le sentenze (comprese quelle sul merito) rese nel corso del processo, avendo scaturigine dall'annullamento ab origine della pretesa sostanziale controversa (Cass. civ., sez. trib., 8 luglio 2998, n. 18640). In particolare, la cessazione della materia del contendere:
Regime delle spese Secondo l'attuale previsione del comma 3 dell'art. 46, cit. “Le spese del giudizio estinto a norma del comma 1 restano a carico della parte che le ha anticipate, salvo diverse disposizioni di legge”, a differenza del processo civile, nel quale seguono la regola della soccombenza.
Riferimenti
Normativi D. Lgs. 24 settembre 2015, n. 156 Artt. 44-46, D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 Art. 390 ss. c.p.c.
Prassi Ministero dell'Economia e delle Finanze, Circolare 23 aprile 1996, n. 98/E
Giurisprudenza Cass. civ., sez. trib., 15 gennaio 2015, n. 569 Cass. civ., 18 giugno 2014, n. 13808 Cass. civ., sez. trib., 26 marzo 2010, n. 7335 Cass. civ., sez. trib., 3 febbraio 2010, n. 2424 Cass. civ., sez. I, 3 marzo 2006, n. 4714 Cass. civ., sez. trib., 15 marzo 2004, n. 5270
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