Il d.lgs. 123/2018: come cambiano le procedure di sorveglianza

Fabio Fiorentin
16 Novembre 2018

Il d.lgs. 123/2018 introduce alcune disposizioni volte a razionalizzare le procedure di sorveglianza. In materia di controlli sulla corrispondenza, l'art. 18-ter, comma 3, ord. penit., è modificato nel senso di prevedere la competenza della magistratura di sorveglianza con riferimento ai soggetti condannati a titolo definitivo e agli internati
Abstract

La complessiva riforma del sistema penitenziario tocca la disciplina dell'esecuzione penale nei confronti dei minorenni (d.lgs. 121/2018, v. TRIBISONNA, Esecuzione delle pene nei confronti dei condannati minorenni. Le novità normative del d.lgs. 121/2018), la materia del lavoro penitenziario e di alcuni aspetti della vita detentiva (d.lgs. 124/2018, v. MANCA, Lavoro penitenziario. Le nuove disposizioni varate dal Governo) e la riforma dell'esecuzione penale nei confronti dei condannati adulti, portato dal d.lgs. 123/18. Di quest'ultimo intervento si sono già analizzati i profili afferenti alle procedure di sorveglianza (V. FIORENTIN, La riforma dell'ordinamento penitenziario e il nuovo art. 678 c.p.p. per la definizione agevolata dei procedimenti); l'analisi prosegue ora con riguardo ad alcune delle ulteriori novità in materia procedurale portate dal d.lgs. 123/2018 all'ordinamento penitenziario.

La razionalizzazione delle procedure

Il d.lgs.. 123/2018 introduce alcune disposizioni volte a razionalizzare le procedure di sorveglianza. In materia di controlli sulla corrispondenza, l'art. 18-ter, comma 3, ord. penit., è modificato nel senso di prevedere la competenza della magistratura di sorveglianza con riferimento ai soggetti condannati a titolo definitivo e agli internati, laddove il giudice individuato ai sensi dell'art. 279 c.p.p. è investito con riguardo alle procedure riguardanti i soggetti imputati detenuti in forza di titolo cautelare. Si rileva che il nuovo assetto delle non tocca la fase dell'eventuale impugnazione avverso il decreto emesso ai sensi dell'art. 18-ter, ord. penit. In altri termini, la procedura di reclamo resta inalterata anche con riguardo al profilo della competenza del giudice di secondo grado (art. 18-ter, comma 6, ord. penit.), con l'effetto di assegnare le impugnazioni contro i decreti emessi dal giudice di secondo grado (es. presidente del collegio di appello) al tribunale di primo grado, che assume, pertanto, la connotazione di un giudice specializzato ratione materiae. In tema di permessi ordinari (art. 30 ord. penit.) la competenza si allinea a quanto dispone l'art. 11 della medesima legge. L'eventuale impugnazione del decreto emesso in primo grado è regolata dai commi 3 e 4 dell'art. 30-bis ord. penit.

Con riguardo alla procedura di reclamo giurisdizionale (art. 35-bis ord. penit.), la procedura è modificata con riferimento alla fase introduttiva dell'attuale procedimento e di partecipazione all'udienza davanti al giudice di sorveglianza, relativamente alla posizione dell'Amministrazione interessata, controparte del detenuto o internato. In forza della modifica operata dal d.lgs. 123/2018, il procedimento assume una fisionomia peculiare, con tratti differenziali rispetto al modello del procedimento camerale di cui all'art. 666 c.p.p. Viene, infatti, stabilito che l'avviso di udienza deve essere comunicato, oltre che al soggetto che ha proposto il reclamo, anche all'amministrazione interessata unitamente all'atto di reclamo. Tale adempimento è funzionale alla possibilità, per l'Amministrazione resistente, di interloquire direttamente con il giudice e le altre parti, facendosi rappresentare in giudizio da un proprio dipendente, in alternativa alla possibilità di trasmettere osservazioni o richieste. In tal modo è assicurata la facoltà, per l'Amministrazione, di prendere posizione su tutti i profili di doglianza veicolati dal detenuto reclamante. La modifica recepisce il portato della giurisprudenza più recente, che ha affermato il principio per cui la convocazione non deve essere indirizzata all'Avvocatura dello Stato, che resta un soggetto meramente eventuale del giudizio per reclamo giurisdizionale (Cass. pen., Sez. unite, 21 dicembre 2017, n.3775, Tuttolomondo; Cass. pen., 24 febbraio 2017, n.30359). Si tratta di una soluzione, ora codificata dal novellato dettato normativo, che appare in linea con l'esigenza di semplificazione delle procedure e di alleggerimento del gravoso contenzioso che attualmente pesa sull'Avvocatura dello Stato. Si pone la questione se anche l'eventuale ricorso per cassazione avverso la decisione assunta nel secondo grado di merito possa essere proposto dall'Amministrazione senza il patrocinio dell'Avvocatura dello Stato. Si osserva, al proposito, che la nuova dizione dell'art. 613, comma 1, c.p.p., stabilisce che «L'atto di ricorso, le memorie e i motivi nuovi devono essere sottoscritti, a pena di inammissibilità, da difensori iscritti nell'albo speciale della corte di cassazione. Davanti alla corte medesima le parti sono rappresentate dai difensori» del che parrebbe che nel giudizio di legittimità anche l'Amministrazione non possa stare in giudizio senza il patrocinio legale. D'altra parte, le Sezioni unite Tuttolomondo hanno espressamente stabilito che la natura istituzionale dell'intervento dell'Amministrazione nel procedimento ex artt. 35-bis e 35-ter, ord. penit., esclude l'applicabilità nella fase di merito delle disposizioni di cui agli artt. 100 e 573 c.p.p. Il fatto che le Sezioni Unite precisino espressamente che la possibilità per l'Amministrazione di stare in giudizio senza il patrocinio dell'Avvocatura erariale sia limitato alla fase di merito e la circostanza della sopravvenuta novella dell'art. 613 c.p.p., che introduce una disposizione di carattere generale particolarmente stringente poiché la sua inosservanza è sanzionata con l'inammissibilità del ricorso, induce a ritenere che, nel giudizio di legittimità, anche l'Amministrazione penitenziaria sia tenuta a interloquire mediante il patrocinio di un difensore tecnico. Si rileva, infine, che la modifica introdotta con la riforma, pur riferita formalmente alla disciplina dell'art. 35-bis, ord. penit., dunque al reclamo giurisdizionale, si riflette altresì – con analoghi effetti – sul versante del reclamo risarcitorio di cui all'art. 35-ter, ord. penit., che il diritto vivente ritiene assoggettato alle medesime scansioni procedurali del primo, con la conseguenza che anche in rapporto ai ricorsi per ottenere l'indennizzo previsto per la violazione dell'art. 3 Cedu si applicheranno le medesime novità introdotte dalla riforma.

In tema di liberazione anticipata, il d.lgs. 123/2018 interviene sulla disposizione dell'art. 69-bis, ord. penit., in tema di procedimento in materia di liberazione anticipata, con una previsione ablatoria, che sopprime ilcomma 5 della norma incisa. Si rileva che la modifica in esame importa ricadute sulla disciplina dell'esecuzione della pena presso il domicilio di cui alla l. 199/2010, nel senso che le eventuali istanze di applicazione della esecuzione domiciliare presentate nel corso del procedimento davanti al tribunale di sorveglianza non potranno più essere consentite, venuto meno il riferimento formale rappresentato dalla disposizione abrogata.

Il procedimento introduttivo della fase di esecuzione penale (art. 656 c.p.p.) è toccato marginalmente con un unico ritocco procedurale, peraltro privo di rilevanza pratica non essendo, tale spazio temporale, calibrato sulle tempistiche reali delle indagini di competenza dell'Uepe e non essendo accompagnato da alcuna sanzione processuale. La modifica introduce, infatti, un termine dilatorio di trenta giorni per la decisione del tribunale di sorveglianza, al fine di consentire all'Uepe la predisposizione della relazione sull'osservazione della personalità anche con riguardo ai condannati “liberi sospesi” (art. 656, comma 5, c.p.p.). Si rammenta che parte integrante della disciplina esecutiva è il dictum costituzionale (Corte cost., sent.6 febbraio 2018, n. 41), che ha dichiarato l'art. 656, comma 5, c.p.p. costituzionalmente illegittimo nella parte in cui si prevede che il pubblico ministero sospende l'esecuzione della pena detentiva, anche se costituente residuo di maggiore pena, non superiore a tre anni, anziché a quattro anni.

La modifica della disciplina in tema di affidamento in prova al servizio sociale

Strettamente collegata all'intervento sull'art. 656 c.p.p. è la modifica in materia di affidamento in prova al servizio sociale. Il d.lgs. 123/2018, interpolando l'art. 72, ord. penit., allinea, infatti, con l'obiettivo di implementare le fonti di conoscenza del tribunale di sorveglianza ai fini della concessione di tale misura, la disciplina dei profili istruttori del procedimento riguardante i condannati liberi a quella prevista già a legislazione vigente per i condannati detenuti (per i quali si acquisisce la “relazione di sintesi” recante i risultati dell'osservazione scientifica della personalità da compiersi ad opera del gruppo osservazione e trattamento dell'istituto penitenziario per «per almeno un mese»). Analoga relazione è ora richiesta anche per i “liberi sospesi”, nel termine di trenta giorni (che, alla luce delle attuali tempistiche degli Uepe, ben difficilmente potrà essere rispettato nella pratica). Restano apparentemente esclusi dall'operatività della modifica – che testualmente si riferisce soltanto ai condannati in stato di libertà – le posizioni dei soggetti agli arresti domiciliari al momento del passaggio in giudicato della sentenza di condanna (art. 656 comma 10 c.p.p.), per i quali verosimilmente il diritto vivente si orienterà analogamente al regime dei “liberi sospesi”. Per i condannati in semilibertà e in detenzione domiciliare che richiedano la misura dell'affidamento in prova al servizio sociale, invece, sarà richiesta, rispettivamente la relazione di sintesi e la relazione sociale integrata con l'osservazione della personalità da parte dell'Uepe.

. – La direttiva di delega introdotta dalla lett. c), comma 85, art. 1, l. 103/2017 prevede «che il procedimento di sorveglianza garantisca il diritto alla presenza dell'interessato e la pubblicità dell'udienza»,mentre il criterio di cui alla lett. i) stabilisce la«disciplina dell'utilizzo dei collegamenti audiovisivi sia a fini processuali, con modalità che garantiscano il rispetto del diritto di difesa […]». Il d.lgs. 123/2018 disciplina tanto la pubblicità dell'udienza quanto il diritto dell'interessato a presenziare alla medesima nell'ambito della riforma dell'art. 678 c.p.p., operando così la precisa scelta di dettare disposizioni speciali applicabili al (solo) procedimento di sorveglianza, senza toccare il disposto dell'art. 666 c.p.p., cioè la norma generale che modella il procedimento camerale. Si tratta di una scelta motivata dalla preoccupazione di evitare possibili disarmonie sul piano sistematico con riferimento al procedimento in camera di consiglio ex art. 666 c.p.p. seguìto in altri plessi estranei alle procedure di sorveglianza e porre l'intervento al riparo da un possibile rilievo di eccesso di delega (che si riferisce esclusivamente – lett. c) cit. – alla riforma al procedimento di sorveglianza). Così operando, tuttavia, si apre la faglia della probabile incostituzionalità sopravvenuta dell'art. 666 c.p.p. nella parte in cui non assicura altrettante garanzie al procedimento camerale nelle materie non afferenti alla sorveglianza (si pensi a quanto incide sulla libertà personale, a es. la decisione sull'applicazione della continuazione in sede esecutiva). La riforma stabilisce (nuovo comma 3.1. dell'art. 678 c.p.p.) che su richiesta dell'interessato l'udienza si svolge in forma pubblica, con l'osservanza, in quanto compatibili, delle disposizioni degli articoli 471 e 472 del medesimo c.p.p. Il bilanciamento tra il valore della pubblicità dell'udienza e le esigenze di riservatezza – ricorrenti nelle udienze davanti al giudice di sorveglianza per la delicatezza delle materie trattate - è risolto dal legislatore affidando la scelta alla parte (non al suo difensore), fermo il potere del giudice di governo dell'ordinato svolgersi dell'udienza camerale stante il richiamo all'art. 471 c.p.p.

Il secondo intervento riguarda la disciplina della presenza dell'interessato all'udienza, contenuta nel nuovo comma 3.2. dell'art. 678 c.p.p.,introdottoin attuazione del criterio di cui all'art. 1, comma 85, lett. c), in tema di garanzia del diritto alla presenza dell'interessato e della direttiva che la delega introduce con riguardo all'utilizzo dei collegamenti audiovisivi, sia intervenendo sugli articoli 146-bise 45-bis disp. att. c.p.p. (si vedano, rispettivamente, i commi 77 e 78 dell'art. 1, l. 103/2017), sia, con specifico riferimento all'esecuzione penitenziaria, prevedendo espressamente, nella lett. i) del medesimo art.1, comma 85, il ricorso ai collegamenti audiovisivi anche per fini processuali.

Si rammenta che il Consiglio dei Ministri, in data 24 luglio 2018, ha approvato in via definitiva il testo del decreto legge proroga termini (d.l. 25.07.2018, n. 91, c.d. “milleproroghe”). In forza di tale provvedimento l'entrata in vigore delle disposizioni in materia di videoconferenze per il rito camerale è stata prorogata al 15.02.19, fatta salva l'eccezione di cui al comma 81 dell'art. 1 della l. n. 103/17. È stata, altresì, sospesa fino al 15 febbraio 2019 l'efficacia delle disposizioni della l. 103/2017 in materia di dibattimento a distanza (art. 1, commi 77, 78, 79 e 80) «constatata la necessità di una revisione organizzativa e informatica di tutta la precedente architettura giudiziaria, con l'aumento dei livelli di sicurezza informatica, e di incrementare il numero di aule negli uffici giudiziari e di “salette” negli istituti di pena». La sospensione fa eccezione per le persone che si trovano in stato di detenzione per aver svolto un ruolo apicale in associazione con finalità di terrorismo anche internazionale o di eversione dell'ordine democratico (art. 270-bis, comma 1, c.p.), in associazioni di tipo mafioso anche straniere (art. 416-bis, comma 1, c.p.), ovvero associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope (art. 74, comma 1, d.P.R. n. 309/1990).

La novella prevede un'integrazione dell'avviso di fissazione dell'udienza, notificato all'interessato, che dovrà contenere, a pena di nullità (ex art. 178 lett. c) e 180 c.p.p.), l'avvertimento della facoltà di parteciparvi personalmente. Viene superata la previsione del vigente articolo 666, comma 4, c.p.p., in forza del quale il soggetto ristretto fuori della circoscrizione del giudice che procede, non potendo presenziare all'udienza, era sentito per rogatoria interna dal magistrato di sorveglianza competente sull'istituto di pena. Si trattava di un vero e proprio “simulacro di garanzia” che offriva all'interessato scarse opportunità di offrire al giudice procedente concreti elementi a propria difesa. Tale poco garantistica modalità resta, tuttavia, formalmente vigente con riguardo a tutti i procedimenti camerali non regolati dall'art. 678 c.p.p. e per i quali si applicano, invece, le disposizioni dell'art. 666 c.p.p. (si tratta, in sostanza, dei procedimenti di esecuzione avanti al G.E. (quali ad es., i procedimenti in materia di applicazione della continuazione in sede esecutiva ex art. 671 c.p.p.), in relazione ai quali potrebbe, dunque, porsi una questione di costituzionalità circa il differente livello di garanzie che l'ordinamento assicura nell'ambito delle due tipologie di procedimento camerale ora significativamente differenziate sotto tale importante aspetto.

Secondo le nuove regole, la partecipazione personale all'udienza di sorveglianza è assicurata, se l'interessato - ristretto in luogo compreso nella circoscrizione del giudice procedente - lo richiede e sempre che non ricorra una delle ipotesi dell'art. 146-bis disp. att. c.p.p., mediante la traduzione in aula. In alternativa, l'interessato può chiedere di partecipare mediante la videoconferenza. Nel caso di soggetto detenuto, se ricorrono i casi di cui all'art. 146-bis, cit., la partecipazione avviene comunque tramite videoconferenza. Se l'interessato formula richiesta di partecipazione all'udienza ma è ristretto in luogo non compreso nella circoscrizione del giudice procedente, la partecipazione avviene tramite videoconferenza.

È mantenuta, in tutti i casi, la previsione del potere del giudice che procede di ordinare la traduzione dinanzi a sé del soggetto, con previsione assai opportuna, considerata la peculiarità della valutazione affidata alla magistratura di sorveglianza, chiamata spesso a giudizi di natura personologica che possono rendere opportuno il contatto effettivo della persona con il giudice (soprattutto nel caso si tratti del tribunale di sorveglianza, collegio integrato dalla componente degli esperti, tra cui medici e psicologi).

La pubblicità dell'udienza e il diritto alla presenza dell'interessato

La direttiva di delega introdotta dalla lett. c), comma 85, art. 1, l. 103/2017 prevede «che il procedimento di sorveglianza garantisca il diritto alla presenza dell'interessato e la pubblicità dell'udienza»,mentre il criterio di cui alla lett. i) stabilisce la«disciplina dell'utilizzo dei collegamenti audiovisivi sia a fini processuali, con modalità che garantiscano il rispetto del diritto di difesa […]». Il d.lgs. 123/2018 disciplina tanto la pubblicità dell'udienza quanto il diritto dell'interessato a presenziare alla medesima nell'ambito della riforma dell'art. 678 c.p.p., operando così la precisa scelta di dettare disposizioni speciali applicabili al (solo) procedimento di sorveglianza, senza toccare il disposto dell'art. 666 c.p.p., cioè la norma generale che modella il procedimento camerale. Si tratta di una scelta motivata dalla preoccupazione di evitare possibili disarmonie sul piano sistematico con riferimento al procedimento in camera di consiglio ex art. 666 c.p.p. seguìto in altri plessi estranei alle procedure di sorveglianza e porre l'intervento al riparo da un possibile rilievo di eccesso di delega (che si riferisce esclusivamente – lett. c) cit. – alla riforma al procedimento di sorveglianza). Così operando, tuttavia, si apre la faglia della probabile incostituzionalità sopravvenuta dell'art. 666 c.p.p. nella parte in cui non assicura altrettante garanzie al procedimento camerale nelle materie non afferenti alla sorveglianza (si pensi a quanto incide sulla libertà personale, a es. la decisione sull'applicazione della continuazione in sede esecutiva). La riforma stabilisce (nuovo comma 3.1. dell'art. 678 c.p.p.) che su richiesta dell'interessato l'udienza si svolge in forma pubblica, con l'osservanza, in quanto compatibili, delle disposizioni degli articoli 471 e 472 del medesimo c.p.p. Il bilanciamento tra il valore della pubblicità dell'udienza e le esigenze di riservatezza – ricorrenti nelle udienze davanti al giudice di sorveglianza per la delicatezza delle materie trattate - è risolto dal legislatore affidando la scelta alla parte (non al suo difensore), fermo il potere del giudice di governo dell'ordinato svolgersi dell'udienza camerale stante il richiamo all'art. 471 c.p.p.

Il secondo intervento riguarda la disciplina della presenza dell'interessato all'udienza, contenuta nel nuovo comma 3.2. dell'art. 678 c.p.p.,introdottoin attuazione del criterio di cui all'art. 1, comma 85, lett. c), in tema di garanzia del diritto alla presenza dell'interessato e della direttiva che la delega introduce con riguardo all'utilizzo dei collegamenti audiovisivi, sia intervenendo sugli articoli 146-bise 45-bis disp. att. c.p.p. (si vedano, rispettivamente, i commi 77 e 78 dell'art. 1, l. 103/2017), sia, con specifico riferimento all'esecuzione penitenziaria, prevedendo espressamente, nella lett. i) del medesimo art.1, comma 85, il ricorso ai collegamenti audiovisivi anche per fini processuali.

Si rammenta che il Consiglio dei Ministri, in data 24 luglio 2018, ha approvato in via definitiva il testo del decreto legge proroga termini (d.l. 25.07.2018, n. 91, c.d. “milleproroghe”). In forza di tale provvedimento l'entrata in vigore delle disposizioni in materia di videoconferenze per il rito camerale è stata prorogata al 15.02.19, fatta salva l'eccezione di cui al comma 81 dell'art. 1 della l. n. 103/17. È stata, altresì, sospesa fino al 15 febbraio 2019 l'efficacia delle disposizioni della l. 103/2017 in materia di dibattimento a distanza (art. 1, commi 77, 78, 79 e 80) «constatata la necessità di una revisione organizzativa e informatica di tutta la precedente architettura giudiziaria, con l'aumento dei livelli di sicurezza informatica, e di incrementare il numero di aule negli uffici giudiziari e di “salette” negli istituti di pena». La sospensione fa eccezione per le persone che si trovano in stato di detenzione per aver svolto un ruolo apicale in associazione con finalità di terrorismo anche internazionale o di eversione dell'ordine democratico (art. 270-bis, comma 1, c.p.), in associazioni di tipo mafioso anche straniere (art. 416-bis, comma 1, c.p.), ovvero associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope (art. 74, comma 1, d.P.R. n. 309/1990).

La novella prevede un'integrazione dell'avviso di fissazione dell'udienza, notificato all'interessato, che dovrà contenere, a pena di nullità (ex art. 178 lett. c) e 180 c.p.p.), l'avvertimento della facoltà di parteciparvi personalmente. Viene superata la previsione del vigente articolo 666, comma 4, c.p.p., in forza del quale il soggetto ristretto fuori della circoscrizione del giudice che procede, non potendo presenziare all'udienza, era sentito per rogatoria interna dal magistrato di sorveglianza competente sull'istituto di pena. Si trattava di un vero e proprio “simulacro di garanzia” che offriva all'interessato scarse opportunità di offrire al giudice procedente concreti elementi a propria difesa. Tale poco garantistica modalità resta, tuttavia, formalmente vigente con riguardo a tutti i procedimenti camerali non regolati dall'art. 678 c.p.p. e per i quali si applicano, invece, le disposizioni dell'art. 666 c.p.p. (si tratta, in sostanza, dei procedimenti di esecuzione avanti al G.E. (quali ad es., i procedimenti in materia di applicazione della continuazione in sede esecutiva ex art. 671 c.p.p.), in relazione ai quali potrebbe, dunque, porsi una questione di costituzionalità circa il differente livello di garanzie che l'ordinamento assicura nell'ambito delle due tipologie di procedimento camerale ora significativamente differenziate sotto tale importante aspetto.

Secondo le nuove regole, la partecipazione personale all'udienza di sorveglianza è assicurata, se l'interessato - ristretto in luogo compreso nella circoscrizione del giudice procedente - lo richiede e sempre che non ricorra una delle ipotesi dell'art. 146-bis disp. att. c.p.p., mediante la traduzione in aula. In alternativa, l'interessato può chiedere di partecipare mediante la videoconferenza. Nel caso di soggetto detenuto, se ricorrono i casi di cui all'art. 146-bis, cit., la partecipazione avviene comunque tramite videoconferenza. Se l'interessato formula richiesta di partecipazione all'udienza ma è ristretto in luogo non compreso nella circoscrizione del giudice procedente, la partecipazione avviene tramite videoconferenza.

È mantenuta, in tutti i casi, la previsione del potere del giudice che procede di ordinare la traduzione dinanzi a sé del soggetto, con previsione assai opportuna, considerata la peculiarità della valutazione affidata alla magistratura di sorveglianza, chiamata spesso a giudizi di natura personologica che possono rendere opportuno il contatto effettivo della persona con il giudice (soprattutto nel caso si tratti del tribunale di sorveglianza, collegio integrato dalla componente degli esperti, tra cui medici e psicologi).

La sopravvenienza di nuovi titoli esecutivi

Il d.lgs. 123/2018 sostituisce integralmente l'art.51-bis, ord. penit., innovando la procedura attivata nel caso di sopravvenienza di nuovi titoli di privazione della libertà. La nuova formulazione trova generale applicazione a tutte le misure alternative con verifica, attribuita al magistrato di sorveglianza in ordine alla permanenza, tenuto conto del cumulo delle pene, delle condizioni di applicabilità della misura in esecuzione. Alla luce della dizione normativa, la verifica che compete all'autorità giudiziaria si concentra essenzialmente sulla permanenza delle condizioni di legge per il mantenimento della misura in esecuzione con riferimento al quantum di pena residua da espiare e sulla eventuale ostatività del titolo di reato relativo alla pena sopravvenuta. Sotto quest'ultimo profilo, si osserva che – benché la riforma nella sua versione definitiva non abbia mantenuto la disposizione che introduceva espressamente il principio dello scioglimento del cumulo, esso va ritenuto ormai parte del diritto vivente così come più volte ribadito dalla giurisprudenza di vertice. La nuova disciplina prevede, per ragioni di speditezza che, nel caso di cessazione della misura in corso a causa del titolo esecutivo sopravvenuto, compete al magistrato di sorveglianza disporre direttamente l'accompagnamento dell'interessato in istituto senza attendere l'ordine di carcerazione del pubblico ministero. Compete, altresì, al magistrato di sorveglianza la verifica della permanenza delle condizioni di applicabilità della misura in esecuzione. La riforma introduce, inoltre, un elemento di chiarezza in ordine alla individuazione del P.M. competente (quello individuato sulla scorta delle regole generali per l'esecuzione, ai sensi dell'art. 655 c.p.p.).

La sospensione e revoca delle misure alternative

Il d.lgs. 123/2018 interviene anche in materia di procedure di sospensione e revoca delle misure alternative, riformulando integralmente l'art. 51-ter ord. penit. Anche in questo caso, la nuova dizione ha portata applicativa generale, riferendosi a tutte le misure alternative. Viene, bensì, previsto il potere/dovere di iniziativa del magistrato di sorveglianza, tenuto a dare immediata comunicazione al tribunale di sorveglianza di ogni comportamento dell'interessato suscettibile di determinare la revoca della misura, ma – recependo a livello primario la disposizione regolamentare di cui all'art. 98, comma 5, d.P.R. 230/2000 – si prevede che la sospensione provvisoria della misura in corso abbia natura meramente facoltativa. Ulteriore elemento di novità è rappresentato dalla possibilità che il tribunale di sorveglianza, investito della decisione definitiva, possa, in alternativa alla conferma o alla revoca della misura, procedere alla trasformazione della stessa. La riforma recepisce, invero, una prassi già frequentemente registrata nella giurisprudenza, che ha l'indubbio vantaggio di rendere più flessibile la risposta del tribunale di sorveglianza a fronte del comportamento dell'ammesso alla misura alternativa, consentendo di modulare l'esecuzione mantenendola sul binario extramurario in rispondenza a quelle circostanze o accadimenti intercorsi tra l'avvio della procedura di revoca e l'udienza di trattazione.

L'esecuzione delle pene accessorie

La riforma introduce, inoltre, disposizioni in materia di esecuzione delle pene accessorie, modellando una disposizione di nuovo conio (art. 51-quater, l. 354/1975, Disciplina delle pene accessorie in caso di concessione di misure alternative) attorno a una regola che intende attuare il criterio di cui alla lettera u) della delega penitenziaria, ispirata all'esigenza della rimozione di ostacoli al reinserimento sociale. La nuova disciplina stabilisce la regola della contestuale esecuzione delle pene principali in forma alternativa alla detenzione e delle pene accessorie, salvo che il giudice di sorveglianza, tenuto conto delle esigenze di reinserimento sociale del condannato, ne disponga la sospensione. In caso di revoca della misura alternativa, qualora sia stata disposta l'applicazione delle pene accessorie, l'esecuzione ne viene sospesa ma il periodo già espiato è computato ai fini della loro durata. Non si verifica, in altre parole, alcun effetto negativo sulla parte di pena accessoria già eseguita nel contesto della pur revocata misura alternativa. La disciplina in esame si integra con quella di cui al comma 12, art. 47 ord. penit., che prevede l'estinzione degli effetti penali della condanna in caso di esito positivo dell'affidamento in prova al servizio sociale, senza tuttavia sovrapporsi a essa, e non mette, dunque, in discussione quell'indirizzo giurisprudenziale che, con riguardo al previgente assetto normativo, non riteneva che il positivo esito dell'affidamento estinguesse anche le pene accessorie, benché comprese tra gli effetti penali della condanna ai sensi dell'art. 20 c.p.

Modifiche in tema di legittimazione alla richiesta di misure alternative e di benefici penitenziari

Il d.lgs. 123/2018 riformula integralmente l'attuale art. 57, l. 354/1975 in tema di legittimazione alla richiesta di benefici penitenziari. Tra i soggetti che sono legittimati – secondo la nuova dizione normativa – a formulare istanza per la concessione delle misure indicate nella disposizione viene espressamente indicato il difensore e il gruppo di osservazione e trattamento, che prende – per così dire – il posto del consiglio di disciplina (che resta, tuttavia, titolare della facoltà di proposta, quale forma di ricompensa, ai sensi dell'art. 76, comma 2, lett. b) e c), d.P.R. 230/2000).

La nuova formulazione si riferisce a tutte misure alternative e ai benefici espressamente ivi indicati), superando così i dubbi emersi in relazione al testo previgente circa la legittimazione di altri soggetti che non fossero l'interessato alla richiesta, a es. dell'affidamento in prova “terapeutico” di cui all'art. 94, d.P.R. 309/1990, non menzionato dalla norma penitenziaria in analisi. La ratio della modifica si fonda sull'intento di agevolare la presentazione di richieste di benefici e misure anche da parte di soggetti condannati o internati in condizioni di marginalità culturale o giuridica (si pensi, ad es., ai detenuti stranieri). Si rammenta che il diritto vivente individua tassativamente nel novero dei “prossimi congiunti” i soli soggetti indicati nell'art. 307 c.p. (ascendenti, discendenti, coniuge, fratelli, sorelle, gli affini nello stesso grado, gli zii e i nipoti).

In conclusione

Le molte novità introdotte dal d.lgs. 123/2018 con riguardo alle procedure amministrative e giurisdizionali in materia di sorveglianza vanno certamente nella giusta direzione della razionalizzazione di alcuni passaggi procedurali che necessitavano di una calibrata “messa a punto”. Tale opera di revisione avrebbe dovuto accompagnarsi – nel quadro di una complessiva riforma dell'Ordinamento penitenziario – a quelle estese modifiche alla materia delle misure alternative alla detenzione che, elaborate dalla Commissione legislativa istituita presso il Ministero della giustizia, non hanno tuttavia trovato recepimento nella versione definitiva del decreto attuativo.

Guida all'approfondimento

F. Fiorentin, La riforma penitenziaria (dd.lgs. 121, 123 e 124/2018), Giuffré Francis Lefebvre 2018, in corso di pubblicazione.

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