Abusi penalmente rilevanti (dei mezzi di correzione o di disciplina; di autorità contro arrestati o detenuti)
27 Novembre 2018
Inquadramento
Il delitto di abuso dei mezzi di correzione o di disciplina ex art. 571 c.p. è collocato nel Titolo XI del Libro II, Capo IV del codice penale che riguarda i delitti contro l'assistenza familiare; tale reato, però, non riguarda solo rapporti esclusivamente familiari ma si pone come abuso di un potere di cui alcuni soggetti sono titolari nell'ambito di determinati rapporti (di educazione, istruzione, cura, custodia, etc), potere che deve essere esercitato nell'interesse altrui, ossia di coloro che possono diventare soggetti passivi della condotta. Il bene giuridico protetto
Il bene giuridico protetto dalla norma, è costituito dall'incolumità psico-fisica del soggetto passivo, dall'inviolabilità della libertà personale e dalla libera manifestazione del pensiero come prescritto nella Costituzione. I soggetti
Trattandosi di reato proprio, soggetti attivi possono essere tutti coloro che sono titolari di un'autorità che si concretizza nel potere correttivo. Soggetto passivo è, invece, colui che è sottoposto all'autorità del soggetto attivo oppure che a questo è stato affidato per i motivi enunciati dalla norma.
La condotta
Per la configurabilità del reato, è necessario che tra il soggetto attivo e il soggetto passivo ci sia un rapporto disciplinare o uno ius corrigendi o che ci sia un rapporto di affidamento per ragioni di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia o per l'esercizio di una professione o di un'arte e che, l'azione posta in essere dal soggetto attivo, trascenda i limiti dell'uso di un potere correttivo o disciplinare effettivamente spettante al soggetto medesimo nei confronti della persona offesa. Non possono ritenersi preclusi quegli atti di minima valenza fisica o morale, che risultino necessari per rafforzare la proibizione, non arbitraria né ingiusta, di comportamenti oggettivamente pericolosi o dannosi rispecchianti la inconsapevolezza o la sottovalutazione del pericolo, la disobbedienza gratuita, oppositiva e insolente. Il potere educativo o disciplinare deve sempre essere esercitato con mezzi consentiti e proporzionati alla gravità del comportamento, senza superare i limiti previsti dall'ordinamento o consistere in trattamenti mortificanti la personalità del soggetto passivo (Cass. pen., Sez. VI, 11 aprile 2017, n. 18380 e Cass. pen., Sez. VI, 14 giugno 2012, n. 34492). Il reato risulta integrato quando si fa uso, in funzione educativa, del mezzo astrattamente lecito, sia esso di natura fisica, psicologica o morale, che trasmoda nell'abuso sia in ragione dell'arbitrarietà o intempestività della sua applicazione, sia in ragione dell'eccesso nella misura, senza tuttavia attingere a forme di violenza. L'abuso dei mezzi di correzione presuppone un uso consentito e legittimo di tali mezzi tramutato per eccesso in illecito (abuso); pertanto, non è configurabile tale reato qualora vengano usati mezzi di per sé illeciti sia per la loro natura che per la potenzialità di danno. In base all'art. 571 c.p. sono leciti i mezzi di correzione tradizionali, mentre vanno puniti solo gli eccessi che possono mettere in pericolo l'incolumità del soggetto passivo e cagionargli un concreto danno alla persona, sempre che il motivo determinante dell'agente sia quello disciplinare e correttivo.
Ai fini dell'integrazione del reato, è sufficiente il dolo generico consistente nella coscienza e volontà di abusare dei mezzi di correzione o di disciplina, non essendo richiesto dalla norma il fine specifico, ossia un fine particolare e ulteriore rispetto alla consapevole volontà di realizzare la condotta di abuso. Deve escludersi che l'intenzione dell'agente di agire esclusivamente per finalità educative, sia elemento dirimente per fare rientrare gli abituali atti di violenza posti in essere in danno dei figli minori nella previsione di cui all'art. 571 c.p., poiché gli atti di violenza devono ritenersi oggettivamente esclusi dalla fattispecie dell'abuso dei mezzi di correzione, dovendo ritenersi tali solo quelli per loro natura a ciò deputati, che tradiscano l'importante e delicata funzione educativa. Consumazione e tentativo
L'ipotesi prevista dal comma 1, trattandosi di reato di pericolo, si consuma nel momento e nel luogo in cui si concretizza il pericolo di una malattia nel corpo o nella mente. Il pericolo non deve essere accertato necessariamente attraverso una perizia medico-legale, ma può essere desunto anche dalla natura stessa dell'abuso, secondo le regole della comune esperienza; e può ritenersi sussistente, senza bisogno di alcuna indagine eseguita sulla base di particolari cognizioni tecniche, quando la condotta dell'agente presenti connotati tali da risultare suscettibile in astratto di produrre tali conseguenze. Poiché si tratta di reato di pericolo, non occorre che la malattia nel corpo o nella mente si sia realmente verificata, in quanto l'esistenza di una lesione personale è presa in considerazione come elemento costitutivo della ipotesi diversa e più grave prevista dal comma 2 dell'art. 571 c.p. (Cass. pen., Sez. VI, 1 aprile 1998, n. 6001). La nozione di malattia, ai fini del reato di abuso dei mezzi di correzione o di disciplina, è più ampia di quelle concernenti l'imputabilità o il reato di lesione personale, comprendendo ogni conseguenza rilevante sulla salute psichica del soggetto passivo, dallo stato d'ansia, all'insonnia, dalla depressione, ai disturbi del carattere e del comportamento (Cass. pen., Sez. VI, 13 aprile 2016, n. 19850). L'ipotesi prevista dal comma 2, invece, trattandosi di reato di danno, si consuma nel momento e nel luogo in cui si realizza l'evento dannoso quale la morte o le lesioni. Il reato previsto dall'art. 571 c.p. non ha natura necessariamente abituale, quindi può ritenersi integrato da un unico atto espressivo dell'abuso, ovvero da una serie di comportamenti lesivi dell'incolumità fisica e della serenità psichica del soggetto passivo, che, mantenuti per un periodo di tempo apprezzabile e complessivamente considerati, realizzano l'evento, quale che sia l'intenzione correttiva o disciplinare del soggetto attivo (Cass. pen., Sez. VI, 27 settembre 2016, n. 52542). Secondo parte della dottrina, il pericolo costituisce elemento costitutivo del reato, pertanto, il tentativo sarebbe configurabile nel momento in cui non si realizza il pericolo di una malattia nel corpo o nella mente; secondo altra parte, invece, il pericolo della malattia sarebbe una condizione obiettiva di punibilità, pertanto, il tentativo non sarebbe configurabile. Le circostanze aggravanti
Il comma 2 prevede un aggravamento di pena quando, dall'abuso dei mezzi di correzione o di disciplina, deriva o una lesione personale, e in questo caso si applicano le pene stabilite dagli artt. 582 (lesione personale) e 583 (lesione personale grave e gravissima) c.p. ma ridotte di 1/3; oppure, quando ne deriva la morte del soggetto passivo e si applica la reclusione da 3 a 8 anni. La Corte costituzionale, con sentenza n. 27/1971 si è pronunciata sulla questione di legittimità costituzionale sollevata in merito all'art.571, comma 2, c.p., in riferimento all'art. 3 della Costituzione, il quale violerebbe il principio d'uguaglianza in quanto il reato di abuso dei mezzi di correzione o di disciplina è perseguibile d'ufficio anche quando ne deriva una lesione personale lievissima (secondo comma), in tal caso punita con un terzo della pena del reato di lesione personale lievissima, mentre quest'ultimo delitto, nonostante la maggior gravità della sanzione, è perseguibile soltanto a querela di parte (art. 582, comma 2, c.p.). La Corte ha ritenuto tale questione manifestamente infondata in quanto: nel nostro ordinamento giuridico penale, la perseguibilità d'ufficio non è necessariamente in relazione alla gravità del reato, quale si rivela con la misura della pena, ma, talvolta, è in relazione alla particolarità della fattispecie e del bene che con la condotta criminosa venga offeso; nell'art. 571 c.p. il reato di abuso dei mezzi di correzione o di disciplina è perseguibile d'ufficio perché non si rimetta all'iniziativa dell'offeso, spesso un minore o un minorato o un dipendente, la punibilità di chi ha tradito la sua funzione di educatore o istruttore: motivo, questo, che basta ad escludere l'irrazionalità della norma; quando dal reato derivi una lesione personale lievissima, la perseguibilità d'ufficio è connessa all'abuso e non alla lesione, che, fra l'altro, ne è conseguenza solo eventuale. Pertanto, la disparità di trattamento fra reato di abuso con lesioni personali lievissime e reato di lesioni personali lievissime è giustificata dalla disparità di situazioni, poiché, qualunque sia la misura della pena nei due casi, nell'uno c'è l'abuso e nell'altro no. Circostanze attenuanti
La circostanza attenuante prevista dall'art. 62 n. 1 c.p. (aver agito per motivi di particolare valore morale e sociale) è incompatibile con il reato ex art. 571 c.p. in quanto lo scopo correttivo, rientrando tra gli elementi essenziali del reato sotto il profilo subiettivo (cosciente volontà di compiere il fatto, dal quale deriva l'evento dannoso non voluto, al solo fine di esercitare una legittima potestà disciplinare), non può essere preso in considerazione una seconda volta sotto la specie di circostanza attenuante (Cass. pen., Sez. I, 7 dicembre 1965, n. 1935). Anche la circostanza attenuante prevista dall'art 62 n. 2 c.p. (aver agito in stato di ira, determinato da fatto ingiusto altrui) non è applicabile poiché il torto del soggetto passivo è un presupposto dell'abuso del potere correttivo da parte dell'agente, e quindi, essendo da considerare ricompreso nell'economia essenziale della fattispecie criminosa, non può assumere al tempo stesso rilevanza come elemento accidentale del reato (Cass. pen., Sez. II, 13 maggio 1966, n. 839).
Rapporti con altri reati
Il reiterato abuso dei mezzi di correzione può condurre all'applicazione della disciplina del reato continuato o tradursi in una condotta di maltrattamenti che configurano il reato abituale di maltrattamenti contro familiari e conviventi previsto dall'art. 572 c.p.(sul punto cfr. Cass. pen., Sez. VI, 11 aprile 2017, n. 18380 – v. nota di FIANDANESE, Continuo abuso dei mezzi di correzione: reato continuato o maltrattamenti in famiglia?). Deve escludersi che l'intento educativo e correttivo dell'agente costituisca un elemento dirimente per far rientrare il sistematico ricorso ad atti di violenza commessi nei confronti di minori nella meno grave previsione di cui all'art. 571 c.p. Per la configurabilità di entrambi i reati è richiesto il dolo generico. Ma, mentre nel reato di maltrattamenti, esso consiste nella coscienza e volontà di sottoporre la vittima ad una serie di sofferenze fisiche e morali in modo abituale, instaurando un sistema di sopraffazioni e di vessazioni che avviliscono la sua personalità, facendo ricorso a mezzi che già di per sé sono illeciti; nel reato di abuso dei mezzi di correzione o di disciplina, l'elemento soggettivo consiste nella coscienza e la volontà di abusare dei mezzi di correzione o di disciplina, facendo ricorso, invece, a mezzi che possono essere lecitamente utilizzati. Ne consegue che l'esercizio del potere di correzione al di fuori dei casi consentiti, o con mezzi di per sé illeciti o contrari allo scopo, deve ritenersi escluso dall'ipotesi di abuso e va inquadrato nell'ambito di diverse fattispecie incriminatrici come quella prevista dall'art. 572 c.p. in quanto l'uso sistematico della violenza, anche lì dove fosse sostenuto da animus corrigendi, non può rientrare nell'ambito della fattispecie di abuso dei mezzi di correzione, ma concretizza, sotto il profilo oggettivo e soggettivo, gli estremi del più grave delitto di maltrattamenti (Cass. pen., Sez. VI, 15 febbraio 2017, n. 11956; Cass. pen., Sez. VI, 22 ottobre 2014, n. 53425; Cass. pen., Sez. VI, 10 maggio 2012, n. 36564; Cass. pen., Sez. VI, 23 novembre 2010, n. 45467; Cass. pen., Sez. VI, 22 settembre 2005, n. 39927).
Aspetti processuali
Misure cautelari personali. Quando il delitto è commesso in danno di prossimi congiunti, sia nell'ipotesi prevista dal comma 1 che in quella prevista dal comma 2 dell'art. 571 c.p., è consentita la sospensione dell'esercizio della responsabilità genitoriale ai sensi dell'art. 288, comma 2 c.p.p. Quando il delitto è commesso in danno di prossimi congiunti o del convivente nell'ipotesi aggravata prevista dal comma 2 dell'art. 571 c.p., può essere disposto l'allontanamento dalla casa familiare ai sensi dell'art. 282-bis, comma 6, c.p.p.
Autorità competente. L'autorità giudiziaria competente è il tribunale monocratico. Nel caso di morte previsto dal comma 2, è invece competente la Corte d'Assise.
Conflitto di interessi. Nel reato di abuso di mezzi di correzione commesso dal padre in danno del figlio minore, è apprezzabile un conflitto di interessi tra il minore, parte offesa, e l'imputato suo legale rappresentante. In questo caso l'art. 77, commi 2 e 4, c.p.p. dispone che il P.M. o il rappresentante della persona offesa possono chiedere al giudice di nominare un curatore speciale. In caso di assoluta urgenza, l'azione civile nell'interesse del danneggiato incapace per età minore può essere esercitata dal P.M., fino a quando non subentra colui al quale spetta la rappresentanza o l'assistenza ovvero il curatore speciale. Inquadramento. Il delitto di abuso di autorità contro arrestati o detenuti ex art. 608 c.p. è collocato nel Titolo XII del Libro II, Sezione II del codice penale che riguarda i delitti contro la libertà personale. Tale reato punisce il pubblico ufficiale che sottopone una persona arrestata o detenuta di cui ha la custodia o a lui affidata in esecuzione di un provvedimento dell'Autorità competente, a misure di rigore non consentite dalla legge e costituisce un'ipotesi speciale di sequestro di persona.
Bene giuridico protetto. Si tratta di reato plurioffensivo, in quanto il bene giuridico tutelato è costituito dalla libertà personale e dal corretto funzionamento della pubblica amministrazione.
I soggetti. Soggetto attivo è il pubblico ufficiale al quale è stata affidata la custodia anche temporanea del soggetto passivo; trattasi, quindi, di reato proprio. Soggetto passivo è, invece, la persona arrestata ex artt. 380 (arresto obbligatorio in flagranza), 381 (arresto facoltativo in flagranza), 383 (facoltà di arresto da parte dei privati) 384 (fermo di indiziato di delitto) c.p.p. o detenuta, cioè soggetta all'esecuzione di una misura cautelare restrittive della libertà personale o di una condanna alla pena detentiva.
Condotta. La condotta consiste nel sottoporre un detenuto o arrestato a vessazioni o a misure di rigore non consentite dalla legge, intese quali misure che comportano una modificazione in senso peggiorativo delle condizioni del soggetto passivo determinando un'ulteriore limitazione della libertà personale rispetto a quella alla quale è già sottoposto legittimamente. Per l'individuazione delle stesse, devono essere prese in esame le disposizioni contenute nella l. 354/1975 (Norme sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà) e nel d.P.R. 230/2000 (Regolamento recante norme sull'ordinamento penitenziario e sulle misure privative e limitative della libertà). Per la configurazione del reato non basta l'impiego della violenza nei confronti della persona in custodia, ma occorre che la sfera di libertà personale del soggetto passivo subisca, per effetto della violenza, un'ulteriore restrizione.
Elemento soggettivo. Ai fini dell'integrazione del reato, è sufficiente il dolo generico consistente nella coscienza e nella volontà di sottoporre il soggetto passivo a misure di rigore non consentite, accompagnata dalla consapevolezza dello stato in cui si trova e dalla consapevolezza dell'illiceità delle misure.
Consumazione e tentativo. Il reato si consuma nel momento e nel luogo in cui la persona offesa viene sottoposta alle misure di rigore non consentite. Il tentativo,anche se difficilmente configurabile, è ammissibile.
Rapporto con altri reati. Il reato ex art. 608 c.p. concorre con i delitti di percosse (art. 581 c.p.), lesioni (art. 582 c.p.) e violenza privata (art. 610 c.p.). È configurabile il concorso formale tra il delitto di abuso di autorità contro arrestati o detenuti e quello di abuso d'atti d'ufficio (art. 323 c.p.), in quanto le due fattispecie sono in rapporto di specialità reciproca tra loro (Cass. pen., Sez. V, 14 giugno 2013, n. 37088). Inoltre, integra il delitto di maltrattamenti (art. 572 c.p.) – e non solo quello di abuso di autorità contro arrestati o detenuti, reato istantaneo che può concorrere con quello di maltrattamenti – la reiterata e sistematica condotta violenta, vessatoria, umiliante e denigrante da parte degli agenti della polizia penitenziaria nei confronti di detenuti in ambiente carcerario e per tal motivo sottoposti alla loro autorità o, in ogni caso, a loro affidati per ragioni di vigilanza e custodia (Cass. pen., Sez. VI, 21 maggio 2012, n. 30780). Casistica
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