Abusi penalmente rilevanti (dei mezzi di correzione o di disciplina; di autorità contro arrestati o detenuti)

27 Novembre 2018

Il delitto di abuso dei mezzi di correzione o di disciplina ex art. 571 c.p. è collocato nel Titolo XI del Libro II, Capo IV del codice penale che riguarda i delitti contro l'assistenza familiare; tale reato, però, non riguarda solo rapporti esclusivamente familiari ma si pone come abuso di un potere di cui alcuni soggetti sono titolari nell'ambito di determinati rapporti (di educazione, istruzione, cura, custodia, etc), potere che deve essere esercitato nell'interesse altrui, ossia di coloro che possono diventare soggetti passivi della condotta.
Inquadramento

Il delitto di abuso dei mezzi di correzione o di disciplina ex art. 571 c.p. è collocato nel Titolo XI del Libro II, Capo IV del codice penale che riguarda i delitti contro l'assistenza familiare; tale reato, però, non riguarda solo rapporti esclusivamente familiari ma si pone come abuso di un potere di cui alcuni soggetti sono titolari nell'ambito di determinati rapporti (di educazione, istruzione, cura, custodia, etc), potere che deve essere esercitato nell'interesse altrui, ossia di coloro che possono diventare soggetti passivi della condotta.

Il bene giuridico protetto

Il bene giuridico protetto dalla norma, è costituito dall'incolumità psico-fisica del soggetto passivo, dall'inviolabilità della libertà personale e dalla libera manifestazione del pensiero come prescritto nella Costituzione.

I soggetti

Trattandosi di reato proprio, soggetti attivi possono essere tutti coloro che sono titolari di un'autorità che si concretizza nel potere correttivo.

Soggetto passivo è, invece, colui che è sottoposto all'autorità del soggetto attivo oppure che a questo è stato affidato per i motivi enunciati dalla norma.

In evidenza

Non è configurabile il reato di abuso di mezzi di correzione, qualora soggetto passivo sia il figlio già divenuto maggiorenne ancorché convivente, trattandosi di persona non più sottoposta all'autorità del genitore.

(Cass. pen., Sez. VI, 10 gennaio 2011, n. 4444).

La condotta

Per la configurabilità del reato, è necessario che tra il soggetto attivo e il soggetto passivo ci sia un rapporto disciplinare o uno ius corrigendi o che ci sia un rapporto di affidamento per ragioni di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia o per l'esercizio di una professione o di un'arte e che, l'azione posta in essere dal soggetto attivo, trascenda i limiti dell'uso di un potere correttivo o disciplinare effettivamente spettante al soggetto medesimo nei confronti della persona offesa.

Non possono ritenersi preclusi quegli atti di minima valenza fisica o morale, che risultino necessari per rafforzare la proibizione, non arbitraria né ingiusta, di comportamenti oggettivamente pericolosi o dannosi rispecchianti la inconsapevolezza o la sottovalutazione del pericolo, la disobbedienza gratuita, oppositiva e insolente.

Il potere educativo o disciplinare deve sempre essere esercitato con mezzi consentiti e proporzionati alla gravità del comportamento, senza superare i limiti previsti dall'ordinamento o consistere in trattamenti mortificanti la personalità del soggetto passivo (Cass. pen., Sez. VI, 11 aprile 2017, n. 18380 e Cass. pen., Sez. VI, 14 giugno 2012, n. 34492).

Il reato risulta integrato quando si fa uso, in funzione educativa, del mezzo astrattamente lecito, sia esso di natura fisica, psicologica o morale, che trasmoda nell'abuso sia in ragione dell'arbitrarietà o intempestività della sua applicazione, sia in ragione dell'eccesso nella misura, senza tuttavia attingere a forme di violenza.

L'abuso dei mezzi di correzione presuppone un uso consentito e legittimo di tali mezzi tramutato per eccesso in illecito (abuso); pertanto, non è configurabile tale reato qualora vengano usati mezzi di per sé illeciti sia per la loro natura che per la potenzialità di danno.

In base all'art. 571 c.p. sono leciti i mezzi di correzione tradizionali, mentre vanno puniti solo gli eccessi che possono mettere in pericolo l'incolumità del soggetto passivo e cagionargli un concreto danno alla persona, sempre che il motivo determinante dell'agente sia quello disciplinare e correttivo.

In evidenza

Con riguardo ai bambini il termine "correzione" va assunto come sinonimo di educazione, con riferimento ai connotati intrinsecamente conformativi di ogni processo educativo. In ogni caso non può ritenersi tale l'uso della violenza finalizzato a scopi educativi: ciò sia per il primato che l'ordinamento attribuisce alla dignità della persona, anche del minore, ormai soggetto titolare di diritti e non più, come in passato, semplice oggetto di protezione (se non addirittura di disposizione) da parte degli adulti; sia perché non può perseguirsi, quale meta educativa, un risultato di armonico sviluppo di personalità, sensibile ai valori di pace, di tolleranza, di connivenza utilizzando un mezzo violento che tali fini contraddice. Ne consegue che l'eccesso di mezzi di correzione violenti non rientra nella fattispecie dell'art. 571 c.p. (abuso di mezzi di correzione) giacché intanto è ipotizzabile un abuso (punibile in maniera attenuata) in quanto sia lecito l'uso (Cass. pen., Sez. VI, 18 marzo 1996, n. 4904).

L'elemento soggettivo

Ai fini dell'integrazione del reato, è sufficiente il dolo generico consistente nella coscienza e volontà di abusare dei mezzi di correzione o di disciplina, non essendo richiesto dalla norma il fine specifico, ossia un fine particolare e ulteriore rispetto alla consapevole volontà di realizzare la condotta di abuso.

Deve escludersi che l'intenzione dell'agente di agire esclusivamente per finalità educative, sia elemento dirimente per fare rientrare gli abituali atti di violenza posti in essere in danno dei figli minori nella previsione di cui all'art. 571 c.p., poiché gli atti di violenza devono ritenersi oggettivamente esclusi dalla fattispecie dell'abuso dei mezzi di correzione, dovendo ritenersi tali solo quelli per loro natura a ciò deputati, che tradiscano l'importante e delicata funzione educativa.

Consumazione e tentativo

L'ipotesi prevista dal comma 1, trattandosi di reato di pericolo, si consuma nel momento e nel luogo in cui si concretizza il pericolo di una malattia nel corpo o nella mente.

Il pericolo non deve essere accertato necessariamente attraverso una perizia medico-legale, ma può essere desunto anche dalla natura stessa dell'abuso, secondo le regole della comune esperienza; e può ritenersi sussistente, senza bisogno di alcuna indagine eseguita sulla base di particolari cognizioni tecniche, quando la condotta dell'agente presenti connotati tali da risultare suscettibile in astratto di produrre tali conseguenze. Poiché si tratta di reato di pericolo, non occorre che la malattia nel corpo o nella mente si sia realmente verificata, in quanto l'esistenza di una lesione personale è presa in considerazione come elemento costitutivo della ipotesi diversa e più grave prevista dal comma 2 dell'art. 571 c.p. (Cass. pen., Sez. VI, 1 aprile 1998, n. 6001).

La nozione di malattia, ai fini del reato di abuso dei mezzi di correzione o di disciplina, è più ampia di quelle concernenti l'imputabilità o il reato di lesione personale, comprendendo ogni conseguenza rilevante sulla salute psichica del soggetto passivo, dallo stato d'ansia, all'insonnia, dalla depressione, ai disturbi del carattere e del comportamento (Cass. pen., Sez. VI, 13 aprile 2016, n. 19850).

L'ipotesi prevista dal comma 2, invece, trattandosi di reato di danno, si consuma nel momento e nel luogo in cui si realizza l'evento dannoso quale la morte o le lesioni.

Il reato previsto dall'art. 571 c.p. non ha natura necessariamente abituale, quindi può ritenersi integrato da un unico atto espressivo dell'abuso, ovvero da una serie di comportamenti lesivi dell'incolumità fisica e della serenità psichica del soggetto passivo, che, mantenuti per un periodo di tempo apprezzabile e complessivamente considerati, realizzano l'evento, quale che sia l'intenzione correttiva o disciplinare del soggetto attivo (Cass. pen., Sez. VI, 27 settembre 2016, n. 52542).

Secondo parte della dottrina, il pericolo costituisce elemento costitutivo del reato, pertanto, il tentativo sarebbe configurabile nel momento in cui non si realizza il pericolo di una malattia nel corpo o nella mente; secondo altra parte, invece, il pericolo della malattia sarebbe una condizione obiettiva di punibilità, pertanto, il tentativo non sarebbe configurabile.

Le circostanze aggravanti

Il comma 2 prevede un aggravamento di pena quando, dall'abuso dei mezzi di correzione o di disciplina, deriva o una lesione personale, e in questo caso si applicano le pene stabilite dagli artt. 582 (lesione personale) e 583 (lesione personale grave e gravissima) c.p. ma ridotte di 1/3; oppure, quando ne deriva la morte del soggetto passivo e si applica la reclusione da 3 a 8 anni.

La Corte costituzionale, con sentenza n. 27/1971 si è pronunciata sulla questione di legittimità costituzionale sollevata in merito all'art.571, comma 2, c.p., in riferimento all'art. 3 della Costituzione, il quale violerebbe il principio d'uguaglianza in quanto il reato di abuso dei mezzi di correzione o di disciplina è perseguibile d'ufficio anche quando ne deriva una lesione personale lievissima (secondo comma), in tal caso punita con un terzo della pena del reato di lesione personale lievissima, mentre quest'ultimo delitto, nonostante la maggior gravità della sanzione, è perseguibile soltanto a querela di parte (art. 582, comma 2, c.p.).

La Corte ha ritenuto tale questione manifestamente infondata in quanto: nel nostro ordinamento giuridico penale, la perseguibilità d'ufficio non è necessariamente in relazione alla gravità del reato, quale si rivela con la misura della pena, ma, talvolta, è in relazione alla particolarità della fattispecie e del bene che con la condotta criminosa venga offeso; nell'art. 571 c.p. il reato di abuso dei mezzi di correzione o di disciplina è perseguibile d'ufficio perché non si rimetta all'iniziativa dell'offeso, spesso un minore o un minorato o un dipendente, la punibilità di chi ha tradito la sua funzione di educatore o istruttore: motivo, questo, che basta ad escludere l'irrazionalità della norma; quando dal reato derivi una lesione personale lievissima, la perseguibilità d'ufficio è connessa all'abuso e non alla lesione, che, fra l'altro, ne è conseguenza solo eventuale. Pertanto, la disparità di trattamento fra reato di abuso con lesioni personali lievissime e reato di lesioni personali lievissime è giustificata dalla disparità di situazioni, poiché, qualunque sia la misura della pena nei due casi, nell'uno c'è l'abuso e nell'altro no.

Circostanze attenuanti

La circostanza attenuante prevista dall'art. 62 n. 1 c.p. (aver agito per motivi di particolare valore morale e sociale) è incompatibile con il reato ex art. 571 c.p. in quanto lo scopo correttivo, rientrando tra gli elementi essenziali del reato sotto il profilo subiettivo (cosciente volontà di compiere il fatto, dal quale deriva l'evento dannoso non voluto, al solo fine di esercitare una legittima potestà disciplinare), non può essere preso in considerazione una seconda volta sotto la specie di circostanza attenuante (Cass. pen., Sez. I, 7 dicembre 1965, n. 1935).

Anche la circostanza attenuante prevista dall'art 62 n. 2 c.p. (aver agito in stato di ira, determinato da fatto ingiusto altrui) non è applicabile poiché il torto del soggetto passivo è un presupposto dell'abuso del potere correttivo da parte dell'agente, e quindi, essendo da considerare ricompreso nell'economia essenziale della fattispecie criminosa, non può assumere al tempo stesso rilevanza come elemento accidentale del reato (Cass. pen., Sez. II, 13 maggio 1966, n. 839).

Rapporti con altri reati

Il reiterato abuso dei mezzi di correzione può condurre all'applicazione della disciplina del reato continuato o tradursi in una condotta di maltrattamenti che configurano il reato abituale di maltrattamenti contro familiari e conviventi previsto dall'art. 572 c.p.(sul punto cfr. Cass. pen., Sez. VI, 11 aprile 2017, n. 18380 – v. nota di FIANDANESE, Continuo abuso dei mezzi di correzione: reato continuato o maltrattamenti in famiglia?).

Deve escludersi che l'intento educativo e correttivo dell'agente costituisca un elemento dirimente per far rientrare il sistematico ricorso ad atti di violenza commessi nei confronti di minori nella meno grave previsione di cui all'art. 571 c.p. Per la configurabilità di entrambi i reati è richiesto il dolo generico. Ma, mentre nel reato di maltrattamenti, esso consiste nella coscienza e volontà di sottoporre la vittima ad una serie di sofferenze fisiche e morali in modo abituale, instaurando un sistema di sopraffazioni e di vessazioni che avviliscono la sua personalità, facendo ricorso a mezzi che già di per sé sono illeciti; nel reato di abuso dei mezzi di correzione o di disciplina, l'elemento soggettivo consiste nella coscienza e la volontà di abusare dei mezzi di correzione o di disciplina, facendo ricorso, invece, a mezzi che possono essere lecitamente utilizzati.

Ne consegue che l'esercizio del potere di correzione al di fuori dei casi consentiti, o con mezzi di per sé illeciti o contrari allo scopo, deve ritenersi escluso dall'ipotesi di abuso e va inquadrato nell'ambito di diverse fattispecie incriminatrici come quella prevista dall'art. 572 c.p. in quanto l'uso sistematico della violenza, anche lì dove fosse sostenuto da animus corrigendi, non può rientrare nell'ambito della fattispecie di abuso dei mezzi di correzione, ma concretizza, sotto il profilo oggettivo e soggettivo, gli estremi del più grave delitto di maltrattamenti (Cass. pen., Sez. VI, 15 febbraio 2017, n. 11956; Cass. pen., Sez. VI, 22 ottobre 2014, n. 53425; Cass. pen., Sez. VI, 10 maggio 2012, n. 36564; Cass. pen., Sez. VI, 23 novembre 2010, n. 45467; Cass. pen., Sez. VI, 22 settembre 2005, n. 39927).

In evidenza

Integra il delitto di maltrattamenti in famiglia e non quello di abuso dei mezzi di correzione, la consumazione da parte del genitore nei confronti del figlio minore di reiterati atti di violenza fisica e morale, anche qualora gli stessi possano ritenersi compatibili con un intento correttivo ed educativo proprio della concezione culturale di cui l'agente è portatore (Cass. pen.,Sez. VI, 7 ottobre 2009, n. 48272)

Integra il delitto di maltrattamenti previsto dall'art. 572 c.p., e non invece quello di abuso dei mezzi di correzione o di disciplina, la condotta del datore di lavoro e dei suoi preposti che, nell'ambito del rapporto di lavoro subordinato, abbiano posto in essere atti volontari, idonei a produrre uno stato di abituale sofferenza fisica e morale nei dipendenti, quando la finalità perseguita dagli agenti non sia la loro punizione per episodi censurabili ma lo sfruttamento degli stessi per motivi di lucro personale (Fattispecie relativa a un datore di lavoro e al suo preposto che, in concorso fra loro, avevano sottoposto i propri subordinati a varie vessazioni, accompagnate da minacce di licenziamento e di mancato pagamento delle retribuzioni pattuite, corrisposte su libretti di risparmio intestati ai lavoratori ma tenuti dal datore di lavoro, al fine di costringerli a sopportare ritmi di lavoro intensissimi) (Cass. pen., Sez. VI, 22 gennaio 2001, n. 10090).

Aspetti processuali

Misure cautelari personali. Quando il delitto è commesso in danno di prossimi congiunti, sia nell'ipotesi prevista dal comma 1 che in quella prevista dal comma 2 dell'art. 571 c.p., è consentita la sospensione dell'esercizio della responsabilità genitoriale ai sensi dell'art. 288, comma 2 c.p.p.

Quando il delitto è commesso in danno di prossimi congiunti o del convivente nell'ipotesi aggravata prevista dal comma 2 dell'art. 571 c.p., può essere disposto l'allontanamento dalla casa familiare ai sensi dell'art. 282-bis, comma 6, c.p.p.

Autorità competente. L'autorità giudiziaria competente è il tribunale monocratico. Nel caso di morte previsto dal comma 2, è invece competente la Corte d'Assise.

Conflitto di interessi. Nel reato di abuso di mezzi di correzione commesso dal padre in danno del figlio minore, è apprezzabile un conflitto di interessi tra il minore, parte offesa, e l'imputato suo legale rappresentante. In questo caso l'art. 77, commi 2 e 4, c.p.p. dispone che il P.M. o il rappresentante della persona offesa possono chiedere al giudice di nominare un curatore speciale. In caso di assoluta urgenza, l'azione civile nell'interesse del danneggiato incapace per età minore può essere esercitata dal P.M., fino a quando non subentra colui al quale spetta la rappresentanza o l'assistenza ovvero il curatore speciale.

Abuso di autorità contro arrestati o detenuti

Inquadramento. Il delitto di abuso di autorità contro arrestati o detenuti ex art. 608 c.p. è collocato nel Titolo XII del Libro II, Sezione II del codice penale che riguarda i delitti contro la libertà personale.

Tale reato punisce il pubblico ufficiale che sottopone una persona arrestata o detenuta di cui ha la custodia o a lui affidata in esecuzione di un provvedimento dell'Autorità competente, a misure di rigore non consentite dalla legge e costituisce un'ipotesi speciale di sequestro di persona.

Bene giuridico protetto. Si tratta di reato plurioffensivo, in quanto il bene giuridico tutelato è costituito dalla libertà personale e dal corretto funzionamento della pubblica amministrazione.

I soggetti. Soggetto attivo è il pubblico ufficiale al quale è stata affidata la custodia anche temporanea del soggetto passivo; trattasi, quindi, di reato proprio.

Soggetto passivo è, invece, la persona arrestata ex artt. 380 (arresto obbligatorio in flagranza), 381 (arresto facoltativo in flagranza), 383 (facoltà di arresto da parte dei privati) 384 (fermo di indiziato di delitto) c.p.p. o detenuta, cioè soggetta all'esecuzione di una misura cautelare restrittive della libertà personale o di una condanna alla pena detentiva.

Condotta. La condotta consiste nel sottoporre un detenuto o arrestato a vessazioni o a misure di rigore non consentite dalla legge, intese quali misure che comportano una modificazione in senso peggiorativo delle condizioni del soggetto passivo determinando un'ulteriore limitazione della libertà personale rispetto a quella alla quale è già sottoposto legittimamente. Per l'individuazione delle stesse, devono essere prese in esame le disposizioni contenute nella l. 354/1975 (Norme sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà) e nel d.P.R. 230/2000 (Regolamento recante norme sull'ordinamento penitenziario e sulle misure privative e limitative della libertà).

Per la configurazione del reato non basta l'impiego della violenza nei confronti della persona in custodia, ma occorre che la sfera di libertà personale del soggetto passivo subisca, per effetto della violenza, un'ulteriore restrizione.

Elemento soggettivo. Ai fini dell'integrazione del reato, è sufficiente il dolo generico consistente nella coscienza e nella volontà di sottoporre il soggetto passivo a misure di rigore non consentite, accompagnata dalla consapevolezza dello stato in cui si trova e dalla consapevolezza dell'illiceità delle misure.

Consumazione e tentativo. Il reato si consuma nel momento e nel luogo in cui la persona offesa viene sottoposta alle misure di rigore non consentite.

Il tentativo,anche se difficilmente configurabile, è ammissibile.

Rapporto con altri reati. Il reato ex art. 608 c.p. concorre con i delitti di percosse (art. 581 c.p.), lesioni (art. 582 c.p.) e violenza privata (art. 610 c.p.).

È configurabile il concorso formale tra il delitto di abuso di autorità contro arrestati o detenuti e quello di abuso d'atti d'ufficio (art. 323 c.p.), in quanto le due fattispecie sono in rapporto di specialità reciproca tra loro (Cass. pen., Sez. V, 14 giugno 2013, n. 37088).

Inoltre, integra il delitto di maltrattamenti (art. 572 c.p.) – e non solo quello di abuso di autorità contro arrestati o detenuti, reato istantaneo che può concorrere con quello di maltrattamenti – la reiterata e sistematica condotta violenta, vessatoria, umiliante e denigrante da parte degli agenti della polizia penitenziaria nei confronti di detenuti in ambiente carcerario e per tal motivo sottoposti alla loro autorità o, in ogni caso, a loro affidati per ragioni di vigilanza e custodia (Cass. pen., Sez. VI, 21 maggio 2012, n. 30780).

Casistica

Abuso dei mezzi di correzione o di disciplina

Insegnante

Integra il reato di abuso dei mezzi di correzione o di disciplina il comportamento dell'insegnante che faccia ricorso a qualunque forma di violenza, fisica o morale, ancorché minima ed orientata a scopi educativi (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto immune da vizi la sentenza che aveva ricondotto al predetto reato la condotta di una insegnante che aveva sottoposto i bambini a lei affidati a violenze fisiche, consistite in schiaffi o nel tirare loro i capelli con forza, ovvero a violenza psicologica e, ancora, a condotte umilianti, come il minacciarli dell'arrivo di un diavoletto, nel costringerli a cantare o a mangiare, nel farli tenere la lingua fuori dalla bocca) (Cass. pen., Sez. VI, n. 9954 2016)

Integra il reato di abuso dei mezzi di correzione o di disciplina il comportamento dell'insegnante che umili, svaluti, denigri o violenti psicologicamente un alunno causandogli pericoli per la salute, atteso che, in ambito scolastico, il potere educativo o disciplinare deve sempre essere esercitato con mezzi consentiti e proporzionati alla gravità del comportamento deviante del minore, senza superare i limiti previsti dall'ordinamento o consistere in trattamenti afflittivi dell'altrui personalità (Nella fattispecie la Corte ha confermato la sentenza di condanna di un insegnante che aveva pronunciato espressioni offensive nei riguardi di alcuni alunni, costringendoli, con minaccia di bocciatura e di conseguenze penali in caso di rifiuto, a scrivere una lettera al preside con cui ritrattavano le accuse nei confronti della stessa insegnante) (Cass. pen., Sez. V, 16 luglio 2015, n. 47543).

Non integrano il delitto previsti dall'art. 571 c.p. le condotte di un insegnante di un asilo nido non violente e tipicamente affettuose, non potendo esse essere interpretate, per la loro connotazione di piccolo eccesso o mancanza di misura nella relazione tra l'educatore ed il minore, come abuso in ambito scolare materno-infantile (Nella specie, la Corte ha escluso la sussistenza del delitto in presenza di comportamenti di un insegnante di un asilo nido consistiti in baci sulle labbra ed abbracci molto intensi ai bambini) (Cass. pen., Sez. VI, 12 febbraio 2013, n. 11795)

Moglie

Non è configurabile l'abuso dei mezzi di correzione nei confronti della moglie, poiché l'ordinamento non riconosce al marito uno ius corrigendi nei confronti della consorte (Cass. pen., Sez. VI, 19 febbraio 1974, n. 5530)

Esercizio del potere di correzione e disciplina in ambito lavorativo

In tema di esercizio del potere di correzione e disciplina in ambito lavorativo, configura il reato previsto dall'art. 571 c.p. la condotta del datore di lavoro che superi i limiti fisiologici dell'esercizio di tale potere (nella specie rimproveri abituali al dipendente con l'uso di epiteti ingiuriosi o con frasi minacciose), mentre integra il delitto di cui all'art. 572 c.p. la condotta del datore di lavoro che ponga in essere nei confronti del dipendente comportamenti del tutto avulsi dall'esercizio del potere di correzione e disciplina, funzionale ad assicurare l'efficacia e la qualità lavorativa, e tali da incidere sulla libertà personale del dipendente, determinando nello stesso una situazione di disagio psichico (nella specie, lancio di oggetti verso il dipendente e imposizione di stare seduto per lungo tempo davanti alla scrivania del datore di lavoro senza svolgere alcuna funzione).

(Cass. pen., Sez. VI, 28 settembre 2016, n. 51591)

Abuso di autorità contro arrestati o detenuti

Ufficiale del disciolto corpo degli agenti di custodia

L'ufficiale del disciolto corpo degli Agenti di Custodia, con funzioni di responsabile e comandante del servizio di traduzione, può concorrere, per omesso impedimento, nei reati di abuso d'ufficio e di abuso d'autorità contro arrestati, materialmente commessi dall'agente di Polizia Penitenziaria ad esso subordinato per l'esecuzione del servizio ancorché tra i due non sia configurabile un rapporto gerarchico (Cass. pen., Sez. V, 14 giugno 2013, n. 37088)

Pubblico ufficiale: agente di polizia penitenziaria, militare della Guardia di finanza

Integrano il delitto di abuso di autorità, di cui all'art. 608 c.p., le condotte vessatorie perpetrate da agenti di polizia penitenziaria nei confronti di detenuti, le quali aggravino le condizioni della carcerazione, sottoponendoli a misure di rigore non consentite dalla legge, di guisa che la sfera di libertà personale del soggetto passivo subisca un'ulteriore restrizione, oltre quella legale, che è insita nella detenzione stessa

(Nella specie, agenti di polizia penitenziaria avevano imposto ad un detenuto - che si era rifiutato di essere trasferito ad altra cella - di inginocchiarsi e strisciare sino alla scrivania sulla quale era costretto a firmare la domanda di trasferimento che si era rifiutato di sottoscrivere, ricevendo nel contempo pugni e calci) (Cass. pen., Sez. V, 19 giugno 2017, n. 22203)

Integra il delitto di abuso di autorità, la condotta dell'ufficiale di polizia giudiziaria che nel corso dell'arresto e della perquisizione nei confronti dell'indagato, lo sottoponga a misure di rigore non consentite dalla legge di guisa che la sfera di libertà personale del soggetto passivo subisca un'ulteriore restrizione, oltre quella legale, che è insita nella detenzione stessa. Nella specie, militari della Guardia di Finanza avevano ammanettato l'arrestato ad una ringhiera in misura temporale ben lontana da quella necessaria alle incombenze dell'ufficio, puntandogli una pistola, ancorché scarica, alla tempia (Cass. pen., Sez. V, 16 aprile 2012, n. 29004).

Integra il delitto di cui all'art. 608 c.p. (abuso di autorità contro arrestati o detenuti), la condotta del pubblico ufficiale che sottoponga la persona arrestata, di cui abbia la custodia, a misure di rigore non consentite dalla legge e vessazioni, di guisa che la sfera di libertà personale del soggetto passivo subisca un'ulteriore restrizione oltre quella legale, insita nella custodia. In applicazione di tale principio la S.C. ha ritenuto immune da censure la valutazione del giudice di merito che ha ritenuto integrato il delitto di cui all'art. 608 c.p. nella condotta di alcuni carabinieri che avevano condotto un minore tratto in arresto nel garage della caserma, dove lo avevano costretto a stare seduto con i piedi sollevati per essere colpito ai malleoli, a subire il gioco del soldato ecc, così ponendo in essere una nuova e diversa costrizione rispetto a quella legale da cui era derivata la lesione della residua libertà del minore (Cass. pen., Sez. V, 25 marzo 2004, n. 31715).

Sommario