Fondo morositàFonte: Cod. Civ. Articolo 1135
22 Novembre 2018
Inquadramento
La giurisprudenza ha da sempre escluso che l'assemblea potesse, a maggioranza, mutare l'assetto delle obbligazioni dei singoli condomini, affermando che la delibera che comportasse oneri diversi da quelli derivanti dall'art. 1123 c.c. o derogasse ai criteri ordinari di riparto doveva ritenersi affetta da nullità, poiché incidente su materie sottratte ai poteri assembleari e che i condomini possono regolare solo tramite convenzione (Cass. civ., sez. II, 21 maggio 2012, n. 8010). Si è infatti rilevato, sin da tempi assai risalenti, che l'intera disciplina del condominio (e segnatamente gli artt. 1129, 1135, c.c.) configura una dimensione annuale della gestione condominiale (oggi confermata e rafforzata dalla novella del 2012) a cui non può derogare una decisione maggioritaria che vincoli il patrimonio dei singoli condomini ad una previsione pluriennale di spese, oltre quella annuale, ed alla quale si commisuri l'obbligo della contribuzione, così come avverrebbe nella costituzione di fondi di riserva (Cass. civ., sez. II, 21 agosto 1996, n. 7706). Anche la giurisprudenza di merito si è mostrata assai scettica circa la possibilità di istituire fondi che prescindessero dalla dimensione della gestione concreta e annuale dei beni comuni, osservando come sia illegittimo onerare i condomini di spese che non abbiano una urgente o specifica causale o destinazione (Trib. Lucera 20 dicembre 1996) e che sia inibito alla maggioranza deliberare qualsiasi anticipazione ultra annuale di contribuzione, sì che deve ritenersi illegittima la delibera che istituisca un fondo di riserva con previsione di accantonamento quinquennale (Trib. Roma 2 luglio 2007). La materia ha talvolta dato luogo a pronunce curiose, alle quali è opportuno far riferimento con grande prudenza: si è così ritenuto che l'istituzione di un fondo cassa per spese generiche di manutenzione potesse essere deliberata dai condomini purchè si trattasse di una somma residuale e minima di bilancio (Trib. Milano 5 febbraio 2013). La dottrina più avveduta, richiamando una giurisprudenza assai risalente e anteriore alla riforma del 2012, ha negato la possibilità di costituire fondi speciali che non vedessero nella urgenza di far fronte ad un pericolo di danno grave ed immediato la loro ragion d'essere. Va infine osservato che pronunce di legittimità assai risalenti hanno invece ritenuto legittima l'istituzione di un fondo cassa generico per l'ordinaria manutenzione, pur avendo riguardo alla peculiare circostanza che - in quel caso - la provvista era ottenuta accantonando i canoni di locazione relativi alla locazione di un bene condominiale a terzi e che si trattava comunque di accantonamenti infrannuali e destinati ad attività specifica e concreta: in tal caso la destinazione impressa al fondo-cassa, comportando necessariamente la compensazione delle somme accreditate a ciascun condomino con quelle addebitate come quote di anticipazione per l'esercizio successivo o dovute a conguaglio, doveva ritenersi rispettosa del diritto dei condomini di disporre di somme facenti parte del loro patrimonio e scevra di ogni pregiudizio patrimoniale (Cass. civ., sez. II, 28 agosto 1997, n. 8167, Cass. civ., sez. II, 25 novembre 1975, n. 3936). Si è già evidenziato come la giurisprudenza, anche di legittimità, in tempi più risalenti, abbia talvolta ritenuto legittima l'istituzione di un fondo cassa per far temporaneamente fronte alla morosità di un singolo condomino, laddove tale iniziativa fosse volta a fronteggiare una esigenza immediata ed indifferibile di evitare l'aggressione in via esecutiva da parte del creditore del condominio: si è così affermato che la delibera possa essere assunta dall'assemblea solo nell'ipotesi di effettiva, improrogabile urgenza di trarre aliunde le somme necessarie ad evitare l'aggressione in executivis da parte del terzo creditore del condominio; in tal caso è parso legittimo alla giurisprudenza di legittimità sopperire all'inadempimento del condomino moroso con la costituzione di un fondo cassa ad hoc, assimilabile ad una sorta di rapporto di mutuo atipico, tendente ad evitare danni ben più gravi nei confronti dei condomini tutti, esposti dal vincolo di solidarietà passiva: consegue da tale ricostruzione dogmatica che le circostanze che hanno dato occasione alla deliberazione si pongono come motivi non autonomi di essa, dalla quale sorge sia l'obbligazione di ciascun condomino di corrispondere la quota di sua pertinenza sia l'obbligazione del condominio di restituire le somme a tal titolo percette, una volta identificati i condomini originariamente morosi e recuperato nei loro confronti quanto dagli stessi dovuto per le quote insolute e per i maggiori oneri (Cass. civ., sez. II, 5 novembre 2001, n. 13631, Cass. civ., sez. II, 21 ottobre 1975, n. 3463). Sussiste un elemento che denota in via immediata l'anacronismo di tali posizioni, ovvero il dichiarato presupposto della solidarietà che, all'epoca, si riteneva legasse i condomini nell'adempimento della obbligazione contratta per la manutenzione e gestione della cosa comune. La possibilità che, per l'insolvenza di uno dei condomini, potessero ricadere sulla collettività oneri significativi per spese di esecuzione aveva indotto la giurisprudenza a pervenire a tale conclusione, sì che la deliberazione di un fondo per far provvisoriamente ed urgentemente fronte alla pretesa del terzo creditore, salvo poi recuperare tali somme dagli effettivi morosi era parsa iniziativa legittima e che non violava il generale divieto per la maggioranza di introdurre oneri per i dissenzienti nelle ipotesi non specificamente previste dal combinato disposto dagli artt. 1135 e 1123 c.c.
Con la nota svolta interpretativa introdotta da Cass. civ., sez. un., 8 aprile 2008, n. 9148, che ha invece indotto a ritenere la responsabilità di ciascun condomino assolutamente individuale e parziaria, sì che il rischio dell'insolvenza di uno veniva traslato sul creditore, impossibilitato ad aggredire gli altri, la tesi della legittimità di una delibera che istituisca il fondo per morosità al fine di evitare ai condomini gravi pregiudizi patrimoniali finiva per non trovare più cittadinanza. Per il vero le Sezioni Unite del 2008 - che traevano spunto dal precedente di Cass. civ., sez. II, 27 settembre 1996, n. 8530 - ad una più attenta lettura affermavano l'esistenza di un doppio binario, lasciando intatti gli strumenti del terzo creditore che intendesse aggredire il patrimonio condominiale per l'obbligazione contratta dall'amministratore ed affermando la parziarietà dell'obbligazione dei singoli ove, risultata infruttuosa l'azione nei confronti del condominio, il creditore intendesse agire nei confronti dei condomini. Ne deriva che, in ipotesi, avrebbe dovuto rimanere attuale quella giurisprudenza che riteneva lecita l'istituzione di un fondo morosità solo ove avesse funzione latamente cautelare, ovvero volto ad evitare un significativo ed imminente pregiudizio alle cose comuni (ad esempio il conto corrente oppure beni condominiali non indispensabili all'esistenza del fabbricato, ad esempio unità comuni locate a terzi, dovendosi viceversa ritenere comunque inaggredibili i beni comuni ex art. 1117 c.c. connaturati all'esistenza dell'edificio). Tuttavia, quelle isolate pronunce anteriori agli anni duemila hanno trovato scarso seguito negli interpreti e nella giurisprudenza di merito, che hanno ritenuto estranea alle attribuzioni della assemblea la delibera con cui la maggioranza dei partecipanti provveda a ripartire tra i condomini non morosi il debito delle quote condominiali dei condomini morosi, oppure ad istituire un fondo cassa ad hoc, non sussistendo in capo ai condomini in regola coi versamenti delle quote di rispettiva pertinenza alcun vincolo di solidarietà passiva in senso proprio nei confronti del terzo creditore, e non potendosi, perciò, prefigurare alcuna urgenza derivante dalla possibile esecuzione individuale, la quale è subordinata all'infruttuosa esecuzione nei confronti degli inadempienti (Trib. Milano 18 settembre 2017; Trib. Salerno, 6 giugno 2009). La validità di una simile delibera è invece ancora condivisa da una isolata pronuncia di legittimità posteriore (Cass. civ., sez. II, 18 aprile 2014, n. 9083, che pure giudica - ratione temporis - su fatti anteriori alla novella del 2012).
Se paiono condivisibili le censure mosse negli anni alla delibera che istituisca sic et simplicter un fondo speciale volto a contrastare la morosità in condominio, poichè non è consentito all'assemblea mutare ciò che prevede l'art. 1123 c.c., aggravando l'assetto delle obbligazioni dei singoli che, a tal fine, devono necessariamente prestare consenso unanime e tale oggetto deve ritenersi estraneo ai poteri dell'organo deliberativo determinando nullità della relativa decisione (Cass. civ., sez. un., 7 marzo 2005, n. 4806), qualche nuovo spunto di riflessione deve muovere dal diverso assetto oggi delineato dalla concorrente responsabilità dei condomini che, ancor più che con i beni comuni (fra tutti il conto corrente) possono vedersi aggrediti in via autonoma anche per la quota del singolo preventivamente ed infruttuosamente escusso. Per il vero l'esigenza cautelare di evitare ulteriori pregiudizi, evidenziata dalla giurisprudenza degli anni novanta (e ancora ribadita dalla corte di legittimità nel 2014) poteva ritenersi sussistente anche a fronte della minaccia di azione del terzo sul conto comune, circostanza che da un lato comporta una significativo aggravio di spese per il procedimento espropriativo e, dall'altra, provoca la paralisi dello strumento primario di amministrazione (oggi espressamente individuato dall'art. 1129, comma 7, c.c.). La totale aggredibilità del conto corrente condominiale (Trib. Milano 26 maggio 2014; Trib. Pescara 8 maggio 2014; Trib. Reggio Emilia 14 maggio 2014,), la sua generica destinazione a soddisfare le obbligazioni del condominio nei confronti di qualunque terzo, la possibilità che lo stesso sia oggetto di esecuzione - in via principale e prioritaria - da parte di un creditore per soddisfare le proprie esigenze patrimoniali senza possibilità dei condomini di opporre alcun vincolo neanche ai sensi dell'art. 1135, n. 4), c.c., sono tutti elementi che devono far riflettere sulla sopravvivenza e possibile rivalutazione della risalente giurisprudenza sul pericolo dell'azione esecutiva, che potrebbe legittimare quell'atto straordinario di gestione per far fronte, o prevenire, uno squilibrio patrimoniale (o per prevenirlo). Potrebbe allora ritenessi che, per quel che attiene alla obbligazione gravante per l'intero sull'amministratore (così come individuato dalla citata Cass. n. 8359/1996 e, rectius, sul condominio rappresentato dall'amministratore) e per il quale il creditore può agire immediatamente in via esecutiva, sussista il potere dell'assemblea di deliberare una provvisoria ripartizione fra i virtuosi per evitare azioni di aggressione del conto, ad esempio per evitare un rilevante e inutile aggravio di spese relative alla esecuzione preso terzi o per evitare che il creditore possa vedersi assegnate somme già destinate a costituire il fondo obbligatorio ex art. 1135, n. 4),c.c. per l'esecuzione di opere straordinarie, circostanze tutte che - magari a fronte di opere straordinarie già deliberate ed indispensabili (si pensi al rifacimento di un tetto ormai inidoneo alla sua funzione) - ben possono integrare quella necessità ed indifferibilità che consente alla assemblea di deliberare la provvisoria costituzione di un fondo. Si è da taluno osservato che la delibera potrebbe ritenersi lecita poiché non farebbe altro che anticipare il meccanismo di ripartizione in via sussidiaria già previsto dall'art. 63 disp.att. c.c., ma è argomento che poco convince poiché la norma attuativa ha natura inderogabile (ex art 72 disp.att. c.c.) e il meccanismo di garanzia della preventiva escussione pare posto proprio a presidio di garanzie dei singoli che l'assemblea non potrebbe porre sic et simpliciter nel nulla. Da parte di autorevoli interpreti, sin da tempi anteriori alla novella del 2012, si è invece ritenuto di ampliare il quadro di indagine, non limitando la riflessione sulla possibilità dell'assemblea condominiale di derogare al sistema della proporzionalità sulla ripartizione delle spese tra i condomini, valutando se piuttosto la deroga abbia una portata del tutto provvisoria e risponda all'esigenza di assicurare la conservazione o il godimento delle parti comuni, ovvero di assicurare il rispetto di elementari regole di buona amministrazione, nonché di evitare l'esposizione del condominio o dei singoli condomini, in regola con i versamenti delle quote da loro dovute, ad eventuali azioni esecutive dei terzi creditori del condominio medesimo. In tal senso, potrebbe oggi, plausibilmente, ritenersi non necessariamente illegittima la delibera che provvedesse a ripartire - in via provvisoria e a fronte di un pericolo per le somme versate sul conto o comunque di un pregiudizio concreto ed imminente anche di sola natura patrimoniale per i condomini - le somme ancora dovute da un condomino e reclamate da un creditore, sempre che l'amministratore si sia diligentemente attivato nei tempi, modi e termini previsti dagli artt. 1129, 1130 c.c. e 63 disp. att. c.c. nei confronti del condomino moroso; in tal caso, più che l'istituzione di un fondo cassa morosità - che già nella definizione si scontra con alcuni principi cardine sulle competenze della assemblea - ben potrebbe essere deliberato un riparto provvisorio al fine di affrontare un imprevisto squilibrio di gestione, tema che certamente appare non estraneo a quelli rimessi alla assemblea dall'art. 1135, n. 2), c.c. La rivalutazione della giurisprudenza che ritiene legittimo il provvisorio riparto fra i virtuosi appare vieppiù sostenibile laddove sussistano esigenze di immediata tutela del conto corrente comune oppure l'effettivo moroso appaia ex ante non utilmente escutibile (si pesi al condomino fallito o a quello pluriesecutato da creditori che vantino titoli di privilegio), ipotesi che tutte preludono ad un esito sfavorevole per il condominio e che potrebbero legittimare l'assemblea a gestire un problema che attiene alla collettività condominiale e che ha carattere e natura di immediata e “pericolosa” attuazione nei conforti del “soggetto” condominio. A tal fine pare significativo che la citata Cass. n. 9083/2014 abbia ritenuto legittimo il riparto provvisorio a fronte del rischio per il condominio di vedersi applicati tassi di interessi moratori stabiliti contrattualmente nel 12% annuo, pregiudizio economicamente significativo che avrebbe finito per gravare sul bene comune conto corrente.
Casistica
Ginesi, La gestione delle liti condominiali, Macerata, 2018; Celeste - Scarpa, Il condominio negli edifici, Milano, 2017; Terzago, Il condominio. Trattato teorico-pratico, aggiornamento a cura di A. Celeste, L. Salciarini e P. Terza-go. Milano, 2015;Corona, Le obbligazioni dei condomini, per farla finita con la solidarietà, Milano, 2014;Triola, Il nuovo condominio AA.VV. a cura di R. Triola, Torino, 2014;Lazzaro - Di Marzio - Petrolati, Codice del condominio, Milano, 2014, 240;Branca, Comunione. Condominio negli edifici, in Commentario al codice civile a cura di Scialoja e Branca, Bologna-Roma, 1982; Scarpa, Interessi collettivi, autonomi a patrimoniale e risvolti processuali nel nuovo condominio, in Quaderni della Scuola Superiore della Magistratura, 2017;Scarpa, I debiti del condominio verso i terzi, in Giur. merito, 2013, fasc. 3, 575;Izzo, La parziarietà nel condominio e la solidarietà nella comunione ordinaria pro indiviso, in Giust. civ., 2012, fasc. 4, 943;Triola, Osservazioni in tema di spese condominaili, in Giust. civ., 1997, fasc. 3, 699.
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