Servitù (costituzione e contenuto)Fonte: Cod. Civ. Articolo 1027
23 Agosto 2017
Inquadramento
La servitù costituisce un diritto reale minore tipico, il cui contenuto è delineato dall'art. 1027 c.c.: «La servitù prediale consiste nel peso imposto sopra un fondo per l'utilità di un altro fondo appartenente a diverso proprietario». Il successivo art. 1028 c.c. traccia i contorni del vantaggio per il c.d. fondo dominante, a fronte del peso imposto sopra l'altrui fondo (c.d. servente): «L'utilità può consistere anche nella maggiore comodità o amenità del fondo dominante. Può del pari essere inerente alla destinazione industriale del fondo». La peculiare natura del diritto fa sì che si diano servitù volontarie, ovvero costituite per disposizione negoziale e servitù coattive, che hanno luogo laddove il peso imposto sopra il fondo sia indispensabile ed inevitabile per il godimento del fondo dominante. Queste ultime, che possono essere costituite per ordine del giudice, rappresentano ipotesi tipiche e tassative, mentre per le servitù volontarie il legislatore ha ritenuto di tipizzare solo il contenuto del diritto, lasciando all'autonomia privata l'individuazione delle concrete fattispecie di applicazione. La riferibilità al condominio di tale schema normativo si scontrerebbe con uno dei capisaldi in tema di servitù, ovvero la necessaria appartenenza del fondo servente e del fondo dominante a due soggetti diversi, in base al noto principio nemini res sua servit; nell'ipotesi di servitù costituita a carico di una parte comune ad a favore di una proprietà solitaria di un condomino, costui risulterebbe titolare - seppure pro quota - anche del fondo servente, ipotesi tuttavia ritenuta ammissibile dalla giurisprudenza. L'applicabilità al condominio dell'istituto della servitù può avere diverse connotazioni, con particolare riguardo ai fondi che assumono veste di servente e dominante. Se la costituzione fra edifici in condominio diversi o fra fondi solitari diversi, seppur posti in condominio, non destava perplessità, non era univoca la soluzione data alla servitù che sorge a carico di parti comuni e a favore di proprietà solitarie. Poiché una delle caratteristiche tipiche del diritto di servitù è l'appartenenza dei fondi coinvolti a soggetti diversi, il fatto che nel condominio i titolari delle proprietà individuali siano anche comproprietari delle parti comuni ha posto seri interrogativi sulla compatibilità di tale assetto con il principio nemini res sua servit. Per tale ragione sino agli anni sessanta dello scorso secolo la Cassazione ha dato soluzione negativa alla applicabilità delle servitù all'ambito condominiale (Cass. civ., sez. II, 3 marzo 1962, n. 394, Cass. civ., sez. II, 24 febbraio 1964, n. 391). Si rilevava che l'assetto codicistico della proprietà collettiva, sia essa in comunione e in condominio, consentiva comunque al singolo un maggior utilizzo della cosa comune - alla cui categoria doveva essere ascritto l'onere sul fondo, e che - in ogni caso - difettava l'appartenenza dei fondi a soggetti diversi. Il superamento netto di tale principio si ha sul finire degli anni novanta, quando la suprema corte afferma in maniera esplicita che la nella realtà condominiale la necessaria appartenenza a soggetti diversi dei due fondi coinvolti deve avere diversa lettura rispetto all'ipotesi ordinaria: si è osservato che la sussistenza di un diritto di servitù sui beni indicati dall'art. 1117 c.c. e a favore della proprietà del singolo condomino non è esclusa dal fatto che costui ne sia comproprietario, poiché non può trovare applicazione in materia di condominio il principio nemini res sua servit atteso che in tale realtà l'intersoggettività del rapporto è data dal concorso di altri titolari del bene comune (Cass. civ., sez. II, 29 novembre 2004, n. 22408) In particolare la giurisprudenza ha delineato con precisione il netto limite che intercorre fra la facoltà di godimento sulle parti comuni - che compete al condomino iure proprietatis e che vede il proprio limite in quanto disposto dall'art. 1102 c.c., con il divieto di impedirne il pari uso agli altri condomini - e l'eventuale utilità ulteriore e diversa che il condomino può trarre da detti beni iure servitutis, che ha invece quale caratteristica principale l'imposizione di un onere che limita il diritto degli altri compartecipanti e che può trovare origine solo in un negozio fra tutti gli aventi titolo sul bene comune, volto alla costituzione di un vero e proprio ius in re aliena, ovvero di un diritto di servitù (Cass. civ., sez. II, 15 aprile 1999, n. 3749). Si è anche osservato, in dottrina, che la disciplina delle servitù non sarebbe compatibile con quella condominiale, aldilà della applicazione o meno del principio nemini res sua servit, per il fatto che la relazione di accessorietà che lega le parti comuni ai beni individuali esclude che possa darsi servitù in tale contesto, atteso che non sarebbe comunque trascrivibile la stessa servitù per identità oggettiva dei beni e soggettiva delle parti e che, infine, poiché l'art. 1117 c.c. consente per titolo di determinare l'estensione del diritto di ciascuno sulle parti comuni, l'eventuale maggiore o diverso uso di un condomino ben potrebbe essere determinato in quella sede senza nessuna necessità di fare ricorso allo schema della servitù. Condominio quale fondo dominante o servente
Il condominio, inteso in questo caso come soggetto collettivo che agisce quale proprietario dei beni comuni e come tale distinto dai proprietari delle unità individuali, può essere sia soggetto attivo che passivo della servitù. Nella sua veste di fondo dominante, potrà vedersi titolare del diritto di servitù che insista su beni in proprietà solitaria dei condomini (si pensi al diritto di passaggio imposto per titolo su un giardino di un condomino per accedere a locali o impianti condominiali) oppure di terzi (ad esempio il diritto di acquedotto imposto su un fondo limitrofo al condominio per addurre acqua al fabbricato condominiale). Allo stesso modo i beni comuni possono assumere veste di fondo servente sia in favore di condomini che di terzi (si pensi al cortile condominiale gravato da servitù di passo in favore di fondo confinante con il condominio). Nulla vieta che, ove ne sussistano i presupposti, in tali ipotesi possa darsi luogo anche a servitù coattiva ( Cass. civ., sez. II, 18 ottobre 2011, n. 21526). Si è ritenuto che sussista costituzione di servitù a carico delle parti comuni in quelle ipotesi in cui un condomino utilizzi per scopi personali una parte degli spazi comuni, in modo tale da incidere in maniera sostanziale sulla destinazione e sulla fruibilità di detti spazi da parte degli altri condomini, a maggior ragione ove vi realizzi un'opera permanente destinata al servizio della sua proprietà, poiché tale schema deve essere ricondotto all'ipotesi dei cui all'art. 1027 c.c. e non già a quella dell'art. 1102 c.c. (Trib. Milano 3 luglio 2002).
In tale ipotesi la costituzione oltre che per titolo, ove sussistano opere apparenti destinate all'esercizio della servitù, può anche avvenire per usucapione (pur con le cautele indicate dalla giurisprudenza per l'apprezzamento del possesso idoneo ad usucapire in situazioni di compossesso, Cass. civ., sez. II, 17 marzo 2016, n. 5324) o per destinazione del padre di famiglia (art. 1062 c.c.), ove l'assetto dei luoghi e l'asservimento funzionale derivi dalla divisione di un unico cespite immobiliare (Cass. civ., sez. II, 16 novembre 2012, n. 20218). Chiara ed interessante classificazione si rinviene in intervento del giudice di legittimità (Cass. civ., sez. II, 5 settembre 2000, n. 11684) che ha evidenziato la possibile costituzione per titolo (che può essere costituito anche da regolamento contrattuale), distinguendo le ipotesi in cui tale atto preveda la costituzione di pesi a carico di unità immobiliari di proprietà esclusiva e a vantaggio di altre unità abitative (servitù), da quella in cui si impongono prestazioni positive a carico dei medesimi e a favore di altri condomini o di soggetti diversi (onere reale), dalla quale va ulteriormente distinto il caso in cui si limiti il godimento o l'esercizio dei diritti del proprietario dell'unità immobiliare (obbligazioni propter rem). Anche in ambito supercondominiale è stato ritenuto che l'apposizione di vincoli che impongono limiti alla facoltà di utilizzo delle proprietà individuali, imposti da regolamento recepito nei singoli atti di acquisto, e che prevedono ad esempio divieti di unire diverse proprietà, di costruire sopra una certa altezza o oltre una determinata cubatura corrispondono allo schema previsto dall'art. 1027 c.c. (Cass. civ., sez. II, 16 ottobre 1999, n. 11688). Le servitù costituite in favore o a carico del condominio - seppur incidenti direttamente nella sfera individuale dei singoli condomini e come tali a loro riconducibili pro quota e non al condominio che non ha autonoma soggettività - poiché vengono esercitate (o subite) indistintamente da tutti i condomini nel comune interesse, rientrano nel novero dei beni comuni, per i quali esiste legittimazione dell'amministratore anche relativamente alle azioni negatorie e confessorie (Cass. civ., sez. II, 28 febbraio 2014, n. 4871) Quanto alla costituzione per titolo, va osservato che l'atto negoziale idoneo - aldilà della ipotesi di contratto intercorso fra tutti i partecipanti al condominio - può rinvenirsi anche in disposizioni dettate dall'originario unico proprietario del fabbricato al momento della costituzione del condominio. La vendita del primo appartamento a terzi segna il momento ultimo nel quale costui può disporre pesi su determinate unità a favore di altre, poiché individua il momento in cui l'edificio da oggetto di un unico diritto dominicale - in cui l'unico proprietario può dare l'assetto ritenuto più opportuno ai beni che lo compongono, con uno schema astrattamente riconducibile all'art. 1062 c.c. - diviene condominio con una pluralità di soggetti che, necessariamente, dovranno prestare consenso alla costituzione di ulteriori e diversi vincoli o pesi (Trib. Milano 22 maggio 2012). A tal proposito, assai di recente, si è anche rilevato che devono essere ritenute apparenti, e quindi acquistabili anche ai sensi dell'art. 1062 c.c., le servitù di acquedotto (o di scarico), costituite a favore del condominio e a carico di un'unità immobiliare dall'originario unico proprietario, sull'assunto che la condotta idrica è potenzialmente percepibile, pur se collocata al di sotto del pavimento dell'appartamento che funge da fondo servente e dunque inequivocabilmente rivela, per struttura e consistenza, l'onere imposto sul fondo servente (Cass. civ., sez. II, 8 giugno 2017, n. 14292) Ai fini della opponibilità a terzi della servitù eventualmente costituita per disposizione contenuta nel regolamento contrattuale, predisposto dall'originario unico proprietario, non è sufficiente indicare nella nota di trascrizione il regolamento medesimo ma è necessario indicare le specifiche clausole limitative, ai sensi degli artt. 2659, comma 1, n. 2), e 2665 c.c. (Cass. civ., sez. II, 31 luglio 2014, n. 17493) Si è osservato in giurisprudenza che la costituzione di un diritto di uso esclusivo in favore di un condomino sul cortile comune non vale a costituire una servitù d'uso, poiché ciò - invece di costituire un peso imposto sopra il fondo comune - comporterebbe il totale annullamento di ogni facoltà d'uso da parte degli altri comproprietari (Cass. civ., sez. II, 27 aprile 2012, n. 6582). Allo stesso modo non costituisce costituzione di alcuna servitù il riconoscimento ad un condomino del diritto di parcheggiare nel cortile condominiale, poiché in tale diritto difetta il carattere della realità. Costituisce orientamento costante della giurisprudenza di legittimità la tesi che l'uso di uno spazio comune per utilità non riferibile ad un immobile configura situazione estranea allo schema della servitù, difettando l'imprescindibile requisito del vantaggio in favore di una res piuttosto che di una persona. (Cass. civ., sez. II, 21 gennaio 2009, n. 1551; Cass. civ., sez. II, 27 luglio 2007, n. 16631; Cass. civ., sez. II, 6 maggio 2005, n. 9393). La giurisprudenza ha ritenuto vietato, con orientamento consolidato, l'apertura di una varco nel muro perimetrale del condominio che metta in comunicazione con vani posti in edificio attiguo, pur se appartenenti al medesimo soggetto: tale iniziativa comporta la cessione del godimento di un bene comune, quale è, ai sensi dell'art. 1117 c.c., il muro perimetrale del condominio (anche se lo stesso non sia portante), in favore di una proprietà estranea all'edificio condominiale, con conseguente imposizione di una servitù per la cui costituzione è necessario il consenso scritto di tutti i condomini (Cass. civ., sez. II, 14 dicembre 2016, n. 25775, Cass. civ., sez. II, 5 marzo 2015, n. 4501). Casistica
Natucci, La tipicità dei diritti reali, Padova, 1982; Triola, Il godimento delle parti in proprietà esclusiva, in Il nuovo condominio, AA.VV. a cura di Triola, Torino, 2014; Corona, Proprietà e maggioranza nel condominio negli edifici, Torino, 2001; Geri, Numerus clausus, tipicità, atipicità, divisibilità della servitù, Giur. agraria it., 1978, 648; Vitucci, Utilità e interesse nelle servitù prediali, Milano, 1974.
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