Condominio e locazione

Regolamento contrattuale (opponibilità)

26 Aprile 2019

Accade spesso che, per le più disparate esigenze degli agglomerati urbani, vi siano pattuizioni volte a regolare variamente le proprietà sotto il profilo delle modalità di godimento: il regolamento contrattuale può, infatti, stabilire di riservare l'intero edificio o i singoli appartamenti esclusivamente a certi usi, o vietarne altri ritenuti incompatibili con l'interesse comune, oppure imporre...
Inquadramento

In relazione alla modalità di formazione, il regolamento c.d. contrattuale può distinguersi in interno e esterno.

Il regolamento può definirsi di origine “interna” allorché venga approvato da tutti i condomini (nessuno escluso).

Siamo, quindi, in presenza di un atto plurisoggettivo, che può verificarsi nell'ipotesi in cui tutti i condomini manifestino specificatamente la loro adesione ad un dato testo sulla base di singoli atti di accettazione, che si estrinsecano con la sottoscrizione dello stesso regolamento; con tale convenzione, i condomini, da un lato, si attribuiscono alcuni diritti o si vincolano ad osservare certi obblighi, e, dall'altro, specificano in maniera più puntuale l'attribuzione e la gestione delle parti comuni dell'edificio, nonché disciplinano il godimento e la destinazione delle parti di proprietà esclusiva.

Non sarebbe, però, sufficiente che il regolamento sia approvato, in sede assembleare, all'unanimità (dei partecipanti al condominio e non dei presenti all'assemblea) anziché a maggioranza (sia pure qualificata), poiché lo stesso deve trarre la sua fonte da un atto negoziale posto in essere “direttamente” da ciascun condomino in proprio, senza la “mediazione” dell'organo rappresentativo del condominio.

In pratica, per qualificare l'atto proveniente dai condomini riuniti in assemblea come deliberazione o negozio, occorre valutare - alla stregua dell'accertamento del volere e dei consueti canoni ermeneutici - se i partecipanti abbiano inteso semplicemente votare una decisione o, in modo più impegnativo, porre in essere effetti negoziali (attribuendosi diritti e costituendo obbligazioni); in altri termini, la stipulazione del contratto può avvenire anche in assemblea, purché i condomini, tutti insieme, decidano di porre in essere appunto un contratto (per garantirne meglio l'osservanza, il cui mancato rispetto dia luogo ad inadempimento), manifestando la volontà negoziale nei modi e nelle forme prescritte; è diverso il procedimento di formazione: una cosa è la votazione, altra è il consenso, con tutte le conseguenze “a cascata” quanto a contenuto, interpretazione, modifica, pubblicità, impugnazione, e quant'altro.

Il regolamento contrattuale si definisce, invece, di origine “esterna” qualora l'originario unico proprietario dell'edificio - successivamente costituito in condominio, a seguito del frazionamento e della vendita della prima unità immobiliare - lo predisponga e lo imponga agli acquirenti delle singole unità immobiliari che fanno parte del fabbricato mediante un richiamo espresso nei relativi atti di trasferimento.

Contrariamente a quello prima esaminato, di origine interna, qui non è il gruppo che si autoregolamenta con un contratto, ma sono i singoli condomini che esprimono l'accettazione ad una proposta di regolamento già formulata da fuori, di regola dal costruttore (prima di tale accettazione, lo stesso assume valore di mera proposta di contratto).

In quest'ultimo caso - che è, peraltro, quello più ricorrente nella prassi e, quindi, più oggetto di contenzioso - le disposizioni del regolamento o sono allegate nei singoli atti di acquisto ed accettate dagli acquirenti mediante atti di adesione, oppure, anche se non materialmente inserite nel testo del contratto di vendita, fanno corpo con questo, pure se redatte di seguito alla compravendita ma in un atto separato, rientrando per relationemnel contenuto dei singoli atti di acquisto mediante accettazione della relativa clausola da parte degli acquirenti (Cass. civ., sez. II, 31 luglio 2009, n. 17866; Cass. civ., sez. II, 25 ottobre 2001, n. 13164).

In tal modo, il regolamento trae la sua forza vincolante - non già dal consenso della maggioranza dei condomini, come nel regolamento assembleare, bensì - dalla volontà negoziale delle parti contraenti, permettendo di predisporre una disciplina più penetrante (incidendo nelle posizioni dei singoli), più articolata (con un contenuto più esteso di quello indicato nel comma 1 dell'art. 1138 c.c.) e più stabile (destinata a durare a fronte dei mutevoli voleri delle maggioranze).

Il godimento delle proprietà esclusive

Il regolamento contrattuale, proprio per la sua fonte negoziale sopra delineata, può essere fonte di limitazioni, generali o particolari - il cui contenuto può essere il più vario - per i singoli condomini relativamente all'utilizzo delle unità immobiliari di proprietà esclusiva; più raro è il caso in cui lo stesso regolamento disponga ampliamenti dei diritti spettanti a ciascuno, come è il caso dell'attribuzione del diritto, in favore soltanto del proprietario del piano terreno, di utilizzare in modo esclusivo la facciata dello stabile per appoggiarvi insegne luminose o per dare risalto pubblicitario all'attività commerciale ivi esercitata (Cass. civ., sez. II, 24 ottobre 1986, n. 6229).

Al riguardo, si è chiarito che le limitazioni ai poteri dei condomini e ai loro diritti sui beni individuali - volte ad assicurare le esigenze di convivenza, affinché l'esercizio del diritto di proprietà non sia fonte di inconvenienti e fastidi per gli altri - possono derivare dal regolamento approvato da tutti i partecipanti, in quanto questo, avendo valore contrattuale, trae validità ed efficacia dal consenso degli interessati, purché espresso nella forma richiesta in relazione alla natura di ciascuna limitazione, onere o servitù che si viene ad imporre (Cass. civ., sez. II, 17 aprile 2001, n. 5612; Cass. civ. sez. II, 12 luglio 2000, n. 9234).

Si fa riferimento, soprattutto, a quelle clausole che fanno divieto ai proprietari di destinare gli appartamenti o i locali di proprietà esclusiva all'esercizio di determinate attività oppure di adibirli a determinate forme di utilizzo, perché ritenute pericolose per il condominio, o comunque fonte di disturbo o di disagio per la collettività (v., ex multis, Cass. civ., sez. II, 27 maggio 2011, n. 11859; Cass., 25 ottobre 2010, n. 21841; Cass., 31 luglio 2009, n. 17886; relativamente all'esclusione della facoltà di sopraelevazione in capo al proprietario dell'ultimo piano, v. Cass. civ., sez. II, 14 gennaio 1993, n. 395; circa il divieto di destinare le unità immobiliari a imprese, gabinetto medico, studi professionali, esercizi commerciali, bed and breakfast, pensioni, v., altresì, Cass. civ., sez. II, 14 dicembre 2007, n. 26468; Cass. civ., sez. II, 21 maggio 1994, n. 2683).

Del resto, non sussistendo disposizioni di ordine pubblico, per loro natura inderogabili, a vietare l'inserimento nei regolamenti di norme limitative del genere, è del tutto aderente allo spirito e alla lettera dei principi che presiedono alla materia condominiale, per la funzione cogente di assicurare il buon uso e il godimento della cosa comune, l'introdurre in essi vincoli e limiti alle stesse singole proprietà a seguito di concorde determinazione degli aventi diritto, necessitata dallo scopo di conseguire la più comoda e proficua utilizzazione delle cose comuni con il minor danno per esse nonché per il miglior godimento possibile delle utilità connesse alle proprietà esclusive.

Molto controversa è, invece, la configurazione della natura di tali limitazioni alle proprietà “esclusive” contenute nei regolamenti contrattuali, in quanto la giurisprudenza le ha considerate come oneri reali (Cass. civ., sez. II, 14 novembre 1991, n. 12173), obbligazioni propter rem (Cass. civ., sez. II, 20 novembre 1996, n. 10214), servitù reciproche (Cass. civ., sez. II, 25 ottobre 2001, n. 13164), oneri aventi natura sostanziale di servitù (Cass. civ., sez. II, 17 novembre 1979, n. 5985), vincoli (Cass. civ., sez. II, 6 febbraio 1987, n. 1195), limiti pattizi alla proprietà (Cass. civ., sez. II, 27 giugno 1985, n. 3848) - concetti la cui definizione non è sempre agevole - e tale configurazione è rilevante per la questione relativa all'efficacia di tali clausole nei confronti dei terzi aventi causa a titolo particolare dagli originari condomini stipulanti).

Per somme linee, si può affermare che l'onere reale è un peso che grava sul fondo, paragonabile sotto questo aspetto alla servitù (da cui differisce per il contenuto di facere) e comporta la soggezione permanente del fondo stesso, conseguendone che qualunque proprietario ne è gravato e tenuto ad eseguire la relativa prestazione, mentre l'obbligazione propter rem(anch'essa avente ad oggetto un facere) non importa onere sul fondo, nel senso che questo non è gravato da alcun peso, né si trova in una situazione di soggezione permanente, e la proprietà del fondo ha solo la funzione di individuare il soggetto passivo dell'obbligazione (la c.d. ambulatorietà comporta l'automatico trasferimento dell'obbligazione conseguentemente al trasferimento del diritto di proprietà sulla cosa medesima).

Le differenze sopra accennate sono rilevanti, in quanto, di regola, solo il diritto di servitù (ad esempio, rappresentato dal divieto di adibire l'immobile ad una data destinazione o di esercitarvi date attività) sarebbe trascrivibile nei registri immobiliari, in quanto attinente alla costituzione e modifica dei diritti reali, mentre la trascrizione non è prevista ex art. 2643, n. 4), c.c. per quanto riguarda l'onere reale o l'obbligazione propter rem, laddove si impongano agli acquirenti certe prestazioni positive (si pensi all'innaffiamento delle piante dell'androne), o certe obbligazioni nei confronti degli altri partecipanti (si pensi al pagamento di un contributo per aver adibito l'appartamento a studio professionale).

Nella prima fattispecie, l'unico proprietario-costruttore predispone, con il regolamento, un piano di costituzione delle servitù reciproche - dal punto di vista attivo e passivo, ossia la restrizione per favorire gli altri condomini apporta un corrispondente vantaggio - tante quante sono le unità immobiliari successivamente vendute, che sono accettate contrattualmente da ciascun acquirente nei rispettivi atti di vendita, nei quali tali unità in proprietà esclusiva vengono assoggettate a vari pesi, cioè imponendo di non fare alcune realizzazioni, a vantaggio di tutte le altre unità immobiliari - ad esempio, divieto di una data destinazione o utilizzazione, altius non tollendi, immodificabilità, ecc. - che, senza il divieto, lo stesso acquirente avrebbe avuto piena libertà di fare; per converso, l'utilità per il fondo dominante - che può consistere anche nella maggiore comodità o amenità del fondo ex art. 1028 c.c. - viene posta a tutela dell'estetica, della tranquillità, della visuale panoramica, della dignità e del pregio, dell'insolazione e areazione, e quant'altro, dello stabile nel suo complesso nonché delle unità immobiliari che lo compongono (e che, peraltro, acquistano un vantaggio economico mediante un maggiore valore di scambio).

I successivi acquirenti

Va premesso che la problematica concernente l'opponibilità delle clausole limitatrici dei diritti dei singolinon riguarda i regolamenti assembleari, che contengono solo norme sull'amministrazione o/e sulla gestione delle cose, impianti e servizi comuni (v. le materie indicate nel comma 1 dell'art. 1138 c.c.), e non producono alcuna delle vicende elencate dall'art. 2643 c.c., ossia contratti che trasferiscano la proprietà di beni immobili o costituiscano o modifichino su di essi diritti reali, come le servitù prediali, o atti che incidano in qualche modo sui diritti immobiliari, che esigano, quindi, la trascrizione; una volta acquisita efficacia definitiva per difetto di impugnazione della deliberazione che li approva, i regolamenti assembleari la conservano nel tempo nei confronti di chiunque entri a far parte del condominio, che rimane tenuto ad una puntuale osservanza e rispetto.

Ai sensi dell'art. 1372 c.c., gli atti negoziali di regola producono effetti soltanto “tra le parti”, sicché si pone il problema dell'opponibilità di tali vincoli, obblighi e divieti nei confronti degli aventi causa a titolo “particolare” dagli iniziali condomini - gli eredi, aventi causa a titolo “universale”, invece, subentrano automaticamente nella stessa posizione giuridica del loro dante causa - in quanto può succedere che sia stata loro taciuta l'esistenza di un regolamento o che, per qualunque motivo, tali terzi abbiano ignorato il contenuto delle relative clausole particolarmente gravose nei loro confronti.

Pur essendo controversa la natura giuridica di tali limiti alla proprietà individuale - v. sopra - la giurisprudenza sembra propensa a riconoscere la natura “reale” (e non meramente obbligatoria) degli stessi e la loro efficacia erga omnes e, in particolare, l'opponibilità ai terzi acquirenti, purché risultino trascritti nei registri immobiliari o comunque accettati da chi subentra nella proprietà dell'unità immobiliare dell'edificio in condominio.

A stretto rigore, di possibilità di trascrizione potrebbe parlarsi solo qualora si tratti di (acquisto, modificazione o estinzione di) oneri stabiliti sulla res - come, ad esempio, i divieti di determinate destinazioni degli appartamenti - o di pesi stabiliti sulla proprietà esclusiva di un partecipante a favore del condominio, mentre è dubbio il ricorso a tale istituto in presenza di obblighi di fare, ossia di doveri di carattere personale.

La particolare forma di pubblicità

Il regolamento di condominio predisposto dal costruttore-venditore, che contenga vincoli afferenti all'intero edificio, e conseguentemente a tutte le unità comprese nel fabbricato, quando sia stato da questi trascritto nei registri immobiliari, è opponibile non soltanto a coloro che acquistano le unità immobiliari da proprietari che abbiano accettato esplicitamente o implicitamente il regolamento stesso, ma anche a coloro che, in epoca successiva alla trascrizione, per la prima volta acquistino appartamenti dell'edificio direttamente dal costruttore, atteso che tutti costoro, non avendo partecipato all'approvazione del regolamento prima della conclusione del loro acquisto, devono comprendersi tra i terzi rispetto ai quali opera, ai fini dell'opponibilità dei suddetti vincoli, siffatta forma di pubblicità (v., tra le tante, Cass. civ., sez. II, 14 dicembre 1992, n. 13179; Cass. civ., sez. II, 14 novembre 1991, n. 1273).

Quindi, a seguito della trascrizione del regolamento contrattuale, inserito o allegato al contratto di compravendita - istituto, previsto dagli artt. 2643 ss. c.c., consistente in una forma di pubblicità realizzata mediante l'annotazione dell'atto presso la relativa Conservatoria dei registri immobiliari (oggi, Agenzia del territorio) - si attua la funzione di rendere conoscibile ai terzi l'assetto giuridico degli immobili trasferiti, e, in particolare, si determina l'opponibilità agli aventi causa che non potranno contestare la complessiva situazione giuridica impressa all'edificio in condominio.

Di converso, l'omessa trascrizione del regolamento nei registri immobiliari determina solo l'inopponibilità, ai successivi acquirenti delle singole unità immobiliari comprese nell'edificio condominiale, delle clausole limitative dei diritti esclusivi di proprietà spettanti a ciascun condomino, specie per quanto riguarda le disposizioni aventi ad oggetto l'obbligo o il divieto di dare a taluni locali una determinata destinazione, o di eseguire date opere, che, d'altronde, seppur contrattuali, non producono effetti “immobiliari” ex artt. 2643 ss. c.c. e, quindi, non sono trascrivibili (Cass. civ., sez. II, 26 gennaio 1998, n. 714; Cass. civ., sez. II, 11 maggio 1996, n. 4439, circa la differenza rispetto all'ipoteca in ordine all'opponibilità senza limiti di tempo; sulla “diversa convenzione” in tema di riparto delle spese, v. Cass. civ., sez. II, 25 marzo 2004, n. 5975).

In evidenza

In buona sostanza, le clausole del regolamento contrattuale in tanto risultano efficaci nei confronti dei terzi aventi causa a titolo particolare dagli originari condomini stipulanti in quanto siano state debitamente trascritte; al riguardo, va soddisfatta, però, l'esigenza di completezza della relativa nota di trascrizione dal punto di vista oggettivo e soggettivo, nel senso che la stessa deve indicare il contenuto essenziale del titolo di cui si chiede la trascrizione e menzionare con chiarezza i negozi giuridici con cui si vuol dare pubblicità, di guisa che, dall'esame del tenore della nota, sia possibile accertare con sicurezza a favore ed a carico di chi la trascrizione debba conseguire i suoi effetti.

La nota di trascrizione

Riguardo al concetto relativo all'esigenza di “specificità” della nota di trascrizione, l'art. 2659, comma 1, n. 2), c.c. - secondo cui, in tale nota, devono essere indicati il titolo di cui si chiede la trascrizione e la data del medesimo - va interpretato in collegamento con il successivo art. 2665, il quale stabilisce che l'omissione o l'inesattezza delle indicazioni richieste nella nota non nuoce alla validità della trascrizione, a meno che induca incertezza sulle persone, sul bene o sul rapporto giuridico a cui si riferisce l'atto; peraltro, tale capoverso risulta novellato dall'art. 17 della l. n. 220/2012, che ha appositamente aggiunto, in fine, le seguenti parole “per i condominii devono essere indicati l'eventuale denominazione, l'ubicazione e il codice fiscale”.

Peraltro, occorre fare riferimento, nella predetta nota - non al regolamento, ma - alle singole clausole di esso incidenti in senso limitativo sui diritti dei condomini relativamente ai beni di proprietà esclusiva (Cass. civ., sez. II, 25 ottobre 1988, n. 5776; Cass. civ., sez. II, 15 dicembre 1986, n. 7515).

In quest'ottica, si pone una recente pronuncia del Supremo Collegio, secondo la quale la previsione contenuta in un regolamento condominiale convenzionale di limiti alla destinazione delle proprietà esclusive, incidendo non sull'estensione ma sull'esercizio del diritto di ciascun condomino, deve essere ricondotta alla categoria delle servitù atipiche, e non delle obbligationes propter rem, non configurandosi in tal caso il presupposto dell'agere necesse nel soddisfacimento di un corrispondente interesse creditorio, sicché l'opponibilità ai terzi acquirenti di tali limiti va regolata secondo le norme proprie della servitù e, dunque, avendo riguardo alla trascrizione del relativo peso, indicando nella nota di trascrizione, ai sensi degli artt. 2659, comma 1, n. 2), e 2665 c.c., le specifiche clausole limitative, non essendo invece sufficiente il generico rinvio al regolamento condominiale (Cass. civ., sez. II, 18 ottobre 2016, n. 21024; fedeli all'impostazione tradizionale, si rivelano, di contro, le quasi coeve Cass. civ., sez. II, 3 novembre 2016, n. 22310 e Cass. civ., sez. II, 28 settembre 2016, n. 19212).

In caso di mancata trascrizione, invece, l'opponibilità ai terzi può raggiungersi quando la clausola limitativa sia esplicitamente riportata ed accettata specificatamente nel contratto di acquisto - accettazione, ovviamente, che deve essere evidente ed inequivocabile, e non desumibile da fatti concludenti (non ammettendosi equipollenti, né indagini per conoscere aliunde la conoscenza del vincolo) - oppure allorché l'acquirente abbia dichiarato espressamente di essere a conoscenza del vincolo in oggetto (v., ex multis, Cass. civ., sez. II, 26 gennaio 2004, n. 1314; Cass. civ., sez. II, 3 luglio 2003, n. 10523).

Sembra eccessivo, però, che non sarebbe nemmeno necessaria una menzione delle singole disposizioni del regolamento (Cass. civ., sez. II, 17 marzo 1994, n. 2546; Cass. civ., sez. II, 15 giugno 1991, n. 6768); in difetto di trascrizione e accettazione/conoscenza, l'efficacia delle clausole de quibus sarà limitata soltanto a coloro che hanno approvato il regolamento, se di origine interna, o all'originario proprietario, se di origine esterna.

Non è mancato, però, chi (Triola) ha ritenuto intrascrivibile tout court il regolamento in quanto tale, poiché la pubblicità ha ad oggetto la convenzione costitutiva di servitù reciproche, che solo formalmente costituisce una clausola del regolamento approvato all'unanimità o del regolamento predisposto dall'originario proprietario dell'intero edificio a cui rinvia l'atto di vendita; è invalsa, infatti, la prassi secondo cui la trascrizione avviene a seguito del deposito del regolamento, formato dal costruttore, presso un notaio, risultante da apposito verbale (Cass. civ., sez. II, 7 gennaio 1991, n. 49), ritenuta, invece, illegittima per motivi sia formali che sostanziali.

Sotto il primo profilo, si è rilevato che il verbale di deposito non è autenticazione della sottoscrizione apposta dal depositante in calce al regolamento e, quindi, non costituisce titolo idoneo ai fini della trascrizione ai sensi dell'art. 2657 c.c.; sotto il secondo profilo, si è osservato che il regolamento non può essere trascritto, in quanto il proprietario dell'intero edificio non può costituire a suo favore e/o a suo carico delle servitù, in base al principio nemini rem sua servit; peraltro, le fattispecie trascrivibili costituiscono, ai sensi degli artt. 2643 e 2657 c.c., un numero chiuso, come la sentenza, l'atto pubblico, la scrittura privata con sottoscrizione autenticata o accertata giudizialmente (tanto che si è dovuto spesso ricorrere al giudice per condannare il Conservatore a procedere alla trascrizione del predetto atto).

Seguendo questa tesi, la trascrizione può avvenire solo con la vendita del primo appartamento, deve essere effettuata “a favore e contro” il venditore e l'acquirente, deve essere eseguita autonomamente - ossia sulla base di una nota ad hoc, non bastando l'eventuale semplice menzione del regolamento nella nota destinata a rendere pubblica la predetta vendita - e avrà efficacia nei rapporti tra il primo acquirente, o i suoi aventi causa, e l'originario unico proprietario; in occasione, poi, di ogni successivo trasferimento, dovrà essere allegato all'atto di vendita il regolamento, o dovrà essere effettuato il rinvio al regolamento allegato al primo atto di vendita, procedendo ad una nuova trascrizione a favore e contro riferita all'unità immobiliare trasferita.

Va dato atto, però, che, con la l. 27 febbraio 1985, n. 52, sono state apportate modifiche alla normativa codicistica sulla trascrizione con l'introduzione di un sistema di elaborazione automatica nelle Conservatorie dei registri immobiliari; è seguito il decreto interministeriale, emanato di concerto tra il Ministro delle Finanze e quello della Giustizia, che, in forza dell'art. 16 della predetta legge, ne ha stabilito le procedure, i sistemi ed i tempi di attuazione, il Regolamento approvato con d.m. 19 aprile 1994, n. 701, e la circolare 128/T del 2 maggio 1995, con cui sono stati elencati gli atti soggetti a trascrizione, tra i quali era incluso il regolamento di condominio.

In quest'ultima prospettiva, il regolamento dovrebbe essere redatto in forma di atto pubblico o scrittura privata autenticata, e la trascrizione, avvenuta con la prima vendita, dovrebbe ripetersi anche per le successive; soggetto “a favore” dovrebbe essere il condominio, inteso non come entità giuridica di cui è sprovvisto, ma come semplice soggetto destinatario degli effetti del medesimo regolamento, mentre tra i soggetti “contro” andrebbero indicati i singoli condomini, persone fisiche o/e giuridiche, con i relativi diritti di proprietà degli immobili oggetto del regolamento e gli altri dati previsti dalla legge (regime patrimoniale, eventuali ipoteche, qualifica di proprietario e usufruttuario, quote millesimali, non necessarie queste ultime per le parti comuni dell'edificio, quali la portineria, i locali impianti, l'androne, ecc.).

Le modifiche successive

Un ultimo problema si pone riguardo alla pubblicità delle modifiche dei regolamenti contrattuali di origine esterna, allegati ai singoli atti di acquisto (trascritti) delle varie unità immobiliari.

Alcuni (Andreoli) hanno ritenuto che tali regolamenti, per il fatto di essere inseriti negli stessi atti di acquisto delle singole unità immobiliari, risultano a loro volta trascritti, per cui se dalla successiva deliberazione di modifica del regolamento non venisse fatta alcuna menzione nei registri immobiliari, i terzi, dall'esame di questi ultimi, potrebbero essere indotti nell'errore di ritenere tuttora valido ed operante il regolamento originario, superato invece dai sopraggiunti cambiamenti, sicché sarebbe necessario che la medesima deliberazione di modifica sia annotata in margine alla trascrizione degli atti di acquisto, e ciò sia per l'esigenza di tutela della buona fede dei terzi, sia in ossequio al disposto dell'art. 2655, comma 1, c.c. (secondo cui “qualora un atto trascritto o iscritto sia dichiarato nullo, sia annullato, risoluto, rescisso e revocato o sia soggetto a condizione risolutiva, la dichiarazione di nullità, rispettivamente, l'annullamento, la risoluzione, la rescissione, la revocazione, l'avveramento della condizione devono annotarsi in margine alla trascrizione o all'iscrizione dell'atto”); quando ciascun condomino formalmente accetta il regolamento di origine esterna, impegnandosi ad osservarlo integralmente, lo accetta sub condicione che la competente assemblea non lo modifichi in avvenire, e se quest'ultima lo fa, si avvera proprio quella condizione risolutiva che, per il citato art. 2655 c.c., impone l'annotazione dell'ipotizzata deliberazione nei registri immobiliari.

Casistica

CASISTICA

Studio medico dentistico

Tenuto conto che sono legittime le restrizioni alle facoltà inerenti alla proprietà esclusiva contenute nel regolamento di condominio di natura contrattuale, purché formulate in modo espresso o comunque non equivoco - sì da non lasciare alcun margine di incertezza sul contenuto e la portata delle relative disposizioni - le norme regolamentari possono imporre limitazioni al godimento degli immobili di proprietà esclusiva secondo criteri anche più rigorosi di quelli stabiliti, in tema di immissioni lecite, dall'art. 844 c.c.; ne consegue che in tal caso la liceità o meno dell'immissione deve essere determinata non sulla base della norma civilistica generale ma alla stregua del criterio di valutazione fissato dal regolamento (nella specie, si è ritenuta corretta la decisione secondo cui la destinazione di un appartamento a studio medico dentistico non violava la norma del regolamento condominiale di natura contrattuale che vietava l'esercizio negli immobili di proprietà esclusiva di attività rumorose maleodoranti ed antiigieniche, atteso che l'attività espletata non presentava in concreto tali caratteri) (Cass. civ., sez. II, 7 gennaio 2004, n. 23).

Destinazione a bed & breakfast

La previsione contenuta in un regolamento condominiale convenzionale di limiti alla destinazione delle proprietà esclusive, incidendo non sull'estensione ma sull'esercizio del diritto di ciascun condomino, deve essere ricondotta alla categoria delle servitù atipiche, e non delle obligationes propter rem, non configurandosi in tal caso il presupposto dell'agere necesse nel soddisfacimento d'un corrispondente interesse creditorio; pertanto, l'opponibilità ai terzi acquirenti di tali limiti va regolata secondo le norme proprie della servitù, e dunque avendo riguardo alla trascrizione del relativo peso, indicando nella nota di trascrizione, ai sensi dell'art. 2659, comma 1, n. 2), c.c. e art. 2665 c.c., le specifiche clausole limitative, non essendo invece sufficiente il generico rinvio al regolamento condominiale (fattispecie di divieto di destinare le unità singole a case-famiglia, bed and breakfast, pensioni, alberghi o affittacamere) (Cass. civ., sez. II, 18 ottobre 2016, n. 21024).

Divieto di uso alberghiero

Le clausole del regolamento condominiale di natura contrattuale, che possono imporre limitazioni ai poteri e alle facoltà spettanti ai condomini sulle parti di loro esclusiva proprietà purché siano enunciate in modo chiaro ed esplicito, sono vincolanti per gli acquirenti dei singoli appartamenti qualora, indipendentemente dalla trascrizione, nell'atto di acquisto si sia fatto riferimento al regolamento di condominio, che - seppure non inserito materialmente - deve ritenersi conosciuto o accettato in base al richiamo o alla menzione di esso nel contratto (nella specie, una società aveva acquistato tutte le unità immobiliari di un edificio, tranne una; poiché all'atto dell'acquisto essa aveva dichiarato di “ben conoscere ed accettare” le pattuizioni condominiali, una delle quali recava il divieto di uso alberghiero, è stato ritenuto che legittimamente i proprietari della suddetta unità abitativa si fossero opposti a che la società adibisse l'immobile acquistato ad albergo) (Cass. civ., sez. II, 31 luglio 2009, n. 17886).

Guida all'approfondimento

M. Corona, La trascrizione del regolamento di condominio, in Riv. notar., 2008, 51;

Tosca, Regolamento di condominio, nota di trascrizione e opponibilità, in Arch. loc. e cond., 2002, 13;

Musolino, Natura e vincolatività del regolamento di condominio, in Riv. notar., 2000, 936;

Triola, La trascrizione delle limitazioni alle proprietà individuali previste nel regolamento di condominio, in Giust. civ., 1994, I, 1481;

Bonis, Appunti sulla trascrivibilità del regolamento di condominio, in Riv. dir. ipot., 1968, 149;

Bisegna, Regolamento condominiale per relationem, servitù e trascrizione, in Giur. it., 1965, I, 1, 1697;

Andreoli, I regolamenti di condominio, Torino, 1961.

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